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indagine sulla mediazione culturale in italia - Integrazione Migranti

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S INTESI E CONCLUSIONI<br />

essere straniero (ed immigrato anche lui), e quanti <strong>in</strong>vece ribattono che sia preferibile<br />

un mediatore <strong>italia</strong>no. Anche se esiste un sostanziale accordo sull’importanza<br />

della <strong>mediazione</strong> <strong>culturale</strong>, esso però sembra decl<strong>in</strong>arsi <strong>in</strong> almeno due<br />

accezioni fondamentali: (a) una ‘ridotta’, per così dire, all’impiego del mediatore<br />

come figura di ‘traduttore’, più o meno ufficiale, nei diversi contesti di necessità<br />

(scuole, tribunali, ospedali, uffici pubblici, ecc.); (b) una ‘ampia’, che vede nella<br />

<strong>mediazione</strong> il complesso di pratiche concrete di avvic<strong>in</strong>amento, negoziazione e<br />

facilitazione dei rapporti tra culture migranti e residenti. In questo quadro, si<br />

dibatte ancora molto su due diverse nozioni di ‘mediatore’: (a) una sostanzialmente<br />

‘<strong>in</strong>formale’ che fa riferimento generico all’esigenza di operatori madre-l<strong>in</strong>gua<br />

capaci di <strong>in</strong>tervenire nelle diverse situazioni di necessità; (b) una più ‘formalizzata’<br />

<strong>in</strong> cui si tenta di raggiungere una sorta di ‘standard’ di formazione, di statuto,<br />

di riconoscimento professionale a tale categoria di operatori, capace di fornire<br />

un servizio realmente parificato sul territorio nazionale e un adeguato ed omogeneo<br />

trattamento professionale.<br />

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Come si può osservare, la <strong>mediazione</strong> abbisogna di una serie di def<strong>in</strong>izioni e scelte<br />

politiche fondamentali. Anche per evitare una tendenza -che potrebbe riscontrarsi<br />

nella realtà di non poche esperienze- a delegare al mediatore la gestione dei<br />

rapporti con gli utenti stranieri. Una tendenza <strong>in</strong>somma alla deresponsabilizzazione<br />

delle istituzioni, che va unita ad una scarsa valorizzazione delle potenzialità<br />

di impiego della figura del mediatore. Ma quando ciò avviene è perché la<br />

<strong>mediazione</strong> è <strong>in</strong>tesa e realizzata <strong>in</strong> modo sbagliato; se il mediatore <strong>in</strong>somma è<br />

chiamato a “prendersi carico” degli stranieri (addirittura a rappresentarli), l’istituzione<br />

stenta a ridef<strong>in</strong>ire il proprio ruolo e a reimpostare gli assetti organizzativi<br />

dei servizi che offre, tenendo conto dei bisogni provenienti da nuove e differenziate<br />

tipologie di utenza. E’ <strong>in</strong> questi casi che la <strong>mediazione</strong> si allontana da quel<br />

concetto di “reciprocità” (nei processi di <strong>in</strong>tegrazione, nella assunzione di responsabilità,<br />

nell’accettazione di norme e v<strong>in</strong>coli comuni) che esprime il senso ultimo<br />

delle politiche dell’immigrazione di ampio respiro, di governo della trasformazione<br />

multietnica e pluri<strong>culturale</strong> della società <strong>italia</strong>na.<br />

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