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Accademia di Belle Arti di Firenze<br />

Diploma di II livello<br />

Arti visive e Nuovi Linguaggi Espressivi | Grafica<br />

Anno accademico: 2011 | 2012<br />

Dalla “pittura di pietra” alla pittura di resina.<br />

Progetto di un “commesso contemporaneo”.<br />

Relatori: Prof. Paolo Parisi, Prof. Vittorio Santoianni<br />

Candidata: Ivana Frascogna<br />

1


Il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni.<br />

(Eleanor Roosvelt)<br />

2


Indice<br />

Introduzione 9<br />

Cenni storici<br />

Il Mosaico 14<br />

Intarsio - Tarsia , scagliola 18<br />

Il commesso di pietre dure 22<br />

La resina<br />

Composizione chimica 30<br />

Nascita delle resine industriali 34<br />

Gobbetto: azienda leader nella produzione di resine 36<br />

Il Papiro Art: bottega artigianale 40<br />

Progetto di un “commesso contemporaneo”<br />

La sterlizia 51<br />

Il tucano arcobaleno 57<br />

Il pesce chirurgo 63<br />

3


Bibliografia 66<br />

Introduzione<br />

Passeggiando nel cuore di Firenze, in via Ricasoli, i miei occhi furono attratti da immagini di<br />

straordinaria bellezza esposte in una bottega al numero 59-r. Il fascino di tali opere non mi fece<br />

cogliere il nome dell’insegna: “Pietre nell’Arte” tanto che il mio occhio inesperto mi portò a<br />

pensare che le meravigliose composizioni di nature morte, ritratti, paesaggi, fossero pitture.<br />

Inoltrandomi nella Galleria, che fungeva anche da laboratorio, Catia (figlia dell’artigiano del<br />

commesso <strong>Scarpelli</strong>) iniziò a spiegarmi e a raccontarmi questa tecnica tipicamente fiorentina di<br />

pietre dure.<br />

Si trattava di una pratica nata alla fine del ‘500 per l’esigenza di fornire un nuovo impulso all’arte<br />

del mosaico a tessere, caratteristico al tempo dei Medici, per poi trasformarlo in qualcosa che si<br />

avvicinasse il più possibile ad una forma di “pittura”. La suddetta poteva essere ottenuta<br />

attraverso le sfumature delle pietre dure che, fino al 1970, erano fornite da ricercatori di tali<br />

materiali.<br />

Successivamente il numero dei mosaicisti si riduceva sempre di più, i ricercatori non vivevano più<br />

di questo mestiere ed era lo stesso artigiano a dover cercare le pietre dure, in territorio nazionale,<br />

secondo la classificazione risalente al tempo dei Medici. Gli arnesi utilizzati sono pochi e tutti<br />

costruiti dagli artigiani stessi dato che non esiste un’azienda che li produca per gli operatori di<br />

questo settore.<br />

La fase preliminare, dopo aver tagliato le pietre dure a lastre di uno spessore di tre millimetri, è il<br />

disegno. In seguito inizia il lavoro dell’artefice che taglia manualmente ogni singolo pezzetto con<br />

un arco fatto di legno di ciliegio, castagno o nocciolo e un filo di ferro che, scorrendo sulla pietra,<br />

con polvere abrasiva e acqua, permette un taglio preciso. Non sono ammessi errori, pertanto la<br />

lavorazione richiede esperienza e un alto grado di preparazione, conoscenza dei materiali,<br />

attitudine per la pittura e il disegno.<br />

Nel corso degli anni ho continuato a frequentare la Galleria e a far conoscere alle persone a me<br />

più vicine questo mestiere che tanto aveva conquistato il mio animo. Ogni volta che entravo nella<br />

bottega ritrovavo sempre la stessa ospitalità, generosità e sempre qualcuno disposto ad<br />

accogliermi. Una volta a ricevermi fu proprio Renzo <strong>Scarpelli</strong>, uno dei pochissimi “artigiani del<br />

commesso attuale” che, in collaborazione con la famiglia, gestisce la bottega. La richiesta di un<br />

tirocinio mi fu negata in quanto la durata dell’apprendistato è di circa sette anni dovuta alla<br />

complessità della conoscenza dei materiali.<br />

La voglia di apprendere la tecnica del commesso fiorentino cresceva sempre di più nell’avanzare<br />

del tempo e il percorso di tesi poteva essere una giusta occasione per approfondire questa mia<br />

passione. Mi inoltrai nella ricerca di un materiale che potesse avvicinarsi alle caratteristiche delle<br />

pietre dure. Fu come inoltrarsi in una selva oscura, fin quando fui folgorata dal materiale di alcuni<br />

orecchini che al tatto somigliavano alla levigatezza delle pietre dure.<br />

4


Si trattava della resina, un materiale a me poco noto. Iniziò la mia ricerca e di fondamentale aiuto<br />

furono i tutorial di youtube sulla creazione di orecchini realizzati con questo materiale. Ho così<br />

appreso le qualità e le procedure tecniche di un materiale d’avanguardia molto utilizzato sia nel<br />

campo industriale che nel campo artistico.<br />

L’azienda leader nel settore della produzione di resine è la Gobbetto di Milano che è sempre in<br />

continua evoluzione, ricerca e collabora con artisti provenienti da tutto il mondo. Grazie alla<br />

popolarità dell’azienda, sono venuta a conoscenza di un gruppo di artisti romani, chiamato “Il<br />

Papiro Art” il quale si è reso immediatamente disponibile ad una visita al loro laboratorio.<br />

Fu così che ho conosciuto Flavio Chimenton, Lidia e Rosaria Scalzo. C’è stato subito un feeling tra<br />

noi e l’amore per l’arte ci univa. Parlammo per ore del progetto cercando soluzioni tecniche e,<br />

grazie ad una dimostrazione pratica, ho compreso le fasi preliminari dell’utilizzo della resina. È<br />

stata un’esperienza indimenticabile!<br />

Mi hanno accolto con familiarità, curiosità e mi hanno dedicato tutto il tempo che avevano a<br />

disposizione. Era un continuo scambio di idee, mescolavamo polveri di colore, il pezzo di resina<br />

iniziava a prendere forma e sembrava che l’attività delle nostre mani si concentrasse in una forma<br />

unica composta da diversi colori. Dopo aver capito che la resina è un bicomponente, i cui<br />

costituenti vengono miscelati secondo determinate proporzioni, che da uno stato liquido passa ad<br />

uno stato solido, chiesi come potevo tagliare i pezzi di resina precedentemente ottenuti. Flavio<br />

Chimenton mi propose l’idea di utilizzare un dremel che ha la forma di un piccolo trapano. Provai<br />

diverse punte ma quella che si prestava di più ad un taglio abbastanza veloce, era la stessa punta a<br />

spirale che utilizzavo per fare un buco nella resina e iniziare il taglio.<br />

Sagomare il pezzo risulta assai complicato in quanto la potenza del dremel è elevata e la resina si<br />

taglia come burro. Per evitare sbagli, i bordi non vengono tagliati perfettamente in quanto sarà un<br />

disco di carta vetrata, applicata alla punta del dremel, a rendere i contorni lisci. Grazie a questo<br />

memorabile incontro, iniziai a sostituire gli utensili utilizzati dal commesso fiorentino di pietre<br />

dure con attrezzi moderni. L’intento è quello di provare a dare nuova vita con nuove forme a un<br />

meraviglioso e antichissimo mestiere in via di sparizione che è scarsamente conosciuto nel mondo<br />

contemporaneo. Con il supporto di Catia <strong>Scarpelli</strong> e alcuni suggerimenti dati da Leonardo<br />

<strong>Scarpelli</strong> ho cercato di riproporre in chiave moderna la tecnica del commesso fiorentino di pietre<br />

dure utilizzando un materiale moderno che va ad aggiungersi a quelli già storicizzati del mondo<br />

dell’arte.<br />

5


CENNI STORICI<br />

Il mosaico<br />

Il termine mosaico è di origine incerta e vi sono molteplici ipotesi avanzate dagli<br />

studiosi in tal proposito. Alcuni lo fanno derivare dal greco µουσαικόν (musaikòn),<br />

che significa “opera paziente degna delle muse”. In latino veniva chiamato opus<br />

musivum, cioè “opera delle Muse” oppure “rivestimento applicato alle grotte<br />

dedicate alle Muse stesse”. Il richiamo alle Muse (divinità protettrici delle Arti e<br />

delle Scienze) è dovuto all’usanza degli antichi romani di costruire, nei giardini<br />

delle ville, grotte e anfratti dedicati alle Ninfe (nymphaeum) o Muse (musaeum)<br />

decorandone le pareti con sassi e conchiglie.<br />

Quindi musaeum o musivum indica la grotta e opus musaeum o opus musivum indica il<br />

tipo di decorazione murale.<br />

Per indicare l’opera musiva, tra gli artisti, si coniò il termine musaicus.<br />

Il mosaico è una composizione pittorica ottenuta mediante l’accostamento di<br />

frammenti di materiali, solitamente a forma di parallelepipedi, chiamati “tessere”.<br />

Le tessere venivano fissate di solito alle strutture murarie a mezzo di mastici o<br />

comunque di cementanti; gli artisti le disponevano (e in molti casi le dispongono<br />

ancora) nella malta fresca, talvolta seguendo un disegno che vi avevano tracciato.<br />

Il cemento di posa non è sempre eguale; presso i Romani era formato da pozzolana,<br />

polvere di marmo o mattone, calce spenta e acqua, mescolati in proporzioni diverse<br />

a seconda del lavoro da eseguire e delle condizioni ambientali. Con questi composti<br />

si preparava la base del mosaico, si lasciava essiccare e si tracciava il disegno che<br />

serviva da guida. In passato si tracciava il disegno di base su uno strato di gesso<br />

dello stesso spessore delle tessere.<br />

Successivamente si toglieva il gesso, creando un vano che scoprisse il cemento in cui<br />

si disponeva un nuovo strato di cemento a grana sottile e piuttosto liquido. Le<br />

tessere venivano applicate su questo strato e si procedeva al completamento del<br />

mosaico. L’arte musiva subì un declino che favorì un vero e proprio artigianato. Gli<br />

6


artisti utilizzavano un foglio su cui avevano precedentemente creato il disegno e<br />

applicavano sullo stesso, con collanti solubili in acqua, le tessere capovolte.<br />

Successivamente posavano sull’intonaco fresco il mosaico preparato in modo da<br />

lasciare il foglio in superficie.<br />

Quando la malta aveva fatto presa, e le tessere si erano fissate, si staccava la carta<br />

bagnandola con acqua e, sezione per sezione, un semplice esecutore montava il<br />

pannello.La diffusione del mosaico si deve ai Romani grazie ai quali, per le tecniche<br />

messe in atto, si possono distinguere diversi tipi di mosaico: l’opus alexandrinum,<br />

l’opus tessellatum, l’opus vermiculatum, l’opus signinum, l’opus sectile.<br />

L’opus alexandrinum è un insieme di piccoli elementi, alcuni bianchi, altri neri, in<br />

genere quadrangolari, irregolari e di piccolo spessore, spezzati rozzamente e<br />

disposti a disegno su un fondo di colore unito, di solito rosso.<br />

L’opus tessellatum ha figure composte da tessere quadrangolari tagliate a linee rette<br />

sui lati in vista. Grazie alla forma precisa delle tessere appare come un reticolo<br />

geometrico, compatto e regolare.<br />

L’opus vermiculatum prevede l’impiego di tessere minuscole a forma cubica, tagliate<br />

con grande precisione, disposte su filari che si muovono come vermi. Si può<br />

considerare come l’opus musivum più dettagliato, dove il virtuosismo e l’abilità del<br />

maestro sono caratteristiche esecutive indispensabili. In esso i marmi, gli smalti e<br />

anche le pietre, come lapislazzuli, diaspro, cornalina, alabastro, agata e onice, oltre<br />

alle paste vitree, e più raramente la terracotta, sono tagliati come più aggrada<br />

all’artefice, adattando le dimensioni e la forma dei tasselli, ridotti anche in<br />

minutissimi frammenti, alle necessità figurative, per ottenere toni ed effetti diversi.<br />

L’opus signinum deriva dal latino e si riferisce alla città di Segni, nei pressi di Roma,<br />

dove fu inventato.Veniva utilizzato esclusivamente nei pavimenti, sui quali con<br />

cementanti composti di calce o argilla veniva fissato il disegno realizzato con i lapilli<br />

(sassolini di torrente). Le tessere erano assai distanziate fra loro ed erano disposte<br />

secondo “grafismi”, semplici tracce geometriche.<br />

Questa tecnica tendeva a definire solo il contorno di una raffigurazione.<br />

Successivamente fu portata all’individuazione dei decori e quindi al mosaico italico<br />

in bianco e nero. L’opus sectile differisce sostanzialmente da tutti gli altri, perché si<br />

tenta di ottenere composizioni il più vicino possibile ad una forma di “pittura”.<br />

Venivano utilizzati marmi colorati e, raramente, pietre dure ritagliate secondo i<br />

contorni delle figure e poste ad incastro. Ciò che conferiva al mosaico la<br />

caratteristica di un dipinto a macchie grandi era proprio la mancanza di chiaroscuro<br />

7


a favore di colori uniformi. L’opus sectile può dunque dirsi a metà fra il mosaico e<br />

l’intarsio.<br />

Intarsio - Tarsia, scagliola<br />

Sebbene intarsio e tarsia siano sinonimi (dall’arabo tarsi, derivato di rassa, intarsiare:<br />

commettitura) si può notare una sottile differenza esistente, desumibile dalla<br />

semantica dei due termini.<br />

Il primo, in-tarsus, prevede necessariamente l’inclusione di un materiale in un<br />

supporto inciso; mentre il secondo, tarsus, significa letteralmente “graticcio” e non<br />

richiede la presenza di un supporto in vista come nel caso dell’intarsio.<br />

La tecnica dell’intarsio differisce dal mosaico in quanto viene messa in opera<br />

incidendo una superficie rigida a secondo del disegno stabilito, in modo da ottenere<br />

degli incavi, a mezzo di scalpello o altro arnese idoneo, in cui verranno inseriti degli<br />

elementi sagomati fissati da un collante.<br />

Il taglio preciso e la perfetta adesione al supporto rendono impercettibili le<br />

commettiture, al contrario del mosaico in cui sono visibili le fughe tra i tasselli.<br />

Per quanto riguarda l’origine dell’intarsio, anche se non è possibile precisarne una<br />

data, Plinio ne attribuisce l’introduzione in Roma a Mamurra, cavaliere romano<br />

originario di Formia e praefectus fabrorum di Cesare in Gallia. L’intarsio inizia ad<br />

espandersi in Italia ed in particolare in Piemonte, Emilia Romagna, Veneto,<br />

Campania e Toscana (soprattutto Siena, Pisa e Firenze).<br />

Il vero trionfo della tarsia si celebra a Napoli nella grandiosa chiesa della Certosa di<br />

San Martino. Dopo Giovan Battista Dosio (1591), qui vi lavorò il bergamasco<br />

Cosimo Fanzago (dal 1623 al 1656), a cui si deve gran parte della decorazione<br />

interna. È un tipo di tarsia che nel pavimento si avvicina moltissimo al commesso,<br />

perché sfrutta, nei loro effetti cromatici, marmi con venature caratteristiche.<br />

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La cementazione è fatta nel massetto del pavimento, interamente coperto; i pezzi<br />

sono tagliati approssimativamente, secondo il gusto dell’epoca, e uniti in modo da<br />

creare un disegno unico.<br />

Nel frattempo in Asia e in Oriente ci furono invasioni e conquiste e si ebbero<br />

momenti di importazione ed esportazione.<br />

Le influenze indo-islamiche fecero apprezzare, a svantaggio dei marmi, le pietre<br />

semipreziose e variamente colorate che con la lucidatura e la levigatura<br />

acquistavano lucentezza e trasparenza.<br />

Fu così che nel XVII secolo la decorazione a tarsia e ad intarsio marmoreo, come<br />

ornamento di pareti e pavimenti, decadde a favore della decorazione di mobili,<br />

interamente di legno oppure decorati con applicazioni di formelle di pietre<br />

semipreziose o dure.<br />

A sostituire la tecnica di marmi intarsiati fu la scagliola, detta anche “meschia” in<br />

quanto caratterizzata dalla mistura di diversi componenti, che divenne una vera e<br />

propria espressione artistica del XVII secolo. La fase preliminare per la lavorazione è<br />

la costruzione di un telaio in legno, inchiodato su una superficie perfettamente<br />

piana e coperta da un telo di canapa o lino.<br />

Il telaio viene riempito con un impasto di gesso in cui si affoga un’intelaiatura di<br />

cannette, paglia o laterizi in modo da creare una lastra di supporto sufficientemente<br />

leggera e resistente.<br />

Completata l’essiccatura, di oltre due settimane, la lastra viene appoggiata su due<br />

cavalletti di legno con la parte telata verso l’alto.<br />

Inizia poi la lavorazione della scagliola o “meschia”, realizzata con un impasto di<br />

gesso, colla da falegname a cui vengono aggiunti pigmenti per la colorazione.<br />

Il risultato è una pasta molle che viene stesa uniformemente sulla lastra di base.<br />

Una volta essiccato il secondo strato si riporta il disegno sulla superficie, con<br />

tecniche che variano da bottega a bottega, e poi si procede all’incisione e allo scavo.<br />

All’interno dei solchi, opportunamente bagnati per favorire l’adesione del materiale,<br />

si inseriscono gli impasti di scagliola colorata che, una volta essiccati, si levigano con<br />

una serie di pietre. In passato venivano utilizzate pietre cosiddette lucidanti come la<br />

pietra di Scozia o serpentina, la pietra di Candia, l’agata e l’ematite.<br />

In sostituzione di queste pietre che si trovano lungo i fiumi o in qualche negozio<br />

specializzato ma difficilmente reperibili in commercio, si possono utilizzare carte<br />

abrasive raggiungendo caratteristiche simili. Una volta terminato il ciclo di<br />

9


levigatura che è il vero segreto del mestiere, la scagliola viene lasciata ad asciugare<br />

in modo che tutta l’acqua possa evaporare.<br />

Fa seguito la lucidatura realizzata con olio d’oliva cotto o olio di noce e pulito con<br />

una miscela di cera d’api e cera carnauba sciolta con essenza di trementina.<br />

Con questo procedimento, la scagliola risulta protetta dagli attacchi esterni,<br />

perfettamente impermeabile, con un effetto lucido e luminoso nel tempo.<br />

A differenza delle tecniche pittoriche di imitazioni del marmo, la lavorazione della<br />

scagliola riesce ad imitare qualsiasi tipo di pietra e marmo. La caratteristica più<br />

interessante della scagliola è quella di essere malleabile durante la lavorazione e<br />

solida come la pietra una volta in opera.<br />

Il commesso di pietre dure<br />

L’arte del commesso di pietre dure, conosciuta anche come mosaico fiorentino, ebbe<br />

notevole impulso nella Firenze cinquecentesca ad opera della famiglia Medici e fu<br />

perfezionata nel corso dei secoli grazie all’istituzione, nel 1558, dell’Opificio delle<br />

Pietre Dure.<br />

“Commesso” (dal latino committere, mettere insieme, unire) venne usato per la<br />

prima volta a Firenze nel XVI secolo, per indicare le opere d’arte in pietre dure,<br />

formate da piccoli elementi sagomati secondo il disegno e messi insieme in modo da<br />

formare una composizione pittorica piana che non facesse notare le commettiture.<br />

La peculiarità di queste opere d’arte è la durata; esse non vengono né alterate dalla<br />

luce né dal tempo.<br />

È necessario che l’artefice sia dotato di estrema pazienza, esperienza, un alto grado<br />

di preparazione e un vasto campionario di pietre dure per poter realizzare l’effetto<br />

desiderato.<br />

Fino al 1970 gli artigiani del commesso facevano uso di pietre importate dai<br />

ricercatori di pietre dure. Successivamente, quando il numero dei mosaicisti diminuì<br />

e i ricercatori non potevano vivere più di questo mestiere, gli artigiani iniziarono a<br />

cercare le pietre dure, in territorio nazionale, facendo riferimento alle pietre<br />

classificate al tempo dei Medici.<br />

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Le pietre dure vengono tagliate in lastre con uno spessore di tre millimetri. Per<br />

effettuare il taglio, si fissa prima il pezzo in una morsa; quindi si cosparge il filo (o la<br />

lama) di smeriglio e acqua, e lo si muove secondo un moto orizzontale alternativo<br />

(come per tagliare un pezzo di legno). Quanto più sottili sono le lame (o i fili), più<br />

esigua sarà la fessura prodotta dal taglio e inferiore la perdita di materiale pregiato.<br />

Quando è necessario tagliare pezzi di grandi dimensioni e di difficile manovra, si<br />

usano macchine dotate di telai e di lame di ferro anche multiple (mosse, un tempo,<br />

dalla forza dell’uomo, dell’acqua o di animali; poi da macchine a vapore, oggi da<br />

energia elettrica), capaci di tagliare più lastre insieme.<br />

Dopo aver tagliato in lastre le pietre dure dello spessore desiderato e dopo aver<br />

creato il disegno dettagliato si procede al foro della pietra per iniziare l’operazione<br />

di sagomatura.<br />

Nelle pietre dure si aprono fori con strumenti di facile impiego, capaci di far ruotare<br />

attorno al proprio asse tubicini di ottone, di ferro o di rame, chiamati cannelle,<br />

incrostati costantemente di smeriglio e bagnati con acqua. Le cannule, funzionanti<br />

come le punte del trapano, debbono avere un moto lento; un tempo erano mosse da<br />

curiosi arnesi detti comunemente “violini” (trapani alternativi). Lo strumento è<br />

detto violino perché l’arco e il movimento ricordano vagamente lo strumento<br />

musicale. Un altro attrezzo, usato in passato per i fori era il trapano alternativo. I<br />

trapani ultrasonici, con i quali si forano in pochi minuti anche oggetti di grande<br />

spessore - con una precisione assai più grande di quella ottenuta con i semplici<br />

mezzi meccanici - hanno portato un grande progresso. Con l’ultrasonico si possono<br />

ritagliare, contornare, sbozzare e rifinire i pezzi scolpiti: tutto con eccezionale<br />

sicurezza. Il pezzo tagliato, ed eventualmente forato, dovrà poi essere sbozzato,<br />

levigato e infine lucidato.<br />

Si inizia con una spianatura sommaria (la sgrossatura) a mezzo di sabbia silicea<br />

oppure - meglio e più rapidamente - con smeriglio di grana grossa e acqua,<br />

strofinando la superficie contro una lastra metallica piana (di ferro, ghisa, bronzo) e<br />

di spessore tale da non subire deformazioni per effetto della pressione (meglio se<br />

tonda e fatta ruotare orizzontalmente). Se si deve spianare una fetta più grande, è<br />

meglio procedere all’inverso, fissarla cioè a un tavolo rigido, e lavorarla con un’altra<br />

lastra metallica fornita di manopola.<br />

Per la prima sgrossatura, e per le operazioni successive alla lucidatura, si possono<br />

adoperare, invece del metallo, blocchetti di agata con faccia piana e di forma che<br />

faciliti l’impugnatura.<br />

11


Bisognerà insistere a lungo in questa operazione, con smerigli di grana via via più<br />

fine, fino a ottenere una superficie opaca che non rivela ancora la colorazione (i<br />

colori appariranno solo se bagnati con acqua) ma che si fa liscia e uniforme.<br />

Quando infine lascerà intravedere lucidità e colore, si giungerà all’ultima fase. A<br />

poco a poco e, usando molta pazienza, si vedranno apparire i colori con tutta la loro<br />

brillantezza. Difficile poter stabilire il tempo necessario (solo l’esperienza può dare<br />

indicazioni); esso dipende da fattori diversi: la pressione esercitata, la rapidità del<br />

movimento, la qualità dell’abrasivo adoperato.<br />

Un accorgimento importante è quello di non eseguire operazioni di lucidatura entro<br />

ambienti esposti alla polvere, in quanto il pulviscolo, anche se visibile solo con luce<br />

intensa e radente, è dannosissimo e può provocare graffiature indelebili.<br />

Grazie alla preparazione delle pietre dure il commesso può iniziare a scegliere, dal<br />

campionario presente nel suo laboratorio, la lastra che ritiene più adatta su cui si<br />

attacca la porzione di disegno da riprodurre (tagliato sulla carta). Si usano colle<br />

solubili in acqua per poterla togliere al momento opportuno. Si fissa quindi la fetta<br />

in una morsa e si inizia il taglio con il filo dell’arco che viene costruito ancora<br />

artigianalmente, proprio come un arco da tiro. Il ramo adatto viene scelto nel bosco<br />

e può essere di ciliegio, di nocciolo o di castagno. Deve essere un pezzo unico, liscio,<br />

senza ramificazioni in modo che non si creino rotture. Si piega a fuoco da fresco e si<br />

mette in tensione a stagionare. La dimensione dipende dagli usi specifici e vi si<br />

applica, alle due estremità, del filo di ferro morbido adatto per segare la pietra. Per<br />

agevolare il taglio si utilizza un abrasivo, il carburo di silicio, una pasta grigia con<br />

cui si copre via via il ferro, mentre si fa scorrere su e giù nella lastra di pietra.<br />

Si deve agire ponendo l’arco a quarantacinque gradi in modo che il taglio sia<br />

inclinato verso la parte posteriore.<br />

Questo per varie ragioni: perché gli spigoli vivi possano combaciare bene nella<br />

faccia vista del commesso; perché sia possibile un ulteriore rifinitura, eseguita con<br />

lime sottili di acciaio o in abrasivo; perché nel corso dell’incollaggio il collante venga<br />

ad occupare una superficie maggiore e acquisti più aderenza; infine, perché nella<br />

fase di pulitura e di lucidatura si hanno risultati più sicuri se le commettiture<br />

risultano più nette e il collante non affiora.<br />

Ritagliato il contorno di ogni elemento, composta la figurazione pittorica e<br />

controllata la perfetta aderenza delle parti, si dispone l’opera su un piano<br />

indeformabile, in modo che la faccia che verrà in vista si trovi adagiata al rovescio.<br />

Si attacca, a questo punto, la faccia del commesso alla lastra di comodo che poi sarà<br />

12


eliminata; questa potrà essere di marmo, di travertino o simili.Può bastare che il<br />

fissaggio (con gesso) sia limitato al contorno, pur assicurando la piena aderenza del<br />

piano: da questa operazione dipende la riuscita del lavoro. Da questo momento si<br />

procede alla spianatura, mediante abrasivo a grana grossa, della parte retrostante,<br />

facendo attenzione che le due facce, anteriore e posteriore, risultino ben parallele. Si<br />

prepara quindi un mastice composto di semplice cera d’api e colofonia (una parte di<br />

cera e due di colofonia) e si scalda fino alla fusione dei componenti; si mescola bene<br />

e si versa il liquido caldo sul rovescio del commesso, prima lavato accuratamente,<br />

quindi lasciato seccare e leggermente scaldato (in passato era esposto al sole), in<br />

modo che il mastice penetri nelle fessure predisposte. Si adagia quindi sul retro<br />

della tarsia la lavagna (dopo un leggero riscaldamento): questa costituirà il vero<br />

piano di posa. Quando il mastice si è ben essiccato, si inizia l’ultima operazione e<br />

cioè quella di pulitura, adoperando piani di ferro o di agata e facendo attenzione a<br />

non produrre avvallamenti (anche in questa fase non è consigliabile l’uso di mezzi<br />

meccanici).<br />

LE RESINE<br />

Composizione chimica<br />

Con resina artificiale, o resina sintetica, si intende in genere un materiale viscoso, di<br />

aspetto simile alla resina vegetale, capace di indurirsi a freddo e a caldo. Si tratta in<br />

genere di un’ampia classe di differenti e complessi polimeri, che si possono ottenere<br />

con una grande varietà di metodi e materie prime.<br />

Fra le resine sintetiche più comuni citiamo le resine fenoliche, le resine acriliche, le<br />

resine poliestere insature e le resine vinil-estere.<br />

Una resina sintetica non viene in genere commercializzata come tale, ma ne<br />

vengono venduti i suoi precursori, nella forma di due componenti separati -<br />

l’oligomero e l’agente reticolante - che vengono miscelati al momento dell’uso. La<br />

miscelazione innesca la reazione di reticolazione che trasforma l’oligomero,<br />

solitamente un liquido oleoso poco viscoso capace di adattarsi ai più piccoli dettagli<br />

13


dello stampo, nel polimero solido, una materia plastica solitamente trasparente che<br />

può venire successivamente lavorata, colorata e decorata.<br />

In particolare ci soffermeremo su un tipo di resina epossidica denominata “poliepo<br />

gc 505 extra” in quanto la stessa sarà utilizzata per la creazione delle pitture di<br />

resina.<br />

La poliepo gc 505 extra è un compound epossidico esente da solventi, atossico<br />

appositamente studiato per la finitura a “laccatura” di pavimentazioni in resina,<br />

civili e residenziali. Le resine basi costituenti la poliepo 505 extra sono state<br />

accuratamente selezionate per assicurare un’ottima trasparenza, una facile stesura<br />

ed una buona resistenza meccanica ed all’usura. La formulazione a bassa viscosità<br />

consente un buon livellamento e riduce notevolmente la formazione di schiuma o<br />

bolle d’aria. È esente da solventi, quindi i pericoli di irritazione determinanti da<br />

contatto durante l’applicazione sono ridotti al minimo. Il catalizzatore, a base di<br />

ammine cicloalifatiche, assicura una buona stabilità ai raggi UV, trasparenza, buona<br />

resistenza chimica e meccanica.<br />

Impieghi: laccature autolivellanti con effetto vetrificante su pavimentazioni in<br />

resina, come protezione ed evidenziazione di “loghi”, disegni ed immagini<br />

sottostanti (la tendenza all’ingiallimento è molto ridotta rispetto ad altri compound<br />

epossidici).<br />

Modo d’uso: miscelare accuratamente la parte A con la parte B nella proporzione<br />

100-50 in peso (es. A = kg. 1,0 + B = kg. 0,5); utilizzare trapano miscelatore oppure<br />

un bastone a sezione rettangolare in modo da passare bene vicino alle pareti e sul<br />

fondo del contenitore (travasare eventualmente in un’altra latta per ottenere una<br />

perfetta omogeneizzazione fra i due componenti).<br />

Versare lentamente sulla superficie da trattare ed aiutare il livellamento con una<br />

spatola liscia o dentata.<br />

Il dente della spatola può essere utile per determinare lo spessore desiderato; es. per<br />

ottenere lo spessore medio di 1,5 mm. è consigliato il dente da 5-7 mm., tenendo la<br />

spatola inclinata di 30-40° (una volta stesa la resina con la parte dentata della spatola<br />

ripassarla con la parte liscia accarezzandola in modo da assicurare il perfetto<br />

livellamento). Alcuni applicatori prediligono la spatola liscia.<br />

La resina deve essere utilizzata entro 15-20 minuti dalla miscelazione dei due<br />

componenti.<br />

Non utilizzare in presenza di umidità; applicare su superfici asciutte ed in ambienti<br />

con temperature non inferiori ai 18°.<br />

14


Eviatere se possibile di applicare nelle giornate molto umide e tener conto che nelle<br />

ore serali l’umidità tende ad aumentare; prediligere le ore del mattino e del primo<br />

pomeriggio.<br />

Se usata in prossimità di fonti di luce solare diretta, mascherare le vetrate durante la<br />

stesura per un minimo di due o tre giorni.<br />

Nascita delle resine industriali<br />

Le resine, pur essendo un materiale innovativo, non sono un’invenzione recente.<br />

Già alla fine degli anni Cinquanta, le resine venivano utilizzate per la costruzione di<br />

barche e di aerei.<br />

Sono stati gli architetti, gli artisti e i designer ad utilizzare, nei Cinquanta anni<br />

seguenti, questo materiale per metterne in risalto le caratteristiche tecniche ed<br />

esaltarne le valenze estetiche.<br />

Negli anni Sessanta e Settanta le resine vengono utilizzate per industrie alimentari e<br />

farmaceutiche che necessitano di pavimenti in grado di resistere a sostanze<br />

aggressive e composti chimici.<br />

15


Negli anni Ottanta e Novanta c’è stato un trasferimento tecnologico dalle<br />

pavimentazioni industriali a quelle civili e residenziali.<br />

Ha avuto larga diffusione grazie ai suoi particolari requisiti tecnici che differisono<br />

sostanzialmente da una classica pavimentazione in mattonelle. Il pavimento in<br />

resina è l’unico che si presenta come pezzo unico, privo di giunti, di linee, di<br />

barriere e le campiture possono raggiungere estensioni di 600/700 metri con<br />

spessori dai 2 ai 4 millimetri. Oltre al punto di vista estetico, la resina è anche<br />

funzionale alla vita quotidiana, si pulisce facilmente ed è particolarmente igienica,<br />

quindi una soluzione originale ma pratica per l’arredamento domestico. Iniziano,<br />

così, ad approdare nel settore civile residenziale oggetti di uso domestico rivestiti di<br />

resina, utilizzando tecniche decorative tipiche veneziane come quella del nuvolato,<br />

con effetti spatolati e colori personalizzabili.<br />

Le caratteristiche tecnico-artistiche delle resine fanno innamorare architetti,<br />

designer, artisti e diventano un materiale indispensabile per i creativi di tutto il<br />

mondo.<br />

Grazie alla passione di questo materiale iniziano a nascere aziende che producono<br />

resine industriali, showroom, atelier e botteghe.<br />

Gobbetto<br />

Gobbetto, azienda leader nella produzione di resine, nasce alla fine degli anni<br />

Cinquanta quando le resine venivano utilizzate prevalentemente per la costruzione<br />

di barche e di aerei. È proprio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, infatti, che<br />

l’Azienda presieduta da Giancarlo Gobbetto brevetta la prima linea di resine<br />

monolitiche, Monosint®, ideale per i rivestimenti di pavimenti, pareti e superfici in<br />

genere nel settore industriale, per rispondere alle esigenze del settore edile –<br />

prevalentemente industrie alimentari e farmaceutiche.<br />

16


L’obiettivo degli anni Ottanta è quello di estendere l’applicazione anche agli ambiti<br />

residenziali e commerciali. Gobbetto presenta infatti due nuove linee per interni:<br />

Gobbetto Dega Art® e Gobbetto Dega® Spatolato, che consentono di ottenere effetti<br />

spatolati, decorati e colori personalizzabili, affermandosi anche nel settore<br />

dell’architettura civile per abitazioni, uffici e spazi commerciali.<br />

L’Azienda in quegli anni conosce un grande fermento produttivo, arrivando a<br />

presentare la linea per esterni denominata Gobbetto Dega® Carpet. Oltre alla<br />

moglie Itala, da sempre a fianco di Giancarlo Gobbetto, negli anni Novanta fanno il<br />

loro ingresso in Azienda i figli Gianluca e Clarissa. Entrambi promuovendo le<br />

nuove ricerche tecnologiche e di applicazione dei prodotti, incoraggiano soluzioni<br />

estetiche sempre più inedite. L’ingresso nel terzo millennio è per Gobbetto un<br />

momento di grande slancio progettuale. L’impossibile diventa possibile.<br />

Le resine diventano il materiale indispensabile utilizzato dai creativi di tutto il<br />

mondo. Le superfici in resina sono flessibili, elastiche, assumono colorazioni e<br />

consistenze luminose esclusive; avvolgono e ricoprono qualsiasi tipo di oggetto o<br />

materiale. Si iniziano a realizzare pavimenti in resina asportabili.<br />

È in questi anni che l’Azienda presenta nuove proposte come Flexint® un’esclusiva<br />

resina morbida, Gobbetto Dega® Texture, un’originale finitura che richiama gli<br />

elementi della natura, Poliepo® Termo, una resina termosensibile e Poliepo®<br />

Biolux, una resina fosforescente, Street Spot® e Street Spot® Autoposante, una<br />

soluzione per pavimenti calpestabili, autoposanti, removibili e successivamente<br />

riutilizzabili. Nel frattempo lo showroom di via Carroccio a Milano, che all’inizio<br />

era frequentato in prevalenza da posatori, muratori, imprese e tecnici di cantiere, è<br />

sempre più frequentato da progettisti ed artisti alla ricerca di soluzioni<br />

personalizzate per valorizzare il proprio lavoro e la propria creatività; sempre<br />

affiancati dalla ricerca tecnica e applicativa dello stabilimento di Trezzano sul<br />

Naviglio. La scelta di citare l’azienda Gobbetto è dovuta al merito di coinvolgere<br />

artisti ed è sempre più protagonista nel mondo dell’arte. Infatti, l’azienda Gobbetto,<br />

sensibile alle necessità e alle esigenze applicative degli artisti, in occasione del<br />

Salone del Mobile 2009, ha presentato Resinopolis, nella prestigiosa cornice del<br />

Palazzo della Triennale presso lo spazio Material ConneXion.<br />

Resinopolis rappresenta la metropolis in cui sono stati coinvolti diversi personaggi tra<br />

cui artisti, carcerati di Milano, il Museo d’Arte Paolo Pini e degli anziani. Il loro<br />

coinvolgimento ha fatto in modo che si potesse avere una visione completa di come<br />

tutte le persone sono coinvolte all’interno di una metropolis, come vivono la città.<br />

17


È proprio così che la resina diventa arte. Una città di colori, un mondo fantastico in<br />

cui si incontrano tutte le culture, le forme espressive, i designer, i fanciulli e gli<br />

utopisti che raccontano l’interpretazione delle resine Gobbetto. Diventa un luogo<br />

magico dove superfici materiche, decori mirabolanti, colori fantasmagorici, luci,<br />

video e suoni creano una suggestiva città mostrando ancora una volta la grande<br />

duttilità e le innumerevoli possibilità applicative della resina.<br />

Oltre alla mostra citata, Gobbetto promuove l’espressione artistica Resinopolis<br />

attraverso il sito web www.resinopolis.it dinamico, divertente, interattivo. Il sito si<br />

propone di divenire un luogo di incontro virtuale di giovani artisti, amanti dell’arte<br />

e del design, dove poter conservare, scambiarsi riflessioni e condividere progetti. È<br />

così possibile diventare “cittadini” della città di Resinopolis, entrando a far parte<br />

della community di cui fanno parte alcuni artisti come ad esempio Alex Turco,<br />

Dario Ballantini, Marica Moro, Michela Gruppach, Mino Longo. Tra i tanti artisti<br />

presenti, l’occhio cade su Marica Moro e il suo “albero rovesciato” sponsorizzato da<br />

Gobbetto ed esposto all’ A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano.<br />

L’istallazione rappresenta un albero rovesciato composto da tante foglie-sculture di<br />

resina trasparente. L’albero simboleggia l’idea di rinascita e di ciclo vitale: dal<br />

terreno e dalle radici il nutrimento diventa linfa, che giunge fino alle foglie,<br />

trasformandosi in ossigeno, secondo un processo continuo. La tradizione dell’albero<br />

rovesciato come simbolo del cosmo è antica e trasversale a diverse culture; secondo<br />

Platone “l’uomo è una pianta rovesciata, le cui radici si estendono verso il cielo e i<br />

rami verso la terra”. All’interno di ciascuna foglia sarà impressa l’immagine delle<br />

mani dei medici, dei tecnici e di chi si affida alle cure all’interno dell’Ospedale<br />

Niguarda: in ogni foglia-mano è impressa l’individualità di ciascuno, la sua storia e<br />

la sua operosità.<br />

Il Papiro Art<br />

Lidia Scalzo, direttrice artistica del Laboratorio Artistico “Il Papiro” o più<br />

comunemente riconosciuto come “Il Papiro Art”, vive e lavora nel quartiere di San<br />

18


Lorenzo a Roma, ambiente di artisti romani e non solo. Sin dall’adolescenza scopre<br />

l’innato amore per le terre, per i colori e ciò la porta a conseguire studi artistici.<br />

Nascono così le prime tavole, acquerelli delicati, embrione di quella esplosione<br />

cromatica che la porterà a progetti di grandi dimensioni. Inizia la sua attività<br />

facendo una lunga esperienza come artigiana, ceramista, pittrice, facendo cornici,<br />

manufatti, sculture in argilla, dipingendo gioielli. Continuo è il suo rapporto con le<br />

terre colorate e con l’argilla, diventa un legame fisico, applica le terre sulla tela così<br />

come plasma l’argilla, fino ad ottenere un manufatto vitale, energetico. L’arte che<br />

vuole riuscire a comunicare è un qualcosa di piacere e di gioco e proprio per questo<br />

motivo i suoi quadri sono pieni di colore perché in quest’esplosione di colori ritrova<br />

l’equilibrio.<br />

Lidia Scalzo e sua sorella Rosaria Scalzo hanno avuto sempre un sogno comune:<br />

quello di riuscire a creare una specie di factory, in cui più gente può esprimere le<br />

proprie capacità.<br />

Pian piano si sono ritrovate a formare un gruppo, che genericamente chiamano<br />

gruppo D ed è un gruppo di persone e di artisti che riescono a lavorare assieme e su<br />

un’unica opera possono intervenire più persone. Nasce così “Il Papiro Art”, una<br />

bottega in cui vengono prodotti manufatti artigianali. Il team è composto da Lidia<br />

Rita Scalzo, Rosaria Vittoria Scalzo, Flavio Chimenton, Mario Becagli, Valentina<br />

Meli, Ilaria Meli. Se si dovesse trovare nella storia dell’arte l’esperienza che più ha<br />

ispirato il laboratorio, non ci sono dubbi, è quella del Bauhaus che ha avuto nel<br />

“Costruire” (“Bauen”) il fondamento delle proprie tesi. Costruzione di un’attività<br />

collettiva che conciliava il lavoro manuale con quello intellettivo che fino a quel<br />

momento avevano “viaggiato” su due linee distinte; la creazione di una nuova<br />

figura, quella dell’artista totale che aveva alla base un apprendimento di tipo<br />

pratico, artigianale. Questo nuovo individuo avrebbe proposto un’arte popolare e<br />

collettiva. Con ciò, non vogliono avere la presunzione di accostare il laboratorio alla<br />

grande scuola tedesca, ma l’intento è quello di mettere in evidenza quello che il<br />

Bauhaus ha suggerito ai componenti, le tematiche che sono state riprese, adeguate al<br />

diverso momento storico nel quale stanno vivendo. L’intento è quello di porsi come<br />

alternativa al prodotto “creato” in serie, immettendo nel mercato, se pur in modo<br />

limitato, manufatti che ridiano valore all’artigianato, in quanto capacità insite<br />

dell’uomo.<br />

19


L’esperienza del laboratorio, nel tempo, va avanti in modo pluridirezionale e<br />

continua sarà la ricerca di nuovi materiali dai quali ottenere nuove forme, nuovi<br />

oggetti.<br />

Pian piano la bottega diventa centro di scambio culturale oltre che artistico, in cui<br />

Lidia Scalzo e il suo team “lasciano socchiusa la porta” che viene aperta a chi<br />

condivide come loro una sensibilità per la realtà circostante, per chi fa della<br />

creatività un mezzo di scambio.<br />

Grazie a quest’interazione e alla passione per la crescita artistica, negli ultimi dieci<br />

anni avviene l’incontro fortuito con le resine, gli stucchi e in particolare con la<br />

Gobbetto srl, azienda leader nella produzione di resine. Anche con l’uso delle<br />

stucco, delle sabbie, della resina e dei colori, Lidia Scalzo richiama la matericità<br />

dell’argilla che non abbandonerà mai. La sua materia, la resina, diventa l’elemento<br />

forte e vitale di tutte le sue opere che, dalle due dimensioni prende corpo<br />

diventando calda ed avvolgente all’interno degli spazi architettonici.<br />

Cercando di strappare l’armonia dai colori contrastanti, la sensazione che si ha di<br />

fronte alle opere di Lidia è quello di un impatto immediato con una caotica<br />

esplosione di colore, con una materia che emerge ammaliatrice, pronta a farsi<br />

toccare e trasmettere emozioni non solo visive ma anche tattili. È nei quadri che<br />

Lidia Scalzo si esprime totalmente. Si caratterizzano per una presenza di forme che<br />

lasciano solo l’intuizione di quello che può essere una figura, che spesso richiama<br />

elementi naturali. Il resto è determinato dalla funzione espressiva del colore e le<br />

forme della natura vengono trasformate in quadri astratti. Dietro ogni opera,<br />

macchia, colore, sensazione c’è in realtà un richiamo alla natura che si tramuta in<br />

una sorte di astrazione naturalistica.<br />

Quest’interesse per l’essenza naturale a volte arriva ad esaminare l’anima naturale<br />

delle persone. Per cui ci sono delle sue opere che raggiungono l’astrazione totale che<br />

in realtà raccontano gli stati d’animo e quindi qualcosa di esistente ma non<br />

riconoscibile all’occhio.<br />

Oltre alla passione per i quadri, grazie all’impatto delle resine e alla loro<br />

applicazione in spazi interni, Lidia Scalzo si trova a dipingere grandi superfici<br />

(pavimentazioni, pareti) ricoperte di stucco, accuratamente deposto, a seconda delle<br />

necessità richieste dal decoro, da posatori che lavorano in collaborazione. Al fianco<br />

di Lidia Scalzo troviamo spesso la figura dell’artista Flavio Chimenton.<br />

Ad accomunarli è l’inclinazione artistica e la propensione verso un legame con la<br />

materia. Flavio Chimenton consegue studi artistici prediligendo il modellato, il<br />

20


disegno dal vero e soprattutto la raffigurazione della figura umana, dalla quale<br />

sente di poter rappresentare gli aspetti più intimi dell’uomo. Nel frattempo instaura<br />

un forte legame con Lidia Scalzo la quale diviene per lui un vero e proprio maestro<br />

ed apprende la progettazione, le tecniche di lavorazione dello stucco, impara a<br />

riconoscere i colori nelle infinite qualità cromatiche.<br />

Nel tempo collabora a diversi progetti-lavori e si dedica prevalentemente alla<br />

decorazione e alla realizzazione di quadri dove riesce meglio ad esprimersi. In<br />

questi è centrale la figura umana che ha simbolo delle problematiche esistenziali.<br />

21


PROGETTO DI UN<br />

“COMMESSO CONTEMPORANEO”<br />

La definizione “commesso contemporaneo” nasce dal desiderio di voler ridare vita<br />

in forme e materiali del mondo contemporaneo a un mestiere antichissimo poco<br />

noto e in via di sparizione: il commesso di pietre dure. La tecnica del commesso di<br />

pietre dure richiede molta esperienza, estrema pazienza e un alto grado di<br />

preparazione. Il tempo minimo di apprendimento delle basi teoriche è di circa sette<br />

anni. L’intento è quello di voler ricordare le complessità e la bellezza della tecnica<br />

cercando di riproporla in maniera contemporanea. Le pietre dure sono state<br />

sostituite dalla resina (poliepo 505) e gli utensili, creati artigianalmente dagli stessi<br />

artigiani del commesso, sono stati sostituiti da attrezzi moderni ed elettrici (dremel).<br />

Ho scelto di utilizzare la resina perché le sue caratteristiche estetiche richiamano, a<br />

mio parere, la levigatezza delle pietre dure. La resina, inizialmente, non è solida<br />

come le pietre dure, ma è un bicomponente che, miscelato secondo una certa<br />

proporzione, dallo stato liquido si trasforma in solido dopo un arco di tempo che<br />

varia a seconda delle condizioni climatiche e dell’umidità. Questa fase viene definita<br />

catalisi. Il procedimento, se pur non identico, richiama un’altra tecnica antichissima<br />

chiamata scagliola o “meschia” in quanto è caratterizzata dalla mistura di diversi<br />

componenti quali colla di gesso, colla da falegname, a cui vengono aggiunti<br />

pigmenti per la colorazione. Il risultato è una pasta molle che si solidifica col tempo<br />

come la resina. Ispirandomi a queste due tecniche antichissime ho iniziato a<br />

sperimentare la resina,che non avevo mai utilizzato prima.<br />

Anche l’apprendimento dell’utilizzo della resina richiede tempo, esperienza,<br />

creatività e conoscenze tecnico-pratiche.<br />

Contemporaneamente, grazie alle diverse visite fatte negli anni alla Bottega<br />

<strong>Scarpelli</strong> e grazie alle spiegazioni di Catia, Leonardo e Renzo <strong>Scarpelli</strong>, ho cercato di<br />

apprendere le basi della loro complessa tecnica. Sia per la conoscenza della resina<br />

che della tecnica del commesso di pietre dure ci vorrebbero anni e anni di<br />

esperienza e sperimentazione.<br />

22


In questo percorso artistico, ho voluto porre le basi per una sperimentazione che<br />

potrebbe, solo col tempo e l’esperienza, avvicinarsi il più possibile alla pittura,<br />

anche se a realizzarla sono lastre di resina sagomate secondo un disegno prefissato.<br />

Propongo tre elaborati i cui temi fanno riferimento a quelli utilizzati sin dal passato<br />

che rappresentano il mondo animale e vegetale, cercando di spiegare i passaggi<br />

preliminari e successivamente la ricerca di nuove forme artistiche.<br />

La sterlizia<br />

La scelta di rappresentare la sterlizia è dovuta alla sua forma atipica e alla vivacità<br />

dei colori del fiore.<br />

La fase preliminare, di fondamentale importanza, è lo studio del disegno1 che viene<br />

riportato su un foglio adesivo bianco opaco. Ad esso segue la creazione di formelle<br />

di resina create in base al colore2 e alle sfumature necessarie alla composizione del<br />

disegno. Viene miscelata accuratamente la parte A con la parte B nella proporzione<br />

100-50 in peso (es. A = kg. 1,0 + B = kg. 0,5) utilizzando un bastone a sezione<br />

rettangolare in modo da passare bene vicino alle pareti e sul fondo del contenitore.<br />

La resina viene travasata in un altro contenitore per ottenere una perfetta<br />

omogeneizzazione fra i due componenti e si colora con colori per epossidiche. La<br />

resina viene colata ulteriormente in basi di silicone3 che è un materiale che si presta<br />

molto a questo tipo di tecnica. Il disegno, precedentemente studiato, viene tagliato<br />

con un trincetto con una lama a forma di lancia che si presta bene ad un taglio più<br />

preciso. I pezzi di carta adesiva4 vengono adattati sulle formelle di resina del colore<br />

desiderato e inserite in una morsa5. Si procede facendo un foro con la punta a<br />

spirale del dremel, un piccolo trapano, che col suo moto rotatorio e veloce sagoma il<br />

pezzo6 e crea “fette” di resina. Questa fase richiede molta concentrazione in quanto<br />

basta anche una minima disattenzione come, ad esempio, aumentare la pressione<br />

della punta con cui si procede al taglio7, per provocare un’asportazione del<br />

materiale che creerebbe problemi nella fase finale. Da tener costantemente sotto<br />

controllo, in questa delicata fase, è la temperatura della punta che sale, per effetto<br />

dello sfregamento ed evitare il surriscaldamento dell’arnese adoperato.<br />

I pezzi tagliati vengono poi rifiniti e levigati8 verso la parte posteriore.<br />

Questo per varie ragioni: perché gli spigoli vivi possano combaciare bene nella<br />

faccia vista dall’artista, perché sia possibile un ulteriore aggiustaggio, perché nel<br />

corso dell’incollaggio il collante e cioè la resina stessa, venga ad occupare una<br />

superficie maggiore e acquisti più aderenza. Si tratta però di consumare una materia<br />

dura e bisogna prepararsi ad un esercizio di calma e attenzione continua senza aver<br />

23


fretta. La rifinitura avviene grazie al moto rotatorio e veloce dei dischetti di carta<br />

vetrata a grana fine collegati al dremel. Con calma e con molta pazienza si accostano i<br />

pezzi gli uni agli altri9 in modo da creare un disegno unico. Se le “fette” di resina<br />

tagliate e limate non combaciano10, bisogna intervenire più volte affinchè succeda.<br />

Ciò consente di accertarsi del risultato ottenuto, finché la figura non risulti come era<br />

stata ideata e non presenti difetti.Ritagliato il contorno di ogni elemento, composta<br />

la figurazione pittorica11 e controllata la perfetta aderenza delle parti, si dispone<br />

l’opera in una base di silicone, in modo che la faccia che verrà in vista si trovi<br />

adagiata al rovescio per ottenere una superficie liscia ed uniforme.<br />

Si versa la resina trasparente sul rovescio12 della composizione, in modo che essa<br />

penetri nelle fessure predisposte e si lascia catalizzare. Si cola uno strato ulteriore di<br />

resina trasparente sulla faccia in vista per uniformare la composizione finale.<br />

Il tucano arcobaleno<br />

Il tucano arcobaleno è stato scelto per i colori vivaci del becco che vanno a sfumare<br />

dal verde intenso verso il celeste e il viola con inserimenti di arancione e giallo<br />

brillante. Il procedimento iniziale è sempre il medesimo. Ho riprodotto il disegno su<br />

carta adesiva opaca, ho creato lastre di resina1 del colore desiderato e ho tagliato i<br />

diversi pezzi. Per rendere meno visibili le commettiture ho perfezionato la tecnica,<br />

grazie al suggerimento di Leonardo <strong>Scarpelli</strong>, utilizzando una lima2 per rifinire le<br />

imperfezioni. Dopo aver controllato la perfetta aderenza dei pezzi3, ho tolto la carta<br />

adesiva che nascondeva i colori della resina4. Con dei morsetti5 ho fissato i pezzi su<br />

un tavolo, ho colorato la resina del colore desiderato e con una siringa l’ho versata<br />

tra le fessure in modo che fossero meno evidenti le commettiture.<br />

La resina, essendo molto liquida, ha riempito le fessure ma si è distesa anche sul lato<br />

a vista del tucano.<br />

Con una particolare punta inserita nel dremel ho asportato la resina in eccesso10 e ho<br />

colato della resina trasparente in modo che i colori tornassero al loro stato<br />

originario11. Grazie all’ispirazione data dalle riproduzioni fotografiche su acetato di<br />

Marica Moro, per lo sfondo ho deciso di utilizzare la stessa tecnica riproducendo<br />

una porzione di foresta12 in modo che il tucano potesse essere parte integrante della<br />

composizione.<br />

24


Ho tentato diverse soluzioni14 che mi hanno portato a creare una superficie di<br />

resina verde trasparente, colata sull’acetato, in modo che la natura riprodotta<br />

potesse emergere17.<br />

Il pesce chirurgo<br />

Il pesce chirurgo è stato scelto per il suo corpo molto appiattito e vivacemente<br />

colorato. La tecnica adottata è la stessa degli altri due progetti, con l’aggiunta di<br />

alcuni particolari. Ho cercato di ricreare l’effetto delle gocce d’acqua, colando la<br />

resina nella base di silicone5 e su un foglio di plastica leggermente arrotolotato6, per<br />

ottenere risultati differenti tra loro e il più realistici possibile.<br />

Per valorizzare le peculiarità della resina ho introdotto alcuni oggetti come la rete, le<br />

conchiglie7 e la sabbia, che vengono imprigionati all’interno della resina ed aiutano<br />

ad arricchire la composizione finale12.<br />

25


Bibliografia<br />

Il mosaico:<br />

Rossi Ferdinando, La pittura di pietra, Firenze, Giunti Martello, 2002 (1ª ed. 1984)<br />

Scagliola:<br />

www.polveri.com/dbm/pagina.php?s=95ab17b22aa2a3144b1abf0289b57667&ln=&gs=&mod=&I<br />

Doggetto=6&numero_blocchi=10&pgs=A&<br />

www.scagliolacarpigiana.com/?pag=lavorazione&lang=it<br />

it.wikipedia.org/wiki/Scagliola<br />

Commesso fiorentino:<br />

www.scarpellimosaici.it<br />

www.youtube.com/watch?v=jVIbthkE-Uo<br />

Gobbetto:<br />

Fortunato D’Amico, Gobbetto: i cinquant’anni / fifty years, Milano, Abitare Segesta, 2008<br />

www.gobbetto.com<br />

neoludica.blogspot.it/2011/07/focus-su.html<br />

www.resinopolis.com<br />

www.youtube.com/watch?v=TB_4uSET3q0<br />

www.youtube.com/watch?v=CesJpmVfvRM<br />

Marica Moro:<br />

www.maricamoro.com<br />

www.resinopolis.com/la-community/marica-moro/<br />

26


Il papiro Art:<br />

www.ilpapiroart.com<br />

www.youtube.com/watch?v=oDySV8PMJI0<br />

www.artigianatoartisticolazio.com/AreaPubblica/LeProduzioni/scheda.aspx?azienda=186<br />

www.playtuscia.it/web/arte/258-il-papiro-art.html<br />

Joëlle Lalagüe:<br />

www.lalague.com<br />

Ringrazio:<br />

Lucio Po e Patrizia Quaglia per avermi sostenuto “sempre” .<br />

Davide Romagna per essermi stato sempre accanto e per aver accettato il mio<br />

laboratorio temporaneo in casa. Ringrazio vivamente la sua famiglia per avermi<br />

incoraggiato e per aver creduto in me.<br />

Nadia Percio per avermi accompagnato in una fase importante.<br />

Ringrazio vivamente tutti coloro che, attivamente o passivamente, hanno<br />

contribuito al benessere del mio stato d’animo .<br />

Flavio Chimenton, Lidia e Rosaria Scalzo<br />

Catia, Leonardo e Renzo <strong>Scarpelli</strong><br />

27


Azienda Gobbetto<br />

Marica Moro<br />

Paolo Flori<br />

28

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