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indagine sulla mediazione culturale in italia - Integrazione Migranti

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INDAGINE SULLA MEDIAZIONE CULTURALE IN ITALIA<br />

obbligo a “prendere le parti” degli stranieri. Anche per questo bisogna dist<strong>in</strong>guere<br />

due livelli della riflessione quando si parla di come i mediatori vedono la<br />

<strong>mediazione</strong>: una prima, immediata e spontanea, ed una seconda frutto di un’elaborazione<br />

più pausata, nella quale prevalgono def<strong>in</strong>izioni di carattere formale.<br />

Infatti il mediatore si vede e si ritrae prima di tutto come una figura professionale<br />

che assiste l’utente straniero. Mancano quasi del tutto riferimenti al suo<br />

ruolo nei confronti delle istituzioni pubbliche <strong>italia</strong>ne. Purtroppo sono le stesse istituzioni<br />

a sp<strong>in</strong>gere i mediatori a considerarsi un servizio riservato agli immigrati.<br />

L’immag<strong>in</strong>e cambia, però, quando il mediatore è posto di fronte alla necessità<br />

di concettualizzare il proprio ruolo, soprattutto se è chiamato a problematizzare<br />

la sua figura, a riflettere sui possibili effetti di deresponsabilizzazione che<br />

essa rischia di generare negli utenti e nelle istituzioni. In questi casi emerge una<br />

più profonda consapevolezza del ruolo di collegamento connesso alla propria<br />

professione, come facilitatore della comunicazione tra due mondi, quello degli<br />

stranieri da un lato e quello delle istituzioni dall’altro. Le parole che più ritornano<br />

sono: dialogo, ponte, facilitazione dei rapporti, agente di <strong>in</strong>contro e comprensione reciproca,<br />

strumento di educazione e cambiamento delle istituzioni <strong>italia</strong>ne (ancora <strong>in</strong>trise di<br />

pregiudizi e difficoltà a trattare le diversità culturali).<br />

Tale consapevolezza, come si è appena segnalato, agisce più che altro a<br />

livello “discorsivo” e mediato, a volte stimolata da rilievi critici. Il mediatore sa<br />

anche che la sua posizione è fragile, che la sua è una professione che si sta facendo<br />

strada sperimentalmente e che dipende unicamente dalla volontà (reversibile)<br />

delle istituzioni pubbliche che decidono di ricorrervi. Questa precarietà, che si<br />

traduce <strong>in</strong> una mancanza di legittimazione piena della funzione della <strong>mediazione</strong>,<br />

può spiegare la comparsa a volte di un atteggiamento difensivo, <strong>in</strong> base al<br />

quale il mediatore si ripara ricorrendo a def<strong>in</strong>izioni più manualistiche della<br />

<strong>mediazione</strong>, ed <strong>in</strong> questo senso più neutrali, proprio perché più rispondenti a<br />

concezioni che godono di un maggiore consenso pubblico, soprattutto nell’ambito<br />

delle istituzioni che formano i mediatori.<br />

Non si vuole dire che tali espressioni diciamo “più formali” siano formulate<br />

senza s<strong>in</strong>cerità, come comode posizioni di ripiego, al contrario. Ma resta il fatto<br />

che nella rappresentazione di sé spontanea e diretta, emerge nitidamente una raffigurazione<br />

del mediatore quale figura di sostegno per gli stranieri, assieme ad<br />

un atteggiamento di solidarietà attiva con loro. È pure vero comunque che,<br />

rispetto ai rapporti con gli utenti, sono chiare ai mediatori le ricadute negative<br />

del paternalismo e di atteggiamenti improntati all’assistenzialismo, a volte <strong>in</strong>dot-<br />

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