indagine sulla mediazione culturale in italia - Integrazione Migranti

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03.06.2013 Views

INDAGINE SULLA MEDIAZIONE CULTURALE IN ITALIA di clandestinità, che impedirebbe di fatto l’assistenza da parte del servizio sanitario nazionale. Vi sono, è vero, delle realtà importanti in diversi contesti metropolitani. A Roma ad esempio l’Istituto per la medicina delle migrazioni dell’Ospedale San Gallicano ha approntato da tempo un vero e proprio Consultorio medico-antro- pologico 49 , finalizzato alla cura e alla consulenza esperta dei pazienti che vi si rivolgono, nel quale lavorano fianco a fianco medici, mediatori linguistico-culturali e antropologi. Analogamente la Caritas ha approntato a Roma, come in altre città – Milano e Torino ad esempio – dei servizi di assistenza sanitaria rivolti in particolar modo ai migranti e ai senza fissa dimora, nel tentativo di prevenire la degenerazione di patologie connesse alla particolare condizione di vita di questi soggetti ed evitare così pratiche scorrette e rischi di contagio nel caso di malattie epidemiche. La sensazione però è che anche in questo caso le iniziative siano di fatto troppo episodiche e disparate e che non si riesca a provvedere un sevizio diffuso in materia sanitaria, capace di orientarsi di fronte alle specifiche patologie connesse alla migrazione o dinanzi a forme di vita e interdetti legati a precetti religiosi e culturali che la biomedicina occidentale non aveva sin qui mai dovuto contemplare nella sua pratica. Il caso, decisamente eclatante, per quanto estremo, dell’excisione femminile praticata presso alcuni gruppi provenienti dall’Africa Nord-Orientale, mette in luce, pur riguardando una popolazione piuttosto limitata numericamente, gli aspetti più problematici di questa riformulazione del sapere medico e delle scelte nuove che vengono a porsi. La richiesta da parte di alcune cittadine straniere di praticare l’infibulazione alle proprie figlie minorenni in condizioni sanitarie di sicurezza e il conseguente rifiuto da parte occidentale ha mostrato come le scelte culturali che oggi si presentano ai medici siano di tipo sempre più complesso e sollevino questioni morali intimamente connesse alle problematiche più complessive del dialogo e della mediazione tra diversità. In molti di questi casi ci si è orientati facendo ricorso ad un paradigma universalista del tipo disegnato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che oltre a garantire assistenza medica a ogni individuo prescindendo dalla propria condizione e dalla propria appartenenza di razza, cultura e ceto, invoca anche la tutela e l’integrità del corpo come inviolabile. Come sempre, però, il ricorso ad argomentazioni di tipo universalistico, 49. Cfr. A. Morrone – G. Di Cristofaro Longo (a cura di), Cultura Salute Immigrazione, Roma , Armando Editore, 1995. 64

anche e soprattutto in materia di salute, solleva l’annoso interrogativo sulla cultura dominante che sottostà all’impianto stesso di questo paradigma e che tendenzialmente affonda le proprie radici nell’humus culturale occidentale 50 . Questo ripropone dunque la dialettica al centro oggi di infiniti dibattiti tra universalismo e particolarismo, oggettivismo e relativismo, che finisce per mettere in luce come ogni scelta, anche in materia di biomedicina, di controllo dei corpi, di cura di sé e degli altri, sia da riconnettere all’intreccio tra egemonia e subalternità che è alla base dei rapporti tra mondo occidentale e resto del mondo e da cui consegue anche l’individuazione delle priorità ritenute tali da una cultura che rischia, in nome della sua egemonia, di trascurare le istanze poste dalle altre. Anche in questo settore non mancano tuttavia degli interessanti sviluppi sul piano della ricerca universitaria e della formazione specialistica, che fanno ben sperare nel senso di una maggiore inclusività degli insegnamenti rispetto alle nuove esigenze poste dal multiculturalismo alla pratica biomedica. Da qualche anno ad esempio esistono masters in bioetica all’interno dei quali vengono ricompresse anche competenze connesse alla conoscenza delle diversità culturali nella concettualizzazione della malattia, così come conoscenze di altre tradizioni terapeutiche (omeopatia, medicina ayurvedica, cinese, ecc.). Esistono inoltre da alcuni anni progetti di ricerca connessi proprio alla correlazione tra saperi medici e saperci socio-antropologici, come ad esempio quello precedentemente citato dell’Istituto Ospedaliero San Gallicano. Siamo tuttavia ancora lontani dall’offerta formativa da tempo presente nel quadro accademico nordamericano – e per alcuni aspetti anche francese (etnopsichiatria) – che prevede ormai da decenni curricula interamente paralleli in cui i medici si formano al contempo sia nei saperi biomedici che in quelli antropologici, onde poter provvedere ad una gestione strategica della cura, capace di tener conto anche dell’importante peso rivestito nella guarigione dall’accoglimento e dal rispetto delle istanze identitarie del paziente 51 . 4.5 I servizi informativi e di orientamento L A MEDIAZIONE CULTURALE IN E UROPA 50. Cfr. L. Bindi, Il dibattito antropologico sui diritti umani e fondamentali, op. cit.. 51. Ad Harvard University negli Stati Uniti ad esempio, così come la Mac Gill University in Canada hanno attivato da tempo dei Masters in Medical Anthropology e Anthropologie de la Santé. Su questi aspetti di antropologia medica si possono leggere oggi diversi lavori tra cui: B. Good, Narrare la malattia, Milano, Edizioni di Comunità, 2000 Si deve ritenere quest’ultimo ambito di approfondimento uno dei più strategici in materia di relazioni tra comunità residente e minoranze migranti e uno di quelli suscettibili di maggiori interventi anche a breve termine. 65

anche e soprattutto <strong>in</strong> materia di salute, solleva l’annoso <strong>in</strong>terrogativo <strong>sulla</strong> cultura<br />

dom<strong>in</strong>ante che sottostà all’impianto stesso di questo paradigma e che tendenzialmente<br />

affonda le proprie radici nell’humus <strong>culturale</strong> occidentale 50 .<br />

Questo ripropone dunque la dialettica al centro oggi di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti dibattiti tra<br />

universalismo e particolarismo, oggettivismo e relativismo, che f<strong>in</strong>isce per mettere<br />

<strong>in</strong> luce come ogni scelta, anche <strong>in</strong> materia di biomedic<strong>in</strong>a, di controllo dei corpi, di<br />

cura di sé e degli altri, sia da riconnettere all’<strong>in</strong>treccio tra egemonia e subalternità<br />

che è alla base dei rapporti tra mondo occidentale e resto del mondo e da cui consegue<br />

anche l’<strong>in</strong>dividuazione delle priorità ritenute tali da una cultura che rischia,<br />

<strong>in</strong> nome della sua egemonia, di trascurare le istanze poste dalle altre.<br />

Anche <strong>in</strong> questo settore non mancano tuttavia degli <strong>in</strong>teressanti sviluppi<br />

sul piano della ricerca universitaria e della formazione specialistica, che fanno<br />

ben sperare nel senso di una maggiore <strong>in</strong>clusività degli <strong>in</strong>segnamenti rispetto alle<br />

nuove esigenze poste dal multiculturalismo alla pratica biomedica. Da qualche<br />

anno ad esempio esistono masters <strong>in</strong> bioetica all’<strong>in</strong>terno dei quali vengono<br />

ricompresse anche competenze connesse alla conoscenza delle diversità culturali<br />

nella concettualizzazione della malattia, così come conoscenze di altre tradizioni<br />

terapeutiche (omeopatia, medic<strong>in</strong>a ayurvedica, c<strong>in</strong>ese, ecc.).<br />

Esistono <strong>in</strong>oltre da alcuni anni progetti di ricerca connessi proprio alla correlazione<br />

tra saperi medici e saperci socio-antropologici, come ad esempio quello<br />

precedentemente citato dell’Istituto Ospedaliero San Gallicano. Siamo tuttavia<br />

ancora lontani dall’offerta formativa da tempo presente nel<br />

quadro accademico nordamericano – e per alcuni aspetti<br />

anche francese (etnopsichiatria) – che prevede ormai da<br />

decenni curricula <strong>in</strong>teramente paralleli <strong>in</strong> cui i medici si formano<br />

al contempo sia nei saperi biomedici che <strong>in</strong> quelli<br />

antropologici, onde poter provvedere ad una gestione strategica<br />

della cura, capace di tener conto anche dell’importante<br />

peso rivestito nella guarigione dall’accoglimento e dal rispetto<br />

delle istanze identitarie del paziente 51 .<br />

4.5 I servizi <strong>in</strong>formativi e di orientamento<br />

L A MEDIAZIONE CULTURALE IN E UROPA<br />

50. Cfr. L. B<strong>in</strong>di, Il dibattito<br />

antropologico sui diritti umani e<br />

fondamentali, op. cit..<br />

51. Ad Harvard University<br />

negli Stati Uniti ad esempio,<br />

così come la Mac Gill<br />

University <strong>in</strong> Canada hanno<br />

attivato da tempo dei Masters<br />

<strong>in</strong> Medical Anthropology e<br />

Anthropologie de la Santé. Su<br />

questi aspetti di antropologia<br />

medica si possono leggere oggi<br />

diversi lavori tra cui: B. Good,<br />

Narrare la malattia, Milano,<br />

Edizioni di Comunità, 2000<br />

Si deve ritenere quest’ultimo ambito di approfondimento uno dei più strategici<br />

<strong>in</strong> materia di relazioni tra comunità residente e m<strong>in</strong>oranze migranti e uno di<br />

quelli suscettibili di maggiori <strong>in</strong>terventi anche a breve term<strong>in</strong>e.<br />

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