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Il pensiero di Adriano Tilgher - Giodi.it

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alta creazione umana possibile sul piano del desiderio e della volontà,<br />

ma pur sempre desiderio e volontà” 1 .<br />

Al <strong>di</strong> sotto dell’eroe c’è il mil<strong>it</strong>ante, cioè colui che vive<br />

secondo quel modo generale <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a che si chiama costume e che<br />

non è altro se non un “ideale v<strong>it</strong>torioso <strong>di</strong>ventato ab<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne collettiva”.<br />

Vivere secondo il costume significa accettare con tranquill<strong>it</strong>à e<br />

sicurezza, ma senza l’entusiasmo che caratterizza l’azione eroica<br />

creatrice del costume, quei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a che sono consacrati dalla<br />

tra<strong>di</strong>zione. L’impulso, però, può talvolta rivoltarsi contro le fredde<br />

norme del costume: è allora che interviene il dovere.<br />

“<strong>Il</strong> dovere, l’imperativo categorico non è, dunque, un<br />

comando caduto dal cielo, non è il dettato <strong>di</strong> una ragione innestata<br />

in modo inesplicabile su un essere tutto senso, impulso e istinto. <strong>Il</strong><br />

dovere è semplicemente la forma interna che prende il costume (non<br />

soltanto conosciuto astrattamente ma accettato e vissuto) quando e<br />

perché l’impulso insorge contro <strong>di</strong> lui”. Ne consegue che il dovere non<br />

è mai astratto ma sempre concreto, è sempre “dovere <strong>di</strong> fare o <strong>di</strong> non<br />

fare questa o quella azione precisa e determinata”. 2<br />

<strong>Il</strong> dovere sarebbe, dunque, l’espressione del costume<br />

concretatosi in coscienza del dovere; il dovere dunque può mutare a<br />

seconda del tempo e della società e, ciò che per una società e in un<br />

dato tempo è dovere, può non esserlo in un’altra società e in un altro<br />

tempo. <strong>Il</strong> dovere verrebbe così degradato allo stato <strong>di</strong> convenzione,<br />

<strong>di</strong>venterebbe simile a quello che Protagora chiamava la ver<strong>it</strong>à<br />

convenzionale, che è appunto “ciò che sembra vero ai più, ciò che<br />

viene accettato comunemente, che è insomma costume.<br />

A questo, ci sembra, finisce con l’arrivare la tesi che fa della<br />

volontà una esplicazione cosciente del desiderio e del dovere. Se<br />

<strong>Tilgher</strong>, come è evidente, intendeva, pur senza far nomi, opporsi a<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Filosofia delle morali”, pag. 61<br />

2 <strong>Tilgher</strong> “Filosofia delle morali” pag. 66<br />

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