indagine sulla mediazione culturale in italia - Integrazione Migranti

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03.06.2013 Views

INDAGINE SULLA MEDIAZIONE CULTURALE IN ITALIA to, in nessuna condizione culturale, sociale e politica esso si trovi, propriamente neutrale rispetto ad una situazione di conflitto o di tensione sociale. Intervengono sempre elementi di lingua, cultura, genere, estrazione sociale, formazione, che sbilanciano il mediatore verso una delle due parti ‘in causa’. È pertanto decisamente più corretto parlare di un mediatore capace di collocarsi in una condizione tendenzialmente mediana tra le parti, dichiarando con chiarezza i propri margini di preferenza o rischio di sbilanciamento ad entrambe. La relazione di mediazione, infatti, si basa in primo luogo sulla chiarezza, spesso preclusa ad altri tipi di relazione conflittuale, e mira a stabilire rapporti non più falsati tra le parti. Nel caso - per esempio - del mediatore a carattere interculturale, la sua appartenenza al gruppo etnico migrante o alla comunità residenziale è necessariamente un elemento di forte sbilanciamento nell’una o nell’altra direzione, al di là di ogni dichiarazione di intenti possibile; dunque tale variabile deve essere tenuta in debito conto nella valutazione dei risultati dell’intervento e nella loro presentazione alle parti. 2) La definizione di uno ‘standard’, sia nella formazione che nello statuto giuridico, professionale e retributivo del mediatore è questione fondamentale per la diffusione e riduzione delle disparità nella fornitura di servizi di questo genere. È un processo sicuramente delicato in cui rischiano di prevalere interessi di parte – negli Stati Uniti ad esempio si è assistito recentemente ad un vero e proprio tentativo di ‘colonizzazione’ da parte giuridica delle attività di mediazione, che ha sollevato notevoli reazioni da parte di altri gruppi di competenza. Si deve partire in realtà dal presupposto che si tratta di una professionalità del tutto nuova, in cui è proprio la multidisciplinarietà a caratterizzare lo statuto professionale da definire e in cui la definizione di un profilo e di un curriculum quanto più possibile equiparato può contribuire fattivamente alla estensione di tali pratiche, ma anche alla diffusione di una sempre maggior fiducia nelle loro possibilità risolutive e di facilitazione del dialogo interculturale. 3) La gestione della formazione di tali operatori deve abbandonare la tendenza, sin qui rilevata, specie nel nostro Paese, ad una alternanza molto forte tra iniziativa pubblica e privata. La storia del nostro Paese, lo si è detto, è caratterizzata da una diffusione massiccia del volontariato – confessionale e laico – che spesso si è sostituita allo Stato nella gestione delle più diverse emergenze sociali. Anche in questo ambito è accaduto che l’associazionismo abbia fino ad oggi svolto un ruolo preponderante, che però rischia di andare ad aumentare le differenziazioni nella fornitura dei servizi e negli standard di preparazione degli operato- 58

i. È assolutamente necessario in tal senso intravedere percorsi di interazione tra iniziativa pubblica – statale e locale – e iniziativa privata, capaci di raggiungere una sostanziale omogeneità di profili e di obiettivi. Cerchiamo di vedere adesso alcuni piani specifici dell’intervento e l’attuale stato di realizzazione di programmi di facilitazione nell’accesso alla cittadinanza e all’integrazione delle minoranze straniere nel territorio nazionale italiano. 4.2 La scuola e il settore della formazione permanente La scuola è senza dubbio il settore in cui le pratiche di mediazione interculturale hanno ricevuto la maggiore attenzione e sono state più sostenute. Pur essendo infatti nata nell’ambito giuridico, la mediazione ha preso – come si è già visto per la Francia – un’accezione per lo più culturale, riferendosi essenzialmente a quell’insieme di attività informative, formative e di ricerca finalizzate alla facilitazione dei rapporti tra diversità e alla prevenzione, piuttosto che alla risoluzione, di conflitti tra rappresentanti di comunità etniche distinte. La classe è da sempre d’altronde una piccola arena all’interno della quale possono acuirsi, ma anche efficacemente sciogliersi, nodi problematici sollevati dall’incontro tra diversità culturali, sociali, religiose, comportamentali. La fase scolare – anche per la giovane età degli attori coinvolti – è stata, a buon diritto, ritenuta strategica per un intervento nel senso di una formazione precoce dei futuri cittadini ad una cultura della convivenza e dell’integrazione armoniosa tra residenti e stranieri in ingresso. La Commissione Ministeriale per l’Intercultura ha dato avvio da alcuni anni – a livello centralizzato – ad una serie di importanti iniziative di sensibilizzazione e divulgazione, oltre ad approntare veri e propri strumenti didattici – come ad esempio quelli contenuti sul Sito di Rai Educational 44 – finalizzati in primo luogo alla formazione degli insegnanti. L A MEDIAZIONE CULTURALE IN E UROPA 44. Cfr. http://www.rai.it/educational/intercultura. Questo livello governativo dell’iniziativa è andato intrecciandosi, talora senza sufficiente collaborazione e sinergia, con quello locale, in cui le attività di formazione, pur moltiplicandosi, hanno però fatto registrare una notevole differenziazione a seconda delle diverse aree del Paese. Il centro Italia ad esempio ha prodotto – con le esperienze del Lazio e della Toscana in particolar modo – eccellenti corsi di formazione per insegnanti, training e proposte di offerta formativa capaci di articolare l’intero complesso interdi- 59

INDAGINE SULLA MEDIAZIONE CULTURALE IN ITALIA<br />

to, <strong>in</strong> nessuna condizione <strong>culturale</strong>, sociale e politica esso si trovi, propriamente<br />

neutrale rispetto ad una situazione di conflitto o di tensione sociale.<br />

Intervengono sempre elementi di l<strong>in</strong>gua, cultura, genere, estrazione sociale, formazione,<br />

che sbilanciano il mediatore verso una delle due parti ‘<strong>in</strong> causa’. È pertanto<br />

decisamente più corretto parlare di un mediatore capace di collocarsi <strong>in</strong> una<br />

condizione tendenzialmente mediana tra le parti, dichiarando con chiarezza i<br />

propri marg<strong>in</strong>i di preferenza o rischio di sbilanciamento ad entrambe. La relazione<br />

di <strong>mediazione</strong>, <strong>in</strong>fatti, si basa <strong>in</strong> primo luogo <strong>sulla</strong> chiarezza, spesso preclusa<br />

ad altri tipi di relazione conflittuale, e mira a stabilire rapporti non più falsati tra<br />

le parti. Nel caso - per esempio - del mediatore a carattere <strong>in</strong>ter<strong>culturale</strong>, la sua<br />

appartenenza al gruppo etnico migrante o alla comunità residenziale è necessariamente<br />

un elemento di forte sbilanciamento nell’una o nell’altra direzione, al di<br />

là di ogni dichiarazione di <strong>in</strong>tenti possibile; dunque tale variabile deve essere<br />

tenuta <strong>in</strong> debito conto nella valutazione dei risultati dell’<strong>in</strong>tervento e nella loro<br />

presentazione alle parti.<br />

2) La def<strong>in</strong>izione di uno ‘standard’, sia nella formazione che nello statuto giuridico,<br />

professionale e retributivo del mediatore è questione fondamentale per la<br />

diffusione e riduzione delle disparità nella fornitura di servizi di questo genere. È<br />

un processo sicuramente delicato <strong>in</strong> cui rischiano di prevalere <strong>in</strong>teressi di parte –<br />

negli Stati Uniti ad esempio si è assistito recentemente ad un vero e proprio tentativo<br />

di ‘colonizzazione’ da parte giuridica delle attività di <strong>mediazione</strong>, che ha sollevato<br />

notevoli reazioni da parte di altri gruppi di competenza. Si deve partire <strong>in</strong><br />

realtà dal presupposto che si tratta di una professionalità del tutto nuova, <strong>in</strong> cui è<br />

proprio la multidiscipl<strong>in</strong>arietà a caratterizzare lo statuto professionale da def<strong>in</strong>ire<br />

e <strong>in</strong> cui la def<strong>in</strong>izione di un profilo e di un curriculum quanto più possibile equiparato<br />

può contribuire fattivamente alla estensione di tali pratiche, ma anche alla<br />

diffusione di una sempre maggior fiducia nelle loro possibilità risolutive e di facilitazione<br />

del dialogo <strong>in</strong>ter<strong>culturale</strong>.<br />

3) La gestione della formazione di tali operatori deve abbandonare la tendenza,<br />

s<strong>in</strong> qui rilevata, specie nel nostro Paese, ad una alternanza molto forte tra<br />

<strong>in</strong>iziativa pubblica e privata. La storia del nostro Paese, lo si è detto, è caratterizzata<br />

da una diffusione massiccia del volontariato – confessionale e laico – che<br />

spesso si è sostituita allo Stato nella gestione delle più diverse emergenze sociali.<br />

Anche <strong>in</strong> questo ambito è accaduto che l’associazionismo abbia f<strong>in</strong>o ad oggi svolto<br />

un ruolo preponderante, che però rischia di andare ad aumentare le differenziazioni<br />

nella fornitura dei servizi e negli standard di preparazione degli operato-<br />

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