Il pensiero di Adriano Tilgher - Giodi.it

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03.06.2013 Views

preminente di quell’unica forma di vita morale che si esprime nella categoricità del dovere. Qualche meditazione su tale problema indusse forse Tilgher a mutare opinione. Diversa appare, infatti, la sua posizione speculativa nell’ultima opera in cui tratta del problema morale. Non che, in verità, il suo pensiero si presenti contraddittorio nelle diverse fasi del suo sviluppo, perché è sempre possibile rintracciare in ogni sua opera certi temi ricorrenti. Si vuol dire soltanto che nelle ultime opere, e specialmente in quella “Filosofia delle morali” del 1937, che è la sua più organica opera di morale, si viene disperdendo la originaria esigenza del dovere come condizione trascendentale della vita dello spirito e si prospettano “piani” diversi di vita morale indifferentemente accolti e giustificati secondo un criterio di equivalenza di valori che evidentemente attenua molto quel primitivo afflato etico a cui si è accennato. La tesi fondamentale sostenuta nella filosofia delle morali è che non si debba ridurre la vita morale ad un stile solo, ad un’unica forma, considerando tutte la altre subordinate rispetto a quella o addirittura negative e quindi da respingersi. Le forme della vita morale sono invece molteplici, egli dice, ed ognuna di essa ha la propria giustificazione, la propria genesi, la propria norma. Ognuna è perfettamente valida di fronte alle altre, perché rappresenta uno degli infiniti modi nei quali è possibile atteggiare la propria esistenza e regolare la propria condotta. Ridurre la vita morale ad un solo principio significherebbe per lui cristallizzare quella imprevista ed imprevedibile mutevolezza di aspetti e di relazioni che costituisce l’esistenza. A conferma di questa tesi Tilgher osserva che se davvero l’attività morale fosse formalmente fissata in un'unica categoria o legge e solo mutassero le situazioni e gli oggetti su cui si esercita questa attività, non dovrebbero sussistere dubbi o incertezze sulla via da seguire per giungere alla felicità e alla salvezza, mentre questa via è estremamente incerta per tutti. 34

Perciò la sua non vuol essere una nuova concezione morale o comunque l’analisi o la difesa di una particolare, specifica concezione morale, bensì una filosofia delle morali, cioè un esame analitico delle forme essenziali della vita morale nella loro genesi e nel loro più alto raggiungimento; esame che non vuole né può esaurire tutte le forme di vita morale, ma che prospetta soltanto un arricchimento degli atteggiamenti morali che accompagnano la mobilità e la varietà della vita. Per quanto criticabili possano essere, da un punto di vista rigorosamente teoretico, siffatta tesi e gli sviluppi in essa impliciti, non si può negare che la posizione sia originale e conduca ad osservazioni e spunti spesso acuti. E’, anzi, in questa posizione di fronte al problema etico che Tilgher manifesta forse più compiutamente se stesso, rivelando letendenze irrazionalistiche che derivavano a lui dall’ambiente filosofico degli inizi del secolo scorso e soprattutto dalla sua natura sensitiva e asistematica. La definizione che è alla base di tutto il discorso sulle morali è che l’uomo è vita senza natura. L’animale ha di volta in volta davanti a sé problemi particolari di vita ma non apprende mai la sua vita come totalità, l’uomo invece è l’unico essere vivente che ha davanti a sé la vita nella sua totalità. L’animale è perciò legato alla natura e non può staccarsene in alcun modo, l’uomo non è natura perché non è costretto ad aderire a nessuna forma di vita prefissata. “La sua natura è di non essere natura fissa e determinata. La sua essenza è di non essere essenza. La sua legge è di non essere legato a legge” 1 . Questa indeterminazione propria dell’uomo fa sì che la vita gli si presenti da un punto di vista sempre diverso e come un problema dalle infinite soluzioni possibili. E siccome anche per coloro che si pongono dallo stesso punto di vista indefinita è l’intensità con cui può essere perseguito lo scopo, si moltiplica senza limiti il numero delle soluzioni possibili, diverse qualitativamente e quantitativamente. 1 Tilgher: “Filosofia delle morali”. Roma, 1944. Pag. 7 35

Perciò la sua non vuol essere una nuova concezione morale o<br />

comunque l’analisi o la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> una particolare, specifica<br />

concezione morale, bensì una filosofia delle morali, cioè un esame<br />

anal<strong>it</strong>ico delle forme essenziali della v<strong>it</strong>a morale nella loro genesi e nel<br />

loro più alto raggiungimento; esame che non vuole né può esaurire<br />

tutte le forme <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale, ma che prospetta soltanto un<br />

arricchimento degli atteggiamenti morali che accompagnano la<br />

mobil<strong>it</strong>à e la varietà della v<strong>it</strong>a.<br />

Per quanto cr<strong>it</strong>icabili possano essere, da un punto <strong>di</strong> vista<br />

rigorosamente teoretico, siffatta tesi e gli sviluppi in essa implic<strong>it</strong>i, non si<br />

può negare che la posizione sia originale e conduca ad osservazioni e<br />

spunti spesso acuti. E’, anzi, in questa posizione <strong>di</strong> fronte al problema<br />

etico che <strong>Tilgher</strong> manifesta forse più compiutamente se stesso,<br />

rivelando letendenze irrazionalistiche che derivavano a lui<br />

dall’ambiente filosofico degli inizi del secolo scorso e soprattutto dalla<br />

sua natura sens<strong>it</strong>iva e asistematica.<br />

La definizione che è alla base <strong>di</strong> tutto il <strong>di</strong>scorso sulle morali è<br />

che l’uomo è v<strong>it</strong>a senza natura. L’animale ha <strong>di</strong> volta in volta davanti<br />

a sé problemi particolari <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a ma non apprende mai la sua v<strong>it</strong>a<br />

come total<strong>it</strong>à, l’uomo invece è l’unico essere vivente che ha davanti<br />

a sé la v<strong>it</strong>a nella sua total<strong>it</strong>à. L’animale è perciò legato alla natura e<br />

non può staccarsene in alcun modo, l’uomo non è natura perché non<br />

è costretto ad aderire a nessuna forma <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a prefissata. “La sua<br />

natura è <strong>di</strong> non essere natura fissa e determinata. La sua essenza è <strong>di</strong><br />

non essere essenza. La sua legge è <strong>di</strong> non essere legato a legge” 1 .<br />

Questa indeterminazione propria dell’uomo fa sì che la v<strong>it</strong>a gli si<br />

presenti da un punto <strong>di</strong> vista sempre <strong>di</strong>verso e come un problema<br />

dalle infin<strong>it</strong>e soluzioni possibili. E siccome anche per coloro che si<br />

pongono dallo stesso punto <strong>di</strong> vista indefin<strong>it</strong>a è l’intens<strong>it</strong>à con cui può<br />

essere persegu<strong>it</strong>o lo scopo, si moltiplica senza lim<strong>it</strong>i il numero delle<br />

soluzioni possibili, <strong>di</strong>verse qual<strong>it</strong>ativamente e quant<strong>it</strong>ativamente.<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Filosofia delle morali”. Roma, 1944. Pag. 7<br />

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