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Le Vite - Fondazione Memofonte

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mie diletteranno coloro che non sono di questi esercizii, e diletteranno e giove[I. 9]ranno a chi ne ha<br />

fatto professione. Perché, oltra che nella Introduzzione rivedranno i modi dello operare e nelle <strong>Vite</strong><br />

di essi artefici impareranno dove siano l’opere loro et a conoscere agevolmente la perfezzione o<br />

imperfezzione di quelle e discernere tra maniera e maniera, e’ potranno accorgersi ancora quanto<br />

meriti lode et onore chi con le virtù di sì nobili arti accompagna onesti costumi e bontà di vita, et<br />

accesi di quelle laudi che hanno conseguite i sì fatti, si alzeranno essi ancora a la vera gloria. Né si<br />

caverà poco frutto de la storia, vera guida e maestra delle nostre azzioni, leggendo la varia diversità<br />

di infiniti casi occorsi agli artefici, qualche volta per colpa loro e molte altre della fortuna.<br />

Resterebbemi a fare scusa de lo avere alle volte usato qualche voce non ben toscana, de la qual cosa<br />

non vo’ parlare, avendo avuto sempre più cura di usare le voci et i vocaboli particulari e proprii<br />

delle nostre arti, che i leggiadri o scelti della delicatezza degli scrittori. Siami lecito adunque usare<br />

nella propria lingua le proprie voci de’ nostri artefici, e contentisi ognuno de la buona volontà mia,<br />

la quale si è mossa a fare questo effetto non per insegnare ad altri, che non so per me, ma per<br />

desiderio di conservare almanco questa memoria degli artefici più celebrati, poiché in tante decine<br />

di anni non ho saputo vedere ancora chi n’abbia fatto molto ricordo. Conciosiaché io ho più tosto<br />

voluto con queste roz[z]e fatiche mie, ombreggiando gli egregii fatti loro, render loro in qualche<br />

parte l’obligo che io tengo alle opere loro che mi sono state maestre ad imparare quel tanto che io<br />

so, che malignamente, vivendo in ozio, esser censore delle opere altrui accusandole e riprendendole<br />

come alcuni spesso costumano.<br />

Ma egli è oggimai tempo di venire a lo effetto.<br />

Il fine del proemio [I. 10]<br />

INTRODUZZIONE<br />

DI<br />

MESSER GIORGIO VASARI PITTORE ARETINO<br />

ALLE TRE ARTI<br />

DEL DISEGNO<br />

cioè<br />

ARCHITETTURA, PITTURA<br />

E SCOLTURA, E PRIMA DELL’ARCHITETTURA<br />

Cap. I<br />

Delle diverse pietre che servono agl’architetti<br />

per gl’ornamenti e per le statue della Scultura.<br />

Quanto sia grande l’utile che ne apporta l’architettura non accade a me raccontarlo, per trovarsi<br />

molti scrittori i quali diligentissimamente et a lungo n’hanno trattato. E per questo, lasciando da una<br />

parte le calcine, le arene, i legnami, i ferramenti, e ‘l modo del fondare e tutto quello che si adopera<br />

alla fabrica, e l’acque, le regioni e i siti, largamente già descritti da Vitruvio e dal nostro <strong>Le</strong>on<br />

Batista Alberti, ragionerò solamente, per servizio de’ nostri artefici e di qualunque ama di sapere,<br />

come debbano essere universalmente le fabriche e quanto di proporzione unite e di corpi per<br />

conseguire quella graziata bellezza che si desidera: brevemente raccorrò insieme tutto quello che mi<br />

parrà necessario a questo proposito. Et acciò che più manifestamente apparisca la grandissima<br />

difficultà del lavorar delle pietre che son durissime e forti, ragioneremo distintamente, ma con<br />

brevità, di ciascuna sorte di quelle che maneggiano i nostri artefici, e primieramente del porfido.<br />

Questo è una pietra rossa con minutissimi schizzi bianchi, condotta nella Italia già dell’Egitto, dove<br />

comunemente si crede che nel cavarla ella sia più tenera che quando ella è stata fuori della cava alla<br />

pioggia, al ghiaccio e al sole, perché tutte queste cose la fanno più dura e più difficile a lavorarla. Di<br />

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