indagine sulla mediazione culturale in italia - Integrazione Migranti

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03.06.2013 Views

INDAGINE SULLA MEDIAZIONE CULTURALE IN ITALIA precedentemente analizzate di comportamento verso i problemi della rappresentanza delle minoranze nazionali e migranti, con particolare rilievo per le questioni connesse all’elaborazione di un modello europeo comune di integrazione nel quadro dell’effettiva Unione Europea. Protagonista indiscusso di questo dibattito è stato Jurgen Habermas che, riprendendo e discutendo criticamente gli assunti di una certa filosofia liberalista di origine nordamericana – essenzialmente le tesi John Rawls 23 – ha cercato di formulare una teoria sostenibile dell’integrazione che riconoscendo l’indebolimento delle istanze nazionaliste tipiche dello scenario geopolitico europeo della prima parte del XX secolo, di fronte alla sostanziale globalizzazione degli scambi sia di merci che di persone e di culture, approdi a nuove forme di convivenza tra minoranze culturali ed etniche, distinte nel rispetto democratico dei diritti fondamentali di ciascuno. È così che Habermas finisce per porre delle questioni centrali per le moderne democrazie, quali la possibilità di un consenso “per sovrapposizione” di diverse istanze o ancora un concetto di persona alla base delle stesse istituzioni sufficientemente neutrale da poter rientrare nelle diverse concezioni del mondo, che oggi si trovano a dover convivere all’interno di uno stesso spazio pubblico in conseguenza dei fenomeni di migrazione e ibridazione da cui sono caratterizzate le società postmoderne. Le nazioni all’origine sono essenzialmente delle comunità di tipo etnico, integrate geograficamente per insediamento e vici- nanza, culturalmente per identità di lingua, costumi e tradizioni, ma non ancora politicamente. È alla fine del Settecento – secondo l’acuta analisi di Habermas – che la nazione diviene “di popolo”, condensando la coscienza nazionale di tipo etnico (volkisch) in quelle “comunità immaginarie” 24 che “diventano i punti di cristallizzazione di una nuova autoidentificazione collettiva” 25 , contribuendo alla messa in atto di efficienti meccanismi di rifiuto di tutto ciò che rientrasse nella categoria di straniero, per screditare le altre nazioni ed espellere le minoranze nazionali, etniche e religiose, in particolare gli ebrei. “Fatalmente – prosegue Habermas – in Europa il nazionalismo si legò all’antisemitismo” 26 . Nel passaggio radicale del dopoguerra, per quasi tutte le democrazie europee, da una cittadinanza ascritta e sottoposta alla violenza del comando di uno Stato violento ad una cittadinanza attiva ritenuta tratto identificante delle moderne democrazie parteci- 23. J. Rawls, Liberalismo politico (1993), Milano, Edizioni di Comunità, 1994. Per ciò che riguarda le opere più importanti di Habermas su questi argomenti si vedano invece: J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica (1996), Milano, Feltrinelli, 1997, ma anche Idem, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia (1998), Milano, Feltrinelli, 1999, nonché il più celebre J. Habermas – C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento (1994), Milano, Feltrinelli, 1995. 24. B. Anderson, Le comunità immaginate (1989), Roma, Manifesto Libri, 1997. 25. J. Habermas, L’inclusione dell’altro, cit., p. 124. 26. Ibidem, p. 125. 38

pative, “l’appartenenza sperimenta una dilatazione semantica” , sia sul piano giuridico-politico che culturale. Da un lato, dunque, essere o diventare cittadino di un determinato stato significa vedersi riconosciuti i diritti vigenti per ogni altro cittadino, dall’altro però, secondo la formazione storico-culturale dell’idea di nazione, significherebbe anche condividere la cultura di quel popolo. È così che i moderni stati democratici conterrebbero al loro interno i due principi contraddittori dell’integrazione e del rifiuto dell’alterità, riconoscendone radicalmente i diritti fondamentali, ma sancendone anche l’esclusione in quanto non culturalmente omogenea. Oggi le società pluralistiche si allontanano sempre di più dal modello dello stato-nazione con popolazione culturalmente omogenea e sappiamo bene che questo processo presenta dei caratteri di necessaria irreversibilità “se non a prezzo – normativamente insostenibile – delle pulizie etniche 28 ”. Tuttavia la ‘soluzione’ suggerita dallo studioso tedesco testimonia della continua alternanza tra istanze pluralistiche e urgenze unitarie, cui da sempre questo dibattito è stato improntato: Dato il pluralismo sociale delle culture e delle visioni-del-mondo, questo onere integrativo non può essere sottratto al piano della formazione politica della volontà e della comunicazione pubblica né tanto meno fatto ricadere sul sostrato (apparentemente naturalistico) di un popolo presuntivamente omogeneo. Dietro questa facciata finirebbe solo per nascondersi la cultura egemonica del partito dominante. In molti paesi, per tutta una serie di motivi storici, la cultura della maggioranza ha fatto blocco con quella generale cultura politica che deve essere riconosciuta da tutti i cittadini a prescindere dalla loro estrazione culturale. Ma questa fusione va dissolta, se vogliamo che entro una stessa comunità politica possano coesistere diverse – e giuridicamente equiparate – forme di vita culturali, etniche e religiose. Il piano della cultura politica comune deve sganciarsi dal piano delle subculture e delle identità prepolitiche. Con tutto ciò, la pretesa a una coesistenza giuridicamente equiparata resta sempre subordinata al presupposto che le credenze e le pratiche tutelate non contraddicano i vigenti principi costituzionali (così come sono intesi nelle rispettive culture politiche) 29 . Un quadro così ambiguo di mantenimento delle unità politiche e culturali pur nel rispetto, non meglio qualificato, delle specificità culturali e giuridiche delle singole minoranze o subculture mette in evidenza l’urgenza di pratiche di negoziazione tra gruppi e comunità culturalmente, politicamente e giuridicamente distinte sempre più affinate sia sul piano delle specifiche professionalità sia degli strumenti e degli spazi di messa in atto di tali pratiche. È in tal senso che qualcuno ha sottolineato come la diffusione e il L A MEDIAZIONE CULTURALE IN E UROPA 28. Ibidem, p. 131. 29. Ibidem, p. 131. 39

pative, “l’appartenenza sperimenta una dilatazione semantica” , sia sul piano<br />

giuridico-politico che <strong>culturale</strong>. Da un lato, dunque, essere o diventare cittad<strong>in</strong>o<br />

di un determ<strong>in</strong>ato stato significa vedersi riconosciuti i diritti vigenti per ogni<br />

altro cittad<strong>in</strong>o, dall’altro però, secondo la formazione storico-<strong>culturale</strong> dell’idea<br />

di nazione, significherebbe anche condividere la cultura di quel popolo. È così<br />

che i moderni stati democratici conterrebbero al loro <strong>in</strong>terno i due pr<strong>in</strong>cipi contraddittori<br />

dell’<strong>in</strong>tegrazione e del rifiuto dell’alterità, riconoscendone radicalmente<br />

i diritti fondamentali, ma sancendone anche l’esclusione <strong>in</strong> quanto non culturalmente<br />

omogenea. Oggi le società pluralistiche si allontanano sempre di più dal<br />

modello dello stato-nazione con popolazione culturalmente omogenea e sappiamo<br />

bene che questo processo presenta dei caratteri di necessaria irreversibilità<br />

“se non a prezzo – normativamente <strong>in</strong>sostenibile – delle pulizie etniche 28 ”.<br />

Tuttavia la ‘soluzione’ suggerita dallo studioso tedesco testimonia della cont<strong>in</strong>ua<br />

alternanza tra istanze pluralistiche e urgenze unitarie, cui da sempre questo<br />

dibattito è stato improntato:<br />

Dato il pluralismo sociale delle culture e delle visioni-del-mondo, questo onere <strong>in</strong>tegrativo<br />

non può essere sottratto al piano della formazione politica della volontà e della<br />

comunicazione pubblica né tanto meno fatto ricadere sul sostrato (apparentemente<br />

naturalistico) di un popolo presuntivamente omogeneo. Dietro questa facciata f<strong>in</strong>irebbe<br />

solo per nascondersi la cultura egemonica del partito dom<strong>in</strong>ante. In molti paesi, per<br />

tutta una serie di motivi storici, la cultura della maggioranza ha fatto blocco con quella<br />

generale cultura politica che deve essere riconosciuta da tutti i cittad<strong>in</strong>i a presc<strong>in</strong>dere<br />

dalla loro estrazione <strong>culturale</strong>. Ma questa fusione va dissolta, se vogliamo che entro una<br />

stessa comunità politica possano coesistere diverse – e giuridicamente equiparate –<br />

forme di vita culturali, etniche e religiose. Il piano della cultura politica comune deve<br />

sganciarsi dal piano delle subculture e delle identità prepolitiche. Con tutto ciò, la pretesa<br />

a una coesistenza giuridicamente equiparata resta sempre subord<strong>in</strong>ata al presupposto<br />

che le credenze e le pratiche tutelate non contraddicano i vigenti pr<strong>in</strong>cipi costituzionali<br />

(così come sono <strong>in</strong>tesi nelle rispettive culture politiche) 29 .<br />

Un quadro così ambiguo di mantenimento delle unità politiche e culturali pur<br />

nel rispetto, non meglio qualificato, delle specificità culturali e giuridiche delle<br />

s<strong>in</strong>gole m<strong>in</strong>oranze o subculture mette <strong>in</strong> evidenza l’urgenza di pratiche di negoziazione<br />

tra gruppi e comunità culturalmente, politicamente e giuridicamente<br />

dist<strong>in</strong>te sempre più aff<strong>in</strong>ate sia sul piano delle specifiche professionalità sia degli<br />

strumenti e degli spazi di messa <strong>in</strong> atto di tali pratiche. È <strong>in</strong><br />

tal senso che qualcuno ha sottol<strong>in</strong>eato come la diffusione e il<br />

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28. Ibidem, p. 131.<br />

29. Ibidem, p. 131.<br />

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