indagine sulla mediazione culturale in italia - Integrazione Migranti
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INDAGINE SULLA MEDIAZIONE CULTURALE IN ITALIA essi fungono generalmente da primissima ‘interfaccia’ tra istituzione ed utenti stranieri, molto spesso come interpreti-traduttori. Non sembra però che situazioni di questo genere riscuotano consensi tra i mediatori, almeno secondo quanto sostenuto da quelli incontrati nell’ambito dell’indagine nazionale, i quali le hanno contestate radicalmente in quanto da una parte deprimono le effettive risorse professionali del mediatore, e dall’altra sminuiscono la mediazione in quanto azione tesa a migliorare la comunicazione e l’interazione tra i membri di universi culturali differenti. Dall’analisi delle sezioni del questionario dedicata ai mediatori si desume che il profilo attuale del mediatore è più basso rispetto a quanto ci si aspetterebbe stando ai dati sulla loro formazione culturale e professionale, le tipologie di servizio e gli obiettivi degli enti attuatori. Non è un mistero d’altro canto che serpeggi un diffuso malessere tra i mediatori, anche perché il loro status giuridico, professionale e retributivo non è stato ancora definito adeguatamente. A questa affermazione conducono anche i risultati del focus group. L’unica domanda del questionario relativa al grado di soddisfazione dei mediatori (risposta in ogni caso dagli enti mediatori), fa emergere un alto numero di risposte positive (43,8%), a fronte però di un 56,2% di casi in cui i mediatori sono solo in parte soddisfatti o non lo sono affatto. 27 Disagi e frustrazioni dei mediatori rappresentano una delle manifestazioni di quell’indeterminatezza che tuttora avvolge la mediazione culturale in Italia, nonostante il meritorio sforzo di tante istituzioni pubbliche e del privato sociale che per questa via hanno intrapreso un processo di avvicinamento alle esigenze e alle caratteristiche degli immigrati. Basti pensare che non esistono ancora standard di qualità sia nel campo della formazione dei mediatori sia sul piano dell’erogazione dei servizi di mediazione nei differenti settori di intervento in cui essa si è diffusa. Anche per questa ragione bisogna parlare di esperienze o pratiche di mediazione. 28 Molti aspetti di questa (non più tanto) nuova professione rimangono peraltro oscuri, o quanto meno confusi. Non mancano coloro che sostengono che la mediazione debba essere una competenza diffusa delle diverse categorie professionali, invece che una professione a sé. Un altro punto di controversia concerne la “nazionalità” del mediatore, e qui si dividono quanti asseriscono che debba 174
S INTESI E CONCLUSIONI essere straniero (ed immigrato anche lui), e quanti invece ribattono che sia preferibile un mediatore italiano. Anche se esiste un sostanziale accordo sull’importanza della mediazione culturale, esso però sembra declinarsi in almeno due accezioni fondamentali: (a) una ‘ridotta’, per così dire, all’impiego del mediatore come figura di ‘traduttore’, più o meno ufficiale, nei diversi contesti di necessità (scuole, tribunali, ospedali, uffici pubblici, ecc.); (b) una ‘ampia’, che vede nella mediazione il complesso di pratiche concrete di avvicinamento, negoziazione e facilitazione dei rapporti tra culture migranti e residenti. In questo quadro, si dibatte ancora molto su due diverse nozioni di ‘mediatore’: (a) una sostanzialmente ‘informale’ che fa riferimento generico all’esigenza di operatori madre-lingua capaci di intervenire nelle diverse situazioni di necessità; (b) una più ‘formalizzata’ in cui si tenta di raggiungere una sorta di ‘standard’ di formazione, di statuto, di riconoscimento professionale a tale categoria di operatori, capace di fornire un servizio realmente parificato sul territorio nazionale e un adeguato ed omogeneo trattamento professionale. 29 Come si può osservare, la mediazione abbisogna di una serie di definizioni e scelte politiche fondamentali. Anche per evitare una tendenza -che potrebbe riscontrarsi nella realtà di non poche esperienze- a delegare al mediatore la gestione dei rapporti con gli utenti stranieri. Una tendenza insomma alla deresponsabilizzazione delle istituzioni, che va unita ad una scarsa valorizzazione delle potenzialità di impiego della figura del mediatore. Ma quando ciò avviene è perché la mediazione è intesa e realizzata in modo sbagliato; se il mediatore insomma è chiamato a “prendersi carico” degli stranieri (addirittura a rappresentarli), l’istituzione stenta a ridefinire il proprio ruolo e a reimpostare gli assetti organizzativi dei servizi che offre, tenendo conto dei bisogni provenienti da nuove e differenziate tipologie di utenza. E’ in questi casi che la mediazione si allontana da quel concetto di “reciprocità” (nei processi di integrazione, nella assunzione di responsabilità, nell’accettazione di norme e vincoli comuni) che esprime il senso ultimo delle politiche dell’immigrazione di ampio respiro, di governo della trasformazione multietnica e pluriculturale della società italiana. 175
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essi fungono generalmente da primissima ‘<strong>in</strong>terfaccia’ tra istituzione ed utenti<br />
stranieri, molto spesso come <strong>in</strong>terpreti-traduttori. Non sembra però che situazioni<br />
di questo genere riscuotano consensi tra i mediatori, almeno secondo quanto<br />
sostenuto da quelli <strong>in</strong>contrati nell’ambito dell’<strong><strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e</strong> nazionale, i quali le<br />
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risorse professionali del mediatore, e dall’altra sm<strong>in</strong>uiscono la <strong>mediazione</strong> <strong>in</strong><br />
quanto azione tesa a migliorare la comunicazione e l’<strong>in</strong>terazione tra i membri di<br />
universi culturali differenti. Dall’analisi delle sezioni del questionario dedicata ai<br />
mediatori si desume che il profilo attuale del mediatore è più basso rispetto a<br />
quanto ci si aspetterebbe stando ai dati <strong>sulla</strong> loro formazione <strong>culturale</strong> e professionale,<br />
le tipologie di servizio e gli obiettivi degli enti attuatori. Non è un mistero<br />
d’altro canto che serpeggi un diffuso malessere tra i mediatori, anche perché il<br />
loro status giuridico, professionale e retributivo non è stato ancora def<strong>in</strong>ito adeguatamente.<br />
A questa affermazione conducono anche i risultati del focus group.<br />
L’unica domanda del questionario relativa al grado di soddisfazione dei mediatori<br />
(risposta <strong>in</strong> ogni caso dagli enti mediatori), fa emergere un alto numero di<br />
risposte positive (43,8%), a fronte però di un 56,2% di casi <strong>in</strong> cui i mediatori sono<br />
solo <strong>in</strong> parte soddisfatti o non lo sono affatto.<br />
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Disagi e frustrazioni dei mediatori rappresentano una delle manifestazioni di<br />
quell’<strong>in</strong>determ<strong>in</strong>atezza che tuttora avvolge la <strong>mediazione</strong> <strong>culturale</strong> <strong>in</strong> Italia,<br />
nonostante il meritorio sforzo di tante istituzioni pubbliche e del privato sociale<br />
che per questa via hanno <strong>in</strong>trapreso un processo di avvic<strong>in</strong>amento alle esigenze e<br />
alle caratteristiche degli immigrati. Basti pensare che non esistono ancora standard<br />
di qualità sia nel campo della formazione dei mediatori sia sul piano dell’erogazione<br />
dei servizi di <strong>mediazione</strong> nei differenti settori di <strong>in</strong>tervento <strong>in</strong> cui essa<br />
si è diffusa. Anche per questa ragione bisogna parlare di esperienze o pratiche di<br />
<strong>mediazione</strong>.<br />
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Molti aspetti di questa (non più tanto) nuova professione rimangono peraltro<br />
oscuri, o quanto meno confusi. Non mancano coloro che sostengono che la<br />
<strong>mediazione</strong> debba essere una competenza diffusa delle diverse categorie professionali,<br />
<strong>in</strong>vece che una professione a sé. Un altro punto di controversia concerne<br />
la “nazionalità” del mediatore, e qui si dividono quanti asseriscono che debba<br />
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