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Francesco Valagussa - Giornale Critico di Storia delle Idee

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Guerre d’avamposto: organizzazione e sfruttamento.<br />

L’instabilità dello Stato<br />

<strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Valagussa</strong><br />

«In futuro il commercio deve (soll) governare lo Stato o lo Stato il mercato?» [1] È<br />

il <strong>di</strong>lemma che Spengler pone al mondo intero, nel 1919, al termine <strong>di</strong> una guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale che «è stata ben lungi dal portare a soluzione i gran<strong>di</strong> problemi del secolo<br />

scorso» e che al contrario «introduce un’epoca <strong>di</strong> decisioni immani, la cui grandezza e<br />

orribilità nessuno oggi è in grado <strong>di</strong> immaginare, anche quando egli avrebbe il dovere<br />

(sollte) <strong>di</strong> intuire il futuro» [2]. Commercio o Stato? Un <strong>di</strong>lemma per il mondo, che<br />

Spengler riformula continuamente: «L’economia planetaria deve essere uno sfruttamento<br />

mon<strong>di</strong>ale o un’organizzazione mon<strong>di</strong>ale?» [3]. Modello capitalista o modello socialista?<br />

Già in quegli scritti si annunciava un conflitto planetario, poiché «oggi in ogni Paese ci<br />

sono un partito economico inglese e uno prussiano» [4]. Spengler ripropone la <strong>di</strong>cotomia<br />

modulandola secondo <strong>di</strong>versi registri:<br />

«Spirito dei Vichinghi e spirito degli Or<strong>di</strong>ni cavallereschi riaffiorano: l’ethos<br />

del successo e quello del dovere. La fisionomia del popolo inglese è<br />

ricalcata sulla <strong>di</strong>fferenza tra il ricco e povero; quella del popolo tedesco,<br />

sulla <strong>di</strong>fferenza tra ci comanda e chi ubbi<strong>di</strong>sce» [5].<br />

Sulle stesse note, negli stessi anni, “suonava” anche Jünger: «Ecco il segreto<br />

autentico del comando: esso non fa promesse, ma avanza pretese. La più profonda<br />

felicità dell’uomo è nell’essere sacrificato, e la suprema arte del comando consiste<br />

nell’ad<strong>di</strong>tare fini che siano degni del sacrificio» [6]. Alle spalle <strong>di</strong> entrambi, in realtà, parla<br />

il padre <strong>di</strong> tanta filosofia del Novecento, Nietzsche, capace <strong>di</strong> smascherare ad un tempo<br />

l’istanza moralizzatrice e quella utilitaristica, in quanto strettamente imparentate tra loro:<br />

«tutti costoro vogliono che si <strong>di</strong>a ragione alla morale inglese: in quanto<br />

appunto con questa si giova nel modo migliore all’umanità, ovvero all’<br />

“utile collettivo”, o alla “felicità del maggior numero”, no! Alla felicità<br />

dell’Inghilterra; essi vorrebbero <strong>di</strong>mostrare, con tutte le loro forze, che<br />

l’aspirare alla felicità inglese, cioè al comfort e alla fashion (e, nel grado più alto,<br />

a un seggio in parlamento), sia al tempo stesso anche il giusto sentiero della<br />

virtù» [7].<br />

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Il Vichingo oggi si è trasformato in liberoscambista, il Cavaliere in funzionario –<br />

afferma Spengler; con accenti non molto <strong>di</strong>versi Jünger contrapponeva la casta degli<br />

scribacchini a quella dei merciai [8], l’impiegato al ven<strong>di</strong>tore, protagonisti <strong>di</strong> quelle guerre<br />

d’avamposto che poi finiscono per determinare la traiettoria <strong>di</strong> una civiltà. E la rotta oggi<br />

– inutile segnalarlo – è segnata dal trionfo del commerciante: «Dopo la guerra perduta –<br />

scrive Jünger – gli sportelli degli uffici pubblici si adeguarono allo stile dei gran<strong>di</strong><br />

magazzini» [9]. Rispetto a questo scontro, la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale si è comportata<br />

come la prima: ben lungi dal portare a soluzione il grande problema. Né la vittoria del<br />

modello economico del commerciante può esimere dal dovere, ancora oggi, <strong>di</strong> intuire il<br />

futuro. Questo dovere incalza proprio a motivo <strong>delle</strong> crisi che l’economico provoca –<br />

nell’autentico senso <strong>di</strong> un “suscitare intenzionale” – ciclicamente.<br />

E la supremazia dell’economico sul politico scompensa un’euritmia antica, che<br />

l’Hegel dei Lineamenti <strong>di</strong> filosofia del <strong>di</strong>ritto formulò nei termini seguenti: «Come per il<br />

principio della vita familiare è con<strong>di</strong>zione la terra, cioè il fondo e il terreno stabile, così<br />

per l’industria l’elemento naturale che la anima verso l’esterno è il mare» [10]. E non<br />

sarebbe avventato confrontare queste righe hegeliane con la pagina kantiana de<strong>di</strong>cata alla<br />

<strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> tutti gli oggetti in Phaenomena e Noumena, autentico prelu<strong>di</strong>o alla <strong>di</strong>alettica<br />

trascendentale, dove alla terra della verità si contrappone l’oceano vasto e tempestoso<br />

sede dell’illusione, tenendo a mente la reciprocità tramite cui Kant delinea la loro<br />

coesione: la terra non è soltanto stabile rifugio <strong>di</strong> fronte all’oceano, poiché essa stessa si<br />

sente chiamata verso il mare, per sapere «a quale titolo noi posse<strong>di</strong>amo proprio questa<br />

terra e possiamo considerarci garantiti contro ogni pretesa ostile» [11]. Una terra che<br />

costituisce un appoggio sicuro <strong>di</strong> contro all’oceano burrascoso e che tuttavia da quello<br />

stesso elemento è attratta, da esso <strong>di</strong>pende per legittimarsi, pur essendo, a rigore, il<br />

simbolo della quella sovranità, <strong>di</strong> ciò che è legittimo per definizione.<br />

Il <strong>di</strong>lemma <strong>di</strong> Spengler nasce proprio dal presentimento prima e dalla<br />

constatazione poi dell’infrangersi <strong>di</strong> questo delicato equilibrio, provocato dal prevalere<br />

dell’economico. Ciò si manifesta nella costante erosione della sovranità statale: «oggi<br />

non vi è nulla <strong>di</strong> più moderno della lotta contro il politico. Finanzieri americani, tecnici<br />

industriali, socialisti marxisti e rivoluzionari anarco-sindacalisti si coalizzano per chiedere<br />

l’abolizione del predominio non oggettivo della politica sull’oggettività della vita<br />

economica» [12]. Cedendo <strong>di</strong> continuo alla prepotenza dell’acqua [13], lo Stato finisce<br />

per trasformarsi in una palude, una sorta <strong>di</strong> acquitrino, rinunciando così a quella stabilità<br />

che, sola, ne rende possibile la sovranità.<br />

Allo Stato compete oggi il ruolo grottesco <strong>di</strong> servitore fedele, e tuttavia<br />

<strong>di</strong>sprezzato da un padrone, che è tale in virtù <strong>di</strong> una legge che lo Stato, il legislatore per<br />

eccellenza, non ha redatto e che non<strong>di</strong>meno è costretto a riconoscere: il servizio che<br />

pure la politica intenderebbe offrire all’economia viene comunque percepito da<br />

quest’ultima come un fattore d’intralcio; la politica rimane un costo. Per quanto<br />

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premuroso, lo Stato risulterà costitutivamente sgra<strong>di</strong>to poiché a fronteggiarsi qui sono<br />

due τιµαί:<br />

«il ven<strong>di</strong>tore, com’è noto, cerca <strong>di</strong> lodare e decantare la propria merce,<br />

l’impiegato è sempre incline a porre ostacoli e a sollevare obiezioni,<br />

in<strong>di</strong>rizza ad un altro sportello, è <strong>di</strong>sposto a vendere soltanto determinate<br />

quantità, e, in genere, si preoccupa più <strong>di</strong> respingere l’acquirente che non <strong>di</strong><br />

attirarlo a sé» [14].<br />

Denigrare il ven<strong>di</strong>tore riducendolo a semplice truffatore o liquidare<br />

l’atteggiamento dell’impiegato all’insegna della pedanteria burocratica impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong><br />

cogliere quel πάϑος che anima le due opposte fazioni: la foga <strong>di</strong> conquista e <strong>di</strong> successo<br />

da un lato, il dovere <strong>di</strong> consolidare e rinsaldare quanto già si possiede dall’altro<br />

costituiscono due opposte visioni del mondo che si fronteggiano, non due fazioni che<br />

possono trovare un accordo. La forma stessa dell’accordo viene concepita dalle due in<br />

maniera ra<strong>di</strong>calmente antitetica: un contratto flessibile tra due o più contraenti nel primo<br />

caso, una norma inviolabile che legifera su tutti i soggetti nel secondo.<br />

Lo Stato non è <strong>di</strong>sposto a contrattare in quanto sovrano, tanto quanto l’economia <strong>di</strong> per<br />

sé violerebbe qualsiasi tipo <strong>di</strong> norma imposta, perché si autoregola.<br />

Ne La questione ebraica il denaro è il Dio geloso d’Israele, <strong>di</strong> fronte al quale qualsiasi<br />

Dio viene annientato: tutti gli dei vengono ridotti a merce. «Il denaro è il valore<br />

universale, per sé costituito, <strong>di</strong> tutte le cose» [15]. A partire dall’affinità etimologica<br />

riscontrabile tra valor, virtus e Wert, Carl Schmitt, circa un secolo più tar<strong>di</strong>, rileverà come il<br />

termine valore abbia subito un progressivo slittamento semantico [16] che conduce<br />

verso una connotazione economica sempre più marcata: l’autentico valore è oggi il<br />

prezzo. «L’economia, il mercato e la borsa sono <strong>di</strong>ventati in questo modo il terreno <strong>di</strong><br />

tutto ciò che si definisce valore in senso specifico» [17].<br />

Per tornare a Marx, il denaro è quel monoteismo che letteralmente mondanizza il<br />

politeismo dei bisogni [18], un <strong>di</strong>o geloso che non tollera altre <strong>di</strong>vinità attorno a sé: non<br />

è più possibile alcun Olimpo in cui le <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>vinità si contendano il destino degli<br />

uomini; si realizza piuttosto un Pantheon, dove si radunano gli dei <strong>di</strong> tutti i popoli –<br />

<strong>di</strong>rebbe Hegel – e proprio così gli dei si <strong>di</strong>struggono a vicenda, mentre a dominare era lo<br />

spirito <strong>di</strong> Roma [19], l’universale astratto che annienta i particolari e li domina.<br />

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Né si può tacere che il primo ad aver teorizzato la compiuta quantificazione<br />

dell’essere è proprio Hegel, nelle pagine della Scienza della logica de<strong>di</strong>cate al passaggio dal<br />

quantum alla misura:<br />

«Sulle prime apparisce la quantità come tale <strong>di</strong> contro alla qualità; ma la<br />

quantità è essa stessa una qualità, una determinatezza che in generale si<br />

riferisce a sé, <strong>di</strong>stinta dalla sua altra determinatezza, dalla qualità come tale.<br />

Se non che essa non è soltanto una qualità, ma la verità della qualità stessa è<br />

la quantità. La quantità all’incontro è nella sua verità l’estrinsecità tornata in<br />

se stessa, non in<strong>di</strong>fferente. Così essa è la qualità stessa, e non come se fuori<br />

<strong>di</strong> questa determinazione la qualità come tale fosse ancora qualcosa» [20].<br />

Quanto Hegel afferma risulta perfettamente applicabile all’ambito economico,<br />

anzi l’economico realizza esattamente la conclusione della dottrina dell’essere. Il denaro è<br />

quella quantità che riferendosi a se medesima <strong>di</strong>venta qualità, ma non come se accanto a<br />

quella qualità ve ne potessero essere <strong>delle</strong> altre: l’identità <strong>di</strong> quella qualità è <strong>di</strong> essere la<br />

quantità medesima; tale la “gelosia” del Dio denaro. Leggendo sinotticamente questo<br />

trapassare della quantità in qualità, una qualità che al medesimo tempo è la quantità<br />

stessa, si ottiene un terzo, che Hegel chiama misura: e Marx aggiungerà soltanto che il<br />

denaro è questa misura del mondo poiché, come quantità, annienta le altre qualità sino a<br />

che, ritornando in sé [21], non <strong>di</strong>venta qualità <strong>di</strong> se medesima.<br />

E qui sarebbe già possibile cogliere l’origine idealistica dello stesso materialismo<br />

<strong>di</strong>alettico: «L’essenza del materialismo non sta nell’affermazione che tutto è solo materia,<br />

ma piuttosto in una determinazione metafisica per la quale tutto l’ente appare come<br />

materia da lavoro» [22]. E non occorre nemmeno riferirsi ad Heidegger, poiché l’intento<br />

<strong>di</strong> Marx risulta chiarissimo già nella sua prefazione a La concezione materialistica della storia,<br />

dove si legge «I parti della loro testa sono <strong>di</strong>ventati più forti <strong>di</strong> loro. Essi, i creatori, si<br />

sono inchinati <strong>di</strong> fronte alle loro creature» [23]. Lo scontro tra il materialismo e<br />

l’idealismo hegeliano si svolge all’insegna del tentativo <strong>di</strong> liberare il creatore, l’uomo<br />

stesso, dall’aspetto mistico in cui ancora consiste – secondo Marx – l’autodeterminarsi<br />

del concetto [24], vale a <strong>di</strong>re dall’ultimo idolo <strong>di</strong> una teo<strong>di</strong>cea della storia: l’obiettivo del<br />

materialismo storico risiede proprio in un rovesciamento <strong>di</strong> quell’idealismo che in effetti<br />

intende portare a compimento [25].<br />

Nel suo capolavoro Spengler tornerà proprio sul tratto essenziale del denaro come<br />

un “parto della testa”: il mondo dell’economia non si risolve in una quantità <strong>di</strong> merci o <strong>di</strong><br />

banconote, non è neanche la mera applicazione <strong>di</strong> una specifica unità <strong>di</strong> misura alle cose<br />

del mondo, è piuttosto pensiero creatore; denaro sì, ma denaro faustiano, pensato come<br />

centro d’azione (als Wirkungszentrum gedacht) [26]:<br />

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«il pensiero genera denaro: questo è il segreto del mondo economico» [27].<br />

Il lavoro del mondo economico è innanzitutto pensiero, pensiero creatore: il<br />

denaro è la forma del pensiero che rende più <strong>di</strong>rettamente tangibile la creazione <strong>di</strong> quella<br />

seconda natura più volte rammentata da Hegel come l’autentico mondo dello spirito. È<br />

l’ultimo sta<strong>di</strong>o della storia del pensiero così come si annuncia nella Fenomenologia dello<br />

spirito, quel giu<strong>di</strong>zio infinito «la cosa è Io» [28], nel quale le cose sono ricondotte alla loro<br />

pura e semplice utilità: l’autocoscienza ha così prodotto la cosa stessa nel senso che la<br />

cosa è e sussiste solo e unicamente nella misura in cui è utile, e dunque pensata in quanto<br />

utile. Qui si consuma, peraltro, proprio il fallimento dell’operazione marxiana in<br />

rapporto alla <strong>di</strong>alettica hegeliana: il “parto della testa”, l’idea, e in particolare l’idea come<br />

generatrice <strong>di</strong> denaro, è già <strong>di</strong> per sé l’assolutamente concreto e dunque ciò che è potente<br />

nella realtà, come Hegel aveva perfettamente colto.<br />

Il pensiero realizza, rende reale, perché genera denaro. È «l’immagine del mago<br />

moderno» [29], quel centro d’azione, simbolo della tecnica umana, che è in grado <strong>di</strong><br />

produrre tutto: il denaro è la pietra filosofale alla ricerca della quale ci si affannò durante<br />

Me<strong>di</strong>oevo, benché ormai secolarizzata. L’arte <strong>di</strong>venta così Gegenbegriff della natura [30]<br />

poiché tende a sostituirla e dunque a soppiantarla. «Il lavoro <strong>di</strong>venta la gran parola del<br />

pensare etico» [31]: il pensiero prepara e pre<strong>di</strong>spone il nuovo mondo dove lo spirito<br />

<strong>di</strong>mora in qualità <strong>di</strong> creatore, non più <strong>di</strong> subalterno. L’economia possiede un proprio<br />

ethos, un proprio modo <strong>di</strong> vivere e <strong>di</strong> intendere il mondo.<br />

Allora perché lo sfruttamento del mondo in base al modello economico viene<br />

contrapposto da Spengler all’organizzazione del mondo sul principio statale? Nella figura<br />

del denaro il pensiero lavora su se medesimo e crea il proprio mondo: abitare questo<br />

mondo significa assumere una nuova etica, in quanto consuetu<strong>di</strong>ne che secondo Hegel<br />

finisce per trasformarsi in una seconda natura, al posto <strong>di</strong> quella prima volontà puramente<br />

naturale [32] Perché dunque il contrasto tra il Vichingo e il Cavaliere crociato, tra il<br />

libero scambista e l’impiegato statale? Perché l’economico non potrebbe essere in grado<br />

<strong>di</strong> sopprimere i vecchi costumi etici della statualità e <strong>di</strong> sostituirsi integralmente ad essi?<br />

Che cosa manca all’economico per fondare uno Stato?<br />

Tramite Spengler si è già chiarito come l’ethos dello sfruttamento del mondo non si<br />

basi sul mero scambio <strong>di</strong> moneta o sulla novità <strong>delle</strong> macchine industriali: l’essenza <strong>di</strong> ciò<br />

che si intende per sfruttamento del mondo da parte dell’apparato economico-finanziario<br />

e tecnologico-scientifico risiede nella concretezza del pensiero creatore.<br />

«non la macchina – <strong>di</strong>rebbe Spengler – ma il titolo azionario ha mutato il<br />

volto del mondo del lavoro» [33].<br />

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Il pensiero crea letteralmente denaro, nel senso che è il solo, universale, creatore<br />

<strong>di</strong> “valore”: il grande segreto della prospettiva economica agisce creando un secondo<br />

mondo, un mondo concretissimo perché frutto <strong>di</strong> un movimento <strong>di</strong> pensiero, e tuttavia<br />

un mondo che è lecito chiamare “virtuale” perché pensato in quanto “avente valore<br />

(virtus -Wert)”, mondo del quale è stato fissato un prezzo.<br />

I patrimoni finanziari, le masse <strong>di</strong> denaro fittizio della speculazione e così pure la<br />

potenza del cre<strong>di</strong>to, autentico volano <strong>di</strong> questo movimento <strong>di</strong> pensiero produttore, <strong>di</strong><br />

denaro sono il massimamente concreto e proprio perciò il virtuale, ciò che sa <strong>di</strong> potervalere,<br />

l’avente valore … pensato in quanto valore [34]. Questa virtualità costituisce il più<br />

grande ostacolo alla perpetuazione del <strong>di</strong>ritto statale: il centro, la potenza che avvalora, non risiede<br />

più nella sovranità. L’accordo è il contratto, non la norma.<br />

«il contrasto tra il ricco e povero scompare <strong>di</strong>etro quello più rilevante tra<br />

quei contribuenti il cui red<strong>di</strong>to o il cui patrimonio è chiaramente accertabile,<br />

e quelli la cui reale capacità contributiva può essere forse intuita, ma non<br />

verificata» [35].<br />

La non verificabilità del benessere impe<strong>di</strong>sce l’attuazione del <strong>di</strong>ritto e interrompe<br />

quella <strong>di</strong>alettica che si trova all’origine dello Stato moderno [36]: prescindendo dal <strong>di</strong>ritto<br />

lo Stato è destinato a trasformarsi in una fabbrica, all’insegna dell’efficienza; il mero<br />

sfruttamento rimane incapace, tuttavia, <strong>di</strong> assicurare uno sfondo politico, vale a <strong>di</strong>re la<br />

convivenza comune. Gli Stati, stretti anch’essi nella morsa dello sfruttamento avviato<br />

dall’economia mon<strong>di</strong>ale, finiscono per assomigliare a quei gran<strong>di</strong> ni<strong>di</strong> <strong>di</strong> termiti <strong>di</strong> cui<br />

parlava Jünger, nei quali regna la cecità della vita [37], impigliati nei lacci dell’efficienza<br />

quantificatrice. Altrove Jünger in<strong>di</strong>ca come caratteristico dell’umano proprio quella<br />

<strong>di</strong>mensione politica che non coincide con la compiuta perfezione degli insetti: «La<br />

decisione che per altre razze è già stata presa è per lui ancora sospesa, lo stampo è ancora<br />

fluido, e questo rappresenta la sua salvezza» [38]. All’oggettività dell’economico – come<br />

poi sosterrà Schmitt – si contrappone la non oggettività del politico.<br />

Il famoso racconto dell’alveare <strong>di</strong> Mandeville sembra quasi <strong>di</strong>menticare quelle<br />

prime pagine della Politica <strong>di</strong> Aristotele, nelle quali l’uomo viene definito l’animale più<br />

politico <strong>di</strong> tutte le api e <strong>di</strong> ogni animale che vive nel gregge e per questa ragione dotato <strong>di</strong><br />

un contrassegno non equivocabile:<br />

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«la natura non fa nulla invano, e l’uomo è l’unico animale che abbia la<br />

favella» [39].<br />

Nel suo racconto Mandeville coglie solo un lato dell’intreccio problematico tra<br />

politica ed economia: se è vero, da una parte, che a prescindere dallo spirito economico,<br />

dallo spirito, cioè, del Vichingo, lo Stato muore, e l’alveare si svuota, è altrettanto vero,<br />

dall’altra parte, che a sua volta quello stesso spirito economico, da solo, non è in grado<br />

né <strong>di</strong> fondare, né <strong>di</strong> garantire il perdurare dell’alveare medesimo: l’economico risulta<br />

senza dubbio necessario alla prosperità della comunità, ma non potrà mai <strong>di</strong>rsi<br />

sufficiente a garantirne la permanenza. L’in<strong>di</strong>viduo innanzitutto vive insieme con gli altri<br />

uomini e vive all’interno della città per un’altra ragione, secondo Aristotele.<br />

L’uomo possiede non soltanto la voce, che tutti gli animali adoperano per in<strong>di</strong>care<br />

il piacere e il dolore, bensì proprio il linguaggio:<br />

«la parola serve ad in<strong>di</strong>care l’utile e il dannoso, e perciò anche il giusto e<br />

l’ingiusto. E questo è proprio dell’uomo rispetto agli altri animali: esser<br />

l’unico ad avere nozione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e così<br />

via. È proprio la comunanza <strong>di</strong> queste cose che costituisce la famiglia e la<br />

città» [40].<br />

Ad accomunare è proprio la nozione <strong>di</strong> giusto e ingiusto, saldamente legata a<br />

quella decisione, a quella non oggettività politica che si contrappone all’oggettività della<br />

quantificazione economica, per tornare al dualismo schmittiano già citato.<br />

«σοϕία ed ἐπιστήµη. – <strong>di</strong>rà più tar<strong>di</strong> Nietzsche – La σοϕία ha in sé<br />

l’elemento atto a scegliere, che ha gusto: mentre la scienza, senza questa<br />

finezza <strong>di</strong> gusto, si getta su tutto quanto è degno <strong>di</strong> essere conosciuto» [41].<br />

Quella comunanza non oggettiva fonda, secondo Aristotele la famiglia e la città,<br />

esattamente quegli stessi poli tra cui nei Lineamenti <strong>di</strong> filosofia del <strong>di</strong>ritto hegeliani oscillerà,<br />

bisognosa <strong>di</strong> fondazione, la società civile, l’emblema dell’economico.<br />

In termini ancora più evocativi, ma sulla stessa lunghezza d’onda <strong>di</strong> quelli<br />

aristotelici, si era già espresso Platone nel grande mito del Protagora:<br />

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«Allora Zeus, nel timore che la nostra stirpe potesse perire interamente,<br />

mandò Ermes a portare agli uomini il pudore e la giustizia, perché fossero<br />

principi or<strong>di</strong>natori e legami produttori <strong>di</strong> amicizia» [42].<br />

La stirpe <strong>di</strong> cui si parla è un’umanità che ha già ricevuto il fuoco da Prometeo e<br />

tuttavia non soltanto non si rivela capace <strong>di</strong> fondare una comunità politica bensì<br />

minaccia <strong>di</strong> perire interamente <strong>di</strong>nnanzi allo scatenarsi degli elementi naturali.<br />

Non il fuoco, dono <strong>di</strong> Prometeo, simbolo della perizia tecnica, fonda la città, bensì<br />

il dono <strong>di</strong> Zeus, un dono che viene elargito non soltanto ad alcuni, come le altre<br />

tecniche. Se il racconto della nascita della politica assume un profilo mitologico, il<br />

sorgere dell’economia presenta tratti altrettanto mitici: dove e come nascerebbe quel<br />

“regno <strong>delle</strong> madri” [43] del capitalismo, ovvero la prima originaria accumulazione <strong>di</strong><br />

capitale?<br />

«Nell’economia politica quest’accumulazione originaria fa all’incirca la<br />

stessa parte del peccato originale nella teologia. […] Però la leggenda del<br />

peccato originale teologico ci racconta come l’uomo sia stato condannato a<br />

mangiare il suo pane nel sudore della fronte; invece la storia del peccato<br />

originale economico ci rivela come mai vi sia della gente che non ha affatto<br />

bisogno <strong>di</strong> faticare» [44].<br />

La <strong>di</strong>sparità economica si profila come quell’originario, quell’immemorabile, <strong>di</strong> cui<br />

a stento si ha notizia, dal quale sorge, però, l’intera struttura del commercio e della<br />

compraven<strong>di</strong>ta. E questo mito si connette perfettamente a quello platonico: quel<br />

benessere non verificabile in cui consistono i patrimoni finanziari, e forse ancor più<br />

chiaramente e originariamente la fonte primaria dell’accumulazione <strong>di</strong> capitale, vale a <strong>di</strong>re<br />

il plusvalore sottratto ai lavoratori [45], rappresentano quanto <strong>di</strong> più spudorato e ingiusto<br />

possa esistere all’interno <strong>di</strong> una comunità: una spudoratezza e un’ingiustizia che lungi<br />

dall’arricchire soltanto la comunità, ne logora nel medesimo tempo le fondamenta [46].<br />

Qui si concentra il <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o tra il Vichingo e il Cavaliere crociato. L’ethos<br />

economico costituisce il poter-valere, il solo e unico “valore” oggettivo, quello che si<br />

decide nella Borsa, e che tra i suoi possibili contempla anche la <strong>di</strong>struzione dello Stato<br />

stesso sul quale si fonda: l’ethos economico tratta la sovranità statale alla stregua <strong>di</strong> una<br />

prima natura dalla quale è necessario affrancarsi allo scopo <strong>di</strong> instaurare ciò che può<br />

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davvero chiamarsi il “virtuale”, una seconda natura. Da nulla viene garantita la<br />

Weltanschauung economica, che anzi tutto sfrutta e <strong>di</strong>vora, persino i propri stessi profitti.<br />

«Nella brama <strong>di</strong> guadagno, esponendo al pericolo il guadagno stesso,<br />

l’industria si eleva a un tempo al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> esso, e soppianta il ra<strong>di</strong>carsi<br />

nella zolla e nella cerchia limitata della vita civile, i suoi go<strong>di</strong>menti e<br />

desideri, con l’elemento della flui<strong>di</strong>tà, del pericolo e del naufragio» [47].<br />

L’economico conduce alla frantumazione <strong>di</strong> quello Stato, sul quale e grazie al<br />

quale l’economico stesso si è potuto sviluppare, anche storicamente: viene prima la<br />

sovranità inglese rispetto alla fondazione della Compagnia <strong>delle</strong> In<strong>di</strong>e orientali. E ad essere<br />

<strong>di</strong>strutto è proprio quello Stato moderno che nelle elaborazioni teoriche del Seicento<br />

nasce già in nuce quale servitore fedele dell’economico stesso.<br />

La maestosa elaborazione teorica del Leviatano <strong>di</strong> Hobbes presenta una curiosa<br />

affinità col pensiero economico: spesso si è criticato come mera astrazione quello stato<br />

<strong>di</strong> natura caratterizzato dal bellum omnium contra omnes a motivo della sua astrattezza, <strong>di</strong> cui<br />

<strong>di</strong>fficilmente si può trovare un’esemplificazione nella realtà [48]. Dopo quattro secoli si<br />

può affermare che il pensiero – a riprova, per l’ennesima volta, che l’idea possiede una<br />

propria intrinseca concretezza una sua propria realtà effettuale – ha letteralmente<br />

prodotto quel tipo <strong>di</strong> società: il presupposto da cui Hobbes partiva si è trasformato nella<br />

società civile attuale, dove ciascuno si confronta con tutti gli altri sul piano economico;<br />

una lotta <strong>di</strong> tutti contro tutti all’insegna del sistema dei bisogni.<br />

La sovranità statale viene impostata su base economica; tra il re e i sud<strong>di</strong>ti, in altri<br />

termini, si stabilisce niente <strong>di</strong> più che un contratto e quin<strong>di</strong> l’obbe<strong>di</strong>enza non si fonda su<br />

altro se non sull’interesse dei singoli a preservare e conservare i propri interessi e non<br />

quello generale della comunità. Tale concezione dello Stato ha letteralmente creato la<br />

società civile come società atomistica, che sostituisce le strutture con la contrattazione.<br />

Basti osservare, a questo proposito, la metafora hobbesiana sulle leggi:<br />

«infatti la funzione <strong>delle</strong> leggi (che non sono altro che regole autorizzate)<br />

non è quella <strong>di</strong> limitare il popolo in tutte le sue azioni volontarie, ma quella<br />

<strong>di</strong> guidare la sua attività in modo che non si faccia del male seguendo i<br />

propri desideri impetuosi, come si pongono le siepi non per fermare i<br />

viaggiatori, ma per tenerli sulla loro strada» [49].<br />

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La legge non rappresenta più il legame comune, quella capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere il<br />

bene e il male, il giusto e l’ingiusto; al contrario, la legge è la siepe che si preoccupa <strong>di</strong><br />

non far configgere tra loro gli interessi dei citta<strong>di</strong>ni, è una siepe che <strong>di</strong>vide gli in<strong>di</strong>vidui<br />

gli uni dagli altri, anziché armonizzarli. La legge si ispira in tal modo a un co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto<br />

privato, più che non ad una carta costituzionale.<br />

Da questi presupposti <strong>di</strong>scende inevitabilmente uno Stato interessato, servitore della<br />

mera utilità, quella che Nietzsche chiamerà «la ferrea morsa che crea a forza il processo<br />

sociale» [50], dove «la fabbrica regna, l’uomo <strong>di</strong>venta una vite» [51]. Una vite che<br />

sprofonda nel meccanismo astratto imposto dalla visione tecnico-economica e non<br />

possiede più margini per il gusto, per quella non obiettività alla quale è connessa la<br />

<strong>di</strong>mensione politica. Ancora una volta Hegel aveva avvertito questo segno dei tempi:<br />

«Nella MACCHINA l’uomo stesso toglie (aufheben) questa sua attività<br />

formale, e la lascia lavorare del tutto per lui. Ma ogni imbroglio che egli<br />

pratica contro la natura e con cui egli rimane fermo all’interno della propria<br />

singolarità, gli si rivolta contro. […] L’uomo ri<strong>di</strong>mensiona la natura soltanto<br />

per la totalità, ma non per il singolo, bensì la natura si ingigantisce poiché<br />

quanto più il lavoro <strong>di</strong>venta meccanico, minor valore possiede, e tanto più<br />

l’uomo deve lavorare in questo modo» [52].<br />

Ad essere annientata dal meccanismo economico è esattamente la <strong>di</strong>mensione<br />

politica dell’uomo; l’aumento <strong>delle</strong> possibilità tecniche comporta un potenziamento<br />

dell’apparato nel suo complesso, ma insieme un’inevitabile svalutazione del singolo, quel<br />

singolo che nello stesso tempo occupa una posizione ben precisa e invariabile<br />

nell’ingranaggio e tuttavia può essere perfettamente sostituito da chi viene formato per<br />

occupare quella posizione; proprio alla stregua <strong>di</strong> una vite nella fabbrica. L’uomo si<br />

riduce a un pezzo dell’ingranaggio, mentre invece un tempo l’uomo era custode <strong>di</strong> quel<br />

potere politico, del governo, del gusto.<br />

Di nuovo, è possibile pensare a una piena e totale sostituzione del politico<br />

tramite l’economico? O si dovrà riconoscere che l’economico agisce <strong>di</strong>abolicamente<br />

separando i singoli, facendoli confliggere tramite interessi contrapposti, piuttosto che<br />

armonizzarli legiferando in nome <strong>di</strong> una norma sulle contese tra citta<strong>di</strong>ni?<br />

Huizinga sostiene che «uno Stato non è mai un’istituzione puramente utilitaria e<br />

interessata. Esso si coagula sul piano dei tempi come un fiore <strong>di</strong> ghiaccio sul vetro» [53]<br />

e in questa prospettiva l’autorità si accumula a partire da forze <strong>di</strong>sparate, per eterogenesi<br />

<strong>di</strong>rebbe il Vico: all’arcano della sovranità l’economico sostituisce il mito<br />

dell’accumulazione originaria; questo nuovo totem, non<strong>di</strong>meno, si rivela incapace <strong>di</strong><br />

assicurare stabilità, proprio perché fondato sullo sfruttamento, non sull’organizzazione.<br />

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L’idea <strong>di</strong> uno Stato fondato sull’economico, in cui l’economico si sostituisca<br />

interamente al politico, rappresenta una contra<strong>di</strong>ctio in adjecto: qui l’originario risulterebbe<br />

incapace letteralmente <strong>di</strong> far entrare in gioco la vita comunitaria; verrebbe spezzato – per<br />

seguire le parole <strong>di</strong> Huizinga – quel cerchio magico, quello spazio lu<strong>di</strong>co che da sempre è<br />

all’origine della cultura. Lo Stato perciò cessa i panni del servitore fedele e tuttavia<br />

biasimato dal padrone nell’istante in cui torna ad essere ancora nell’oceano tempestoso<br />

dell’economico.<br />

«Contro la regolazione superiore da parte della potenza pubblica, dunque,<br />

l’interesse particolare invoca appunto la libertà dell’industria e del<br />

commercio. Sennonché quanto più ciecamente è sprofondato nel fine<br />

egoistico, tanto più esso ha bisogno <strong>di</strong> tale regolazione per essere<br />

ricondotto all’universale, per mitigare i pericolosi sussulti improvvisi e per<br />

accorciare la durata dell’intervallo in cui i conflitti (Kollisionen) devono<br />

conciliarsi sulla via <strong>di</strong> una necessità inconsapevole (bewusstloser<br />

Notwen<strong>di</strong>gkeit)» [54].<br />

Ridurre questo intervento statale ad una mera funzione anticiclica all’interno del<br />

ritmo economico, quasi come se lo Stato fosse esso stesso componente <strong>di</strong><br />

quell’ingranaggio e potesse essere assimilato ad una <strong>delle</strong> tante leve o dei tanti bulloni<br />

che sostengono l’apparato stesso, significa non soltanto perdere <strong>di</strong> vista, ma ad<strong>di</strong>rittura<br />

non avere più orecchio per cogliere l’alterità dello Stato e del politico rispetto<br />

all’economico: l’alternativa <strong>di</strong> ciò che è non obiettivo rispetto all’assolutamente obiettivo.<br />

Le parole <strong>di</strong> Hegel risultano già <strong>di</strong> estrema chiarezza: l’intervento dello Stato è ingerenza<br />

<strong>di</strong> un corpo estraneo rispetto alla libertà dell’industria e del commercio; e tuttavia tale<br />

intervento risulta inevitabile per evitare che la cieca necessità annienti se stessa, incapace<br />

<strong>di</strong> darsi una norma.<br />

La cieca necessità economica, proprio a motivo della perfetta efficienza del<br />

proprio meccanismo, non riconosce un’altra qualità oltre la propria inesausta attività<br />

quantificatrice, che calcola e commercia. Nella propria imperfetta organizzazione lo<br />

Stato appare <strong>di</strong> per sé come un corpo estraneo rispetto all’efficienza dell’apparato<br />

tecnico-economico: proprio questa imperfezione genera l’istanza <strong>di</strong> regolare il gioco,<br />

quelle doti <strong>di</strong> cui la <strong>di</strong>mensione tecnica, in quanto organizzazione perfetta, non necessita.<br />

[55]<br />

Pudore e giustizia, quali virtù politiche che giungono in dono dagli dei, non<br />

possono essere ri<strong>di</strong>mensionate al rango <strong>di</strong> favolose protagoniste dell’ennesima,<br />

incomprensibile immagine mitologica, incapace <strong>di</strong> aiutare a comprendere e a risolvere<br />

l’empasse in cui versa il politico. Forse il mito acquista oggi un’autenticità ancor più<br />

profonda: <strong>di</strong> fronte allo strapotere economico, allo sfruttamento che pone in crisi<br />

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qualsiasi tentativo <strong>di</strong> organizzare la convivenza, il politico <strong>di</strong>venta sempre più un<br />

incomprensibile, un indeducibile, ciò che davvero è senza motivo, quasi il rivelarsi <strong>di</strong><br />

qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino, attorno a cui si radunano gli uomini.<br />

Da dove, infatti, quell’auctoritas in grado <strong>di</strong> porre un freno allo sfruttamento<br />

economico, <strong>di</strong> rendere organica la vita comune? Forse proprio la nostra epoca<br />

sperimenterà la necessità dell’appello platonico all’Uno, proprio nel sesto libro della<br />

Repubblica [56]. Nel prendere atto della natura essenzialmente ossimorica dell’espressione<br />

“economia politica”, l’instabilità dello Stato moderno, conteso tra benessere e <strong>di</strong>ritto,<br />

potrebbe essere riformulata nei termini seguenti:<br />

«I Cesari <strong>di</strong> questo futuro imperium devono essere miliardari o funzionari<br />

mon<strong>di</strong>ali?» [57].<br />

1 Spengler O., Preußentum und Sozialismus, in Politischen Schriften 1919-1926, Waltrop-Leipzig, p. 109. Tr. it.<br />

Sandrelli C., Prussianesimo e Socialismo, Padova 1994, p. 116. «Rispetto a questo quesito – prosegue Spengler,<br />

quasi a voler rimarcare che in questa alternativa si concentra l’intero saggio – prussianesimo e socialismo sono<br />

la medesima realtà».<br />

2 Id., Neue Formen der Weltpolitik, in Politischen Schriften, cit., p. 155. Tr. it. Sandrelli C., Nuove forme della<br />

politica mon<strong>di</strong>ale, in Forme della politica mon<strong>di</strong>ale, Padova 1994, p. 46.<br />

3 Id., Spengler O., Preußentum und Sozialismus, in Politischen Schriften 1919-1926, cit., p. 62. Tr. it. Sandrelli<br />

C., Prussianesimo e Socialismo, Padova 1994, p. 67.<br />

4 Ibidem.<br />

5 Ivi, p. 54. Tr. it. p. 60.<br />

6 Jünger E., L’operaio, a cura <strong>di</strong> Principe Q., Parma 2004, p. 68.<br />

7 Nietzsche F., Jenseits von Gut und Böse, in Kritische Stu<strong>di</strong>enausgabe, a cura <strong>di</strong> Colli G. e Montinari M.,<br />

Munchen 1999, Bd. 5, p. 164. Tr. it. Masini F., Al <strong>di</strong> là del bene e del male, Milano 2002 12 , p. 137. Non<br />

molto <strong>di</strong>versamente si esprime Nietzsche in altri luoghi: «L’uomo non tende alla felicità; solo l’inglese fa<br />

questo». Cfr. Nietzsche F., Götzen-Dämmerung, in Kritische Sttu<strong>di</strong>enausgabe, cit., Bd. 6, p. 61. Tr. it., Masini<br />

F., Il crepuscolo degli idoli, Milano 2005 9 , p. 26.<br />

8 Jünger E., Il cuore avventuroso, a cura <strong>di</strong> Principe Q., Parma 2001, p. 33.<br />

9 Ibidem. Benché Jünger intenda mostrare come anche la finanza venga a sua volta influenzata dalla<br />

<strong>di</strong>mensione statale, ad esempio nella figura dell’impiegato bancario, <strong>delle</strong> tesorerie costruite sul modello<br />

<strong>delle</strong> fortezze, il trionfo del merciaio sullo scribacchino appare inequivocabile.<br />

10 Hegel g. W. F., Lineamenti <strong>di</strong> filosofia del <strong>di</strong>ritto, a cura <strong>di</strong> Cicero V., Milano 1998 2 , p. 405.<br />

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11 Kant I., Kritik der reinen Vernunft B 295/ A 236, in Werke, a cura <strong>di</strong> Weischedel W., Darmstadt 1983,<br />

Bd. 3, p. 268. Tr. it. Colli G., Critica della ragione pura, Milano 2001 3 , p. 311.<br />

12 Schmitt C., Donoso Cortés, a cura <strong>di</strong> Dal santo P., Milano 1996, p. 41.<br />

13 Il riferimento insuperato, a questo proposito, è certamente Schmitt C., Terra e mare, tr. it. <strong>di</strong> Gurisatti<br />

G., Milano 2002 e la successiva sistematizzazione Il nomos della terra, tr. it <strong>di</strong> Castrucci E., Milano 2003 3 .<br />

14 Jünger E., Il cuore avventuroso, cit., p. 33.<br />

15 Marx K., La questione ebraica, a cura <strong>di</strong> Co<strong>di</strong>no F., Roma 1971, p. 84.<br />

16 Su questo stesso slittamento si vedano le considerazioni <strong>di</strong> Huizinga sullo slittamento che avviene tra<br />

il termine “premio” e i termini “prezzo” e “salario”. Cfr. Huizinga J., Homo ludens, tr. it. <strong>di</strong> Von<br />

Schendel C., Torino 1949 2 , pp. 74-75.<br />

17 Schmitt C., La tirannia dei valori, a cura <strong>di</strong> Gurisatti G., Milano 2008, p. 21.<br />

18 Cfr. Marx K., La questione ebraica, cit., p. 84.<br />

19 Cfr. Hegel G. W. F., Lezioni sulla filosofia della religione, a cura <strong>di</strong> Oberti E. e Borruso G., Bologna 1973,<br />

vol. 2, p. 217.<br />

20 Id., Scienza della logica, a cura <strong>di</strong> Cesa C., Bari 2004, vol. 1, p. 360.<br />

21 Il ritornare in sé è esattamente la riflessione che accade non appena un qualsiasi movimento<br />

compenetra il mondo dell’essere e scopre che non vi è più alcun Al<strong>di</strong>là, alcuno spazio da conquistare:<br />

qui ha luogo il pervenire a coscienza <strong>di</strong> sé.<br />

22 Heidegger M., Lettera sull’umanismo, in Segnavia, a cura <strong>di</strong> Volpi F., Milano 1994 3 , p. 293.<br />

23 Marx K. Engels F., La concezione materialistica della storia, a cura <strong>di</strong> Co<strong>di</strong>no F., Roma 1970, p. 27.<br />

24 Cfr. ivi, p. 76.<br />

25 Sull’incomprensione della <strong>di</strong>alettica hegeliana da cui <strong>di</strong>pende il supposto “rovesciamento idealistico”,<br />

mai autenticamente realizzato ve<strong>di</strong> Cacciari M., Dialettica e critica del politico. Saggio su Hegel, Milano 1978,<br />

pp. 22-23. Marx si proponeva <strong>di</strong> condurre a compimento ciò che era già stato perfettamente compiuto<br />

da Hegel.<br />

26 Spengler O., Der Untergang des Abendlandes, München 1977 4 , Band II, p. 1177. Tr. it. Evola J., Il<br />

tramonto dell’occidente, Parma 1999 2 , vol. 2, p. 1379. Quel che più conta non è che il denaro <strong>di</strong>venti centro<br />

d’azione, ma che sia pensato come centro d’azione: anche Spengler rinviene in questi passi la matrice<br />

idealista tanto del materialismo storico quanto del capitalismo finanziario.<br />

27 Ibidem.<br />

28 Hegel G. W. F., Fenomenologia dello spirito, a cura <strong>di</strong> Cicero V., Bompiani 2001 2 , p. 1039.<br />

29 Spengler O., Der Untergang des Abendlandes, cit., Band II, p. 1184. Tr. it., p. 1386.<br />

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30 Ivi, p. 1185. Tr. it., p. 1387.<br />

31 Ivi, p. 1188. Tr. it., p. 1391.<br />

32 Hegel G. W. F., Lineamenti <strong>di</strong> filosofia del <strong>di</strong>ritto, a cura <strong>di</strong> Cicero V., Milano 1998 2 , p. 301.<br />

33 Spengler O., Das Verhältnis von Wirtschaft und Steuerpolitik seit 1750, in Politischen Schriften, cit., p. 289. Tr.<br />

it., Il rapporto tra l’economia e la politica fiscale dopo il 1750, in Forme della politica mon<strong>di</strong>ale, cit., p. 73.<br />

34 Di nuovo il materialismo assume il volto <strong>di</strong> un idealismo.<br />

35 Ivi, p. 290. Tr. it., p. 74.<br />

36 «Senza il <strong>di</strong>ritto, il benessere non è un bene. Analogamente, senza il benessere, il <strong>di</strong>ritto non è il Bene».<br />

Cfr. Hegel G. W. F., Lineamenti <strong>di</strong> filosofia del <strong>di</strong>ritto, cit., p. 251.<br />

37 Jünger E., Il cuore avventuroso, cit., p. 128.<br />

38 Id., Lo stato mon<strong>di</strong>ale. Organismo e organizzazione, a cura <strong>di</strong> Principe Q., Parma 1998, p. 51.<br />

39 Aristotele, Politica, a cura <strong>di</strong> Viano C. A., Milano 2002, 1253 a 9-10.<br />

40 Ivi, 1253 a 14-18.<br />

41 Nietzsche F., Nachlaß, cit., Bd. 7, 19 [86], p. 448. Tr. it. <strong>di</strong> Carpitella M. e Gerratana F., Frammenti<br />

postumi, Milano 2004, vol. I, p. 50.<br />

42 Platone, Protagora, a cura <strong>di</strong> Reale G., Milano1998, 322 c.<br />

43 Cfr. Goethe W., Faust, a cura <strong>di</strong> Fortini F., Milano 2003, vol. II, Atto primo, Galleria oscura, pp. 547-<br />

559.<br />

44 Marx K., Il Capitale, a cura <strong>di</strong> Cantimori D., Roma, vol. I, 2, p. 777.<br />

45 Su questo tema ve<strong>di</strong> innanzitutto Marx K., Salario, prezzo e profitto, a cura <strong>di</strong> Vitiello V., Roma 1971 5 ,<br />

pp. 75-78. In secondo luogo anche l’intera sezione settima del libro primo de Il Capitale, cit., vol. I, 2,<br />

pp. 619-836.<br />

46 Nessuno potrebbe permettersi <strong>di</strong> negare il benessere garantito dal sistema economico: l’errore<br />

consiste nel fingere <strong>di</strong> non rilevare come contestualmente a questa maggiore prosperità venga posta a<br />

repentaglio l’esistenza stessa del vivere comune, a cominciare dal fatto che <strong>di</strong> quella maggiore prosperità<br />

non tutti beneficiano in pari grado.<br />

47 Hegel G. W. F., Lineamenti <strong>di</strong> filosofia del <strong>di</strong>ritto, cit., p. 405.<br />

48 Questo tratto accomuna Hobbes (cfr. Il Leviatano, a cura <strong>di</strong> Santi R., Milano 2001, II, XIII, pp. 201-<br />

211) e Locke (cfr. Due trattati sul governo, in Due trattati sul governo e altri scritti politici, a cura <strong>di</strong> Pareyson L.,<br />

Torino 1982 3 , Secondo trattato, II, 14, p. 237).<br />

49 Hobbes T., Il Leviatano, cit., pp. 563-565.<br />

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50 Nietzsche F., Nachlaß, cit., Bd. 7, 10 [1], p. 344. Tr. it. Frammenti postumi, cit., vol. II, p. 164.<br />

51 Ivi, 9 [64], p. 298. Tr. it., p. 108.<br />

52 Hegel G. W. F., Jenaer Systementwurf I, in Gesammelte Werke, a cura <strong>di</strong> Düsing K. e Kimmerle H.,<br />

Hamburg 1975, Band 6, p. 321. Traduzione mia. Sul pensiero hegeliano sulle macchine ve<strong>di</strong> Tommasi<br />

W., La natura e la macchina. Hegel e le scienze economiche, Napoli 1979.<br />

53 Huizinga, Homo ludens, cit., p. 218.<br />

54 Hegel G. W. F., Lineamenti <strong>di</strong> filosofia del <strong>di</strong>ritto, cit., p. 397.<br />

55 Cfr. Jünger E., Lo stato mon<strong>di</strong>ale, cit., pp. 63-64: «Lo specifico dell’uomo sta nella libertà del volere, il<br />

che vuol <strong>di</strong>re: nell’imperfezione. Sta nella possibilità <strong>di</strong> rendersi consapevole, <strong>di</strong> commettere un errore.<br />

La perfezione , al contrario, rende superflua la libertà; l’or<strong>di</strong>ne razionale acquista la nettezza dell’istinto».<br />

56 Platone, Repubblica, a cura <strong>di</strong> Sartori F., Vegetti M. e Centrone B., Bari 2001, 508 a – 509 d.<br />

57 Spengler O., Preußentum und Sozialismus, cit., p. 62. Tr. it., p. 67.<br />

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