indagine sulla mediazione culturale in italia - Integrazione Migranti

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03.06.2013 Views

INDAGINE SULLA MEDIAZIONE CULTURALE IN ITALIA formulare una lista delle loro priorità rispetto al contenzioso in oggetto, che isoli le condizioni irrinunciabili di scioglimento, per l’una e per l’altra, della disputa in corso. Questa fase di elaborazione in sedi separate viene anche definita, da alcuni manuali, di empowerment e corrisponderebbe ad un rafforzamento delle rispettive parti, ad una chiarificazione interna delle proprie ragioni finalizzata alla costruzione delle basi per una successiva fase di confronto, alla quale si deve giungere in condizione di forza e di saldezza, onde evitare atteggiamenti eccessivamente difensivi tipici di chi si trova in una condizione di sbilanciamento e di disagio. La seconda fase consiste dunque nell’incontro e nel confronto tra le due parti, così precedentemente preparate, ed è chiamata da molti fase di recognition: ovvero una fase in cui le due parti vengono a misurarsi colloquialmente, alla presenza del mediatore, che riveste qui funzione di calmiere, e a scambiare le rispettive richieste e liste di priorità. Questa seconda fase consta spesso di più incontri giocati su registri linguistici e spesso anche su una dislocazione spaziale diversa. La fase di recognition fa riferimento alla necessità di un momento – più o meno lungo e reiterato – di ascolto reciproco tra le parti, elemento questo del tutto escluso ad esempio nei procedimenti giuridici di tipo classico, che come sappiamo possono spesso svolgersi nella totale assenza di una o di entrambe le parti rappresentate in tribunale dal solo legale prescelto. Al tempo stesso sta all’abilità del mediatore scegliere le forme e i luoghi più consoni perché tali incontri si trasformino in proficue occasioni di dialogo e non in occasioni di nuove liti o in un accrescimento delle incomprensione e dell’ostilità. L’informalità e la colloquialità di tali incontri contribuisce dunque allo scioglimento delle dispute, invece di accrescere la ‘battaglia giuridica’ a suon di ingiunzioni, querele e contro-querele, come accade nelle cause di tipo privato o microcomunitario. Il mediatore rappresenta in questa situazione alternativa ‘un’interferenza positiva’ perché ha potuto in precedenza – se vi è riuscito – costruire un rapporto confidenziale con le singole parti. che gli garantisce una relativa invisibilità nel colloquio ‘faccia a faccia’, rendendolo in grado di realizzare un intervento morbido di composizione e di pacificazione. In altri casi egli è chiamato più risolutamente a svolgere vere e proprie funzioni di guida alla negoziazione, privilegiando soluzioni e proposte inedite che la struttura spesso piuttosto rigida delle procedure tribunalizie non consente neppure di intravedere. Soprattutto nel caso in cui vi siano sentenze pregresse o soluzioni legali già previste per il caso in oggetto, egli sarà tenuto a provvedere soluzioni alternative che permettano di risolvere e sciogliere la disputa laddove il diritto di tipo ufficiale ha fallito. 26

Un’accezione originaria del processo di peacebuilding è proprio questa: un lavoro di progressivo affinamento delle soluzioni concordate tra le parti in causa in un conflitto capace di approdare a esiti dello stesso di tipo meno dolorosi e costosi per tutti. 1.4 Ripensare la nozione di conflitto Alcuni manuali in tal senso suggeriscono di riconsiderare la nozione stessa di conflitto come punto di partenza della formazione e dell’attività di mediazione, approdando ad un’idea che riconcettualizzi il conflitto in modo non del tutto negativo. Kraybill 8 – ad esempio – parte dall’esempio dell’ideogramma cinese che indica proprio la nozione di conflitto e mette in luce come esso sia, a sua volta, la risultante di due ideogrammi che fanno riferimento alle nozioni di ‘dolore’ da una lato e di ‘opportunità’ dall’altro. Su un altro fronte, quello della riflessione teoricofilosofica più recente, si è fatta largo negli ultimi anni un’idea del conflitto come dato ineliminabile dei rapporti sociali e politici, ma che necessita oggi di una profonda riconsiderazione. Stuart Hampshire 9 ad esempio parla, in modo piuttosto radicale di ‘giustizia come conflitto’ – il titolo del suo breve testo, quasi un pamphlet, è significativamente nell’edizione originale: Justice is conflict. Hampshire propone una idea della conflittualità sociale e politica come elemento da non demonizzare, ma anzi da intendere come meccanismo dinamico che può dare origine a processi positivi, capaci di individuare nuove risorse per una società necessariamente sempre più esposta, a causa dei processi di globalizzazione, al rischio di scontri a carattere giuridico, sociale, politico, culturale ed etnico. Altri ancora parlano esplicitamente di una teoria della ‘negoziazione tra diritti’ come uno degli elementi cruciali per un futuro di convivenze plurime e di ‘connessioni’ culturali sempre più stratificate 10 , all’interno di contesti nazionali sempre più parcellizzati e attraversati da confronti tra diversità e identità plurime. La mediazione è questo complesso sistema di strategie linguistiche, prossemiche, culturali capace di trasformare il ‘dolore’ in ‘opportunità’ – per restare alla metafora dell’ideogramma cinese impiegata da Kraybill – ovvero di convertire la negatività dello scontro in processi dinamici destinati a migliorare le condizioni di convivenza e risoluzione tra le parti. L A MEDIAZIONE CULTURALE IN E UROPA 8. S. Kraybill, Peace Skills: Manual for Mediators, Jossey Bass Press, San Francisco, 1999. 9. S. Hampshire, Non c’è giustizia senza conflitto. Democrazia come confronto di idee, Milano, Feltrinelli, 2001. 10. Cfr. G. Teubner, Diritto policontesturale: prospettive giuridiche della pluralizzazione dei mondi sociali, a cura di Anna Maria Rufino Città del Sole Edizioni, Napoli, 1999; ma anche il testo di J.-L. Amselle, Connessioni, Torino, Bollati Boringhieri, 2000. 27

Un’accezione orig<strong>in</strong>aria del processo di peacebuild<strong>in</strong>g è proprio questa: un<br />

lavoro di progressivo aff<strong>in</strong>amento delle soluzioni concordate tra le parti <strong>in</strong> causa<br />

<strong>in</strong> un conflitto capace di approdare a esiti dello stesso di tipo meno dolorosi e<br />

costosi per tutti.<br />

1.4 Ripensare la nozione di conflitto<br />

Alcuni manuali <strong>in</strong> tal senso suggeriscono di riconsiderare la nozione stessa di conflitto<br />

come punto di partenza della formazione e dell’attività di <strong>mediazione</strong>,<br />

approdando ad un’idea che riconcettualizzi il conflitto <strong>in</strong> modo non del tutto<br />

negativo. Kraybill 8 – ad esempio – parte dall’esempio dell’ideogramma c<strong>in</strong>ese che<br />

<strong>in</strong>dica proprio la nozione di conflitto e mette <strong>in</strong> luce come esso sia, a sua volta, la<br />

risultante di due ideogrammi che fanno riferimento alle nozioni di ‘dolore’ da una<br />

lato e di ‘opportunità’ dall’altro. Su un altro fronte, quello della riflessione teoricofilosofica<br />

più recente, si è fatta largo negli ultimi anni un’idea del conflitto come<br />

dato <strong>in</strong>elim<strong>in</strong>abile dei rapporti sociali e politici, ma che necessita oggi di una<br />

profonda riconsiderazione. Stuart Hampshire 9 ad esempio parla, <strong>in</strong> modo piuttosto<br />

radicale di ‘giustizia come conflitto’ – il titolo del suo breve testo, quasi un<br />

pamphlet, è significativamente nell’edizione orig<strong>in</strong>ale: Justice is conflict.<br />

Hampshire propone una idea della conflittualità sociale e politica come elemento<br />

da non demonizzare, ma anzi da <strong>in</strong>tendere come meccanismo d<strong>in</strong>amico che può<br />

dare orig<strong>in</strong>e a processi positivi, capaci di <strong>in</strong>dividuare nuove risorse per una<br />

società necessariamente sempre più esposta, a causa dei processi di globalizzazione,<br />

al rischio di scontri a carattere giuridico, sociale, politico, <strong>culturale</strong> ed etnico.<br />

Altri ancora parlano esplicitamente di una teoria della ‘negoziazione tra<br />

diritti’ come uno degli elementi cruciali per un futuro di convivenze plurime e di<br />

‘connessioni’ culturali sempre più stratificate 10 , all’<strong>in</strong>terno di<br />

contesti nazionali sempre più parcellizzati e attraversati da<br />

confronti tra diversità e identità plurime.<br />

La <strong>mediazione</strong> è questo complesso sistema di strategie<br />

l<strong>in</strong>guistiche, prossemiche, culturali capace di trasformare il<br />

‘dolore’ <strong>in</strong> ‘opportunità’ – per restare alla metafora dell’ideogramma<br />

c<strong>in</strong>ese impiegata da Kraybill – ovvero di convertire la<br />

negatività dello scontro <strong>in</strong> processi d<strong>in</strong>amici dest<strong>in</strong>ati a migliorare<br />

le condizioni di convivenza e risoluzione tra le parti.<br />

L A MEDIAZIONE CULTURALE IN E UROPA<br />

8. S. Kraybill, Peace Skills:<br />

Manual for Mediators, Jossey<br />

Bass Press, San Francisco, 1999.<br />

9. S. Hampshire, Non c’è giustizia<br />

senza conflitto. Democrazia<br />

come confronto di idee, Milano,<br />

Feltr<strong>in</strong>elli, 2001.<br />

10. Cfr. G. Teubner,<br />

Diritto policontesturale: prospettive<br />

giuridiche della pluralizzazione<br />

dei mondi sociali, a cura di Anna<br />

Maria Ruf<strong>in</strong>o Città del Sole<br />

Edizioni, Napoli, 1999; ma<br />

anche il testo di J.-L. Amselle,<br />

Connessioni, Tor<strong>in</strong>o, Bollati<br />

Bor<strong>in</strong>ghieri, 2000.<br />

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