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Il pensiero di Adriano Tilgher - Giodi.it

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Fernando Gr<strong>it</strong>ta<br />

<strong>Il</strong> <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Adriano</strong> <strong>Tilgher</strong><br />

Saggio <strong>di</strong> carattere <strong>di</strong>vulgativo<br />

1


I Linee essenziali del <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong><br />

La formazione filosofica <strong>di</strong> <strong>Adriano</strong> <strong>Tilgher</strong> 1 avviene nel periodo che va<br />

dalla pubblicazione della prima “Estetica” crociana alla guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale. Non a caso questi due eventi <strong>di</strong>versissimi segnano le tappe<br />

della sua faticosa formazione intellettuale e spir<strong>it</strong>uale. Sono infatti<br />

caratteristici della personal<strong>it</strong>à <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> l’interesse così per le gran<strong>di</strong><br />

idee e costruzioni speculative, come per i fatti piccoli e gran<strong>di</strong> della<br />

v<strong>it</strong>a quoti<strong>di</strong>ana e insieme la capac<strong>it</strong>à <strong>di</strong> coglierne i più profon<strong>di</strong> e<br />

<strong>di</strong>ssimulati legami per trarne ora una linfa feconda <strong>di</strong> arricchimento<br />

spir<strong>it</strong>uale, ora un acre motivo <strong>di</strong> polemica e <strong>di</strong> cr<strong>it</strong>ica <strong>di</strong>ssolv<strong>it</strong>rice.<br />

Nel breve saggio su “Julien Benda e il problema del<br />

tra<strong>di</strong>mento dei chierici” il <strong>Tilgher</strong> riven<strong>di</strong>ca ai “chierici” il <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to <strong>di</strong><br />

immergersi nelle forze vive e passionali del loro tempo per farsene<br />

negatori o assertori: “Chi vuole un chiericato pre<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> astratti<br />

valori e <strong>di</strong> una astratta Ragione superiore al Tempo e alla Storia,<br />

1 <strong>Adriano</strong> <strong>Tilgher</strong> nacque l’8 gennaio 1887 a Resina presso Napoli, dove si laureò in legge e<br />

manifestò sub<strong>it</strong>o il suo forte interesse per gli stu<strong>di</strong> filosofici traducendo nel 1910 la “Dottrina della<br />

scienza” <strong>di</strong> Fichte. Nell’’11 si trasferì a Torino per assumere un incarico <strong>di</strong> bibliotecario e pubblicò la<br />

sua prima opera filosofica “Arte, conoscenza e realtà”, alla quale seguì nel 1915 una serie <strong>di</strong> saggi<br />

raccolti nel volume “Teoria del pragmatismo trascendentale”. Gli anni fra il ’10 e il ’15 furono <strong>di</strong><br />

ferventi ricerche <strong>di</strong> una sua propria via speculativa che lo allontanasse dai “numi” del suo tempo,<br />

Marx, Croce, Gentile e tanti altri, ai quali tutti, come poi riconobbe, molto doveva. Me<strong>di</strong>tò a lungo<br />

in quegli anni sulle turbinose vicende che precedettero la prima guerra mon<strong>di</strong>ale, rivelandosi un<br />

acuto ed originale giornalista che collaborò ad importanti giornali come “La Stampa”, “<strong>Il</strong> resta del<br />

Carlino”, il “Mondo” sul quale scrisse fino al 1926, anno in cui il giornale fu soppresso dal fascismo.<br />

Dal ’15 al ’26, con un paio <strong>di</strong> anni <strong>di</strong> interruzione per gli eventi bellici, egli come giornalista si de<strong>di</strong>cò<br />

prevalentemente alla cr<strong>it</strong>ica teatrale,assumendo un atteggiamento innovativo spesso in polemica<br />

con la cronaca ufficiale. Si deve in gran parte a lui la valorizzazione dell’opera <strong>di</strong> Pirandello che<br />

egli considerò il vero drammaturgo dei nuovi tempi. Riprese l’attiv<strong>it</strong>à giornalistica come<br />

collaboratore <strong>di</strong> terza pagina nel “Popolo <strong>di</strong> Roma” che proseguì fino al 1941 (anno della sua<br />

morte, il 3 novembre). Negli anni del fascismo venne elaborando, con qualche incertezza, un suo<br />

importante sistema <strong>di</strong> <strong>pensiero</strong> che si concluse con la pubblicazione dell’ultima sua opera “<strong>Il</strong><br />

casualismo cr<strong>it</strong>ico” (1942). incerto appare anche il suo atteggiamento nei confronti del fascismo<br />

che a volte sembrò accettare (per qualche motivazione genti liana) ma dal quale andò poi<br />

sempre più allontanandosi dopo i misfatti e gli atti manifestamente illiberali, chiudendosi in una<br />

sol<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne me<strong>di</strong>tativa e triste. Leo Longanesi lo ricorda come “un uomo della vecchia Italia che non<br />

fu fascista e che morì povero”. (In “Parliamo dell’elefante”, Milano, pag. 63).<br />

2


immobile e fissa, vuole anche una concezione del mondo nella quale<br />

tra il senso e la ragione, tra la carne e lo spir<strong>it</strong>o, tra la materia e il<br />

<strong>pensiero</strong>, tra la terra e il cielo, tra l’esperienza e la ragione, vaneggia<br />

un abisso assoluto, vuole un chiericato contemplativo, metafisico,<br />

ascetico, teologale, in<strong>di</strong>fferente alla terra, ai suoi bisogni, ai suoi valori,<br />

alle sue lotte, alle sue trage<strong>di</strong>e. Questa concezione è quella che ha<br />

eliminato la storia dal <strong>pensiero</strong> fino a un secolo fa. Ma la storia ha<br />

perciò forse meno grondato <strong>di</strong> lacrime e <strong>di</strong> sangue?”. 1<br />

Non tra<strong>di</strong>sce la sua missione il chierico che fortemente sente i<br />

problemi e si getta nella mischia abbandonando l’alta posizione da<br />

cui un tempo guardava sereno e sprezzante le incomposte convulsioni<br />

della v<strong>it</strong>a: l’ideale metafisico <strong>di</strong> Spinosa, cui si ispira Julien Benda nel<br />

determinare l’alta missione dei chierici, è sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o nel mondo<br />

moderno, secondo <strong>Tilgher</strong>, dall’ideale romantico dell’azione<br />

stemperantesi nei varii aspetti della polemica e <strong>di</strong> un <strong>pensiero</strong> che si<br />

nutre dei contingenti motivi della tecnica, della pol<strong>it</strong>ica, della<br />

economia.<br />

Siffatto ideale della cultura doveva necessariamente<br />

allontanare <strong>Tilgher</strong> dalla serena concezione dello storicismo crociano,<br />

portandolo verso il relativismo e l’antistoricismo e, sul piano pratico,<br />

verso il giornalismo mil<strong>it</strong>ante.<br />

La educazione idealistica e crociana <strong>di</strong> cui, come tutti quasi i<br />

pensatori <strong>it</strong>aliani del primo cinquantennio del Novecento, avrebbe<br />

serbato durevolissime tracce, venne gradatamente cedendo alle<br />

sollec<strong>it</strong>azioni dei pragmatisti e relativisti contemporanei.<br />

I suoi saggi su “Arte, conoscenza e realtà” (1911) e sulla teoria<br />

del “Pragmatismo trascendentale” (1915) segnano le tappe <strong>di</strong> questa<br />

svolta decisiva nella storia della sua formazione intellettuale.<br />

Si manifesta in essi l’insod<strong>di</strong>sfazione del suo spir<strong>it</strong>o inquieto per<br />

quella specie <strong>di</strong> santificazione della Storia che aveva portato Croce a<br />

conciliare Hegel e Vico e per quella morale ottimistica che<br />

1 <strong>Tilgher</strong> – “Julien Benda e il tra<strong>di</strong>mento dei chierici” Roma, 1930. Pag. 13.<br />

3


violentemente contrastava con la visione apocal<strong>it</strong>tica della prossima<br />

catastrofe <strong>di</strong> tutta la civiltà contemporanea <strong>di</strong> cui <strong>Tilgher</strong> già in quegli<br />

anni venne atteggiandosi a profeta.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o dei relativisti, che egli ebbe il mer<strong>it</strong>o <strong>di</strong> far conoscere<br />

fra i primi in Italia, lo portava sempre più lontano da ogni forma <strong>di</strong><br />

storicismo, sia da quello idealistico che gli appariva come l’ultima<br />

manifestazione del razionalismo illuministico e quin<strong>di</strong> come la defin<strong>it</strong>iva<br />

espressione del trionfo economico e pol<strong>it</strong>ico della borghesia, sia da<br />

quello “profetico” <strong>di</strong> Marx auspicante l’inv<strong>it</strong>abile catastrofe della<br />

società borghese e l’avvento <strong>di</strong> una nuova uman<strong>it</strong>à. Ma soprattutto<br />

contro lo storicismo idealistico, contro quella filosofia crociana <strong>di</strong> cui<br />

pure s’era nutr<strong>it</strong>o – e neppure questo fenomeno è raro nella storia del<br />

primo novecento – si appuntano le sue cr<strong>it</strong>iche più vivaci.<br />

Nella conclusione del suo saggio sulla filosofia del “Come se”<br />

<strong>di</strong> Hans Vaihinger egli esprime nel suo sol<strong>it</strong>o stile appassionato e vivace<br />

la sua avversione per lo storicismo dominante e la sua fede nella forza<br />

non solo <strong>di</strong>struttiva ma anche ricostruttiva del dubbio: “<strong>Il</strong> formidabile<br />

movimento o<strong>di</strong>erno che dallo storicismo svolge il relativismo e lo<br />

scetticismo universale è, dunque, niente altro che lo sforzo che le forze<br />

profonde della v<strong>it</strong>a, nuove e perciò rivoluzionarie, compresse dalla<br />

ideologia storicistica dominante, <strong>di</strong>vinizzatrice del passato e, in nome<br />

<strong>di</strong> esso, negatrice dell’avvenire, fanno per scrollare il ferreo gioco ed<br />

aprirsi il varco alla luce. E’ un bisogno profondo <strong>di</strong> azione che sottostà<br />

all’affermazione relativistica che tutto è finzione, che i confini tra ver<strong>it</strong>à<br />

ed errore fluiscono, ondeggiano, si confondono. <strong>Il</strong> dubbio scettico è<br />

l’arma con cui l’Irrazionalismo e il Volontarismo, romanticismo<br />

dell’avvenire, attraverso la negazione dell’affermazione, insorgono<br />

contro lo storicismo, romanticismo del passato e tentano demolirlo. <strong>Il</strong><br />

dubbio <strong>di</strong> oggi prepara la fede intransigente <strong>di</strong> domani. Attraverso il<br />

dubbio alla fede, attraverso il no al si”. 1<br />

1 <strong>Tilgher</strong> Relativisti contemporanei. Roma, 1913. Pag. 34-35<br />

4


La prima guerra mon<strong>di</strong>ale, come si è detto, fu un evento<br />

destinato ad influenzare notevolmente il giovane <strong>Tilgher</strong>. Lo<br />

scatenamento <strong>di</strong> forze cieche, violente, irrazionali, sembrò aprire il<br />

baratro nel quale sarebbe stata ingoiata tutta la civiltà del secolo XIX.<br />

I fatti sembravano confermare quella sfiducia nella storia intesa come<br />

immanente razional<strong>it</strong>à che egli aveva già ampiamente manifestato<br />

nelle sue prime opere <strong>di</strong> carattere teoretico. La storia gli appare<br />

sempre più come un continuo fluttuare i eventi atomistici senza nessi<br />

necessari <strong>di</strong> causa ed effetto, come esplosione <strong>di</strong> forze in contrasto,<br />

non composte né componibili in alcuno schema <strong>di</strong>alettico.<br />

<strong>Il</strong> dramma della guerra mon<strong>di</strong>ale accentua in lui l’esigenza <strong>di</strong><br />

una revisione <strong>di</strong> tutto il mondo delle idee del secolo XIX e lo porta a<br />

stu<strong>di</strong>are più attentamente le origini e gli sviluppi <strong>di</strong> quella che egli<br />

chiama la “crisi mondale”. Nell’opera omonima, pubblicata nel 1921,<br />

egli sottopone ad una spietata e spesso efficacissima analisi i m<strong>it</strong>i, le<br />

credenze, gli ist<strong>it</strong>uti della società borghese, tentando <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare<br />

come le idee stesse <strong>di</strong> democrazia e <strong>di</strong> liberalismo vengano<br />

tramontando col tramontare <strong>di</strong> tutta la civiltà borghese.<br />

I saggi raccolti in “La crisi mon<strong>di</strong>ale” rappresentano, forse, la<br />

pagine più acute e spregiu<strong>di</strong>cate scr<strong>it</strong>te all’indomani della prima<br />

guerra mondale ( non a torto il Missiroli le antepose al famoso “Audessus<br />

de la mêleé” 1 ) e segnano, insieme, una tappa importante<br />

nello svolgimento del <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong>. La guerra gli dava la<br />

possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> verificare sul piano pratico le sue affermazioni teoriche e<br />

lo convinceva della necess<strong>it</strong>à <strong>di</strong> considerare con sempre maggiore<br />

attenzione, e senza trascurarne alcuno, gli aspetti contingenti della<br />

v<strong>it</strong>a nei quali soltanto è possibile rintracciare quella ver<strong>it</strong>à che invano si<br />

chiede alle astratte teorie. Nasce così il suo chiericato, cioè la sua<br />

missione <strong>di</strong> uomo <strong>di</strong> cultura intesa nel modo <strong>di</strong> cui si è detto.<br />

1 “Non conosco nulla che possa resistere al confronto con “La crisi mon<strong>di</strong>ale” davanti alla quale le<br />

celebri pagine <strong>di</strong> Romain Roland sono niente”. Dalla prefazione <strong>di</strong> Mario Missiroli a “Relativisti<br />

Contemporanei” – Roma, 1923 Pag. 17<br />

5


L’articolo <strong>di</strong> giornale, breve, sintetico, tagliente, <strong>di</strong>venta<br />

l’arma per lui più acconcia per <strong>di</strong>vulgare il <strong>pensiero</strong> proprio e <strong>di</strong> altri,<br />

per stroncare le false ver<strong>it</strong>à e i falsi profeti, per combattere, insomma,<br />

la sua battaglia non sul piano della cultura aridamente libresca, bensì<br />

su quello della cultura viva, sbocciante dalle idee e dai fatti che<br />

quoti<strong>di</strong>anamente nascono e muoiono nel turbinio incessante della<br />

v<strong>it</strong>a. La sua vocazione <strong>di</strong> giornalista parte, quin<strong>di</strong>, da una posizione<br />

teoreticamente giustificata e rivela non il gusto superficiale e<br />

<strong>di</strong>lettantesco del gazzettiere, ma, al contrario, la viva esigenza <strong>di</strong><br />

provare al vaglio dell’esperienza quoti<strong>di</strong>ana certe convinzioni<br />

derivantigli da una seria consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>.<br />

Comincia nel 1914, come si è già detto, la sua attiv<strong>it</strong>à<br />

giornalistica, che egli proseguì poi fino alla morte. Fu questa attiv<strong>it</strong>à<br />

che rese particolarmente noto <strong>Tilgher</strong> al gran pubblico che lo<br />

apprezzò molto soprattutto come cr<strong>it</strong>ico drammatico.<br />

Russo notò che non a caso <strong>Tilgher</strong> si sentì attratto dalla cr<strong>it</strong>ica<br />

teatrale, in quanto il teatro “era imme<strong>di</strong>ata e vibrante<br />

rappresentazione, gusto spettacolare, cinematografia vivente del<br />

“Fuoco Eracl<strong>it</strong>eo” da cui il nostro uomo era come attirato e<br />

affascinato” 1 . Inoltre accettò volentieri una attiv<strong>it</strong>à che gli avrebbe<br />

consent<strong>it</strong>o <strong>di</strong> verificare, nell’esercizio della cr<strong>it</strong>ica mil<strong>it</strong>ante, la vali<strong>di</strong>tà<br />

delle sue idee sull’arte. E questo appunto <strong>di</strong>stingue (lo nota anche il<br />

Russo) i suoi articoli <strong>di</strong> cr<strong>it</strong>ica drammatica dalla congerie <strong>di</strong> cronache<br />

teatrali <strong>di</strong> cui fu fecondo il decennio tra il 1920 e il 1930 che vide<br />

affermarsi autori sconcertanti, primo fra i quali Pirandello.<br />

Gli “Stu<strong>di</strong> sul teatro contemporaneo” e “La scena e la v<strong>it</strong>a”,<br />

pubblicati rispettivamente nel ’23 e nel ’25, sono il risultato e il<br />

compen<strong>di</strong>o della sua attiv<strong>it</strong>à <strong>di</strong> cr<strong>it</strong>ico drammatico la quale contribuì,<br />

come si è detto, ad un maggiore approfon<strong>di</strong>mento dei problemi<br />

dell’estetica.<br />

1 Luigi Russo – La cr<strong>it</strong>ica letteraria contemporanea, Bari – Volume II, pag. 267.<br />

6


La cr<strong>it</strong>ica drammatica non <strong>di</strong>stolse tuttavia <strong>Tilgher</strong> dai suoi<br />

stu<strong>di</strong> pre<strong>di</strong>letti <strong>di</strong> carattere storico e filosofico. Proprio negli stessi anni<br />

egli venne sempre meglio definendo la sua teoria della storia,<br />

orientandosi decisamente verso la visione spengleriana dei cicli storici<br />

chiusi. <strong>Il</strong> saggio sullo Spengler, compreso ne “I relativisti<br />

contemporanei”, lo portò a profetizzare con maggior vigore la fine<br />

della civiltà cap<strong>it</strong>alistico-borghese.<br />

Non a torto il tono messianico <strong>di</strong> alcuni suoi scr<strong>it</strong>ti ha fatto<br />

ricordare a taluno il vivo interesse <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> per il me<strong>di</strong>anismo e la<br />

giovanile amicizia per la nota me<strong>di</strong>um napoletana Eusapia Pala<strong>di</strong>no. 1<br />

Nel 1922 in “La visione greca della v<strong>it</strong>a” egli riprese la teoria <strong>di</strong><br />

Nietzsche circa il m<strong>it</strong>o greco “dell’eterno r<strong>it</strong>orno” da lui contrapposto<br />

al concetto cristiano <strong>di</strong> “redenzione” e a quello illuministico <strong>di</strong><br />

“progresso”. Per la concezione greca l’uomo, ipostasi <strong>di</strong> Dio, a Dio<br />

tende a tornare come al tutto, sicchè la civiltà greca naturalmente<br />

tende all’equilibrio, all’or<strong>di</strong>ne, alla serena in<strong>di</strong>fferenza; nel mondo<br />

moderno, invece, l’Io, anelante a sempre nuove conquiste, esplica la<br />

sua attiv<strong>it</strong>à infin<strong>it</strong>a in uno slancio inesauribile verso la libertà. <strong>Il</strong> motivo<br />

romantico e soprattutto fichtiano è evidente. Ma <strong>Tilgher</strong> accentua<br />

l’aspetto religioso, anzi cristiano, <strong>di</strong> questo slancio dando ad esso il<br />

carattere <strong>di</strong> una redenzione. <strong>Il</strong> 1922 fu dunque un anno<br />

particolarmente importante per la maturazione del <strong>pensiero</strong><br />

tilgheriano, così come fu un anno cruciale per le vicende pol<strong>it</strong>iche del<br />

nostro paese, nelle quali <strong>Tilgher</strong>, come tutti coloro che allora erano<br />

impegnati con le idee, si trovò coinvolto, sia pure marginalmente.<br />

L’atteggiamento <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> nei confronti della <strong>di</strong>ttatura<br />

fascista, che iniziava allora la sua parabola, fu complesso e spesso<br />

contrad<strong>di</strong>ttorio. C’era indubbiamente un filone del suo <strong>pensiero</strong>,<br />

quello volontaristico ed attivistico, che sembrava orientarlo verso la<br />

accettazione <strong>di</strong> un credo pol<strong>it</strong>ico esaltante la forza rinnovatrice e la<br />

volontà onnipotente. Ancora una volta i fatti sembravano <strong>di</strong>mostrare<br />

1 Mario Vinciguerra – <strong>Adriano</strong> <strong>Tilgher</strong> – Necrologio. Sta in “Nuova rivista storica”, 1941. Fasc. V e VI<br />

7


per lui il fallimento della visione storicistica e preparare la catastrofe<br />

della vecchia civiltà.<br />

Nel saggio “Storia e antistoria”, che pure venne dopo il fatale<br />

anno 1926 che segnò lo scioglimento <strong>di</strong> tutti i part<strong>it</strong>i pol<strong>it</strong>ici, tranne uno,<br />

e la defin<strong>it</strong>iva liquidazione <strong>di</strong> ogni libertà <strong>di</strong> stampa, è facile trovare<br />

qualche passo che può considerarsi come una vera e propria<br />

“apologia del fascismo”. <strong>Il</strong> Garin c<strong>it</strong>a quel brano in cui, attaccando<br />

come al sol<strong>it</strong>o gli storicisti, <strong>Tilgher</strong> riconosce al fascismo il mer<strong>it</strong>o <strong>di</strong> non<br />

ancorarsi al passato, ma <strong>di</strong> cercare nel passato l’antecedente storico<br />

della propria azione presente. 1<br />

Tuttavia i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong>ttatoriali e l’annullamento <strong>di</strong> ogni libertà,<br />

nonché l’esaltato nazionalismo cui quella concezione pol<strong>it</strong>ica mise<br />

capo, determinarono motivi <strong>di</strong> insofferenza dei quali è facile trovare<br />

traccia nei suoi scr<strong>it</strong>ti posteriori al 1930 e soprattutto in quel “Diario<br />

pol<strong>it</strong>ico degli anni 1937-41” pubblicato postumo a cura <strong>di</strong> Liliana<br />

Scalera. Anche Luigi Salvatorelli, che gli fu amico, testimoniò, nella<br />

prefazione ad una raccolta <strong>di</strong> saggi <strong>di</strong> pol<strong>it</strong>ica e <strong>di</strong> sociologia, “Tempo<br />

nostro”, quella insofferenza <strong>di</strong> lui per la <strong>di</strong>ttatura che fu propria degli<br />

spir<strong>it</strong>i veramente colti e sensibili.<br />

Ma per quella tendenza connaturata al suo spir<strong>it</strong>o <strong>di</strong> ricercare<br />

i rapporti più profon<strong>di</strong> tra i fatti e le idee, quanto più gli si faceva<br />

insopportabile la s<strong>it</strong>uazione presente, tanto più era portato a<br />

ricercarne le cause in quella dottrina che era stata la delizia e la croce<br />

del suo travaglio speculativo, l’idealismo crociano e gentiliano.<br />

L’idealismo sembrava <strong>di</strong>ventare la filosofia <strong>di</strong> Stato, specie<br />

nella estrema formulazione gentiliana; non a caso l’aspra e spesso<br />

incomposta polemica col Gentile si sviluppò e acuì negli anni stessi in<br />

cui si consolidava e <strong>di</strong>ffondeva l’attualismo così come era<br />

superficialmente inteso dalla cultura ufficiale. Tale polemica, della<br />

quale bisognerà poi più particolarmente occuparsi, ebbe le sue punte<br />

1 Eugenio Garin – Cronache <strong>di</strong> filosofia contemporanea, Bari – Pagg. 312 – 313.<br />

8


estreme nello “Spaccio del bestione trionfante” del 1926 e in “Le<br />

orecchie dell’aquila” del 1938.<br />

Quali che siano stati i rapporti tra la filosofia gentiliana e<br />

quella tilgheriana, è fuori dubbio che le due posizioni sono molto meno<br />

<strong>di</strong>stanti <strong>di</strong> quanto <strong>Tilgher</strong> stesso credette. Filosofia “dell’atto impuro”<br />

definì il Vinciguerra quella <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong>, intendendo con “impuro”,<br />

“irrazionale”: la genesi delle due filosofie sarebbe pertanto la stessa.<br />

Giustamente Vinciguerra colse i rapporti <strong>di</strong> derivazione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong><br />

<strong>Tilgher</strong> da Gentile 1 , ma non sembra accettabile la tesi secondo la<br />

quale <strong>Tilgher</strong>, come tutti i cosiddetti “superatori” che dal 1910 in poi si<br />

posero a scoprire nuovi orizzonti, fu v<strong>it</strong>tima <strong>di</strong> Croce e <strong>di</strong> Gentile 2 :<br />

l’irrazionalismo ed il casualismo, che sono i motivi centrali del <strong>pensiero</strong><br />

tilgheriano, solo per via in<strong>di</strong>retta possono legarsi al tronco idealistico, a<br />

cui pure fa riferimento la filosofia <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong>.<br />

Anzi razionalismo e casualismo dopo il 1930 <strong>di</strong>ventano sempre<br />

più presenti nel <strong>pensiero</strong> tilgheriano. In “Filosofi e moralisti del ‘900”<br />

(1932), in “Cr<strong>it</strong>ica dello storicismo” (1935), in “Filosofia delle morali”<br />

(1937), l’irrazionale si presenta come il principio fondamentale della<br />

v<strong>it</strong>a per cui essa appare come una forza cieca e prepotente che<br />

nessuna luce razionale può spiegare; il razionalismo appare ormai<br />

decisamente superato e crollante insieme con tutta la civiltà e le idee<br />

che da esso erano sbocciate. La conseguenza <strong>di</strong> un così deciso<br />

irrazionalismo si manifesta sul piano morale con la teoria dell’ “uomo<br />

senza natura” cioè dell’uomo come essere vivente al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> ogni<br />

schematizzazione e <strong>di</strong> ogni istinto che ne fissi e determini l’azione,<br />

cosicchè non una ma molte morali sono possibili.<br />

L’interesse etico domina il <strong>pensiero</strong> tilgheriano dell’ultimo<br />

decennio e si pone in relazione strettissima con l’interesse teoretico dei<br />

primi anni: alla storia atomisticamente considerata, senza nessi <strong>di</strong><br />

causal<strong>it</strong>à, ma dominata e <strong>di</strong>retta dal caso, ben corrisponde una<br />

1 M. Vinciguerra, Op c<strong>it</strong>.<br />

2 L. Russo, Op. c<strong>it</strong>. pag. 250<br />

9


concezione morale che non si chiude in nessuna definizione<br />

prestabil<strong>it</strong>a, ma cerca <strong>di</strong> accogliere le infin<strong>it</strong>e possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale,<br />

tutte giustificabili.<br />

Accanto all’interesse etico, nel complesso del suo <strong>pensiero</strong> un<br />

posto preminente continuò ad avere nell’ultimo decennio l’interesse<br />

estetico che peraltro avvertì sempre fortemente. Nella “Estetica” del<br />

1931 e negli “Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> poetica” del 1934 la sua concezione dell’arte si<br />

adegua sempre <strong>di</strong> più alla visione complessiva della v<strong>it</strong>a come slancio<br />

variamente e impreve<strong>di</strong>bilmente determinantesi.<br />

Nell’ultima opera che è del 1941, l’anno stesso della morte, si<br />

cerca <strong>di</strong> giustificare da un punto <strong>di</strong> vista metafisico la complessa<br />

concezione morale, estetica e storica. <strong>Il</strong> “Casualismo cr<strong>it</strong>ico” è il<br />

suggello <strong>di</strong> un <strong>pensiero</strong> che, sia pure sotto l’influsso <strong>di</strong> varie e <strong>di</strong>verse<br />

esperienze e attraverso fasi <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> sviluppo, conserva nel<br />

complesso una sua fondamentale un<strong>it</strong>à: dal prim<strong>it</strong>ivo relativismo alle<br />

ultime più mature riflessioni sulla morale e sull’arte esso rivela l’esigenza<br />

profonda <strong>di</strong> uno spir<strong>it</strong>o irrequieto <strong>di</strong> trovare, faticosamente e non<br />

sempre felicemente, una propria strada.<br />

Le parentele <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> con gli spir<strong>it</strong>i più tormentati del primo<br />

cinquantennio del Novecento, Borghese, Renzi, Buonaiuti, sono spesso<br />

strettissime. Ma fra gli uomini della sua generazione <strong>Tilgher</strong> filosofo e<br />

giornalista, cr<strong>it</strong>ico drammatico e stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> misteriosofia, pota una<br />

nota personalissima <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza spir<strong>it</strong>uale e mentale, cosicchè è<br />

<strong>di</strong>fficile incasellarlo semplicisticamente nel quadro tumultuoso <strong>di</strong> quel<br />

cinquantennio che vide fatti impreve<strong>di</strong>bili e drammatici tali da<br />

giustificare quasi la tilgheriana aspettativa <strong>di</strong> una prossima palingenesi.<br />

10


II La teoria della conoscenza<br />

Fin dalle prime esperienze filosofiche <strong>Tilgher</strong> si propose <strong>di</strong><br />

elaborare una teoria della conoscenza e della storia partendo dal<br />

pan-eticismo fichtiano. I primi saggi <strong>di</strong> lui su tali argomenti, che videro<br />

la luce nella rivista “<strong>Il</strong> Conciliatore” <strong>di</strong>retta dal Borghese e che poi<br />

furono rifusi e mo<strong>di</strong>ficati nella “Teoria del pragmatismo<br />

trascendentale”, manifestano l’esigenza vivissima da parte <strong>di</strong> un<br />

lettore sensibile ed acuto <strong>di</strong> penetrare il più intimo senso dell’idealismo<br />

contemporaneo per superarne le antinomie e conservarne il valore<br />

etico e l’afflato spir<strong>it</strong>uale. Perché, infatti, nel quadro della filosofia<br />

europea agli inizi del secolo XX l’idealismo, pur con le sue<br />

manchevolezze, parve a <strong>Tilgher</strong> l’unica dottrina gnoseologica ed<br />

etica che si elevasse ad una visione integrale del mondo, rifuggendo<br />

sia dalle ari<strong>di</strong>tà pseudo-scientifiche degli epigoni del pos<strong>it</strong>ivismo che<br />

dalle astrattezze logiche degli antipos<strong>it</strong>ivisti.<br />

Proprio da un esame attento delle correnti logiche e<br />

gnosologiche contemporanee partì <strong>Tilgher</strong> per orientarsi verso<br />

l’idealismo e insieme verso quella che egli considerò la sua revisione e<br />

rivalutazione dell’idealismo stesso.<br />

Nel pos<strong>it</strong>ivismo egli non tardò a vedere la più grave forma <strong>di</strong><br />

dogmatismo, come quello che afferma risolutamente l’esistenza<br />

oggettiva delle cose in<strong>di</strong>pendentemente da ogni attiv<strong>it</strong>à dello spir<strong>it</strong>o<br />

11


conoscente. Da siffatto punto <strong>di</strong> vista la conoscenza si risolverebbe in<br />

una semplice duplicazione, per cui il mondo degli oggetti non<br />

esisterebbe soltanto in sé, ma esisterebbe anche come immagine,<br />

come rappresentazione nella coscienza soggettiva.<br />

La cr<strong>it</strong>ica del <strong>Tilgher</strong> a quello che egli definiscedogmatismo<br />

pos<strong>it</strong>ivistico è, anche se non del tutto originale, per molti aspetti<br />

interessante. Porre l’essere come in<strong>di</strong>pendente dal conoscere significa<br />

spalancare tra l’uno e l’altro un abisso incolmabile. Infatti, se si<br />

considera il conoscere come una apparenza dell’essere, come un<br />

particolare stato dell’essere, l’essere stesso (la materia) che dovrebbe<br />

cost<strong>it</strong>uire l’unica realtà ne viene pressoché annullato, dato che non ci<br />

è rivelato da quella apparenza che è il conoscere; se invece si<br />

considera il conoscere come un modo <strong>di</strong> riprodurre l’essere, sì che la<br />

ver<strong>it</strong>à starebbe nell’adeguazione dell’essere alla sua<br />

rappresentazione, <strong>di</strong>venta assurdo tentare <strong>di</strong> sapere se il nostro<br />

conoscere è o meno adeguato all’essere in sé. <strong>Il</strong> pos<strong>it</strong>ivismo si<br />

avvierebbe così allo scetticismo.<br />

Né meno assurda appare a <strong>Tilgher</strong> la pretesa propria del<br />

pos<strong>it</strong>ivismo dogmatico <strong>di</strong> superare la molteplic<strong>it</strong>à o frammentarietà<br />

delle immagini in<strong>di</strong>viduali ricorrendo ai concetti <strong>di</strong> legge, essenza, tipo,<br />

quasi che la legge, l’essenza, il tipo non fossero essi stessi frammenti <strong>di</strong><br />

immagini in<strong>di</strong>viduali arb<strong>it</strong>rariamente innalzati. <strong>Il</strong> pos<strong>it</strong>ivismo fa <strong>di</strong> questi<br />

concetti la base <strong>di</strong> un rigoroso determinismo e parla dello “stato del<br />

mondo in un determinato momento” che sarebbe tutto deducibile<br />

dalle con<strong>di</strong>zioni precedenti, secondo un ferreo rapporto <strong>di</strong> causa ed<br />

effetto. E così risalendo <strong>di</strong> effetto in causa, il pos<strong>it</strong>ivismo giunge ( come<br />

l’antica metafisica teologica) ad una causa prima, incon<strong>di</strong>zionata ed<br />

irrelata, che appunto perché tale, risulta inconoscibile: questa è per<br />

<strong>Tilgher</strong> la via che porta all’agnoticismo spenceriano.<br />

La vera <strong>di</strong>ssoluzione del pos<strong>it</strong>ivismo sarebbe poi rappresentata<br />

dal cosiddetto “energetismo” col quale esso avrebbe cercato <strong>di</strong><br />

salvarsi: la causa prima non è qualcosa <strong>di</strong> materiale e concreto ma<br />

12


qualcosa <strong>di</strong> indefinibile, cioè l’energia, <strong>di</strong> cui la materia stessa non<br />

sarebbe che una manifestazione. 1<br />

Né più idoneo a fondar una valida teoria della conoscenza<br />

sembra a <strong>Tilgher</strong> il neo-kantismo tedesco, sorto proprio in segu<strong>it</strong>o<br />

all’evidente fallimento del pos<strong>it</strong>ivismo. Se c’è all’attivo del neokantismo<br />

la certezza che la conoscenza, lungi dall’essere conoscenza<br />

della realtà esterna, è un prodotto dell’attiv<strong>it</strong>à del <strong>pensiero</strong> che<br />

elabora i dati dei sensi usando le sue proprie leggi, c’è al passivo<br />

l’accettazione <strong>di</strong> una “cosa in sé” nella quale poi starebbe la realtà<br />

vera. “Ma all’affermazione che <strong>di</strong>etro i fenomeni c’è la cosa in sé non<br />

si giunge forse applicando le forme e le leggi della nostra<br />

conoscenza? Ora chi ci assicura che la credenza della “cosa in sé”<br />

corrisponda a qualche cosa <strong>di</strong> reale o piuttosto non sia un prodotto<br />

illusorio della nostra organizzazione fisiologica o mentale, sì che se ne<br />

possa porre in dubbio la vali<strong>di</strong>tà? L’intelletto non può sciogliere questo<br />

dubbio, chiuso com’è nel cerchio dei fenomeni” 2 . Per aggirare<br />

l’ostacolo l’Helmholtz, il Riehl, il Liebmann fanno ricorso a forze irriflesse<br />

e a principi extrarazionali. Invano, secondo <strong>Tilgher</strong>; quando si giunge a<br />

<strong>di</strong>re, col Liebmann, che solo la poesia, il sentimento religioso, la v<strong>it</strong>a<br />

morale possono aiutarci a varcare i confini dell’esperienza, si rinnega<br />

<strong>di</strong> fatto quella oggettiv<strong>it</strong>à della “cosa in sé” da cui si è part<strong>it</strong>i, visto che<br />

per attingerla bisogna far ricorso a quanto vi è <strong>di</strong> più soggettivo nello<br />

spir<strong>it</strong>o, cioè al sentimento ed alla fantasia.<br />

Più vicina alle proprie esigenze speculative appare al <strong>Tilgher</strong> la<br />

posizione del neo-hegelismo inglese, del volontarismo e<br />

dell’empiriocr<strong>it</strong>icismo tedesco, correnti tutte delle quali egli non<br />

manca <strong>di</strong> coglere, dal suo punto <strong>di</strong> vista, il lato debole.<br />

Mer<strong>it</strong>o in<strong>di</strong>scutibile <strong>di</strong> Green, iniziatore del neo-hegelismo<br />

inglese, è <strong>di</strong> aver compreso profondamente che”pensare, conoscere,<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “<strong>Il</strong> problema della conoscenza nelle varie <strong>di</strong>rezioni della filosofia contemporanea” in “<strong>Il</strong><br />

Conciliatore”. Anno I (1914), fasc. II e “Teoria del pragmatismo trascendentale”, Milano, 1915.<br />

Pagg. 327-334.<br />

2 <strong>Tilgher</strong> “<strong>Il</strong> problema della conoscenza”. OP: c<strong>it</strong>. Pagg. 333-334<br />

13


giu<strong>di</strong>care è nient’altro che porre in rapporto”. <strong>Il</strong> mondo della natura e<br />

dell’esperienza presuppone un principio spir<strong>it</strong>uale che lo cost<strong>it</strong>uisca<br />

stabilendo i rapporti e restando al <strong>di</strong> sopra e al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> essi: la<br />

conoscenza è un complesso <strong>di</strong> relazioni, poiché nessun elemento in<br />

essa, sensazione o <strong>pensiero</strong> che sia, può sussistere al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> un<br />

sistema <strong>di</strong> rapporti. Ma il <strong>pensiero</strong> che lo pensa deve essere<br />

necessariamente al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> questi rapporti, fuori del tempo, “ab<br />

aeterno”. Fino a questo punto <strong>Tilgher</strong> è d’accordo con Green, ma gli<br />

pare che il Green si sia fermato a mezza strada, senza essere riusc<strong>it</strong>o<br />

ad elevarsi ad una più alta posizione speculativa dalla quale potesse<br />

giustificare la genesi trascendentale della conoscenza. Green si<br />

sarebbe lim<strong>it</strong>ato a constatare che cosa la conoscenza è, ma non ne<br />

avrebbe intesa né l’origine, né la più intima essenza. Per lui la<br />

conoscenza è un dato, è l’elemento ultimo al <strong>di</strong> là del quale non è<br />

possibile andare, è qualcosa <strong>di</strong> statico e <strong>di</strong> immobile, che non <strong>di</strong>viene,<br />

che non si svolge nel tempo. Di qui il dogmatismo e l’intellettualismo <strong>di</strong><br />

Green: egli deve ammettere un <strong>pensiero</strong> eterno che eternamente<br />

pensa quel sistema <strong>di</strong> rapporti in cui consiste l’esperienza, cioè la<br />

natura, il mondo. La conoscenza umana viene così a coincidere<br />

perfettamente con la conoscenza <strong>di</strong>vina e non si comprende più<br />

come possano sussistere il <strong>di</strong>venire, l’illusione, l’errore. “Eleatismo<br />

idealistico” definisce <strong>Tilgher</strong> questa filosofia in quanto essa pone la<br />

conoscenza come un dato immutabile, non come qualcosa che si fa,<br />

<strong>di</strong>viene in forza <strong>di</strong> una superiore esigenza dello spir<strong>it</strong>o.<br />

Giustificata appare perciò a <strong>Tilgher</strong> la conseguenza scettica<br />

che trae Bradley da questa posizione del Green. Posto che ogni<br />

realtà è conoscenza, che la conoscenza e relazione e che il sistema<br />

delle relazioni è dato dall’etern<strong>it</strong>à, risulta apparente ed illusoria ogni<br />

<strong>di</strong>stinzione tra reale ed ideale e quin<strong>di</strong> illusoria ed apparente la ver<strong>it</strong>à<br />

che su quella <strong>di</strong>stinzione si fonda.<br />

Un superamento dell’astratto intellettualismo, incapace <strong>di</strong><br />

intendere il <strong>di</strong>venire e la v<strong>it</strong>a, è rappresentata dalle varie correnti del<br />

14


volontarismo sotto la cui etichetta <strong>Tilgher</strong>, piuttosto<br />

in<strong>di</strong>scriminatamente, colloca pensatori <strong>di</strong>versissimi quali Renouvier,<br />

Nietzsche, Paulsen e il Fouillé.<br />

Mer<strong>it</strong>o dei volontaristi sarebbe quello <strong>di</strong> aver fatto <strong>di</strong>pendere<br />

la conoscenza da un principio superiore da essi defin<strong>it</strong>o “volontà”. <strong>Il</strong><br />

loro torto sarebbe quello <strong>di</strong> aver inteso questa “volontà” come<br />

particolare, imme<strong>di</strong>ata, util<strong>it</strong>aria, così che la conoscenza che <strong>di</strong>pende<br />

da una siffatta volontà non può non avere anch’essa un carattere<br />

particolare ed util<strong>it</strong>ario che le toglie inev<strong>it</strong>abilmente ogni valore<br />

universale ed ogni oggettiv<strong>it</strong>à. Avendo inteso la conoscenza come<br />

uno strumento pratico, come un’arma <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa nelle lotte per la v<strong>it</strong>a, e<br />

il rapporto fra volontà e conoscenza come un puro rapporto biologico<br />

e psicologico e non già come un rapporto trascendentale, finiscono<br />

col cadere anch’essi nel relativismo e nello scetticismo.<br />

Pregi e <strong>di</strong>fetti non molto <strong>di</strong>ssimili presenta, agli occhi <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong>,<br />

l’empiriocr<strong>it</strong>icismo tedesco <strong>di</strong> Mach e Avenarius. Anch’esso ha<br />

superato l’assurda ipotesi della “cosa in sé” ed ha ricongiunta la<br />

conoscenza alla v<strong>it</strong>a, considerandola come elaborazione del<br />

materiale sensibile; ma anch’esso poi ha messa in crisi questa sua<br />

posizione considerando gli schemi conosc<strong>it</strong>ivi come schemi como<strong>di</strong> il<br />

cui unico scopo sarebbe quello <strong>di</strong> servire ad un bisogno <strong>di</strong> economia<br />

mentale. Ma che cosa è, si domanda <strong>Tilgher</strong>, che cerca <strong>di</strong> realizzare<br />

questi schemi como<strong>di</strong>, questa economia mentale? Non può essere<br />

evidentemente né sensazione né complesso <strong>di</strong> sensazioni, bensì<br />

qualcosa che, pure essendo tutte le sensazioni, le trascende<br />

ponendosi come un<strong>it</strong>à nella molteplic<strong>it</strong>à, cioè come “Io”. Sviluppando<br />

le contrad<strong>di</strong>zioni interne dell’empiriocr<strong>it</strong>icismo si giunge così a quel<br />

principio soggettivo e trascendente che esso è ben lungi<br />

dall’ammettere. Condotto a siffatta estrema conseguenza<br />

l’empiricr<strong>it</strong>icismo finisce col coincidere con la tilgheriana teoria del<br />

pragmatismo trascendentale, <strong>di</strong> cui dovremo appunto occuparci.<br />

15


La cr<strong>it</strong>ica alle su accennate teorie della conoscenza nasce<br />

da una posizione speculativa preconcetta, da un particolare punto <strong>di</strong><br />

vista: cosa ben logica e che il <strong>Tilgher</strong>, benché si sforzi <strong>di</strong> condurre una<br />

cr<strong>it</strong>ica interna a ciascun sistema, esplic<strong>it</strong>amente <strong>di</strong>chiara. Tuttavia fu<br />

certo in quel clima <strong>di</strong> insod<strong>di</strong>sfazione e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio creato dallo<br />

“scientismo” pos<strong>it</strong>ivistico nella seconda metà del secolo XIX che venne<br />

maturandosi il deciso orientamento idealistico <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong>, sì che l’esame<br />

che egli fa del pos<strong>it</strong>ivismo stesso e delle varie correnti <strong>di</strong> reazione ad<br />

esso, mentre mostra la sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> che r<strong>it</strong>iene <strong>di</strong> aver<br />

decisamente superato quelle singole posizioni speculative, rivela altresì<br />

quale <strong>di</strong>fficile via il suo <strong>pensiero</strong> è andato percorrendo nello sforzo <strong>di</strong><br />

conquistare un suo proprio punto <strong>di</strong> vista.<br />

Sotto questo aspetto la cr<strong>it</strong>ica che egli rivolge all’idealismo<br />

crociano e gentiliano è certamente la più interessante. Questa filosofia<br />

parte da esigenze che anche egli avverte fortemente, come chi per<br />

esse appunto s’è destato al mondo del <strong>pensiero</strong> e dello spir<strong>it</strong>o; e il<br />

punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>vergenza sta in fondo nel <strong>di</strong>verso modo <strong>di</strong> corrispondere<br />

speculativamente a quelle medesime esigenze.<br />

La chiave della teoria crociana della conoscenza e della<br />

storia sembra a <strong>Tilgher</strong> l’ident<strong>it</strong>à filosofia-storia, ident<strong>it</strong>à che egli<br />

accetta in pieno ma che non gli sembra trovi valida giustificazione nel<br />

<strong>pensiero</strong> crociano. Per Croce la filosofia è l’atto stesso del <strong>pensiero</strong> il<br />

quale è categoria o giu<strong>di</strong>zio, sintesi a priori <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduale e universale,<br />

<strong>di</strong> intuizione e concetto.<br />

L’attiv<strong>it</strong>à logica dello spir<strong>it</strong>o è anche attiv<strong>it</strong>à storica nel senso<br />

che storicizza, cioè <strong>di</strong>scrimina e <strong>di</strong>fferenzia le intuizioni assumendole<br />

sotto le categorie. Così mentre l’attiv<strong>it</strong>à fantastica dello spir<strong>it</strong>o si lim<strong>it</strong>a<br />

ad intuire l’immagine particolare <strong>di</strong> qua da ogni <strong>di</strong>scriminazione <strong>di</strong><br />

esistente o inesistente, <strong>di</strong> reale o irreale, <strong>di</strong> vero o falso, l’attiv<strong>it</strong>à<br />

storico-logica <strong>di</strong>stingue le immagine dell’intuizione o del senso in<br />

esistenti o inesistenti e definisce esistenti quelle che rappresentano<br />

qualcosa <strong>di</strong> voluto e <strong>di</strong> attuato, inesistenti quelle che rappresentano<br />

16


qualcosa <strong>di</strong> puramente desiderato. <strong>Il</strong> concetto, quin<strong>di</strong>, presuppone<br />

l’intuizione pura, cioè l’elemento in<strong>di</strong>viduale o storico. Filosofia e storia<br />

si con<strong>di</strong>zionano a vicenda: il <strong>pensiero</strong>, nell’atto stesso in cui si pone<br />

come tale (filosofia), definisce le intuizioni e fonda la storia.<br />

<strong>Tilgher</strong> conduce <strong>di</strong> siffatta teoria logica una complessa cr<strong>it</strong>ica<br />

interna, nella quale sembra che si possano in<strong>di</strong>viduare due questioni<br />

fondamentali: a) Quale sarebbe il cr<strong>it</strong>erio <strong>di</strong>scriminante in base al<br />

quale lo spir<strong>it</strong>o <strong>di</strong>stinguerebbe le intuizioni che nascono da un potente<br />

desiderio da quelle in cui si è attuato un deciso volere? b) Si può<br />

affermare, come fa Croce, che già l’intuizione per se presa è<br />

conoscenza?<br />

Per quanto riguarda la prima questione <strong>Tilgher</strong>, per confutare<br />

le affermazioni crociane, si rifà ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura all’argomento addotto da<br />

Gassen<strong>di</strong> e da Kant contro la prova ontologica accettata da<br />

Cartesio. Per Croce, infatti, il giu<strong>di</strong>zio esistenziale non basta da solo a<br />

cost<strong>it</strong>uire il giu<strong>di</strong>zio in<strong>di</strong>viduale. <strong>Il</strong> giu<strong>di</strong>zio è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da un insieme <strong>di</strong><br />

pre<strong>di</strong>cati, tra i quali il pre<strong>di</strong>cato <strong>di</strong> esistenza non è che un membro<br />

anche se il più importante. Ora, osserva <strong>Tilgher</strong>, rifacendosi appunto a<br />

Gassen<strong>di</strong> e a Kant, il pre<strong>di</strong>cato <strong>di</strong> esistenza non può essere<br />

considerato un pre<strong>di</strong>cato fra i pre<strong>di</strong>cati, per il fatto che esso è il solo<br />

per il quale quel complesso <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cati <strong>di</strong>venta un complesso <strong>di</strong><br />

pre<strong>di</strong>cati: sottraendo ad esso il pre<strong>di</strong>cato esistenziale non vi sarà più<br />

un complesso <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cati, ma semplicemente il nulla. Se ne deduce<br />

che l’attiv<strong>it</strong>à storico-logica dello spir<strong>it</strong>o consiste fondamentalmente<br />

nell’esistenzializzare, che è insieme oggettivare ed universalizzare, cioè<br />

inserire le immagini e le intuizioni in una serie or<strong>di</strong>nata in cui ogni<br />

membro sia logicamente spiegato dagli antecedenti e logicamente<br />

spieghi i seguenti: solo per essere inser<strong>it</strong>e in una tale serie dominata dal<br />

principio <strong>di</strong> ragion sufficiente le immagini reali si <strong>di</strong>stinguono dai sogni<br />

e dalle allucinazioni.<br />

Ma questa attiv<strong>it</strong>à esistenzializzante che fonda la conoscenza,<br />

conclude <strong>Tilgher</strong>, è essa stessa al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni determinazione e<br />

17


quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> ogni conoscenza, è agire e volere: quando invece si afferma,<br />

come fa Croce, la prior<strong>it</strong>à della conoscenza sull’agire e sul volere e si<br />

fa quin<strong>di</strong> della conoscenza il dato ultimo, non si riesce più ad<br />

intendere come le immagini reali si <strong>di</strong>stinguono dalle irreali, le vere<br />

dalle false.<br />

La seconda questione – se la intuizione pura sia conoscenza –<br />

è strettamente connessa alla prima e viene da <strong>Tilgher</strong> risolta, in fondo,<br />

con argomentazioni non molto <strong>di</strong>verse.<br />

Egli parte dall’assoluta coincidenza fra teoria della storia e<br />

teoria della conoscenza. E’ l’attiv<strong>it</strong>à storicizzante dello spir<strong>it</strong>o quella<br />

che afferma esistenti o inesistenti le immagini della intuizione o del<br />

senso: è questa attiv<strong>it</strong>à che fornisce allo spir<strong>it</strong>o il mondo degli oggetti.<br />

Se, dunque, conoscere è storicizzare, cioè esistenzializzare, non può<br />

esservi altra conoscenza che quella storica, sintesi <strong>di</strong> soggetto e<br />

oggetto, <strong>di</strong> intuizione e concetto. Ne deriva che, se la conoscenza è<br />

sintesi <strong>di</strong> intuizione e <strong>di</strong> concetto, né l’intuizione né il concetto per sé<br />

presi sono conoscenza. Croce invece concepisce l’intuizione per sé<br />

presa, cioè uno dei termini della sintesi, come conoscenza e perciò è<br />

costretto a parlare <strong>di</strong> sintesi non <strong>di</strong> opposti ma <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinti. Invano: la<br />

coincidenza <strong>di</strong> conoscenza e storia non viene affatto chiar<strong>it</strong>a ma solo<br />

dogmaticamente affermata. 1<br />

Le medesime insufficienze della teoria crociana – salvo che<br />

per un solo aspetto – si r<strong>it</strong>rovano, secondo <strong>Tilgher</strong>, nella filosofia <strong>di</strong><br />

Gentile.<br />

Gentile supera l’errore crociano della <strong>di</strong>stinzione tra<br />

conoscere e volere, e insieme decisamente afferma come unica<br />

forma <strong>di</strong> conoscenza l’atto concreto del <strong>pensiero</strong> pensante, che è<br />

ident<strong>it</strong>à <strong>di</strong> filosofia e storia.<br />

L’atto puro gentiliano è <strong>pensiero</strong> come sintesi <strong>di</strong> soggetto e<br />

oggetto, <strong>di</strong> <strong>pensiero</strong> e pensato. Ma se viene così salvata l’ident<strong>it</strong>à <strong>di</strong><br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Teoria del pragmatismo trascendentale”. Pagg. 309-316. “<strong>Il</strong> concetto della storia della<br />

conoscenza nell’idealismo <strong>it</strong>aliano contemporaneo”. Pagg. 140-150<br />

18


filosofia e storia, quella ident<strong>it</strong>à posta da Croce, ma insieme da lui<br />

infirmata con la teoria della conoscenza intu<strong>it</strong>iva, non viene però<br />

spiegata la genesi della conoscenza. L’attualismo gentiliano da una<br />

parte nega l’esistenza <strong>di</strong> un momento irriflesso dello spir<strong>it</strong>o, cioè<br />

l’esistenza dello spir<strong>it</strong>o come natura, dall’altro non riconosce che <strong>di</strong> là<br />

dall’atto concreto del <strong>pensiero</strong> vi sia un’attiv<strong>it</strong>à che lo fonda e lo<br />

cost<strong>it</strong>uisce. Così anche per l’attualismo, come per l’idealismo crociano<br />

e per quasi tutte le altre filosofie considerate, la conoscenza si risolve,<br />

secondo <strong>Tilgher</strong>, in un dato ultimo oltre il quale non è possibile andare<br />

e quin<strong>di</strong>, in defin<strong>it</strong>iva, nel dogmatismo e nel nullismo.<br />

Le cr<strong>it</strong>iche da lui mosse alle concezioni gnoseologiche delle<br />

varie correnti filosofiche del primo Novecento fanno intendere il punto<br />

<strong>di</strong> vista dal quale egli parte, cioè la genesi del suo <strong>pensiero</strong>, che è<br />

doppia, idealistica e irrazionalistica.<br />

L’esigenza somma <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> è quella <strong>di</strong> ricercare la<br />

giustificazione trascendentale della conoscenza che egli r<strong>it</strong>rova<br />

nell’attiv<strong>it</strong>à etica, cosicchè ogni sistema che non fon<strong>di</strong> il conoscere sul<br />

volere e sul dovere gli appare speculativamente inadeguato e<br />

dogmatico.<br />

Conoscere significa essenzialmente <strong>di</strong>stinguere nel complesso<br />

delle nostre sensazioni, intuizioni, immagini, quelle che si risolvono in<br />

stati soggettivi del nostro spir<strong>it</strong>o, come i sogni o le allucinazioni, da<br />

quelle che ci si mostrano come oggettivamente esistenti in sé, anche<br />

al <strong>di</strong> fuori della nostra percezione. Giu<strong>di</strong>care oggettiva, cioè reale,<br />

esistente, un’immagine significa poterla inserire in una serie or<strong>di</strong>nata in<br />

cui ogni elemento sia in stretta relazione con tutti gli altri in base al<br />

principio <strong>di</strong> ragion sufficiente; la caratteristica delle immagini dei sogni<br />

e delle allucinazioni è invece quella <strong>di</strong> non essere logicamente<br />

spiegabili fra loro. 1<br />

Perché ciò possa accadere bisogna che ci sia una attiv<strong>it</strong>à<br />

dello spir<strong>it</strong>o che ponga le immagini in rapporto tra loro or<strong>di</strong>nandole in<br />

1 <strong>Tilgher</strong> : “Teoria del pragmatismo trascendentale”. Pagg. 299-304<br />

19


una serie logica e coerente, e siccome logica e coerenza non<br />

possono essere né nelle singole immagini per sé prese né nel<br />

complesso delle immagini astrattamente considerato, bisogna che<br />

tale attiv<strong>it</strong>à spir<strong>it</strong>uale attinga da sé quell’ideale e <strong>di</strong> logica <strong>di</strong> coerenza<br />

in forza del quale giu<strong>di</strong>ca esistenti o inesistenti le immagini, a seconda<br />

che trovi o no realizzato nel loro complesso questo ideale.<br />

L’attiv<strong>it</strong>à dello spir<strong>it</strong>o che esistenzializza e storicizza non può<br />

coincidere con nessuna delle immagini particolari, deve anzi negarle<br />

nella loro imme<strong>di</strong>atezza ed in<strong>di</strong>vidual<strong>it</strong>à per porsi al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> esse<br />

come ideale. Se si pone come ideale <strong>di</strong> razional<strong>it</strong>à, come attiv<strong>it</strong>à<br />

pura, lo spir<strong>it</strong>o si pone come moral<strong>it</strong>à.<br />

Ecco dunque il fondamento trascendentale della<br />

conoscenza: la moral<strong>it</strong>à. Lo spir<strong>it</strong>o che si pone come razional<strong>it</strong>à e<br />

come moral<strong>it</strong>à, come attiv<strong>it</strong>à pura è imme<strong>di</strong>atamente esistente<br />

perchè è per esso che sussistono realtà ed esistenza, è per esso che<br />

l’essere è; è superiore all’essere perché è esso che fonda l’essere: è<br />

dunque un non-essere. Ma il non-essere così inteso non è il nulla.<br />

Questa attiv<strong>it</strong>à che fonda l’essere e che è non-essere, perché è al <strong>di</strong><br />

sopra dell’essere, è sintesi <strong>di</strong> essere e <strong>di</strong> non essere, è cioè dover<br />

essere.<br />

<strong>Tilgher</strong> può dunque concludere che il fondamento<br />

trascendentale della conoscenza è il dovere morale; non è la<br />

conoscenza che fonda la v<strong>it</strong>a morale, ma è la v<strong>it</strong>a morale che,<br />

ponendosi come tale, si pone insieme ed in un atto solo, come<br />

conoscenza o storia. 1<br />

E’ evidente il forte afflato romantico e specificamente<br />

fichtiano <strong>di</strong> questa filosofia che fonda il conoscere sul dovere; ma<br />

bisogna riconoscervi anche l’influsso delle fondamentali esperienze<br />

filosofiche coeve, prime fra tutte, come si è detto, il neo-egelismo<br />

<strong>it</strong>aliano e il “volontarismo” che, nella generica definizione tilgheriana,<br />

include molte correnti <strong>di</strong> <strong>pensiero</strong> tra cui il pragmatismo. L’autore<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Teoria del pragmatismo trascendentale”. Pagg. 316-322 e oltre.<br />

20


stesso, esponendo la sua teoria sotto l’etichetta <strong>di</strong> “pragmatismo<br />

trascendentale”, intese riconoscere la complessa genesi del suo<br />

<strong>pensiero</strong> ed in<strong>di</strong>care il superamento, per via <strong>di</strong> sintesi, <strong>di</strong> due opposte<br />

istanze speculative: sostantivo ed aggettivo si correggono infatti a<br />

vicenda, l’uno esprimendo l’esigenza <strong>di</strong> dedurre la conoscenza e la<br />

scienza dalla volontà, l’altro <strong>di</strong> porre questa volontà non come<br />

util<strong>it</strong>aria e passionale, ma come rigorosamente etica.<br />

Nello sviluppo del <strong>pensiero</strong> tilgheriano questa concezioni<br />

gnoseologica resta più o meno ferma, anche se si viene sempre più<br />

accentuando il motivo irrazionalistico, prelogico o alogico che vi è nel<br />

fondo.<br />

III L’estetica<br />

Per tutti i filosofi formatisi nel primo decennio del Novecento<br />

l’”Estetica” <strong>di</strong> Croce ebbe indubbiamente un significato che<br />

trascendeva i lim<strong>it</strong>i della pura considerazione speculativa per<br />

acquistare il valore <strong>di</strong> una ban<strong>di</strong>era levata contro le vecchie<br />

concezioni pos<strong>it</strong>ivistiche e contro l’arido filologismo della scuola<br />

21


storica. Anche su <strong>Tilgher</strong> naturalmente l’”Estetica” crociana eserc<strong>it</strong>ò un<br />

fascino profondo e valse a sollec<strong>it</strong>are i suoi interessi speculativi.<br />

Se è vero che l’atteggiamento <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> <strong>di</strong> fronte alla estetica<br />

crociana fu decisamente polemico, non è men vero che lo spir<strong>it</strong>o<br />

stesso <strong>di</strong> questa polemica, i mo<strong>di</strong> del suo articolarsi e la stessa<br />

fondamentale ispirazione chiaramente ne rivelano la <strong>di</strong>retta filiazione.<br />

A propos<strong>it</strong>o <strong>di</strong> questa derivazione <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> da Croce Russo <strong>di</strong>sse che “<br />

ci sono due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> farsi im<strong>it</strong>atore <strong>di</strong> un maestro, o nell’esserne<br />

pe<strong>di</strong>ssequo, ortodosso ripet<strong>it</strong>ore o ancora nel farsene rivoltoso e<br />

facinoroso de formatore”. 1 Sembra, però, che <strong>Tilgher</strong> non sia stato né<br />

l’uno né l’altro.<br />

In uno dei suoi primi saggi <strong>di</strong> estetica, “Lineamenti <strong>di</strong> estetica<br />

e <strong>di</strong> logica”, <strong>Tilgher</strong> pone tra l’estetica e la logica una correlazione<br />

molto <strong>di</strong>versa da quella che fra questi momenti dello spir<strong>it</strong>o pone la<br />

filosofia crociana e tutto il <strong>di</strong>scorso si svolge con una sottintesa<br />

polemica con la teoria crociana.<br />

Tal polemica è presente anche nel saggio imme<strong>di</strong>atamente<br />

seguente, “Immagine e sentimento nell’opera d’arte”, fino a che,<br />

nella più organica trattazione <strong>di</strong> estetica che si int<strong>it</strong>ola appunto<br />

“Estetica” e che vide la luce per la prima volta nel 1931, 2 i termini della<br />

opposizione con la crociana teoria dell’arte <strong>di</strong>ventano sempre più<br />

evidenti e la posizione speculativa <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> si mostra nella sua più<br />

chiara luce. La genesi stessa della estetica tilgheriana ci rivela quella<br />

filiazione intellettuale a cui si è accennato e <strong>di</strong> cui tutti gli storici più o<br />

meno hanno preso atto. Tuttavia non sarebbe giusto trascurare gli<br />

aspetti nuovi che viene assumendo il problema dell’arte nelle<br />

me<strong>di</strong>tazioni <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> e non sforzarsi <strong>di</strong> rendersi conto delle esigenze<br />

che tali aspetti rivelano. In parte furono esigenze proprie dell’età<br />

fervorosa e <strong>di</strong>namica in cui <strong>Tilgher</strong> visse e <strong>di</strong> cui fu in certo modo<br />

1 L. Russo –op. c<strong>it</strong>. Vol. II, pag. 259<br />

2 Essa è per Russo una semplice contraffazione della omonima opera crociana: “L’Estetica del<br />

<strong>Tilgher</strong> contraffà l’Estetica del Croce dal colore e le linee della pagina e<strong>di</strong>toriale alle mosse stesse<br />

del periodare e del’argomentare”. Op. c<strong>it</strong>. Vol. II, pag. 259<br />

22


interprete. Tanto più ciò è necessario in quanto la sua dottrina estetica<br />

si inserisce in quello che può definirsi il suo sistema filosofico, se <strong>di</strong><br />

sistema vero e proprio può parlarsi; deriva perlomeno da presupposti<br />

coerentemente legati a quelli che sono i motivi più accentuati e<br />

costanti del suo <strong>pensiero</strong>.<br />

Si è già visto come trattando del problema della conoscenza<br />

<strong>Tilgher</strong> ponesse un particolare impegno nel mostrare che in nessun<br />

modo l’intuizione può considerarsi una forma <strong>di</strong> conoscenza, essendo<br />

la conoscenza sintesi <strong>di</strong> intuizione e concetto. L’intuizione artistica non<br />

può dunque essere, come afferma Croce, una prima forma <strong>di</strong><br />

conoscenza. Questo punto resta fermo in tutta la teoria tilgheriana e<br />

viene costantemente ripreso ed approfon<strong>di</strong>to in tutti i saggi <strong>di</strong> estetica.<br />

Nei c<strong>it</strong>ati “Lineamenti <strong>di</strong> estetica e <strong>di</strong> logica” si insiste sul<br />

carattere sintetico della conoscenza che è unificazione assoluta, cioè<br />

necessaria ed universale, del molteplice. La molteplic<strong>it</strong>à già per il fatto<br />

che è posta come tale implica la sintesi, implica cioè il riconoscimento<br />

della ident<strong>it</strong>à dello spir<strong>it</strong>o nella molteplic<strong>it</strong>à dei suoi momenti. Lo spir<strong>it</strong>o<br />

che si pone come oggetto <strong>di</strong> sé è conoscenza <strong>di</strong> sé, autocoscienza,<br />

ident<strong>it</strong>à assoluta <strong>di</strong> soggetto e oggetto. Ma l’autocoscienza<br />

presuppone come suo precedente ideale la coscienza: l’Io non può<br />

porsi come “Io= Io” se non è stato prima semplice “Io”. Ora questo<br />

momento idealmente anteriore all’autocoscienza, questo momento in<br />

cui l’Io non conosce sé come tale è l’attiv<strong>it</strong>à pura che<br />

imme<strong>di</strong>atamente si esaurisce nel suo prodotto e questa attiv<strong>it</strong>à pura,<br />

che è un<strong>it</strong>a <strong>di</strong> soggetto e oggetto, è appunto l’attiv<strong>it</strong>à estetica. 1 I<br />

concetti o categorie e le forme della pura molteplic<strong>it</strong>à (spazio e<br />

tempo) sono quin<strong>di</strong> presenti nell’attiv<strong>it</strong>à imme<strong>di</strong>ata e sost<strong>it</strong>uiscono<br />

quella inscin<strong>di</strong>bile un<strong>it</strong>à che è l’attiv<strong>it</strong>à pura come sintesi imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong><br />

soggetto e oggetto.<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Lineamenti <strong>di</strong> estetica e <strong>di</strong> logica” in “Teoria del pragmatismo trascendentale”. Pagg. 6-<br />

16.<br />

23


“All’attiv<strong>it</strong>à pura o estetica non mancano già quelle forme,<br />

manca la coscienza che quelle forme (cioè l’attiv<strong>it</strong>à stessa) assumono<br />

in sé, coscienza che è la posizione (e negazione in uno) dell’attiv<strong>it</strong>à<br />

imme<strong>di</strong>ata come tale, cioè non più mera coscienza, ma<br />

autocoscienza”. 1<br />

E’ questo il punto chiave della teoria tilgheriana che vuole<br />

superare il crocianesimo rifacendosi, come già si è visto a propos<strong>it</strong>o<br />

del problema gnoseologico, alla filosofia fichtiana e schellinghiana.<br />

Tale tentativo <strong>di</strong> “superamento” raggiunge appunto il culmine nella<br />

“Estetica”. L’opera si apre con una breve esposizione della teoria<br />

estetica crociana cui segue imme<strong>di</strong>atamente una cr<strong>it</strong>ica puntuale<br />

mirante a mettere in luce le fondamentali deficienze che, secondo<br />

<strong>Tilgher</strong>, tale teoria presenterebbe.<br />

Qui si pone in evidenza soprattutto il rapporto tra arte e v<strong>it</strong>a,<br />

ossia tra la v<strong>it</strong>a come passional<strong>it</strong>à e sentimento e la rappresentazione<br />

estetica <strong>di</strong> essa. Per Croce l’intuizione darebbe forma ad un<br />

complesso <strong>di</strong> impressioni prima caotico; oppure, poiché lo spir<strong>it</strong>o trova<br />

<strong>di</strong>nnanzi a sé prodotti non informi ma in<strong>di</strong>viduati, come i desideri, le<br />

passioni, gli affetti, l’attiv<strong>it</strong>à intu<strong>it</strong>iva non dovrebbe che riprodurre<br />

forme già preesistenti all’intuizione. Quin<strong>di</strong> o lo spir<strong>it</strong>o ha davanti a sé<br />

qualcosa <strong>di</strong> informe, il che contrasta con l’asserzione che tutto è<br />

spir<strong>it</strong>o, o trova davanti a sé dei prodotti già determinati e allora non<br />

crea più ma semplicemente ricopia. Ciò induce <strong>Tilgher</strong> ad affermare<br />

che esistono ben due estetiche crociane2 entrambe peraltro<br />

insufficienti: “Da una parte Croce batte sul carattere <strong>di</strong> creativ<strong>it</strong>à, <strong>di</strong><br />

produzione , <strong>di</strong> fare del processo artistico. Dall’altra dando<br />

all’intuizione come “terminus a quo”, come presupposto e come<br />

contenuto una materia <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a già pienamente formata, che l’arte<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Lineamenti ecc.”. Pag. 19<br />

2 E’molto comune l’accusa rivolta a Croce <strong>di</strong> aver scr<strong>it</strong>to non una, bensì due o tre o ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura<br />

quattro estetiche. E’ noto altresì che Croce polemizzando coi suoi cr<strong>it</strong>ici non ha mai ammesso <strong>di</strong><br />

aver mutato alcuna delle idee fondamentali del suo <strong>pensiero</strong>. Ve<strong>di</strong> V. Sainati “L’stetica <strong>di</strong> Croce”,<br />

Firenze. Pagg. 103-104.<br />

24


intuisce, vede contempla, comunica, è obbligato a riconoscere<br />

all’arte tutt’al più un potere <strong>di</strong> traduzione, <strong>di</strong> elaborazione, <strong>di</strong><br />

trasfigurazione <strong>di</strong> una realtà preesistente, in nessun caso un potere <strong>di</strong><br />

libera incon<strong>di</strong>zionata creazione e original<strong>it</strong>à. L’arte come espressione<br />

della v<strong>it</strong>a vissuta; il massimo valore estetico riposto nell’Uman<strong>it</strong>à: a<br />

questo conduce, in questo culmina l’Estetica <strong>di</strong> Croce”. 1<br />

Ed ecco un altro punto cap<strong>it</strong>ale <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenso dalla estetica<br />

crociana: non solo l’arte non è conoscenza ma non è in nessun caso<br />

espressione della v<strong>it</strong>a vissuta. Se, egli <strong>di</strong>ce, il valore catartico dell’arte<br />

viene riposto nel fatto che l’arte placa e purifica, cantandola, una<br />

passione viva e reale, non si intende come quella passione possa<br />

trovare sod<strong>di</strong>sfazione e compiacimento non già nel suo proprio<br />

oggetto, cioè nell’appagamento del concreto desiderio che le dà<br />

v<strong>it</strong>a, bensì in una rima, in una figura, in un suono. Né si può pensare,<br />

per la stessa ragione, che alle origini della rappresentazione estetica vi<br />

sia non la passione viva e bruciante, ma la passione sul punto <strong>di</strong><br />

spegnersi e <strong>di</strong> morire: anche in questo caso l’oggetto specifico della<br />

passione, preso nelle spire della passione medesima, sia pure in via <strong>di</strong><br />

affievolimento,varrebbe sempre più <strong>di</strong> qualunque surrogato che l’arte<br />

potrebbe offrire.<br />

La rappresentazione artistica dovrebbe dunque sorgere dopo<br />

la morte della passione e la catarsi sarebbe, in certo senso, il ricordo<br />

della passione medesima espressa in forma d’arte. Ma anche ciò<br />

sembra a <strong>Tilgher</strong> inammissibile perché resterebbe sempre<br />

incomprensibile il fatto che, mentre la passione provata è stata<br />

tormentosa o spaventosa, il ricordo <strong>di</strong> essa tradotto nella<br />

rappresentazione estetica <strong>di</strong>venti rasserenamento e letizia.<br />

L’opera d’arte può rappresentare un sentimento angoscioso,<br />

tormentoso, <strong>di</strong>sperato e tuttavia darci un senso ineffabile <strong>di</strong> gioia. La<br />

quale gioia non deriva dalla pura contemplazione e conoscenza del<br />

sentimento rappresentato, bensì proprio dalla comunicazione <strong>di</strong>retta<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Estetica”, Roma, 1944. Pag.19<br />

25


<strong>di</strong> quel sentimento medesimo che, mentre nella v<strong>it</strong>a genera<br />

<strong>di</strong>sperazione e angoscia, nell’arte ci attira e ci incanta. La dottrina<br />

che fa dell’arte la intuizione lirica <strong>di</strong> una passione, <strong>di</strong> un sentimento<br />

in<strong>di</strong>viduale non chiarisce questo mistero dell’arte, secondo <strong>Tilgher</strong>. Anzi<br />

tale teoria, considerando l’arte come il processo attraverso il quale lo<br />

spir<strong>it</strong>o si purifica delle scorie della v<strong>it</strong>a vissuta me<strong>di</strong>ante la<br />

rappresentazione estetica <strong>di</strong> essa, porta alla conseguenza che l’arte<br />

non investe tutto quanto lo spir<strong>it</strong>o ma solo una particolare attiv<strong>it</strong>à <strong>di</strong><br />

esso. Tutto il mondo della v<strong>it</strong>a spir<strong>it</strong>uale fornirebbe infatti solo il<br />

contenuto, la materia grezza alla attiv<strong>it</strong>à intu<strong>it</strong>iva. Quin<strong>di</strong> l’artista<br />

nell’atto della sua creazione estetica non sarebbe uomo completo ed<br />

effettivamente vivente le ansie e i sentimenti, che sarebbero<br />

degradati a puro materiale <strong>di</strong> osservazione. Così l’arte <strong>di</strong>vorzierebbe<br />

defin<strong>it</strong>ivamente dalla v<strong>it</strong>a e dalla storia e <strong>di</strong>venterebbe pura attiv<strong>it</strong>à<br />

estetizzante e formalistica; l’arte si farebbe cioè <strong>di</strong>sumana.<br />

A <strong>Tilgher</strong> sembra pertanto <strong>di</strong> cogliere una profonda<br />

contrad<strong>di</strong>zione nell’estetica crociana: mentre sembrerebbe che la<br />

ra<strong>di</strong>ce stessa dell’arte sia la v<strong>it</strong>a vissuta, l’attiv<strong>it</strong>à estetica, separandosi<br />

dalla v<strong>it</strong>a in quanto pura contemplazione <strong>di</strong> essa, <strong>di</strong>venterebbe la<br />

negazione stessa della v<strong>it</strong>a, <strong>di</strong>venterebbe cioè, come si è detto<br />

<strong>di</strong>sumana.<br />

Passando poi ad altre considerazioni <strong>Tilgher</strong> afferma che la<br />

teoria crociana dell’arte non consente <strong>di</strong> cogliere il valore intrinseco e<br />

complessivo <strong>di</strong> un’opera d’arte, posto che per essa un sonetto è arte<br />

non meno che un complesso poema e che tutto quanto cost<strong>it</strong>uisce il<br />

fondo morale , religioso, pol<strong>it</strong>ico, culturale <strong>di</strong> un’opera d’arte viene<br />

considerato come non-poesia e come impaccio strutturale: tipico<br />

sarebbe il caso della interpretazione crociana della “Divina<br />

Comme<strong>di</strong>a”.<br />

Nel complesso, dunque, <strong>Tilgher</strong> tocca molti punti<br />

fondamentali dell’estetica crociana e vuole, come esplic<strong>it</strong>amente<br />

26


<strong>di</strong>ce, impugnarla “non nelle sue applicazioni e conseguenze, ma nella<br />

ra<strong>di</strong>ce stessa del suo essere.”<br />

I punti essenziali <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>ssenso sono dunque: a) l’arte non è<br />

conoscenza perché è al <strong>di</strong> qua dell’autocoscienza; b) l’arte non è<br />

intuizione <strong>di</strong> uno stato passionale né in atto, né in via <strong>di</strong> placamento,<br />

né già spento; c) l’arte non è pura rappresentazione, non è pura<br />

contemplazione, non cost<strong>it</strong>uisce un semplice “momento” <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a<br />

spir<strong>it</strong>uale, altrimenti sarebbe un’attiv<strong>it</strong>à che non investirebbe tutto<br />

l’uomo; d) l’arte non può pertanto essere <strong>di</strong>staccata dal complesso<br />

della v<strong>it</strong>a spir<strong>it</strong>uale e sociale.<br />

Nella sua polemica anticrociana <strong>Tilgher</strong> fissa soprattutto i punti<br />

negativi dell’estetica <strong>di</strong> Croce, <strong>di</strong>mostrando a suo modo che cosa<br />

l’arte non è. bisogna rilevare che tali cr<strong>it</strong>iche nascono da una<br />

esigenza teoretica <strong>di</strong>versa da quella crociana, perché partono da<br />

una visione <strong>di</strong>namica ed attivistica dell’arte che ben corrisponde,<br />

come si è detto, a quello che fu il clima che si manifestò in parte<br />

dell’Europa dopo la <strong>di</strong>ffusione del crocianesimo.<br />

Dopo aver <strong>di</strong>mostrato che cosa l’arte non è nella parte<br />

centrale della sua “Estetica” <strong>Tilgher</strong> deve <strong>di</strong>mostrare che cosa l’arte è.<br />

Naturalmente è molto più facile scuotere qualche pilastro della teoria<br />

crociana, peraltro ampiamente contestata da tanti,non solo da<br />

<strong>Tilgher</strong>, che non contrapporle un altro e<strong>di</strong>ficio parimenti armonico e<br />

strutturalmente saldo. Perciò l’estetica <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> si mostra più ricca <strong>di</strong><br />

fermenti e <strong>di</strong> intuizioni, più animata da quella interna tensione spir<strong>it</strong>uale<br />

da cui è mossa tutta l’opera sua, che fondata su soli<strong>di</strong> presupposti<br />

teoretici e validamente articolata nei suoi corollari.<br />

Concetto centrale dell’ estetica <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> è che l’arte è “amor<br />

v<strong>it</strong>ae” e non intuizione <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a vissuta. Tra arte e v<strong>it</strong>a esiste un <strong>di</strong>vario<br />

profon<strong>di</strong>ssimo che ne fa due cose assolutamente <strong>di</strong>verse. Lo spir<strong>it</strong>o<br />

nell’atto in cui desidera e vuole è dominato tutto dalla passione e dal<br />

desiderio, vive nell’ansia dell’appagamento, si protende verso<br />

l’oggetto delle sue aspirazioni cosicché, tranne quell’oggetto, niente<br />

27


altro può interessarlo e sod<strong>di</strong>sfarlo: la v<strong>it</strong>a nella sua concreta attual<strong>it</strong>à<br />

è senso e coscienza <strong>di</strong> incompiutezza e <strong>di</strong> imperfezione.<br />

Tristano, che ama e langue d’amore per la sua Isotta, soffre<br />

per la lontananza <strong>di</strong> quello che è l’oggetto dell’amor suo e anela ad<br />

annullare la sua sofferenza, che nasce dal desiderio insod<strong>di</strong>sfatto,<br />

appagandolo. Rostignac che aspira ad appagare la sua insanabile<br />

bramosia <strong>di</strong> donne, <strong>di</strong> ricchezze, <strong>di</strong> onori, si tormenta in un costante<br />

stato <strong>di</strong> deficienza e <strong>di</strong> insod<strong>di</strong>sfazione. Tristano e Rostignac vivono<br />

amando gli oggetti dei loro desideri e soffrendo: non amano certo la<br />

passione che li sconvolge e li rende infelici.<br />

Quando invece lo spir<strong>it</strong>o ama non gli oggetti, ma la v<strong>it</strong>a<br />

stessa, non qualcosa che è fuori <strong>di</strong> esso e che aspira a raggiungere,<br />

ma i suoi stessi moti interiori, allora ogni sofferenza ed ogni<br />

<strong>di</strong>lacerazione scompaiono e succede ad esse uno stato <strong>di</strong> perfetta<br />

letizia e <strong>di</strong> superiore seren<strong>it</strong>à: nasce l’arte. Tristano che ama la sua<br />

passione amorosa per se stessa non è più l’uomo Tristano, è lo stato<br />

d’animo <strong>di</strong> agner che compone “Tristano e Isotta”; Rostignac che<br />

ama se stesso e il suo ingordo desiderare e scorda perciò gli oggetti<br />

stessi del desiderio che, una volta raggiunti, lo annullerebbero, non è<br />

l’uomo Rostignac, ma è l’atteggiamento spir<strong>it</strong>uale dello scr<strong>it</strong>tore<br />

Balzac che crea il suo personaggio.<br />

Lucidamente <strong>Tilgher</strong> riassume il suo <strong>pensiero</strong> con queste<br />

parole: “L’esperienza artistica allora si produce, quando un r<strong>it</strong>mo <strong>di</strong><br />

v<strong>it</strong>a, una vibrazione <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a fa <strong>di</strong> sé l’oggetto del suo amore: è una<br />

sintesi in<strong>di</strong>visibile in cui solo astrattamente si può scindere la vibrazione<br />

<strong>di</strong> v<strong>it</strong>a dall’amore <strong>di</strong> cui essa è oggetto a se stessa”. 1<br />

L’arte dunque non è catarsi, non è purificazione delle passioni<br />

perché fino a che queste ci sono non può esserci l’arte; non è ricordo<br />

delle passioni provate perché non è affatto necessario aver provato<br />

praticamente dei sentimenti per poterli esteticamente rappresentare.<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: Estetica, pagg. 33-35 e Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> poetica, pagg. 15-18<br />

28


L’arte può essere ricondotta al ricordo solo nel senso che, come il<br />

ricordo, è lontana dalla v<strong>it</strong>a vissuta.<br />

La teoria dell’arte come “amor v<strong>it</strong>ae” conferma per altra via<br />

la opposizione fra arte e conoscenza. Ogni conoscenza è riferimento<br />

ad un dato, ad un oggetto: per chi conosce – e finanche per chi<br />

sogna, chè anche il sogno è una forma <strong>di</strong> conoscenza – la realtà è<br />

appresa come esterna, oggettiva. Anche la conoscenza è una forma<br />

<strong>di</strong> insod<strong>di</strong>sfazione e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> aspirazione al raggiungimento <strong>di</strong> un<br />

oggetto, è dunque amore <strong>di</strong> oggetti a cui si contrappone l’amore <strong>di</strong><br />

v<strong>it</strong>a che è l’arte. Nell’esperienza estetica il soggetto si sente fuso con<br />

l’oggetto e in perfetta armonia con esso; ogni <strong>di</strong>stinzione ed ogni<br />

confl<strong>it</strong>to sono ad esso ignoti.<br />

Così l’arte non è conoscenza perché non avverte <strong>di</strong>stinzione<br />

fra soggetto e oggetto, non è attiv<strong>it</strong>à pratica perché non ha altro fine<br />

che se stessa, non è sogno perché è, sì, attiv<strong>it</strong>à spontanea, ma attiv<strong>it</strong>à<br />

spontanea che ha coscienza <strong>di</strong> produrre, che è quin<strong>di</strong> spontanea<br />

come la natura o cosciente come lo spir<strong>it</strong>o.<br />

Né l’arte è fantasia. <strong>Tilgher</strong> elimina una delle affermazioni più<br />

comuni dell’estetica moderna da Vico in poi. <strong>Il</strong> suo ragionamento<br />

parte sempre dal sol<strong>it</strong>o punto <strong>di</strong> vista: l’arte è semplicemente amore <strong>di</strong><br />

v<strong>it</strong>a e le è estraneo ogni rapporto fra reale e irreale. La fantasia invece<br />

si fonda proprio su tale rapporto: “La fantasia è rappresentazione <strong>di</strong><br />

irrealtà conosciuta come tale” 1<br />

Nessun prodotto della fantasia è bello solo perché è prodotto<br />

<strong>di</strong> fantasia; il suo valore estetico deve sempre derivare dal fatto che è<br />

un atto <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a che ama se stessa. Alla fantasia <strong>Tilgher</strong> riconosce<br />

soltanto il mer<strong>it</strong>o <strong>di</strong> creare una con<strong>di</strong>zione più favorevole a<br />

manifestarsi dell’attiv<strong>it</strong>à estetica per il fatto che allontana dalla realtà<br />

e dalla v<strong>it</strong>a. Continuando nell’esplicazione della sua tesi <strong>Tilgher</strong> elimina<br />

un altro concetto essenziale nell’estetica crociana: il concetto<br />

dell’arte come espressione. L’opera d’arte, egli <strong>di</strong>ce, non significa e<br />

1 <strong>Tilgher</strong> – “Estetica”, pag. 51<br />

29


non esprime nulla se non se stessa: “è puramente e semplicemente<br />

come le montagne e i gran<strong>di</strong> animali”. Per la ver<strong>it</strong>à non si può <strong>di</strong>re che<br />

l’affermazione sia coerente con il principio. Se infatti l’arte è amore <strong>di</strong><br />

v<strong>it</strong>a non può rimandare a niente che la preceda, non può essere<br />

espressione <strong>di</strong> niente altro che <strong>di</strong> se stessa. Una lirica non è<br />

esteticamente valida perché esprime un qualche sentimento reale,<br />

ma perché è essa stessa quel sentimento amato dal poeta nell’atto<br />

della creazione e da chi la recepisce nell’atto della fruizione. Per lo<br />

stesso motivo l’arte non può considerarsi idealizzazione e<br />

trasfigurazione. Se infatti fosse tale bisognerebbe pensare che l’artista<br />

abbia davanti a sé una materia reale da superare nell’atto della<br />

creazione estetica, laddove si è visto che per <strong>Tilgher</strong> l’arte non ha<br />

riferimento alcuno con la realtà come tale. E’ anzi proprio dell’attiv<strong>it</strong>à<br />

estetica sottrarre ogni oggetto che per avventura <strong>di</strong>venti v<strong>it</strong>a estetica<br />

alla categoria della realtà, ma ciò avviene nell’atto stesso in cui<br />

l’esperienza estetica si produce. Non ci sono cioè due momenti, in uno<br />

dei quali la realtà sarebbe dall’artista appresa come tale, nel secondo<br />

quella realtà sarebbe idealizzata: l’esperienza estetica si produce in un<br />

atto solo.<br />

Questo srealizzare cost<strong>it</strong>uisce per <strong>Tilgher</strong> la cosiddetta<br />

tipizzazione propria dell’arte. L’arte crea tipi e simboli, ma non bisogna<br />

credere che ogni immagine, ogni forma sia arte. <strong>Tilgher</strong> polemizza così<br />

con la teoria della pura forma e riba<strong>di</strong>sce ancora una volta che ogni<br />

forma è bella soltanto quando è fatta oggetto d’amore. Questo<br />

concetto è molto poco chiaro nella teoria tilgheriana e non lascia<br />

intendere sufficientemente il rapporto tra contenuto e forma<br />

nell’opera d’arte. L’annoso problema che cost<strong>it</strong>uisce un punto<br />

cruciale <strong>di</strong> ogni estetica rimane nebuloso in <strong>Tilgher</strong>. Perché se è chiaro<br />

dal punto <strong>di</strong> vista crociano che ogni forma implica in sé quel<br />

particolare contenuto che in quell’unica forma poteva esprimersi e si è<br />

espresso, non si comprende quale significato possa avere la forma se<br />

si nega all’arte il valore <strong>di</strong> intuizione, <strong>di</strong> trasfigurazione, <strong>di</strong> espressione.<br />

30


Sembra così che si r<strong>it</strong>orni ad un’estetica contenutis<strong>it</strong>ica anche se<br />

<strong>Tilgher</strong> intende il contenuto non come qualcosa <strong>di</strong> esterno all’artista<br />

ma come “esperienza imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> un’ansia v<strong>it</strong>ale”, cioè come v<strong>it</strong>a<br />

nel suo farsi. E l’impressione, che una teoria part<strong>it</strong>a dall’affermazione<br />

dell’arte come v<strong>it</strong>a e <strong>di</strong>namismo, come slancio v<strong>it</strong>ale e identificazione<br />

<strong>di</strong> spir<strong>it</strong>o e natura, vada poi sfociando verso alcuni vieti pregiu<strong>di</strong>zi<br />

dell’estetica contenutistica, è confermata da quel corollario che<br />

<strong>Tilgher</strong> stesso definisce “gerarchia delle opere d’arte”.<br />

Si è visto che <strong>Tilgher</strong> rimprovera all’estetica crociana <strong>di</strong> non<br />

stabilire <strong>di</strong>stinzione alcuna fra piccole e gran<strong>di</strong> opere. Purché vi sia una<br />

pura intuizione estetica ogni opera d’arte è per Croce esteticamente<br />

valida, sia essa, ad esempio, un sonetto o un poema. Dal suo punto <strong>di</strong><br />

vista <strong>Tilgher</strong> <strong>di</strong>stingue invece le opere d’arte in gran<strong>di</strong> e piccole, a<br />

seconda che vibri in esse un piccolo o un grande amore <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a.<br />

La <strong>di</strong>stinzione è teoreticamente inadeguata e induce poi<br />

<strong>Tilgher</strong> a fare <strong>di</strong>stinzione fra i contenuti delle opere d’arte. Lo scegliere<br />

a soggetto un argomento piuttosto che un altro implicherebbe già<br />

nell’artista una tendenza ad elevarsi verso la grande arte o a<br />

<strong>di</strong>scendere verso la piccola arte:”Che un p<strong>it</strong>tore scelga a soggetto <strong>di</strong><br />

un quadro un carciofo o un argomento storico non è in<strong>di</strong>fferente al<br />

<strong>di</strong>spiegarsi delle sue qual<strong>it</strong>à artistiche ed è un segno della forza <strong>di</strong><br />

queste qual<strong>it</strong>à che, or<strong>di</strong>nariamente, quando sono salienti si rivolgono<br />

all’uomo ed ai suoi gran<strong>di</strong> problemi piuttosto che al carciofo”. 1 Così<br />

per vie imprevedute si giunge, come giustamente nota Russo, 2 ad una<br />

specie <strong>di</strong> estetica sociologica.<br />

Tale tendenza sociologica è confermata dalla teoria che fa<br />

delle opere d’arte “l’espressione dei vari momenti <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> una<br />

unica corrente v<strong>it</strong>ale”. Una volta misconosciuto il valore dell’arte<br />

come forma si r<strong>it</strong>orna alla concezione dell’arte come storia, come<br />

manifestazione del contenuto culturale della civiltà nel suo sviluppo.<br />

1 <strong>Tilgher</strong> “Estetica” – pag. 83<br />

2 Russo –Op. c<strong>it</strong>. Vol. II, pag. 261<br />

31


La concezione dell’arte come “amore v<strong>it</strong>ae”, che ci riporta per un<br />

verso alla scellinghiana ident<strong>it</strong>à <strong>di</strong> spir<strong>it</strong>o e natura e per l’altro<br />

all’attualismo gentiliano, finisce per condurre <strong>Tilgher</strong>, come si è già<br />

notato, verso alcuni pregiu<strong>di</strong>zi che l’estetica crociana aveva superati.<br />

Resta tuttavia fecondo nella dottrina estetica <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> il<br />

motivo v<strong>it</strong>alistico che lo porta a considerare l’opera d’arte nel suo<br />

<strong>di</strong>namico farsi e non solo nella sua statica e compiuta espressione.<br />

Questo motivo trova conferma nel comp<strong>it</strong>o assai complesso che<br />

<strong>Tilgher</strong> assegna alla cr<strong>it</strong>ica d’arte: il cr<strong>it</strong>ico non deve lim<strong>it</strong>arsi a <strong>di</strong>re se<br />

nell’opera compiuta c’è o non c’è arte; egli deve riprodurre<br />

attivamente in sé il processo stesso attraverso il quale l’artista è giunto<br />

all’opera sua e giu<strong>di</strong>care se tale processo sia giunto al suo fine, se cioè<br />

l’intenzione dell’artista si sia concretata in arte. anche se in tal modo, si<br />

fa della cr<strong>it</strong>ica d’arte un processo alle intenzioni, bisogna tuttavia<br />

riconoscere che questa convinzione contribuì a fare <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> un<br />

mil<strong>it</strong>ante appassionato della cr<strong>it</strong>ica e gli consentì <strong>di</strong> svolgere con più<br />

vivo impegno la sua missione: perché come missine appunto egli<br />

intese la professione del cr<strong>it</strong>ico.<br />

32


IV La morale<br />

Ponendo a fondamento della conoscenza il puro volere o<br />

dovere nel suo saggio “Etica e gnoseologia” <strong>Tilgher</strong> già chiaramente<br />

delineò una posizione speculativa, come si è osservato, più vicina alla<br />

tesi del volontarismo che non a quella dell’idealismo fichtiano,<br />

hegeliano o neo-hegeliano. Tuttavia quella concezione era tutta<br />

pregna ancora <strong>di</strong> un afflato etico che mirava a far coincidere lo spir<strong>it</strong>o<br />

col dovere,inteso come l’attiv<strong>it</strong>à trascendentale che fonda la<br />

conoscenza e fa sì che l’essere sia. Ma considerare il puro dovere<br />

come uno sta<strong>di</strong>o prelogico della v<strong>it</strong>a e dello spir<strong>it</strong>o equivale a negare<br />

la razionale consapevolezza della volontà che coscientemente si<br />

pone come tale, significa rendere impossibile la sola definizione della<br />

stessa attiv<strong>it</strong>à morale. <strong>Il</strong> fatto <strong>di</strong> considerare il dovere come<br />

fondamento del conoscere, come con<strong>di</strong>zione trascendentale <strong>di</strong> ogni<br />

attiv<strong>it</strong>à intellettuale, implica poi anche l’affermazione del valore<br />

33


preminente <strong>di</strong> quell’unica forma <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale che si esprime nella<br />

categoric<strong>it</strong>à del dovere.<br />

Qualche me<strong>di</strong>tazione su tale problema indusse forse <strong>Tilgher</strong> a<br />

mutare opinione. Diversa appare, infatti, la sua posizione speculativa<br />

nell’ultima opera in cui tratta del problema morale. Non che, in ver<strong>it</strong>à,<br />

il suo <strong>pensiero</strong> si presenti contrad<strong>di</strong>ttorio nelle <strong>di</strong>verse fasi del suo<br />

sviluppo, perché è sempre possibile rintracciare in ogni sua opera certi<br />

temi ricorrenti. Si vuol <strong>di</strong>re soltanto che nelle ultime opere, e<br />

specialmente in quella “Filosofia delle morali” del 1937, che è la sua<br />

più organica opera <strong>di</strong> morale, si viene <strong>di</strong>sperdendo la originaria<br />

esigenza del dovere come con<strong>di</strong>zione trascendentale della v<strong>it</strong>a dello<br />

spir<strong>it</strong>o e si prospettano “piani” <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale in<strong>di</strong>fferentemente<br />

accolti e giustificati secondo un cr<strong>it</strong>erio <strong>di</strong> equivalenza <strong>di</strong> valori che<br />

evidentemente attenua molto quel prim<strong>it</strong>ivo afflato etico a cui si è<br />

accennato.<br />

La tesi fondamentale sostenuta nella filosofia delle morali è<br />

che non si debba ridurre la v<strong>it</strong>a morale ad un stile solo, ad un’unica<br />

forma, considerando tutte la altre subor<strong>di</strong>nate rispetto a quella o<br />

ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura negative e quin<strong>di</strong> da respingersi. Le forme della v<strong>it</strong>a morale<br />

sono invece molteplici, egli <strong>di</strong>ce, ed ognuna <strong>di</strong> essa ha la propria<br />

giustificazione, la propria genesi, la propria norma. Ognuna è<br />

perfettamente valida <strong>di</strong> fronte alle altre, perché rappresenta uno degli<br />

infin<strong>it</strong>i mo<strong>di</strong> nei quali è possibile atteggiare la propria esistenza e<br />

regolare la propria condotta.<br />

Ridurre la v<strong>it</strong>a morale ad un solo principio significherebbe per<br />

lui cristallizzare quella imprevista ed impreve<strong>di</strong>bile mutevolezza <strong>di</strong><br />

aspetti e <strong>di</strong> relazioni che cost<strong>it</strong>uisce l’esistenza. A conferma <strong>di</strong> questa<br />

tesi <strong>Tilgher</strong> osserva che se davvero l’attiv<strong>it</strong>à morale fosse formalmente<br />

fissata in un'unica categoria o legge e solo mutassero le s<strong>it</strong>uazioni e gli<br />

oggetti su cui si eserc<strong>it</strong>a questa attiv<strong>it</strong>à, non dovrebbero sussistere<br />

dubbi o incertezze sulla via da seguire per giungere alla felic<strong>it</strong>à e alla<br />

salvezza, mentre questa via è estremamente incerta per tutti.<br />

34


Perciò la sua non vuol essere una nuova concezione morale o<br />

comunque l’analisi o la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> una particolare, specifica<br />

concezione morale, bensì una filosofia delle morali, cioè un esame<br />

anal<strong>it</strong>ico delle forme essenziali della v<strong>it</strong>a morale nella loro genesi e nel<br />

loro più alto raggiungimento; esame che non vuole né può esaurire<br />

tutte le forme <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale, ma che prospetta soltanto un<br />

arricchimento degli atteggiamenti morali che accompagnano la<br />

mobil<strong>it</strong>à e la varietà della v<strong>it</strong>a.<br />

Per quanto cr<strong>it</strong>icabili possano essere, da un punto <strong>di</strong> vista<br />

rigorosamente teoretico, siffatta tesi e gli sviluppi in essa implic<strong>it</strong>i, non si<br />

può negare che la posizione sia originale e conduca ad osservazioni e<br />

spunti spesso acuti. E’, anzi, in questa posizione <strong>di</strong> fronte al problema<br />

etico che <strong>Tilgher</strong> manifesta forse più compiutamente se stesso,<br />

rivelando letendenze irrazionalistiche che derivavano a lui<br />

dall’ambiente filosofico degli inizi del secolo scorso e soprattutto dalla<br />

sua natura sens<strong>it</strong>iva e asistematica.<br />

La definizione che è alla base <strong>di</strong> tutto il <strong>di</strong>scorso sulle morali è<br />

che l’uomo è v<strong>it</strong>a senza natura. L’animale ha <strong>di</strong> volta in volta davanti<br />

a sé problemi particolari <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a ma non apprende mai la sua v<strong>it</strong>a<br />

come total<strong>it</strong>à, l’uomo invece è l’unico essere vivente che ha davanti<br />

a sé la v<strong>it</strong>a nella sua total<strong>it</strong>à. L’animale è perciò legato alla natura e<br />

non può staccarsene in alcun modo, l’uomo non è natura perché non<br />

è costretto ad aderire a nessuna forma <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a prefissata. “La sua<br />

natura è <strong>di</strong> non essere natura fissa e determinata. La sua essenza è <strong>di</strong><br />

non essere essenza. La sua legge è <strong>di</strong> non essere legato a legge” 1 .<br />

Questa indeterminazione propria dell’uomo fa sì che la v<strong>it</strong>a gli si<br />

presenti da un punto <strong>di</strong> vista sempre <strong>di</strong>verso e come un problema<br />

dalle infin<strong>it</strong>e soluzioni possibili. E siccome anche per coloro che si<br />

pongono dallo stesso punto <strong>di</strong> vista indefin<strong>it</strong>a è l’intens<strong>it</strong>à con cui può<br />

essere persegu<strong>it</strong>o lo scopo, si moltiplica senza lim<strong>it</strong>i il numero delle<br />

soluzioni possibili, <strong>di</strong>verse qual<strong>it</strong>ativamente e quant<strong>it</strong>ativamente.<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Filosofia delle morali”. Roma, 1944. Pag. 7<br />

35


Di fronte ad una tale varietà <strong>di</strong> forme non si può che lim<strong>it</strong>arsi<br />

ad analizzarne alcune. Ciò che fa appunto <strong>Tilgher</strong>, considerando<br />

quattro tipi fondamentali <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale che egli chiama “piani”: il<br />

piano “del Desiderio e della Volontà”, il piano “del Distacco”, il piano<br />

“dell’Amore”, il piano “della Conoscenza”. Ognuna <strong>di</strong> queste forme<br />

ha a sua volta infin<strong>it</strong>e gradazioni e culmina con quella che può<br />

considerarsi la manifestazione più alta <strong>di</strong> essa. Così la forma <strong>di</strong> moral<strong>it</strong>à<br />

che parte dal Desiderio ha come suo culmine l’Erotismo, quella del<br />

Distacco termina nell’Ascetismo, quella dell’Amore mette capo alla<br />

Sant<strong>it</strong>à, quella della Conoscenza si concreta compiutamente nella<br />

Saggezza.<br />

Comincia <strong>Tilgher</strong> con l’esaminare il primo <strong>di</strong> questi “piani”,<br />

quello del Desiderio e della Volontà. <strong>Il</strong> Desiderio è per lui una<br />

manifestazione della v<strong>it</strong>a che mira a completarsi e pertanto aspira a<br />

raggiungere ciò <strong>di</strong> cui si sente il bisogno, l’”altro”. Nell’atto del<br />

desiderare l’uomo è tensione verso l’”altro” nel senso che avverte la<br />

propria deficienza e desidera colmarla. Fino a quando il desiderio<br />

resta imme<strong>di</strong>ato e spontaneo l’oggetto del desiderio è quasi incluso in<br />

quell’atto del desiderare e non si <strong>di</strong>stingue chiaramente come la meta<br />

da raggiungere. E’ solo l’intervento della volontà che opera questa<br />

<strong>di</strong>stinzione e pone l’oggetto come meta del desiderio, come scopo<br />

da raggiungere. E’ dunque la volontà che trasforma l’oggetto in<br />

“fine”; e la volontà medesima è desiderio <strong>di</strong>sciplinato dalla riflessione.<br />

<strong>Il</strong> desiderio e la volontà hanno dunque la stessa natura; ma il desiderio<br />

puro e semplice è spontane<strong>it</strong>à del tutto irriflessa, la volontà è desiderio<br />

fattosi cosciente e che perciò si <strong>di</strong>stingue dal fine che tende a<br />

raggiungere. A facil<strong>it</strong>are questo processo attraverso il quale il desiderio<br />

inconscio si trasforma in volontà cosciente contribuisce il giu<strong>di</strong>zio<br />

espresso me<strong>di</strong>ante il linguaggio. <strong>Il</strong> giu<strong>di</strong>zio manifesta intermini coscienti<br />

quel che vi è <strong>di</strong> piacevole o <strong>di</strong> doloroso in una azione o in un oggetto<br />

qualificandoli come bene o male: “I giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> valore che qualificano<br />

qualcosa come bene o male non sono perciò che trascrizioni,<br />

36


in<strong>di</strong>viduali o sociali, concrete o astratte, <strong>di</strong> atti vissuti <strong>di</strong> desiderio e<br />

volontà. Non il giu<strong>di</strong>zio antecede l’atto ma l’atto antecede il giu<strong>di</strong>zio,<br />

che ne trascrive il risultato” 1 .<br />

E’ chiaramente visibile in questa teoria il fondamento<br />

irrazionalistico che fa della volontà un epifenomeno del desiderio e<br />

del giu<strong>di</strong>zio una trascrizione <strong>di</strong> atti vissuti. Tutto si riduce così alla<br />

spontane<strong>it</strong>à del desiderio; l’intervento della riflessione che trasforma il<br />

desiderio in volontà cosciente non spiega non solo che cosa sia e<br />

come sorga questa attiv<strong>it</strong>à razionale, ma nemmeno come essa posa<br />

snaturare l’impulso originario per farne una attiv<strong>it</strong>à cosciente.<br />

Eppure <strong>Tilgher</strong>, una volta giunto ad affermare il carattere<br />

riflesso della volontà, continua costruendo una epica della volontà<br />

che sfocia nell’eroismo. La volontà, infatti, riesce tanto meglio ad<br />

affermarsi come tale quanto più si <strong>di</strong>stacca dalla spontane<strong>it</strong>à naturale<br />

del desiderio e quanto più fa del fine da raggiungere un ideale<br />

razionale, una costruzione mentale del soggetto. Si può giungere così<br />

ad una costruzione ideale che non ha più niente della originaria<br />

spontane<strong>it</strong>à dell’in<strong>di</strong>viduo, che è anzi negazione della in<strong>di</strong>vidual<strong>it</strong>à<br />

stessa e affermazione dell’universale. L’in<strong>di</strong>viduo che agisce per<br />

realizzare questo ideale non è puro in<strong>di</strong>viduo, ma espressione del<br />

corpo sociale <strong>di</strong> cui fa parte e col quale si è identificato. Questo<br />

in<strong>di</strong>viduo è l’Eroe e l’azione che egli compie può definirsi eroica.<br />

L’eroismo è così la sintesi v<strong>it</strong>ale più alta che possa raggiungersi<br />

sul piano del desiderio, in quanto è superamento del desiderio stesso e<br />

affermazione <strong>di</strong> una esigenza ideale che trascende e annulla ogni<br />

impulso puramente v<strong>it</strong>ale. Nell’atto in cui la sua azione eroica vive<br />

l’eroe raggiunge la massima gioia, come quella che fiorisce dalla<br />

coscienza <strong>di</strong> compiere il proprio dovere. Se qualche amarezza può<br />

provare l’eroe questa nasce dal fatto <strong>di</strong> vedere non sempre v<strong>it</strong>toriosa<br />

l’idea per la quale egli lotta. “Anche l’Eroe, infatti, tende all’”altro” e<br />

soffre quin<strong>di</strong> per non poterlo raggiungere, perché l’eroismo è la più<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Filosofia delle morali”, pag. 37<br />

37


alta creazione umana possibile sul piano del desiderio e della volontà,<br />

ma pur sempre desiderio e volontà” 1 .<br />

Al <strong>di</strong> sotto dell’eroe c’è il mil<strong>it</strong>ante, cioè colui che vive<br />

secondo quel modo generale <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a che si chiama costume e che<br />

non è altro se non un “ideale v<strong>it</strong>torioso <strong>di</strong>ventato ab<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne collettiva”.<br />

Vivere secondo il costume significa accettare con tranquill<strong>it</strong>à e<br />

sicurezza, ma senza l’entusiasmo che caratterizza l’azione eroica<br />

creatrice del costume, quei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a che sono consacrati dalla<br />

tra<strong>di</strong>zione. L’impulso, però, può talvolta rivoltarsi contro le fredde<br />

norme del costume: è allora che interviene il dovere.<br />

“<strong>Il</strong> dovere, l’imperativo categorico non è, dunque, un<br />

comando caduto dal cielo, non è il dettato <strong>di</strong> una ragione innestata<br />

in modo inesplicabile su un essere tutto senso, impulso e istinto. <strong>Il</strong><br />

dovere è semplicemente la forma interna che prende il costume (non<br />

soltanto conosciuto astrattamente ma accettato e vissuto) quando e<br />

perché l’impulso insorge contro <strong>di</strong> lui”. Ne consegue che il dovere non<br />

è mai astratto ma sempre concreto, è sempre “dovere <strong>di</strong> fare o <strong>di</strong> non<br />

fare questa o quella azione precisa e determinata”. 2<br />

<strong>Il</strong> dovere sarebbe, dunque, l’espressione del costume<br />

concretatosi in coscienza del dovere; il dovere dunque può mutare a<br />

seconda del tempo e della società e, ciò che per una società e in un<br />

dato tempo è dovere, può non esserlo in un’altra società e in un altro<br />

tempo. <strong>Il</strong> dovere verrebbe così degradato allo stato <strong>di</strong> convenzione,<br />

<strong>di</strong>venterebbe simile a quello che Protagora chiamava la ver<strong>it</strong>à<br />

convenzionale, che è appunto “ciò che sembra vero ai più, ciò che<br />

viene accettato comunemente, che è insomma costume.<br />

A questo, ci sembra, finisce con l’arrivare la tesi che fa della<br />

volontà una esplicazione cosciente del desiderio e del dovere. Se<br />

<strong>Tilgher</strong>, come è evidente, intendeva, pur senza far nomi, opporsi a<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Filosofia delle morali”, pag. 61<br />

2 <strong>Tilgher</strong> “Filosofia delle morali” pag. 66<br />

38


Kant e ai kantiani, vi è certamente riusc<strong>it</strong>o: la sua tesi può infatti<br />

considerarsi il capovolgimento della “Cr<strong>it</strong>ica della Ragion pratica”.<br />

<strong>Il</strong> kantismo nella “Filosofia delle morali” non è nominato,<br />

nominato invece è l’util<strong>it</strong>arismo dal quale <strong>Tilgher</strong> ci tiene<br />

particolarmente a <strong>di</strong>stinguere la concezione da lui esposta<br />

analizzando il piano “del Desiderio e della Volontà”. L’errore <strong>di</strong> ogni<br />

dottrina util<strong>it</strong>aristica o eudemonistica consisterebbe per <strong>Tilgher</strong> nel<br />

porre la felic<strong>it</strong>à e il piacere come fine <strong>di</strong> ogni azione umana.<br />

Affermando ciò, da una parte si considera che ogni attiv<strong>it</strong>à tende ad<br />

un fine, dall’altra che questo fine sarebbe il piacere, il quale<br />

genererebbe il desiderio.<br />

Ora <strong>Tilgher</strong> sostiene che non ogni attiv<strong>it</strong>à tende ad un fine;<br />

esiste l’attiv<strong>it</strong>à fine a se stessa, l’attiv<strong>it</strong>à per l’attiv<strong>it</strong>à. Inoltre non è vero,<br />

egli <strong>di</strong>ce, che il desiderio nasca dal piacere, perché, viceversa, il<br />

piacere è il risultato <strong>di</strong> un desiderio appagato. <strong>Il</strong> rapporto originario<br />

non è, per <strong>Tilgher</strong>, piacere–desiderio, bensì desiderio– piacere. Solo<br />

dopo che è stato sperimentato come piacere, il desiderio può porsi<br />

come fine consapevole dell’attiv<strong>it</strong>à. L’util<strong>it</strong>arismo, invece, non riesce<br />

ad intendere né l’attiv<strong>it</strong>à per l’attiv<strong>it</strong>à, né la <strong>di</strong>fferenza tra il desiderio<br />

come spontane<strong>it</strong>à e il piacere come fine cosciente da realizzare, e<br />

perciò finisce col considerare il piacere in<strong>di</strong>viduale come la molla <strong>di</strong><br />

ogni azione, finisce, cioè, col porre l’egoismo alla base dell’agire. Ma<br />

da questo punto <strong>di</strong> vista non sarebbero spiegabili le azioni<br />

<strong>di</strong>sinteressate ed eroiche, che pure sono frequenti, anche se non<br />

comuni fra gli uomini. Né vale per <strong>Tilgher</strong> ricorrere, come fa Stuart Mill,<br />

alla teoria associazionistica per spiegare l’eroismo, al modo stesso in<br />

cui si spiega l’avarizia, ossia come uno spostamento della coscienza<br />

dal fine al mezzo, cioè come una illusione che nasce dallo scambiare<br />

la originaria tendenza al proprio egoistico interesse per la tendenza<br />

altruistica a realizzare il bene altrui. Una volta posti, però, sullo stesso<br />

piano l’avarizia e l’egoismo, spiegati come effetti <strong>di</strong> una analoga<br />

39


illusione psichica, non si riesce a capire, osserva <strong>Tilgher</strong>, come la<br />

comune opinione condanni l’avarizia mentre esalta l’egoismo.<br />

L’osservazione è certamente acuta e coglie la insufficienza <strong>di</strong><br />

ogni dottrina util<strong>it</strong>aristica, ma tutta la cr<strong>it</strong>ica è infirmata dal fatto che la<br />

posizione <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong>, per lo meno nella analisi <strong>di</strong> quel “piano” <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a<br />

morale che egli definisce “del Desiderio e della Volontà”, non è molto<br />

<strong>di</strong>versa dell’util<strong>it</strong>arismo. Non è certo la sost<strong>it</strong>uzione del desiderio al<br />

piacere come impulso primigenio dell’attiv<strong>it</strong>à quella che può fondare<br />

una morale da cui venga sconf<strong>it</strong>ta ogni tendenza edonistica. <strong>Il</strong> fatto<br />

stesso <strong>di</strong> aver sent<strong>it</strong>o il bisogno si <strong>di</strong>stinguersi dagli util<strong>it</strong>aristi, in un’opera<br />

dalla quale è ban<strong>di</strong>ta ogni polemica ed ogni considerazione storica 1 ,<br />

rivela la chiara coscienza <strong>di</strong> una possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> confusione. Vero è che<br />

<strong>Tilgher</strong> per una profonda esigenza morale rifugge dall’util<strong>it</strong>arismo, ma<br />

per la sua specifica posizione speculativa non riesce <strong>di</strong> fatto a<br />

superarlo.<br />

Quando, però, ci si allontana dalle particolari considerazioni<br />

intorno a quello stile <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale defin<strong>it</strong>o “del Desiderio e della<br />

Volontà” ci si accorge che l’angolo <strong>di</strong> visuale <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> è certamente<br />

molto più ampio che non quello degli util<strong>it</strong>aristi. E’ una visuale capace<br />

<strong>di</strong> abbracciare le più <strong>di</strong>verse posizioni morali, senza tuttavia riuscire a<br />

fonderle in una superiore un<strong>it</strong>à: queste sono appunto la forza e insieme<br />

la debolezza della teoria tilgheriana.<br />

Si consideri, infatti, il piano morale da lui defin<strong>it</strong>o “del<br />

Distacco” o quello “dell’Amore”. Qui la tendenza mistica <strong>di</strong>venta<br />

preminente su quella puramente irrazionalistica nel senso che il suo<br />

irrazionalismo si colora <strong>di</strong> misticismo e valorizza forme <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a spir<strong>it</strong>uali<br />

che sono certamente lontane da quella tendenza edonistica che<br />

abbiamo visto essere alla base della concezione morale fondata sul<br />

desiderio e sulla volontà.<br />

1 Nella “Filosofia delle morali” non è nominato nessun filosofo e, tranne l’util<strong>it</strong>arismo, nessuna<br />

dottrina.<br />

40


L’ascetismo e la sant<strong>it</strong>à non sono certo forme <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale<br />

che hanno a che fare con una visione puramente meccanicistica ed<br />

util<strong>it</strong>aristica, ma sono forme <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a che, sia pure poco<br />

frequentemente, si manifestano. E’ certo un mer<strong>it</strong>o del <strong>Tilgher</strong> aver<br />

cercato <strong>di</strong> capirle nella loro essenza e <strong>di</strong> coglierle nei loro più propri<br />

motivi ispiratori, senza snaturarle nel tentativo <strong>di</strong> inquadrarle in una<br />

preconcetta schematizzazione della v<strong>it</strong>a morale. Ma egli può fare ciò<br />

soprattutto perché la sua natura è duttile e aperta ad ogni feconda<br />

esperienza <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a spir<strong>it</strong>uale.<br />

L’ascetismo è il punto <strong>di</strong> arrivo <strong>di</strong> una esperienza <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a<br />

fondata sulla esigenza <strong>di</strong> staccarsi dalle cose, dall’”altro”, <strong>di</strong> liberarsi<br />

dalla schiav<strong>it</strong>ù del desiderio. “Riflettendo sull’atto del volere, l’uomo<br />

non ha tardato ad accorgersi che nel volere egli possiede l’arma per<br />

superare l’imme<strong>di</strong>atezza del desiderio, dominarlo e sra<strong>di</strong>carlo, sì da<br />

sost<strong>it</strong>uirle alla gioia dell’imme<strong>di</strong>ato desiderio sod<strong>di</strong>sfatto la gioia più<br />

alta ed intensa del volere trionfante.” 1<br />

Così in un determinato periodo storico, che Thilgher tuttavia<br />

non specifica, l’uomo avrebbe pensato <strong>di</strong> sra<strong>di</strong>care in sé ogni<br />

desiderio v<strong>it</strong>ale: sarebbe nata allora la v<strong>it</strong>a ascetica, consistente<br />

appunto nel non desiderare nulla, nemmeno la v<strong>it</strong>a stessa.<br />

Genesi indubbiamente semplicistica, e fondata tutta<br />

sull’intervento <strong>di</strong> quel “deus ex machina” che è la volontà. Ma non<br />

s’era forse detto e <strong>di</strong>mostrato che la volontà è un epifenomeno del<br />

desiderio, desiderio fatto cosciente? come può essa, dunque,<br />

annullare del tutto o quasi quel desiderio <strong>di</strong> cui è pur sempre una<br />

manifestazione? Non è qui certo l’aspetto interessante e coerente<br />

dell’analisi <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong>,bensì nella definizione delle caratteristiche<br />

dell’ascetismo e <strong>di</strong> quella particolare qual<strong>it</strong>à <strong>di</strong> gioia che essa può<br />

dare; gioia assoluta, cioè, coincidente col senso puro della v<strong>it</strong>a<br />

universale che nasce allorquando resta annullata ogni determinazione<br />

particolare e si ha un senso <strong>di</strong> sé non come questo o quell’essere<br />

1 <strong>Tilgher</strong> “Filosofia delle morali”. Pag. 106<br />

41


particolare, ma “come io generale, universale, astratto,<br />

indeterminato”.<br />

Più complesso è il <strong>di</strong>scorso intorno a quello che viene defin<strong>it</strong>o il<br />

“piano dell’amore” e più convincente la ricerca della genesi e la<br />

rappresentazione <strong>di</strong> quello “stile” <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale che è la sant<strong>it</strong>à. Fatto<br />

è che, alla figura del santo, <strong>Tilgher</strong> stesso confessa <strong>di</strong> guardare con<br />

maggior simpatia 1 e questo è indubbiamente un segno <strong>di</strong> quella<br />

tendenza mistica cui prima si accennava.<br />

Originale è certamente la <strong>di</strong>stinzione – su cui si fondano tutte<br />

le considerazioni intorno all’amore – fra desiderio e amore.<br />

Desiderio e amore hanno per <strong>Tilgher</strong> origini <strong>di</strong>verse e<br />

procedono per <strong>di</strong>verse strade, anche se poi ad un certo punto si<br />

incontrano e sembrano perciò affini o ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura identici.<br />

Sia il desiderio che l’amore sono riconoscimento dell’”altro”,<br />

cioè posizione <strong>di</strong> un “altro” come <strong>di</strong>verso da sé; tuttavia, mentre<br />

desiderare significa tendere all’altro per assoggettarlo all’io, amore<br />

significa porre nell’ “altro” il centro della propria v<strong>it</strong>a. <strong>Il</strong> desiderio<br />

comporta perciò un senso <strong>di</strong> insufficienza che si aspira a colmare,<br />

l’amore invece dà un senso <strong>di</strong> tranquill<strong>it</strong>à e <strong>di</strong> pace proprio perché chi<br />

ama non desidera più nulla per sé in quanto ha trovato nella v<strong>it</strong>a dell’<br />

“altro”, una volta per sempre, il centro e la ragione della sua propria<br />

v<strong>it</strong>a. E’ chiaro che una tale concezione dell’amore inteso come riposo<br />

nell’ “altro”, come gioia dell’ amare per l’amare nasce da una visione<br />

religiosa dell’amore che naturalmente porta verso quella apoteosi<br />

dell’amore che è la sant<strong>it</strong>à.<br />

<strong>Il</strong> santo è colui che ha trasfer<strong>it</strong>o il centro della propria v<strong>it</strong>a non<br />

in un altro essere particolare, ma in tutti gli altri esseri, nel “prossimo”; e<br />

così, avendo abol<strong>it</strong>o sé come centro, conquista l’umiltà che è non<br />

1 In un saggio contenuto in “Moral<strong>it</strong>à” (Roma, 1943, pag. 140) l’autore rispondendo a Giuseppe<br />

Renzi , il quale in una recensione alla “Filosofia delle morali” aveva mostrato <strong>di</strong> credere che la<br />

figura dell’eroe fosse da lui pre<strong>di</strong>letta, <strong>di</strong>ce: “Credevo che si capisse che pur ponendoli, in sede <strong>di</strong><br />

pura teoria, tutti e quattro ( l’Eroe, l’Asceta, il Santo e il Saggio) sullo stesso piano <strong>di</strong> valore le mie<br />

preferenze e simpatie personali più vive andassero al tipo del Santo”.<br />

42


dolore ma letizia, non lim<strong>it</strong>azione ed immeschinamento, ma “libertà da<br />

tutte le catene del desiderio, da tutte le lim<strong>it</strong>azioni dell’io, gioia e<br />

felic<strong>it</strong>à, dolcezza e pace”. 1<br />

La sant<strong>it</strong>à è amore senza dolore, senza tristezza – se non<br />

quella che può dare dal non sentirsi abbastanza santo – è attiv<strong>it</strong>à, è<br />

sforzo <strong>di</strong> realizzare il bene <strong>di</strong>ffondendo l’amore.<br />

Un punto particolarmente delicato ed interessante è quello<br />

ove si tratta dei rapporti fra sant<strong>it</strong>à e religione. Per <strong>Tilgher</strong> la sant<strong>it</strong>à non<br />

è affatto legata a quelli che egli chiama i m<strong>it</strong>i teologici, come Dio, il<br />

cielo, l’al<strong>di</strong>là. Sono questi, i m<strong>it</strong>i, che nascono dalla sant<strong>it</strong>à e non<br />

questa da quelli. Egli ammette pertanto una sant<strong>it</strong>à laica, una sant<strong>it</strong>à<br />

atea.<br />

Malgrado questa ammissione, è evidente però che tutta la<br />

sua concezione dell’amore e della sant<strong>it</strong>à sembra ispirata dagli<br />

analoghi concetti del Cristianesimo. Lo notò sub<strong>it</strong>o il Buonaiuti il quale<br />

interpretò il <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> proprio in senso cristiano, 2 considerato<br />

che è il Cristianesimo che santifica il desiderio in amore.<br />

Ma <strong>Tilgher</strong> non crede <strong>di</strong> essere proprio sullo stesso piano del<br />

Cristianesimo, in quanto, se è vero che col Cristianesimo si giunge alla<br />

più chiara coscienza della <strong>di</strong>stinzione fra desiderio e amore, non è<br />

men vero che quella <strong>di</strong>stinzione è un “dato embrionale e naturale<br />

dell’uman<strong>it</strong>à”. 3<br />

<strong>Il</strong> <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o col Buonaiuti nasce evidentemente dal fatto che per<br />

quest’ultimo la morale cristiana è quella eterna e perciò l’unica<br />

possibile, e lo slancio e la viva partecipazione con cui parla della<br />

sant<strong>it</strong>à e del “piano dell’amore” sarebbe per Buonaiuti la prova che<br />

<strong>Tilgher</strong> non è lontano da questa “ver<strong>it</strong>à”. Per <strong>Tilgher</strong>, invece, resta<br />

sempre fermo il principio che nessuna morale, nemmeno quella<br />

altissima del Cristianesimo, può essere accettata come l’unica<br />

storicamente possibile, come quella defin<strong>it</strong>iva.<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “filosofia delle morali”, pag. 123<br />

2 cfr. la rivista “Religio”, Roma, marzo 1937<br />

3 <strong>Tilgher</strong>: “Moral<strong>it</strong>à”, pag. 139<br />

43


Le forme storiche della v<strong>it</strong>a morale sono state fino ad ora<br />

quattro e sono appunto quelle fondate sul desiderio, sul <strong>di</strong>stacco,<br />

sull’amore e sulla conoscenza; potrebbero esserne inventate domani<br />

delle altre: “Come venti secoli prima <strong>di</strong> Gesù, l’amore era certo una<br />

potenza psichica caoticamente mescolata con le altre e nessuno<br />

pensava <strong>di</strong> farne l’asse e il centro della v<strong>it</strong>a, e la sant<strong>it</strong>à (stile<br />

dell’amore) era un’ invenzione <strong>di</strong> là da venire, così può benissimo<br />

pensarsi che da una potenza psichica oggi confusa con le altre una<br />

ininterrotta serie <strong>di</strong> genii della v<strong>it</strong>a morale possa estrarre con un lavoro<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>eci o venti secoli un nuovo stile <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a, un nuovo tipo <strong>di</strong> uomo” 1 .<br />

Alla luce <strong>di</strong> questo estremo relativismo anche quella forma <strong>di</strong><br />

v<strong>it</strong>a morale, quel “piano” che nasce dalla conoscenza e mette capo<br />

alla saggezza non è che una delle possibili vie trovate dall’uomo in un<br />

particolare sta<strong>di</strong>o del suo sviluppo storico.<br />

Nella analisi che egli compia in “Filosofia delle morali” del<br />

processo attraverso il quale dal cieco impulso, cui si riduce la v<strong>it</strong>a<br />

pura, si sale, me<strong>di</strong>ante la riflessione, al <strong>pensiero</strong> e quin<strong>di</strong> alla<br />

conoscenza, egli ripete più o meno proce<strong>di</strong>menti e idee già presenti in<br />

altri saggi, o in altre parti della stessa “Filosofia delle morali”. E’<br />

particolarmente importante la sua definizione della libertà e la<br />

spiegazione della genesi <strong>di</strong> essa. La libertà nasce quando l’essere non<br />

solo si conosce come fonte dei suoi atti, ma acquista anche coscienza<br />

<strong>di</strong> essere o non essere lui a porre un atto determinato, quando cioè<br />

acquista coscienza <strong>di</strong> poter scegliere fra più azioni possibili. Ora,<br />

poiché la libertà è scelta fra i possibili e i possibili non sussistono che<br />

nella coscienza, la libertà non è che nella coscienza:”non vi è altra<br />

libertà che la coscienza della libertà. L’essere è libero esclusivamente<br />

in quanto e perché si sa libero” 2 . La conseguenza è che l’in<strong>di</strong>viduo è<br />

tanto più libero quanto più è cosciente e quanto più agisce, quin<strong>di</strong>,<br />

secondo idee.<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Moral<strong>it</strong>à”, pag. 141<br />

2 <strong>Tilgher</strong>: “Filosofia delle Morali”, pag 203<br />

44


Qui sembra che dall’util<strong>it</strong>arismo delle pagine precedenti si<br />

vada verso l’intellettualismo. Ma <strong>Tilgher</strong> ev<strong>it</strong>a l’equivoco ricordando<br />

che fonte dell’azione è sempre l’energia impulsiva che è nel fondo <strong>di</strong><br />

ogni essere e che è irrazional<strong>it</strong>à pura. Ma ancor più irrazionali<br />

appaiono lo sdoppiamento che egli fa <strong>di</strong> questa energia originaria in<br />

impulso e idea e la successiva subor<strong>di</strong>nazione <strong>di</strong> quello a questa.<br />

Avendo posto alla base <strong>di</strong> ogni azione, anche <strong>di</strong> quella più<br />

fortemente dominata dall’idea, l’irrazionale spontane<strong>it</strong>à dell’essere,<br />

<strong>Tilgher</strong> deve poi necessariamente respingere la dottrina che considera<br />

come morali solo le azioni libere, cioè le azioni coscienti. Anche un<br />

puro impulso può essere considerato morale.<br />

La morale “della conoscenza” culmina nella figura del saggio<br />

che, a <strong>di</strong>fferenza dell’eroe, dell’asceta, del santo ha coscienza <strong>di</strong> non<br />

creare le leggi del mondo ma <strong>di</strong> conoscerle soltanto e pertanto è il più<br />

rassegnato <strong>di</strong> fronte alle sconf<strong>it</strong>te e ai fallimenti della v<strong>it</strong>a. E’ forse in<br />

Spinosa che l’etica della saggezza ha trovato, secondo lui, “la<br />

enunciazione più alta, profonda e defin<strong>it</strong>iva”. 1<br />

Poiché il saggio appare a <strong>Tilgher</strong> come l’unico capace <strong>di</strong><br />

intendere che non tutti gli uomini possono giungere alla saggezza e<br />

che la saggezza non esclude la possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> altre forme <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale,<br />

sembrerebbe <strong>di</strong> poter concludere che sia la saggezza la più alta<br />

forma <strong>di</strong> moral<strong>it</strong>à, come quella che si mostra comprensiva verso tutte<br />

le altre e teoreticamente le giustifichi.<br />

Ecco, forse, la contrad<strong>di</strong>zione interna della concezione<br />

morale <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong>: considerare come una fra le altre, senza preminenza<br />

alcuna, la posizione del saggio dalla quale tutte le altre vengono<br />

riguardate, giustificate e quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> fatto, superate. E’ proprio una<br />

posizione simile a quella del saggio che gli consente <strong>di</strong> riconoscere e<br />

analizzare tutte quelle che egli considera le varie forme della v<strong>it</strong>a<br />

morale.<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Moral<strong>it</strong>à” pag. 201<br />

45


E’ pur sempre l’attiv<strong>it</strong>à conosc<strong>it</strong>iva, cioè razionale, quella che<br />

consente <strong>di</strong> abbracciare dall’alto e <strong>di</strong> dominare, unificandole, le<br />

molteplici esperienze della v<strong>it</strong>a in<strong>di</strong>viduale e collettiva. Ma <strong>Tilgher</strong>,<br />

ponendo in linea <strong>di</strong> principio anche la morale nell’amb<strong>it</strong>o della<br />

originaria v<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à dell’essere, sacrifica sull’altare dell’irrazionalismo<br />

quella che è pur sempre la sua coscienza <strong>di</strong> uomo razionale.<br />

V Casualismo e misticismo<br />

Da tutto quanto si è detto risulta evidente che per <strong>Tilgher</strong><br />

l’energia v<strong>it</strong>ale, l’impulso, l’istinto, il desiderio rappresentano le forze<br />

primigenie della v<strong>it</strong>a come attiv<strong>it</strong>à pura. Mai sarà possibile, quin<strong>di</strong>,<br />

intendere razionalmente l’intima essenza della v<strong>it</strong>a, che resta pertanto<br />

un mistero inesplicabile da accettarsi come l’unico terreno possibile <strong>di</strong><br />

considerazioni filosofiche.<br />

E’ questo aspetto del <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong> che indusse<br />

Vinciguerra a definire la sua filosofia, si è già detto, come filosofia<br />

“dell’atto impuro”, cioè come un “pan-alogismo” che si contrappone<br />

al panlogismo e soprattutto alla gentiliana filosofia “dell’atto puro”<br />

con la quale ha in comune la medesima adorazione dell’ ”atto”.<br />

Da questa posizione irrazionalistica <strong>Tilgher</strong> non poteva non<br />

respingere la tesi razionale dello storicismo, che intende la storia come<br />

46


l’attuarsi della razional<strong>it</strong>à dello Spir<strong>it</strong>o, e insieme la posizione<br />

deterministica della scienza che mira a spiegare ogni fenomeno<br />

me<strong>di</strong>ante la rigorosa concatenazione delle cause e degli effetti.<br />

Come gli spir<strong>it</strong>ualisti francesi, come in particolare Bergson, al<br />

quale egli deve certamente molto1 , <strong>Tilgher</strong> riven<strong>di</strong>ca il valore<br />

in<strong>di</strong>viduale e irripetibile del fenomeno, che la scienza tenta <strong>di</strong><br />

costringere entro schemi deterministici, per la necess<strong>it</strong>à <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nare<br />

ai fini conosc<strong>it</strong>ivi la varietà del reale alla logica della spiegazione<br />

causale. La scienza non conosce la libertà perché, come si è visto, la<br />

libertà è scelta fra i possibili e la scienza è, invece, riconoscimento<br />

della necess<strong>it</strong>à.<br />

Lo stesso si può <strong>di</strong>re della presenza del caso nella storia. <strong>Il</strong> vero<br />

storico, egli <strong>di</strong>ce, è colui che, cercando <strong>di</strong> lumeggiare i rapporti tra<br />

cause ed effetti, tiene tuttavia nel dovuto conto quelle energie<br />

creatrici e quegli eventi straor<strong>di</strong>nari che rappresentano l’imprevisto, la<br />

contingenza, il caso. 2<br />

<strong>Il</strong> caso: ecco l’elemento <strong>di</strong> cui gli storicisti fanno giustizia<br />

sommaria, certi come sono che tutto si risolve attraverso lo sviluppo<br />

dello Spir<strong>it</strong>o razionale. <strong>Il</strong> caso sembra invece a <strong>Tilgher</strong> un elemento<br />

fondamentale <strong>di</strong> cui non si può non tener conto nelle considerazioni<br />

sulla genesi e sullo sviluppo degli eventi storici. Nell’ultima sua opera, “<strong>Il</strong><br />

casualismo cr<strong>it</strong>ico”, <strong>Tilgher</strong> tenta ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura una fenomenologia e<br />

gnoseologia del caso, combattendo la tendenza che porta a<br />

considerare il fatto accaduto come l’unico razionale e quin<strong>di</strong> come<br />

l’unico possibile: “ogni filosofia della storia che nella total<strong>it</strong>à degli<br />

eventi tende a mostrare l’attuazione <strong>di</strong> un unico Piano o Fine o<br />

Intelligenza o Spir<strong>it</strong>o immanente è condannata inesorabilmente al<br />

totale fallimento perché essa non può ammettere in nessun punto del<br />

processo storico il caso , che d’altra parte non riesce mai a eliminare<br />

del tutto da nessun punto <strong>di</strong> quel processo” 3 .<br />

1 Cfr il sintetico ma acuto saggio su Bergson in “Filosofi e moralisti del ‘900”, Roma, 1944.<br />

2 <strong>Tilgher</strong> “Filosofia delle morali”, pagg. 216-218<br />

3 <strong>Tilgher</strong>: “Casualismo cr<strong>it</strong>ico”, Roma, 1944, pag.103<br />

47


Ogni evento è il risultato dell’incontro fortu<strong>it</strong>o <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

catene causali, senza essere implic<strong>it</strong>o in nessuna <strong>di</strong> esse, sicché ogni<br />

evento ha un aspetto contingente, accidentale, casuale. Le stesse<br />

serie causali, anzi, non cost<strong>it</strong>uiscono che un modo nostro <strong>di</strong> spiegare<br />

per cause i fatti accaduti, che sembrano gli unici possibili. La storia si<br />

occupa naturalmente <strong>di</strong> questi e non <strong>di</strong> quelli che non sono accaduti,<br />

ma sarebbero potuti accadere. Ci sono tuttavia nella storia, <strong>di</strong>ce<br />

<strong>Tilgher</strong>, dei momenti cruciali, in cui il corso intero degli eventi sembra in<br />

modo indubbio sospeso a un evento singolo, in<strong>di</strong>viduale, “ dal non<br />

esserci del quale tutto il corso dei fatti si sarebbe <strong>di</strong>versamente<br />

attreggiato” 1 .<br />

La corrente filosofica con la quale tale teoria sembra più<br />

<strong>di</strong>rettamente imparentata è il “contingentismo” <strong>di</strong> Emilio Boutroux. In<br />

“Della contingenza delle leggi della natura” il Boutroux, che tuttavia<br />

<strong>Tilgher</strong> non c<strong>it</strong>a <strong>di</strong>rettamente né inserisce nella nutr<strong>it</strong>a schiera dei<br />

“Filosofi e moralisti del Novecento”, cr<strong>it</strong>ica il determinismo e afferma il<br />

principio della assoluta indeterminazione degli eventi naturali e storici,<br />

giungendo a conclusioni irrazionali non molto <strong>di</strong>verse da quelle cui<br />

giunse <strong>Tilgher</strong>, il quale respinge anch’egli decisamente il determinismo<br />

scientifico e lo storicismo hegeliano e crociano in nome <strong>di</strong> una<br />

romantica esaltazione della v<strong>it</strong>a, perché nell’essenza più profonda del<br />

romanticismo, <strong>di</strong> cui tutta la civiltà contemporanea gli appare più che<br />

mai imbevuta, egli vede proprio “…quell’esperienza della v<strong>it</strong>a in cui<br />

questa è sent<strong>it</strong>a come una potenza, una forza, una energia, una<br />

attiv<strong>it</strong>à oscura in continuo movimento che non è legata a nessuna<br />

delle sue forme , ma ha in sé la forza <strong>di</strong> generarle e <strong>di</strong> trascenderle<br />

tutte e che, in fondo, non ha altra legge, altra destinazione, altra gioia,<br />

che d’essere al massimo grado sé medesima”. 2<br />

Ed è nello spir<strong>it</strong>o <strong>di</strong> questa visione romantica della v<strong>it</strong>a che egli<br />

trova appagate insieme la sua esigenza irrazionalistica e la sua ansia<br />

1 <strong>Tilgher</strong>: “Casualismo cr<strong>it</strong>ico”, pag. 87<br />

2 <strong>Tilgher</strong>: “Filosofi e moralisti del Novecento”, pagg. 9-10<br />

48


mistica, come molti altri spir<strong>it</strong>i tormentati del secolo scorso che furono<br />

nel tempo stesso atei e credenti, scettici ed assertori convinti <strong>di</strong> una<br />

ver<strong>it</strong>à, negatori e combattenti per un’idea: si pensi a Giuseppe Renzi,<br />

tanto spir<strong>it</strong>ualmente vicino a <strong>Tilgher</strong>. 1<br />

Per uomini così fatti la forma rigorosamente logica<br />

dell’idealismo non poteva non apparire come un vano tentativo <strong>di</strong><br />

spegnere il fuoco romantico con la gelida acqua del classicismo. Di<br />

queste opposte forme una plausibile sintesi tentò – vanamente,<br />

secondo <strong>Tilgher</strong> – anche Croce. 2<br />

<strong>Tilgher</strong> ha bisogno <strong>di</strong> credere nell’imprevisto, nell’irrazionale,<br />

nel caso, ha bisogno <strong>di</strong> adorare la v<strong>it</strong>a come un capriccioso feticcio.<br />

E’ questa una forma <strong>di</strong> religios<strong>it</strong>à senza chiesa e senza Dio, una fede<br />

nel mistero e nei m<strong>it</strong>i.<br />

I m<strong>it</strong>i, più ancora che le singole forze originali e impreve<strong>di</strong>bili,<br />

cost<strong>it</strong>uiscono appunto per <strong>Tilgher</strong>, come per Splenger che egli tanto<br />

stu<strong>di</strong>ò, il motore della storia. Magia e Stato, Classe e Nazione, Razza e<br />

Libertà sono tutti m<strong>it</strong>i nei quali gli uomini hanno creduto o credono e<br />

per i quali combattono, sì che ogni lotta, ogni guerra acquista un<br />

carattere religioso perché in ognuna <strong>di</strong> esse si scontrano credenze<br />

opposte, fe<strong>di</strong> contrastanti.<br />

In “Mistiche nuove e antiche” egli stu<strong>di</strong>a alcuni <strong>di</strong> questi m<strong>it</strong>i,<br />

<strong>di</strong> queste mistiche che <strong>di</strong> volta in volta o contemporaneamente<br />

hanno esaltato e esaltano gli uomini. Tra queste mistiche c’è anche il<br />

Cristianesimo: la interpretazione molto vaga che egli ne dà lo<br />

prospetta come una mistica dell’amore piuttosto che come una<br />

religione rivelata. 3 Uno sfondo mistico ci sarebbe anche nel<br />

comunismo da lui inteso, nella sua essenza, come m<strong>it</strong>o <strong>di</strong> giustizia e <strong>di</strong><br />

libertà e perciò accostato al Cristianesimo. 4<br />

1 In “Filosofi e moralisti del Novecento” <strong>Tilgher</strong> fa una appassionata esegesi del suo contrad<strong>di</strong>ttorio<br />

<strong>pensiero</strong>.<br />

2 “Benedetto Croce o la tentata sintesi <strong>di</strong> romanticismo e classicismo”. Sta in “Filosofi e moralisti del<br />

Novecento”<br />

3 Si veda il saggio “I cristiani” in “Mistiche nuove e antiche”.<br />

4 Si veda il saggio “Comunismo e Cristianesimo” in “Mistiche nuove e antiche”.<br />

49


Tra queste mistiche c’è anche quella del lavoro o meglio della<br />

civiltà del lavoro. La religione del lavoro è l’ultima fede, egli <strong>di</strong>ce, la cui<br />

Terra Santa è l’America ed i cui apostoli e confessori sono gli uomini<br />

d’affari e gli industriali. O forse non è l’ultima: ad essa, per l’eccesso<br />

della produzione e la necess<strong>it</strong>à del consumo, gli pare si vada<br />

sost<strong>it</strong>uendo la “religione del tutto opposta del riposo e del<br />

<strong>di</strong>vertimento” 1 . Perché i m<strong>it</strong>i, come le morali e più delle morali, mutano<br />

<strong>di</strong> tempo in tempo e si succedono senza posa. Invano l’intelletto<br />

cerca <strong>di</strong> or<strong>di</strong>narle e spiegarle secondo rigi<strong>di</strong> principi: il dato irrazionale<br />

mina sempre alla base ogni laboriosa costruzione razionale. Così<br />

<strong>Tilgher</strong> r<strong>it</strong>iene <strong>di</strong> aver liquidato, in nome <strong>di</strong> un romanticismo<br />

dell’avvenire, lo storicismo e il razionalismo, residui del romanticismo<br />

del passato 2 : alla fede ottimistica in uno Spir<strong>it</strong>o che <strong>di</strong>aletticamente si<br />

eleva e si razionalizza, egli contrappone una visione essenzialmente<br />

pessimistica circa le sorti della civiltà umana ed egli stesso, come<br />

uomo e come pensatore, sembra brancolare nel buio. Egli con<strong>di</strong>vise,<br />

per lo meno in parte, una tesi che susc<strong>it</strong>ò interesse e polemiche negli<br />

anni venti del secolo scorso circa la sorte della civiltà contemporanea,<br />

la tesi esposta nel “Tramonto dell’Occidente” da Osvaldo Spengler.<br />

Vero è che <strong>Tilgher</strong> non se la sente né <strong>di</strong> credere nella ragione,<br />

nè <strong>di</strong> accettare integralmente un m<strong>it</strong>o e <strong>di</strong> sost<strong>it</strong>uirlo ad essa. Cadde<br />

così nella contrad<strong>di</strong>zione propria dell’irrazionalismo: si fece, cioè,<br />

irrazionale adoratore del mistero della v<strong>it</strong>a e insieme razionale,<br />

ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura sofistico indagatore dei grovigli <strong>di</strong> quel mistero.<br />

Perciò appunto la sua filosofia, ricca <strong>di</strong> intuizioni e <strong>di</strong> motivi<br />

vivaci, <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong> fermenti, <strong>di</strong> cr<strong>it</strong>iche e <strong>di</strong> analisi spesso acutissime, si<br />

rivela nel complesso ben poco costruttiva. Ma in questo <strong>Tilgher</strong> è<br />

d’accordo con se stesso: ripugnerebbe alla sua visione mobile,<br />

fluttuante, asistematica della v<strong>it</strong>a una concezione che mirasse a<br />

fissarla, irrigidendola.<br />

1 <strong>Tilgher</strong> “Homo faber”, Roma, 1944, pag.127<br />

2 <strong>Tilgher</strong>, “Relativisti contemporanei”, Roma 1913, pagg.34-35<br />

50


La conclusione a cui giunge nell’ultima sua opera, pubblicata<br />

postuma, è che “il Pensiero marcia in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong>ametralmente<br />

opposta al Reale”. La frase finale del “Casualismo cr<strong>it</strong>ico” è :”<strong>Il</strong> Reale è<br />

il farsi del Molto dall’Uno – il Pensare è <strong>di</strong>sfare il Molto nell’Uno. Pensare<br />

non è fare, è <strong>di</strong>s-fare.” Con questa amara conclusione si chiude<br />

anche la trentennale,spesso tormentosa parabola me<strong>di</strong>tativa <strong>di</strong><br />

<strong>Adriano</strong> <strong>Tilgher</strong>.<br />

Gli scr<strong>it</strong>ti <strong>di</strong> <strong>Adriano</strong> <strong>Tilgher</strong><br />

Bramanesimo, Bud<strong>di</strong>smo e Cristianesimo. Pavia, Bizzoni, 1908<br />

La filosofia del <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to A. Schopenhauer (Estratto da “Rassegna<br />

nazionale”), Firenze, marzo 1908<br />

La giustizia <strong>di</strong> Herbert Spencer – Stu<strong>di</strong>o cr<strong>it</strong>ico. Napoli, D’Auria,<br />

1908<br />

Analisi del concetto <strong>di</strong> del<strong>it</strong>to e <strong>di</strong> pena. (Estratto da “<strong>Il</strong><br />

Rinnovamento”, fasc. 3, anno III), Milano, 1909<br />

Traduzione della “Dottrina della scienza” <strong>di</strong> Iohann Fichte, 1910<br />

Primi scr<strong>it</strong>ti <strong>di</strong> estetica – Roma, Loescher s. d.<br />

<strong>Il</strong> <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to come prodotto dell’auto coscienza (da “<strong>Il</strong> commento”),<br />

Roma, 1911<br />

Arte, conoscenza e realtà – Torino, Bocca, 1911<br />

Immagine e sentimento nell’opera d’arte. (Da “Rivista <strong>di</strong> filosofia”<br />

Genova, Formaggini, aprile-giugno 1913)<br />

Io, Libertà, Moral<strong>it</strong>à nella filosofia <strong>di</strong> E. Bergson – Trani, Vecchi,<br />

1913<br />

Deduzione della legge e del <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to (da “Nuova Cultura”, anno I,<br />

fasc. 10) Torino, Bocca, 1913<br />

<strong>Il</strong> concetto della storia e della conoscenza nell’idealismo <strong>it</strong>aliano<br />

contemporaneo (da il “Conciliatore” anno I, fasc. II) Torino,<br />

Bocca, 1914<br />

51


Lineamenti <strong>di</strong> etica (da “Rivista <strong>di</strong> filosofia”, anno VI) Genova,<br />

Formaggini, 1914<br />

Giovanni Gentile. <strong>Il</strong> metodo dell’immanenza (dal “Conciliatore”<br />

anno I, fasc. III) – Torino, Bocca, 1914<br />

Teoria del pragmatismo trascendentale – Dottrina della<br />

conoscenza e della volontà - Torino, Bocca, 1915<br />

Prefazione, traduzione e note ai “Saggi filosofici” <strong>di</strong> Ravaisson.<br />

Roma, Arti Grafiche, 1917<br />

<strong>Il</strong> tempo e l’etern<strong>it</strong>à (estratto da Bilychnis), Roma, ottobre, 1920<br />

L’estetica <strong>di</strong> E. Bergson (da Nuova Antologia, 16 novembre 1920)<br />

<strong>Il</strong> concetto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduo (da “L’arduo”- Bologna, Cappelli),<br />

settembre 1921<br />

La crisi mon<strong>di</strong>ale e saggi cr<strong>it</strong>ici <strong>di</strong> marxismo e socialismo. Bologna,<br />

Zanichelli, 1921<br />

Filosofi antichi. To<strong>di</strong>, Atanor, 1921<br />

Letteratura francese e letteratura <strong>it</strong>aliana (da Nuova Antologia 1<br />

febbraio 1921)<br />

Prefazione all’opera “Aristotele” <strong>di</strong> F. Ravaisson e traduzione –<br />

Firenze, Le Monnier, 1922<br />

Relativisti contemporanei. Relativismo e rivoluzione. Lettera a G.<br />

Ferrero – Roma, Libreria scientifica e letteraria, Roma, 1923<br />

Saggio cr<strong>it</strong>ico sul romanzo “<strong>Il</strong> bivio” <strong>di</strong> Josef Blidermann – Roma,<br />

A. Stoch, 1923<br />

Traduzione del dramma mistico “Boussac de Saint Marc: il lupo <strong>di</strong><br />

Gubbio” – To<strong>di</strong>, Atanor,1923<br />

Stu<strong>di</strong> sul teatro contemporaneo – Roma, Libreria Scienze e<br />

Lettere, 1923 (Nell’e<strong>di</strong>zione successiva del 1928 sono preceduti<br />

da un saggio sull’arte come original<strong>it</strong>à)<br />

Stu<strong>di</strong>o cr<strong>it</strong>ico su novelle umoristiche <strong>di</strong> Anton Cecov – Bologna,<br />

Ist<strong>it</strong>uti Poligrafici Riun<strong>it</strong>i, 1924<br />

Ricognizioni – Profili <strong>di</strong> scr<strong>it</strong>tori e movimenti spir<strong>it</strong>uali<br />

contemporanei – Libreria Scienze e Lettere 1924<br />

52


Lo spaccio del bestione trionfante. Stroncatura <strong>di</strong> Giovanni<br />

Gentile – Torino, Gobetti, 1925<br />

Presentazione dell’opera “Io e me alla ricerca <strong>di</strong> Cristo” <strong>di</strong> V.<br />

Cento – Torino, Gobetti, 1925<br />

Stu<strong>di</strong>o sul romanzo “<strong>Il</strong> miracolo <strong>di</strong> Tartufari Clarice” – Roma, Stoch,<br />

1925<br />

Prefazione a “La sfinge senza E<strong>di</strong>po” <strong>di</strong> Miguel De Unamuno –<br />

Milano, Corbaccio, 1925<br />

Traduzione del “Discorso sul metodo e me<strong>di</strong>tazioni filosofiche” <strong>di</strong><br />

R. Cartesio – Bari, Laterza<br />

Traduzione, prefazione e note a “I principi della filosofia” <strong>di</strong> R.<br />

Cartesio, Bari, Laterza<br />

La scena e la v<strong>it</strong>a: nuovi stu<strong>di</strong> sul teatro contemporaneo – Roma,<br />

Libreria scienze e lettere, 1925<br />

La visione greca della v<strong>it</strong>a. Roma, Bilychnis, 1926<br />

Prefazione all’opera “Versi e prose” <strong>di</strong> P. Murmura – Roma,<br />

Libreria Scienze e Lettere, 1926<br />

Saggi <strong>di</strong> etica e filosofia del <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to – Torino, Bocca, 1928<br />

Storia e antistoria – Rieti, Bibliotheca, 1928<br />

Homo faber – Storia del concetto <strong>di</strong> lavoro nella civiltà<br />

occidentale – Roma, Bar<strong>di</strong>, 1929<br />

Julien Benda e il problema del “Tra<strong>di</strong>mento dei chierici” – Roma,<br />

Bar<strong>di</strong>, 1930<br />

La poesia <strong>di</strong>alettale napoletana 1880-1930 – Roma, Bar<strong>di</strong>, 1930<br />

Estetica: Teoria generale dell’attiv<strong>it</strong>à artistica; stu<strong>di</strong> cr<strong>it</strong>ici<br />

sull’estetica contemporanea – Roma, Libreria scienze e lettere,<br />

1931<br />

Etica <strong>di</strong> Goethe – Roma, Maglione, 1932<br />

Filosofi e moralisti del Novecento – Roma, Bar<strong>di</strong>, 1932<br />

Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> poetica – Roma, Libreria Scienze e Lettere, 1934<br />

Cristo e noi: la visione cristiana della v<strong>it</strong>a. Bud<strong>di</strong>smo e<br />

Cristianesimo -<br />

53


Ellenismo e Cristianesimo – Nietzsche e Gesù – Modena, Guanda,<br />

1934<br />

Cr<strong>it</strong>ica dello storicismo – Modena, Guanda, 1935<br />

Sull’estetica del De Sanctis – sta in “Stu<strong>di</strong> e ricor<strong>di</strong> desantisiani” –<br />

Avellino, Tip. Pergola, 1935<br />

Mistiche nuove e mistiche antiche – Roma, Bar<strong>di</strong>, 1936<br />

Antologia dei filosofi <strong>it</strong>aliani del dopoguerra – Modena, Guanda,<br />

1937<br />

Filosofia delle morali – Roma, Bar<strong>di</strong>, 1937<br />

Moral<strong>it</strong>à; punti <strong>di</strong> vista sulla v<strong>it</strong>a e sull’uomo – Roma, Libreria<br />

scienze e lettere, 1938<br />

Le orecchie dell’aquila: stu<strong>di</strong>o sulle fonti dell’attualismo <strong>di</strong><br />

G.Gentile (da “Religio” vol. XIV n°6) – Roma, Tip. Failli, 1938<br />

<strong>Il</strong> caso (dalla rivista “Religio”) Roma, Libreria scienze e lettere,<br />

1939<br />

Lo storicista nell’imbarazzo (da “Sophia” anno VII n°1) Napoli,<br />

Ron<strong>di</strong>nella, 1939<br />

La filosofia del Leopar<strong>di</strong> – Roma, Religio, 1940<br />

Prefazione all’opera “La morale come pazzia” con appen<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />

frammenti postumi <strong>di</strong> G. Renzi – Modena, Guanda, 1942<br />

<strong>Il</strong> casualismo cr<strong>it</strong>ico – Roma, Bar<strong>di</strong>, 1942 ( Quest’ultima sua opera<br />

ed i saggi qui <strong>di</strong> segu<strong>it</strong>o in<strong>di</strong>cati – tutti anteriori ad essa – furono<br />

pubblicati postumi)<br />

Diario pol<strong>it</strong>ico 1937-1941 – Roma, Atlantica, 1946<br />

Tempo nostro – Saggi <strong>di</strong> pol<strong>it</strong>ica e sociologia. (Pref. <strong>di</strong> L.<br />

Salvatorelli) – Roma, Bar<strong>di</strong>, 1946<br />

Scienze e morale – Dalla filosofia greca agli esistenzialisti – Roma,<br />

Bar<strong>di</strong>, 1947<br />

Pensieri sulla storia – Enigmi della storia – Personaggi e<br />

prospettive. A cura <strong>di</strong> Liliana Scalero – Roma, Bar<strong>di</strong>, 1952<br />

54


INDICE<br />

I Linee essenziali del <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Tilgher</strong><br />

Pag. 2<br />

55


II La teoria della conoscenza<br />

“ 10<br />

III L’estetica<br />

“ 19<br />

IV La morale<br />

“ 29<br />

V Casualismo e misticismo<br />

“ 40<br />

VI Gli scr<strong>it</strong>ti <strong>di</strong> <strong>Adriano</strong> <strong>Tilgher</strong> “<br />

44<br />

56

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