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I bambini ebrei nascosti in Italia durante la persecuzione nazifascista

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giorno... con molta serietà mi dissero che dovevamo cambiare nome. Non ebbero<br />

bisogno di dare tante spiegazioni, perché oramai era chiaro che stavamo fuggendo<br />

dai tedeschi. Era un nome molto famigliare che non avevo fatica a ricordare perché<br />

era il nome di un amico di mio padre.[...] Ebbi anche un altro compito, quello di<br />

ricordare a mia nonna che si dimenticava sempre il suo cognome [f<strong>in</strong>to]- che era<br />

Cappelletti- che era il nome del portiere del pa<strong>la</strong>zzo <strong>in</strong> via Os<strong>la</strong>via e cognome del<br />

mio amico d’<strong>in</strong>fanzia. Più di una volta qualcuno mi chiese come mi chiamavo e<br />

rispondevo Enrico Macchia senza esitazione senza nessun problema, avevo quasi<br />

rimosso il nome Modigliani. Ed è stato <strong>in</strong> questa casa che è successo un piccolo<br />

partico<strong>la</strong>re che ricordo molto bene e qu<strong>in</strong>di questo dimostra quanto avessi capito e<br />

mi fossi immedesimato nel ruolo. Una sera vennero a trovarci <strong>la</strong> contad<strong>in</strong>a del<strong>la</strong><br />

casa di fronte e io <strong>in</strong> quel momento stavo andando a letto e come tutte le sere stavo<br />

dicendo Shemà Israel, come ho sentito che arrivava questa signora, senza nessuno<br />

che mi dicesse niente, mentre stavo su letto giungo le mani e dico «Ave Maria» e<br />

non sapevo andare avanti! Mi sono subito immedesimato nel ruolo. E <strong>in</strong> questa<br />

casa è avvenuto un episodio, chiamiamolo, un gioco che facevano i miei genitori...<br />

che ogni volta che lo rievoco non riesco a non commuovermi, <strong>in</strong>credibile, ogni<br />

volta dico questa volta lo devo raccontare e <strong>in</strong>vece ... il gioco consisteva <strong>in</strong> questo:<br />

<strong>la</strong> casa era su due piani, <strong>la</strong> nostra stanza da letto era al secondo piano. Mia madre<br />

doveva tener chiusa <strong>la</strong> porta, mio padre doveva legarmi una corda attorno al<strong>la</strong> vita<br />

e io dovevo tenere <strong>in</strong> braccio mia sorel<strong>la</strong> di sei mesi, e mio padre mi ca<strong>la</strong>va dal<strong>la</strong><br />

f<strong>in</strong>estra con questa corda, e una volta sceso giù mi dovevo slegare e correre nel<strong>la</strong><br />

casa dei contad<strong>in</strong>i di fronte. Non è stato fortunatamente necessario, però il<br />

concetto, ogni volta che ci penso è questo: che mio padre e mia madre, dovevano<br />

prendere tempo mentre le SS facevano irruzione <strong>in</strong> casa, mia madre doveva riuscire<br />

per pochi secondi a tenere <strong>la</strong> porta chiusa <strong>in</strong> attesa che mio padre ci facesse fuggire<br />

e ci liberasse. Questo però era rappresentato come un gioco che io facevo con<br />

molta partecipazione e comprensione e immag<strong>in</strong>o di averne capito molto bene il<br />

significato, però lo vivevo come un gioco, e questo, <strong>in</strong> un certo senso, mi ha fatto<br />

comprendere e apprezzare <strong>in</strong> modo partico<strong>la</strong>re il modo di raccontare di Benigni nel<br />

film La vita è bel<strong>la</strong>. Con questa esperienza posso dire di aver vissuto qualcosa di<br />

simile. 42<br />

Ne La vita è bel<strong>la</strong>, Guido Orefice per proteggere il figlio dal<strong>la</strong> crudeltà del<strong>la</strong><br />

<strong>persecuzione</strong>, utilizza l’umorismo e l’allegria trasformando gli aggressori <strong>in</strong> qualcosa<br />

di divertente. La f<strong>in</strong>zione cont<strong>in</strong>ua anche all’<strong>in</strong>terno del campo di concentramento<br />

f<strong>in</strong>ché Orefice non viene assass<strong>in</strong>ato prima del<strong>la</strong> liberazione. Lo scopo però è<br />

raggiunto: Guido riuscirà a far credere al bamb<strong>in</strong>o che quello che stanno vivendo è<br />

una sorta gioco a premi con un carro armato <strong>in</strong> palio. Giosuè al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e sopravvive, e<br />

“v<strong>in</strong>ce” il suo carro armato. Come ha spiegato Boris Cyrulnik, il film di Benigni non<br />

deride Auschwitz «ma illustra <strong>la</strong> funzione protettrice dell’umorismo... che ha un<br />

prezzo. Atto: I l’umorismo e l’allegria si mesco<strong>la</strong>no <strong>in</strong> un’atmosfera di festa dove<br />

l’aggressore è, a sua <strong>in</strong>saputa, comico. Atto II: grazie al loro senso dell’umorismo le<br />

vittime riescono a sopportare l’<strong>in</strong>sopportabile. Atto III: i superstiti hanno v<strong>in</strong>to. “Da<br />

schiantare dal ridere”. La frase che chiude il film mostra l’ambivalenza dei<br />

meccanismo di difesa che proteggono ma hanno un loro prezzo» 43 . Il film non scredita<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e <strong>la</strong> memoria di chi perdette <strong>la</strong> vita nel<strong>la</strong> Shoah, ma al contrario <strong>la</strong> alimenta,<br />

raccontando <strong>la</strong> storia come questa è stata percepita da una vittima che, senza il<br />

favolistico <strong>in</strong>tervento paterno, avrebbe rappresentato per il bamb<strong>in</strong>o una ferita aperta<br />

al<strong>la</strong> pari di altre storie del<strong>la</strong> Shoah: «Questa è <strong>la</strong> mia storia. Questo è il sacrificio che<br />

mio padre ha fatto, questo è stato il suo regalo per me», al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e del film ecco <strong>la</strong> voce<br />

adulta di Giosuè che ricompone <strong>la</strong> sua memoria di bamb<strong>in</strong>o con quel<strong>la</strong> di adulto<br />

consapevole, <strong>la</strong> sua favo<strong>la</strong> personale con <strong>la</strong> storia reale.<br />

L’immag<strong>in</strong>e che un bamb<strong>in</strong>o ha del proprio passato è diversa<br />

dall’e<strong>la</strong>borazione che viene fatta di questa immag<strong>in</strong>e una volta adulti. «Un<br />

42 Intervista del<strong>la</strong> Shoah Fondation a Enrico Modigliani.<br />

43 Boris Cyrulnik, Un merveilleux malheur, Odile Jacob, 1999 (trad. it. Il dolore meraviglioso.<br />

Diventare adulti sereni superando i traumi dell’<strong>in</strong>fanzia, Frass<strong>in</strong>elli, Mi<strong>la</strong>no 2000, pp. 8-9.<br />

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