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03.06.2013 Views

Tracce<br />

Atlante warburghiano<br />

della televisione<br />

a cura di<br />

Fausto Colombo<br />

con fotografie di<br />

Jacopo Benassi


2<br />

Tracce


Tracce<br />

SOMMarIO<br />

Introduzione<br />

L’eredItà CuLturaLe deLLa teLevIsIone<br />

di Fausto Colombo<br />

- 11 -<br />

·<br />

sezione I<br />

MaterIaLI La percezione televisiva<br />

dI Cosa è Fatta La teLevIsIone<br />

di Piermarco aroldi<br />

- 29 -<br />

In CornICe<br />

di Matteo stefanelli<br />

- 35 -<br />

QuestIonI dI suPerFICIe<br />

di Matteo stefanelli<br />

- 41 -<br />

sPeCChIo e FoCoLare<br />

di Piermarco aroldi<br />

- 47 -<br />

varChI e PassaggI<br />

di Piermarco aroldi<br />

- 53 -<br />

sPIazzaMentI<br />

di andrea Bellavita<br />

- 59 -<br />

·<br />

sezione II<br />

rItuaLI L’esperienza televisiva<br />

rItI dI vIttorIa, dI Morte e d’aMore<br />

di Fausto Colombo<br />

- 67 -<br />

L’esPerIenza dI non esserCI<br />

di Fausto Colombo<br />

- 73 -<br />

L’IntérIeur<br />

di alberto abruzzese e Luca Massidda<br />

- 79 -<br />

IL PanoPtICon<br />

di alberto abruzzese e Manolo Farci<br />

- 85 -<br />

suL PaLCo e aLLa sBarra<br />

di giorgio simonelli<br />

- 91 -<br />

La Festa e IL grIdo<br />

di giorgio simonelli<br />

- 97 -<br />

sommaRio<br />

3


CAPITOLO I Tracce<br />

4


Tracce<br />

sezione III<br />

FLussI L’emozione televisiva<br />

La noveLLante<br />

di giuseppina Baldissone<br />

- 103 -<br />

IL sogno FuturIsta<br />

di giuseppina Baldissone<br />

- 109 -<br />

IL Maestro<br />

di giorgio simonelli<br />

- 115 -<br />

IL Lettore onnIsCIente<br />

di giuseppina Baldissone<br />

- 121 -<br />

IL raCConto a PezzI<br />

di andrea Bellavita<br />

- 127 -<br />

La guerra e La Morte<br />

di andrea Bellavita<br />

- 133 -<br />

IL doLore<br />

di alberto abruzzese e Manolo Farci<br />

- 139 -<br />

La torre<br />

di alberto abruzzese e Luca Massidda<br />

- 145 -<br />

·<br />

appendici<br />

nota del curatore<br />

- 153 -<br />

La Biblioteca ambrosiana<br />

- 157 -<br />

note biografiche<br />

- 160 -<br />

L’esplorazione del noto<br />

- 163 -<br />

sommaRio<br />

5


CAPITOLO I Tracce<br />

6


Tracce<br />

ISTRUZIONI<br />

cOMe cOnSulTare QueSTO lIBrO<br />

I.<br />

Scegli il percorso che vuoi leggere.<br />

II.<br />

Vai alla fine del percorso e apri l’anta dell’ultima pagina.<br />

III.<br />

Torna all’inizio del percorso<br />

e comincia la lettura con la mappa affiancata.<br />

7


CAPITOLO I Tracce<br />

8


Tracce CAPITOLO I<br />

9


introduzione<br />

10<br />

Tracce


Tracce<br />

Introduzione<br />

l’ereDITà culTurale<br />

Della TeleVISIOne<br />

Fausto Colombo<br />

introduzione<br />

nel 1929 aby warburg tenne alla biblioteca hertziana di roma<br />

una conferenza su Mnemosyne, il progetto di un atlante illustrato dedicato<br />

alle permanenze delle antiche immagini di divinità nella cultura<br />

europea moderna. Quel materiale era stato pensato, raccolto e<br />

inventariato in anni convulsi, di studi e di malattia mentale, da un<br />

intellettuale inquieto, figlio di banchieri, che aveva rinunciato alla primogenitura<br />

familiare per avere il diritto di costituire una immensa<br />

biblioteca. Dopo la sua morte, l’ultima notte del 1933, con il nazismo<br />

alle porte, l’allievo Fritz Saxl trasportò la biblioteca a londra, dove divenne<br />

il primo nucleo del Warburg Institute. Il lavoro dello studioso fu<br />

così salvato dalla diaspora intellettuale che sarebbe seguita al nazismo.<br />

la ricerca warburghiana ha dato origine a una straordinaria serie<br />

di riflessioni non soltanto sui flussi culturali che hanno attraversato<br />

il tempo della civiltà umana, ma anche e soprattutto sul ruolo che<br />

le immagini possono esercitare nell’indagine scientifica, in particolare<br />

storica, estetica e culturologica.<br />

Dare in breve un’idea dell’approccio warburghiano non è semplice.<br />

Ha scritto carlo Ginzburg: “Il fine della ricerca di Warburg era duplice:<br />

da un lato, bisognava considerare le opere d’arte alla luce delle testimonianze<br />

storiche, di qualsiasi tipo e livello, in grado di illuminarne<br />

la genesi e il significato; dall’altro, l’opera d’arte stessa, e in generale le<br />

11


1. “Da a.<br />

Warburg a e.H.<br />

Gombrich. note<br />

su un problema<br />

di metodo”, in<br />

c. Ginzburg,<br />

Miti, emblemi,<br />

spie. Metodologia<br />

e storia, einaudi,<br />

Torino 1992,<br />

p. 43.<br />

introduzione<br />

12<br />

Tracce<br />

figurazioni, dovevano essere interpretate come una fonte sui generis per<br />

la ricostruzione storica” 1 .<br />

lo stesso Warburg scriveva:<br />

Ho dato inizio al progetto di mettere insieme i risultati delle mie ricerche,<br />

che hanno a che fare con l’influenza dell’antico nella cultura europea, in<br />

un grande atlante tipologico. una pubblicazione di questo genere permetterebbe<br />

di fornire una solida cornice, pur sempre elastica, a tutto il mio<br />

materiale. Sono riuscito a raccogliere il materiale per un atlante di immagini,<br />

nel quale si può vedere, proprio grazie alle immagini, la diffusione della<br />

funzione del valore espressivo improntato all’antico nella rappresentazione<br />

dei movimenti della vita esteriore e interiore.<br />

e così descrive il suo lavoro più noto l’introduzione che la rivista<br />

Engramma ha dedicato nel 1994 alla figura del grande studioso:<br />

Mnemosyne è un atlante figurativo (Bilderatlas) composto da una serie di<br />

tavole, costituite da montaggi fotografici che assemblano riproduzioni di<br />

opere diverse: testimonianze di ambito soprattutto rinascimentale (opere<br />

d’arte, pagine di manoscritti, carte da gioco eccetera); ma anche reperti<br />

archeologici dell’antichità orientale, greca e romana; e ancora testimonianze<br />

della cultura del XX secolo (ritagli di giornale, etichette pubblicitarie,<br />

francobolli). nel Bilderatlas, che contiene un migliaio di fotografie sapientemente<br />

composte e assemblate, le immagini sono oggetto privilegiato di<br />

studio in quanto sono un modo immediato di “dire il mondo”. l’immagine<br />

è il luogo in cui più direttamente precipita e si condensa l’impressione e la<br />

memoria degli eventi. Dotate di un primordiale potere energetico di evocazione,<br />

in forza della loro vitalità espressiva le immagini costituiscono i principali<br />

veicoli e supporti della tradizione culturale e della memoria sociale,<br />

che in determinate circostanze può essere “riattivata e scaricata”. nell’atlante<br />

la giustapposizione di immagini, impaginate in modo da tessere più<br />

fili tematici attorno ai nuclei e ai dettagli di maggior rilievo, crea campi di<br />

energia e provoca lo spettatore a un processo interpretativo aperto: “la parola<br />

all’immagine” (zum Bild das Wort). Mnemosyne è dunque una macchina,<br />

una sorta di gigantesco condensatore in cui si raccolgono tutte le correnti<br />

energetiche che hanno animato e ancora animano la memoria dell’europa.<br />

Obiettivo dell’atlante è illustrare i meccanismi di tradizione di temi e figure<br />

dall’antichità – orientale e greco-romana – all’attualità, con particolare<br />

riguardo alla ripresa di moti, gesti e posture che esprimono l’intera gamma<br />

dell’eccitazione emozionale (l’aggressione, la difesa, il sacrificio, il lutto, la<br />

malinconia, l’estasi, il trionfo eccetera). Si tratta di Pathosformeln – formule<br />

espressive dell’emozione – dedotte direttamente in forma artistica dai mo-


Tracce<br />

introduzione<br />

delli antichi, o anche riemergenti senza diretto collegamento ai modelli,<br />

nella forma di engramma, esito spontaneo dell’istinto gestuale umano2 .<br />

Vi è chi riprende ancora il metodo warburghiano, non riproponendolo<br />

tout court, ma riattualizzandolo sia in quanto concerne lo studio<br />

della contemporaneità, sia in ciò che riguarda gli strumenti tecnologici,<br />

che oggi offrono ben altri supporti delle ormai mitiche tavole di Mnemosyne.<br />

Ma vi sono, a continuare questa ripresa, altri luoghi e altri tempi. Qui<br />

mi preme piuttosto mostrare l’utilità dell’approccio in questione, magari<br />

con i suoi limiti epistemologici, nell’attuale contesto di studi sulla<br />

televisione. Studi che, tanto per tracciarne una sintetica panoramica,<br />

hanno prodotto negli ultimi anni certamente importanti passi avanti<br />

per quanto concerne i risultati delle singole discipline. Basterà citare la<br />

storiografia (della televisione e più in generale dei media, ma anche la<br />

tradizionale storia contemporanea) per cogliere progressi straordinari<br />

non soltanto nei contenuti, ma anche nella consapevolezza dei significati<br />

del mezzo e delle sue connessioni con la società nel suo complesso.<br />

Ma lo stesso potrebbe dirsi della semiotica, o della sociologia, o in generale<br />

delle discipline dello spettacolo. In un recente numero di Link 3 ,<br />

dedicato ai discorsi sulla televisione, si è dato conto di quanto l’accademia<br />

(italiana, ma lo stesso mi sembra accada un po’ dovunque) – nel<br />

complessificarsi delle discipline che si applicano alla tv – abbia raggiunto<br />

un livello senza precedenti di interdisciplinarietà e specializzazione.<br />

allora che dire dell’utilità di un ulteriore approccio? che, forse, quello<br />

che Warburg ci aiuta a indicare è la necessità di riconsiderare il mezzo<br />

televisivo in questa fase alla luce di un duplice processo di dissoluzione.<br />

Il primo è quello che fa letteralmente scomparire l’oggetto come<br />

accade – per usare una metafora – alla macchia di colore che si mescola<br />

all’acqua nella tecnica dell’acquerello: la digitalizzazione sta facendo<br />

venire meno la monoliticità del medium televisivo, sciogliendolo in un<br />

sistema meno preciso e catalogabile, visto che ormai le piattaforme tv<br />

si sono moltiplicate, e che programmi o loro frammenti si diluiscono<br />

in esse, o addirittura in piattaforme che niente avrebbero in sé di televisivo<br />

(la rete in generale, a partire da YouTube o Google Video, ma<br />

senza dimenticare l’ampia circolazione via social network, o le varie tv<br />

dei quotidiani online). Il secondo processo riguarda invece l’assorbimento<br />

e la naturalizzazione che le società avanzate hanno compiuto<br />

del mezzo televisivo, inglobandolo a tal punto nella vita quotidiana e<br />

nei saperi spiccioli dell’esperienza che è ormai assai difficile distinguere<br />

tra ciò che è fuori o dentro il piccolo schermo, o quella versione ormai<br />

frammentata che ne rimane.<br />

13<br />

2. http://www.<br />

engramma.it/<br />

engramma_v4/<br />

homepage/35/<br />

index_atlante.<br />

html; dalla stessa<br />

introduzione è<br />

tratta la citazione<br />

precedente di a.<br />

Warburg.<br />

Sull’atlante, su<br />

Warburg e sulla<br />

sua figura, si veda<br />

K.W. Forster,<br />

K. Mazzucco,<br />

Introduzione ad<br />

Aby Warburg e<br />

all’atlante della<br />

memoria, a cura<br />

di M. centanni,<br />

Bruno Mondadori,<br />

Milano 2002.<br />

3. F. colombo,<br />

“Tenere la<br />

rotta. Viaggio<br />

sentimentale<br />

nell’università<br />

‘televisiva’”,<br />

in Bla, Bla,<br />

Bla. Parlare di<br />

televisione, link<br />

Mono, rTI,<br />

Milano 2009.


introduzione<br />

14<br />

una tavola di aby Warburg. Il pathos del vincitore.<br />

Tracce<br />

È allora forse utile ripensare alla tv dentro a un frame più ampio, che<br />

ci parli delle connessioni profonde fra la circolazione culturale ai tempi<br />

della televisione e le altre forme di questo scambio, siano esse passate<br />

(antiche o più recenti), presenti o future (anche se visibili magari solo<br />

allo stadio seminale), riconoscendo e mostrando nessi, recuperando<br />

continuità oltre che – naturalmente – sottolineando differenze e fratture,<br />

nella consapevolezza che il tempo della tv non appartiene soltanto<br />

al mezzo, ma più in generale alla società che l’ha prodotto e ospitato,<br />

e che il cambiamento sociale ha piegato più di una volta lo strumento<br />

alle sue esigenze, influenzandone le svolte e le metamorfosi parziali.


Tracce<br />

introduzione<br />

ecco allora che il formato delle tavole di Mnemosyne recupera una<br />

sua utilità, come un passo indietro verso il punto di origine di alcune<br />

discipline che hanno indagato la cultura dell’uomo: una prima ridefinizione<br />

del quadro teorico generale. un tentativo di partire di nuovo,<br />

senza rinunciare alle consapevolezze già acquisite. Infine, una proposta<br />

di riflessione che apra nuovi filoni di indagine. e tuttavia, ancora, la<br />

semplice riproposizione di una tecnica di catalogazione e collegamento<br />

non basta, perché il medium tv risente in generale della crescente difficoltà<br />

di definirlo. ecco, verrebbe da chiedere, in che senso la televisione<br />

è un medium, e più in generale di cosa parliamo quando parliamo di<br />

medium? Siccome rispondere a queste domande pare oggi quasi impossibile,<br />

può darsi che la domanda stessa sia inutile, e che possa essere<br />

sostituita da una batteria di altre questioni che spostano il modo di<br />

studiare e interrogare tutti quelli che abbiamo definito comodamente<br />

media, fino a oggi. Per esempio: come avviene la circolazione culturale<br />

al tempo della tv? esiste una specificità di questa circolazione?<br />

Se si imposta l’approccio scientifico ai media da questo nuovo punto<br />

di vista, alcune tematiche paiono d’un tratto farsi irrilevanti, e altre invece<br />

emergono con un rilievo inaspettato. Ma il punto nodale sembra<br />

essere questo: possiamo finalmente paragonare i media ad altre forme<br />

antropologiche della circolazione culturale, e cercare di cogliere in quel<br />

collegamento ciò che davvero ci interessa.<br />

naturalmente anche questa, come molte altre intuizioni delle scienze<br />

umane, somiglia alla scoperta dell’acqua calda. Voglio dire: non c’è<br />

quasi singola questione tradizionale della mediologia che non venga<br />

riproposta in questo nuovo quadro. Ma, appunto, è il quadro che cambia,<br />

e ciò che importa è il flusso di temi e forme, l’utilizzo che i soggetti<br />

sociali ne fanno e il modo in cui questo uso modifica la loro vita, plasmando<br />

ogni percezione del mondo e delle relazioni con gli altri.<br />

È insomma a questa diluizione, a questa scomparsa del medium tv<br />

in una più vasta indagine sulle forme della cultura ieri, oggi (e forse<br />

domani), che guarda come a un obiettivo il nostro atlante, il cui cammino<br />

può ora cominciare.<br />

Ogni tipo di circolazione culturale si rende possibile attraverso tre<br />

ordini di elementi, ciascuno dei quali è necessario, ma non sufficiente<br />

a consentirla. Sono i Materiali, i rituali, i Flussi. nella confusione<br />

fra ruoli e funzioni di questi elementi si generano spesso naufragi interpretativi,<br />

con attribuzione all’uno delle caratteristiche dell’altro, o<br />

con sovrapposizioni esplicative. Ma la via per uscire da queste insidie<br />

esiste, naturalmente, e consiste nell’usare la bussola della distinzione e<br />

della concettualizzazione. a questo – si spera – dovrebbe collaborare<br />

un atlante.<br />

15


15. J.l. Borges,<br />

I quattro cicli, in<br />

L’oro delle Tigri<br />

(1972), ora in<br />

Tutte le opere, vol.<br />

II, Mondadori,<br />

Milano 1985.<br />

introduzione<br />

24<br />

Tracce<br />

Ha scritto Borges che – per quanto ci si avventuri nell’invenzione –<br />

solo quattro sono le storie che possiamo raccontare: la città assediata e<br />

difesa da coraggiosi, il ritorno dell’eroe, la ricerca di un tesoro prezioso,<br />

il sacrificio di un dio 15 . così è in fondo anche per la tv, che per quanto<br />

si riempia di contenuti, sembra ossessivamente riprendere i temi cari a<br />

ogni cultura: l’amore, la morte, l’eroe.<br />

la novità della tv nella storia della cultura non sta forse allora in<br />

quello che racconta, ma nella peculiare forma del suo statuto di narratrice,<br />

e del singolare rapporto che la lega al suo pubblico. una via di<br />

mezzo fra il bardo e la serie di famosi o anonimi oratori che danno vita<br />

a quell’angolo di Hyde Park, a londra, insieme al loro pubblico, allo<br />

Speaker’s corner. una via di mezzo la cui forma specifica è ben esemplificata<br />

da due grandi personaggi come adriano celentano e Fiorello.<br />

Il primo, per sua natura tendente all’enfasi paradossale, fatta di sottrazioni<br />

e silenzi, di monologhi carichi di pause e di apparenti incertezze<br />

e confusioni, che in uno dei grandi varietà del sabato sera invoca il<br />

silenzio televisivo chiedendo agli spettatori di spegnere l’apparecchio<br />

per qualche minuto. e Fiorello, che in occasione di una registrazione<br />

in teatro di un suo spettacolo, messo di fronte all’impossibilità degli<br />

spettatori stessi di raggiungere il teatro, sceglie di recitare nel vuoto,<br />

solo per i tecnici e gli addetti alla produzione. niente direbbe meglio<br />

il paradosso del bardo televisivo, atto a parlare con tutti, capace di<br />

invocare il proprio silenzio o l’assenza di ascolto come estremo atto di<br />

comunicazione. niente ci confiderebbe con maggior nettezza che in<br />

gioco nello scambio culturale, come effetto delle azioni comunicative,<br />

c’è quello che confusamente definiamo emozione.


Tracce<br />

MaTerIalI<br />

Fausto Colombo<br />

1. I megaliti di stonehenge.<br />

2. I graffiti rupestri della grotta di Levanzo, genova.<br />

3. tacabanda di roberto gavioli per doria, da Carosello (1957-1977).<br />

4. vetrata di santa Caterina da siena, duomo di Milano.<br />

5. schermi negli schermi.<br />

6. spoon river, installazione (alessandro Matucci, 2002).<br />

7. viking studios, Londra (anni Cinquanta).<br />

8. scena da Pleasantville (gary ross, 1998).<br />

rITualI<br />

Fausto Colombo<br />

1. approvazione della regola, Basilica superiore di assisi (giotto, 1290-95).<br />

2. Calvaire di guimiliau in Bretagna (1581-1588).<br />

3. Laveno Mombello a Campanile sera (1961).<br />

4. Pantomima acquatica al teatro sadler’s Wells (1815).<br />

5. La sigla di Carosello.<br />

6. orlando furioso (Luca ronconi, 1975).<br />

7. Il Café de la régence a Parigi (1800).<br />

8. La radio in un salotto borghese.<br />

9. Bontà loro di Maurizio Costanzo (1976-1978).<br />

FluSSI<br />

Fausto Colombo<br />

1. Il maestro Manzi di non è mai troppo tardi (1960-1968).<br />

2. Padre Mariano.<br />

3. un comizio di enrico Berlinguer.<br />

4. Mario soldati.<br />

5. vanna Marchi e il Mago do nascimento.<br />

6. silvio Berlusconi firma il contratto con gli italiani a Porta a porta (2001).<br />

7. vittorio sgarbi.<br />

8. Lo speaker’s Corner di hyde Park a Londra.<br />

9. adriano Celentano.<br />

introduzione<br />

25


26<br />

Tracce


Tracce<br />

sezione I<br />

MaTerIalI<br />

– La percezione televisiva –<br />

27


forme, stili, valori, personaggi<br />

28<br />

Tracce


Tracce<br />

DI cOSa È FaTTa<br />

la TeleVISIOne<br />

Piermarco aroldi<br />

Di cosa è fatta la televisione<br />

di che materia è fatta la televisione? la domanda è più insidiosa<br />

di quanto sembri e le risposte possono essere molte: luce, pixel, linee<br />

scandite dal pennello luminoso, ovviamente; ma anche onde sonore, e<br />

prima ancora onde radio. e poi: vetro, plastica, legno, materiali conduttori<br />

e semiconduttori, valvole, transistor, circuiti integrati, chip e<br />

microchip. Tasti, pulsanti e, una volta, grosse rotelle zigrinate; led luminosi,<br />

device gommosi come i telecomandi, una gran quantità di cavi<br />

e prese, e ingressi definiti da standard variabili. Per certi versi è anche<br />

difficile capire dove finisce la materia della televisione: l’antenna condominiale<br />

e i set top box che si impilano sotto lo schermo fanno parte<br />

della materia televisiva o no? e l’home theatre? Il lettore di Dvd? Di<br />

più: il divano e le poltrone orientati per consentire la migliore visione<br />

familiare non ne fanno forse parte, esattamente come la sala cinematografica,<br />

con la sua architettura e le sue file imbottite, il banco dei<br />

popcorn e il venditore di gelati, fa parte del dispositivo “cinema”?<br />

Si potrebbe obiettare che questi materiali hanno a che fare con il<br />

“televisore” e non con la “televisione”; ovviamente è vero, ma proprio<br />

questa obiezione suggerisce di riflettere brevemente sul rapporto tra<br />

l’uno e l’altra, ovvero su quel principio che Silverstone ha chiamato<br />

doppia articolazione della tv 1 : la sua capacità di produrre senso – e dunque<br />

di partecipare ai processi di mediazione dei significati sociali – sia<br />

29<br />

1. r. Silverstone,<br />

Televisione e<br />

vita quotidiana,<br />

il Mulino,<br />

Bologna 2000<br />

(ed. or. 1994);<br />

si veda anche S.<br />

livingstone, “On<br />

the Material and<br />

the Symbolic.<br />

Silverstone’s<br />

Double<br />

articulation<br />

of research<br />

Traditions in<br />

new Media<br />

Studies”, New<br />

Media & Society,<br />

9(1), 2007, pp.<br />

16-24.


Di cosa è fatta la televisione<br />

30<br />

Tracce<br />

attraverso il software dei suoi programmi, sia mediante l’hardware del<br />

suo device di ricezione. Può darsi la “televisione” senza il “televisore”<br />

così come siamo abituati a conoscerlo?<br />

certamente: basti pensare, in tempi recenti, alla possibilità di guardare<br />

la tv direttamente sul computer, senza nemmeno passare attraverso<br />

internet, oppure mediante lo streaming o il download di file mp3<br />

visibili sui piccoli display di iPod e Psp; oppure alla ricezione di programmi<br />

tv sullo schermo del telefono cellulare. O alle avveniristiche<br />

ipotesi di proiezione ologrammatica evocate da tanta fantascienza (ma<br />

forse basterebbe fermarsi all’uso dei maxischermi allestiti nelle piazze,<br />

soprattutto quelli basati su sistemi di proiezione, magari su materiali<br />

fluidi, come l’acqua). Ma anche alle origini della tv troviamo qualcosa<br />

di simile: la visione condivisa del periodo 1954-57, per esempio, con il<br />

televisore collocato nelle sale cinematografiche o parrocchiali, nei bar,<br />

all’aperto dei cortili o delle piazze, con le file di sedie portate da casa<br />

o l’obbligo della consumazione, istituisce una primordiale definizione<br />

dell’apparecchio di ricezione che sembra lontana anni luce dal materiale<br />

domestico di cui è fatta la nostra recente esperienza televisiva.<br />

È vero, però, che sempre di un dispositivo tecnologico si tratta, affine<br />

ad altri dispositivi, ad altre tecnologie – prima di tutto quella radiofonica<br />

– che hanno conosciuto simili percorsi di attraversamento dei<br />

nostri spazi quotidiani.<br />

Per inciso, vale la pena osservare fin da subito che si tratta di percorsi<br />

che si sviluppano secondo direttrici simmetriche, ora spostandosi dagli<br />

spazi pubblici o semipubblici a quelli domestici e privati (proprio come<br />

il televisore), ora guadagnando più o meno rapidamente una mobilità<br />

che li disancora dall’ambiente domestico per farne oggetti nomadi<br />

(come il telefono o la radio).<br />

In ogni caso, oggetti materiali, device e dispositivi si portano dietro<br />

forme e significati originali, incorporati nel loro design e nella loro ergonomia,<br />

ma anche nei loro rituali d’uso, che modificano gli ambienti<br />

a cui approdano, per farsi poi, a loro volta, modificare e trasformare<br />

dalle traiettorie dell’incorporazione sociale cui sono sottoposti: basti<br />

pensare ancora all’ingresso del televisore nei bar, trasformati in piccole<br />

sale cinematografiche, con lo schermo “innalzato” su mensole e tavoli<br />

e il conseguente riorientamento delle sedie a far da platea; e come,<br />

introducendosi nelle case, esso sia stato prima collocato, in modo analogo,<br />

su alti trespoli per poi “scendere” su mobili più bassi, in linea con<br />

divani e poltrone, contribuendo così a dare ai nostri soggiorni e salotti<br />

la forma che ormai conosciamo.<br />

Se pure è pensabile la televisione senza il televisore, è dunque più<br />

difficile, almeno per ora, pensarla senza un dispositivo di ricezione


Tracce<br />

Di cosa è fatta la televisione<br />

che venga fatto oggetto di addomesticamento 2 , e che, durante questo<br />

processo, non si lasci leggere in analogia con altri dispositivi che lo<br />

hanno preceduto, anticipandone profeticamente forme, usi, funzioni,<br />

rituali, significati. Il televisore occupa così, in questo percorso, il ruolo<br />

dell’atteso, incarnazione del logos televisivo che, alla lettera, “viene ad<br />

abitare in mezzo a noi”, nelle nostre case; e se le profezie ne alimentano<br />

l’attesa, è appoggiandosi a esse, inverandole e talvolta falsificandole,<br />

che la televisione si attesta, si legittima e si istituisce attraverso il suo<br />

terminale domestico.<br />

nel caso del televisore, come per la maggior parte delle tecnologie<br />

destinate a entrare nella vita quotidiana e nell’uso comune di grandi<br />

quantità di persone, la profezia assume spesso la forma retorica della<br />

metafora; può trattarsi della metafora verbale su cui si basa, in via<br />

definitoria, la descrizione anticipatoria della nuova tecnologia, spesso<br />

frequentata dai discorsi sociali che ne accompagnano la nascita e la<br />

diffusione (per la televisione è il caso de “il cinema domestico”, “il<br />

piccolo schermo”, “la radio illustrata”, “la finestra sul mondo”, “il mondo<br />

in casa”, “il nuovo focolare elettronico” e così via); o può essere la<br />

metafora iconica che, in modo sintetico, dà visibilità a questi schemi<br />

interpretativi del “nuovo”, appoggiandosi al “vecchio”, come accade<br />

spesso nel discorso persuasivo della pubblicità. Fatto sta che la metafora<br />

è, dal punto di vista che interessa in queste pagine, un indicatore<br />

straordinario in grado di segnalare affinità, analogie, calchi che mettono<br />

in relazione il televisore/televisione con i suoi, più o meno lontani,<br />

predecessori.<br />

Su alcune di queste relazioni si tornerà in altre pagine di questo volume.<br />

Qui basterà evidenziare, da una parte, come alcuni accostamenti,<br />

quasi autoevidenti, ai media che hanno anticipato la televisione – radio<br />

e cinema, ma anche grammofonia e fotografia – di fatto stravolgano il<br />

reale dispositivo tecnologico dell’apparecchio ricevente, facendone per<br />

esempio, di volta in volta, un semplice schermo di proiezione o un vero<br />

e proprio proiettore; d’altra parte, è interessante osservare come, oltre<br />

ai media già addomesticati, si affianchino altri riferimenti al moderno<br />

universo dei consumi, dagli elettrodomestici ai mezzi di trasporto (ed<br />

ecco riemergere la polarità tra spazio domestico, privato e familiare, e<br />

spazio esterno e pubblico).<br />

costruita soprattutto in stretta continuità con quella radiofonica,<br />

l’esperienza tv finisce per replicare innanzitutto alcuni frame interpretativi<br />

del mezzo che l’ha preceduta. In questo percorso il televisore<br />

eredita dall’apparecchio radiofonico alcuni significati sociali, mentre<br />

ne risolve altri in modo netto, riducendone di fatto la pluralità.<br />

Tracce di questo accostamento si ritrovano, per esempio, nel discorso<br />

31<br />

2. Il riferimento<br />

è sempre a r.<br />

Silverstone,<br />

op. cit.; ma si<br />

veda anche r.<br />

Silverstone,<br />

“Domesticating<br />

Domestication.<br />

reflections on<br />

the life of a<br />

concept”, in<br />

T. Berker, M.<br />

Hartmann,<br />

Y. Punie, K.J.<br />

Ward (eds.),<br />

Domestication<br />

of Media and<br />

Technology, Open<br />

university Press,<br />

Buckingham<br />

2006, pp.<br />

229-248; e l.<br />

Haddon “roger<br />

Silverstone’s<br />

legacies:<br />

Domestication”,<br />

New Media &<br />

Society, 9(1),<br />

2007, pp. 25-32.


3. r. Silverstone,<br />

e. Hirsch,<br />

D. Morley,<br />

“Information and<br />

communication<br />

Technologies<br />

and the Moral<br />

economy of the<br />

Household”, in<br />

r. Silverstone,<br />

e. Hirsch (eds.),<br />

Consuming<br />

Technologies.<br />

Media and<br />

Information in<br />

Domestic Spaces,<br />

routledge,<br />

london 1992,<br />

pp. 15-31.<br />

4. P. Bourdieu,<br />

La distinzione.<br />

Critica sociale del<br />

gusto, il Mulino,<br />

Bologna 1983<br />

(ed. or. 1979).<br />

Di cosa è fatta la televisione<br />

32<br />

Tracce<br />

pubblicitario, soprattutto quando esso si fa rappresentazione dei rituali<br />

sociali che l’avvento del nuovo medium rende possibili, come nel caso<br />

dell’ascolto familiare della radio che sfuma, senza soluzione di continuità,<br />

in quello della tv, accentuando ora il carattere intimo e privato<br />

di tale esperienza, ora l’aura di raffinata eleganza che la circonda.<br />

D’altra parte, il percorso di senso che lega la radio ai nuovi mezzi di<br />

trasporto che garantiscono una mobilità privata, soprattutto giovanile,<br />

e che si riflette, per esempio, nell’iconografia (non solo pubblicitaria)<br />

del déjeuner sur l’herbe o del pic-nic, deve necessariamente arrestarsi<br />

di fronte della scarsa mobilità del televisore, oggetto decisamente<br />

domestico anche quando portatile. al massimo, la traiettoria sembra<br />

destinata a convergere sullo stesso mezzo automobilistico come spazio<br />

intermedio, né totalmente pubblico né completamente privato, intimo<br />

quanto basta ma nomade, guscio protettivo o abito espanso dell’uomo<br />

moderno, dove lo schermo televisivo, apparso inizialmente come eccentrico<br />

e lussuoso gadget, tende oggi a guadagnarsi il posto che era<br />

prima solo dell’autoradio; oppure a confluire su altri device nomadi<br />

come il cellulare, ma con una vocazione al consumo più individuale<br />

che di gruppo.<br />

Ma, in modo ancor più radicale, l’accostamento all’universo dei significati<br />

della modernità si rende visibile nelle forme ostensive dei beni<br />

che in essa hanno assunto il valore di status symbol, come la Vespa e<br />

la cinquecento; allo scooter e all’utilitaria si può aggiungere, a pieno<br />

titolo, proprio il televisore. Salvo poi richiamare, dal punto di vista<br />

iconografico, ideali estetici classicheggianti e una relativa etica del consumo:<br />

l’economia formale, come si sa, deve sempre essere negoziata<br />

con l’economia morale del nucleo domestico 3 . nelle forme visuali che<br />

testimoniano questa dialettica, non a caso, i bambini sono i soggetti<br />

che più frequentemente vengono accostati al bene di prestigio, a marcare<br />

insieme lo status della famiglia di provenienza e il loro futuro destino<br />

di adulti consumatori, entrambi tramandati di generazione in<br />

generazione: come ci ricorda Bourdieu, l’habitus – da cui dipende il<br />

gusto – non è altro che una forma di amor fati 4 .


Tracce<br />

DI cOSa È FaTTa la TeleVISIOne<br />

Piermarco aroldi<br />

1. Il consumo televisivo in un bar negli anni Cinquanta.<br />

2. Il consumo televisivo in piazza san Carlo<br />

durante le olimpiadi invernali di torino (2006).<br />

3. Pubblicità di apparecchi radio-televisivi (anni Cinquanta).<br />

4. Le déjeuner sur l’herbe (édouard Manet, 1863).<br />

5. L’ascolto radiofonico all’aperto<br />

in un’immagine di calendario (anni Cinquanta).<br />

6. Cornelia, madre dei gracchi<br />

(angelica Kauffman, circa 1785): “ecco i miei gioielli!”.<br />

7. 8. 9. Foto di famiglia (anni Cinquanta e sessanta).<br />

Di cosa è fatta la televisione<br />

33


forme, stili, valori, personaggi<br />

40<br />

Tracce


Tracce<br />

QueSTIOnI DI SuPerFIcIe<br />

Matteo stefanelli<br />

Questioni di superficie<br />

trasparenza e opacità: la dialettica costitutiva della materialità<br />

dell’immagine televisiva. Da quando lo sguardo televisivo ha<br />

generato un nuovo regime del visibile, si è fatto via via più centrale il<br />

ruolo di quello spazio fisico che è deputato a mediare, filtrare, valorizzare<br />

il visibile televisivo: lo spazio dello schermo. nell’interfaccia<br />

televisiva è una superficie essenziale, una membrana fragile e sottile,<br />

oppure solida e resistente allo sguardo che “passa” attraverso di essa. lo<br />

schermo è per la televisione insieme una soglia impalpabile e uno spazio<br />

planare autonomo, uno specchio di alice e una pelle su cui si è iscritta<br />

una parte importante del senso del mezzo televisivo.<br />

a prendersi cura della “superficie del visibile” hanno operato e operano<br />

le conoscenze e le tecniche del graphic design televisivo: il design<br />

dell’identità visiva delle reti, titoli e credits o materiale grafico per programmi<br />

(still, caption, sequenze animate), la promozione on-screen di<br />

prodotti e canali, le istruzioni per l’interazione diretta con il flusso di<br />

contenuti, e un canale informativo “supplementare” esso stesso 1 . Tuttavia<br />

il graphic design dello schermo, alle origini, lavora su ben pochi<br />

elementi. la televisione che offre una nuova finestra sul mondo si interessa<br />

ben poco alla sua dimensione planare. la costruzione dell’immagine<br />

televisiva delle origini è essenzialmente di matrice teatrale, e a<br />

contare davvero è ciò che viene messo in scena in diretta, ciò che sta<br />

41<br />

1. G. crook,<br />

The Changing<br />

Image. Television<br />

Graphics from<br />

Caption Card<br />

to Computer,<br />

robots Press,<br />

london 1986.


2. P.r. lloyd,<br />

“early Graphic<br />

Design in<br />

Television”,<br />

disponibile<br />

qui: http://<br />

paulrobertlloyd.<br />

com/articles/<br />

early_graphic_<br />

design_in_<br />

television.<br />

Questioni di superficie<br />

42<br />

Tracce<br />

“al di là”. In questa fase la concezione della superficie dello schermo è<br />

chiaramente quella di una soglia trasparente, uno specchio di alice che<br />

porta alla Wonderland della realtà sociale.<br />

Sebbene la superficie dello schermo, nella tv delle origini, sia quindi<br />

poco “trattata”, gli scenografi degli studi televisivi lavorano per sfruttare<br />

l’efficacia di una serie di “effetti di superficie”. Per trasmettere il<br />

marchio della rete, o il titolo del programma, la soluzione tecnica dominante<br />

è l’uso di una telecamera fissa per riprendere i pannelli che<br />

ospitano gli elementi grafici necessari, preparati manualmente. l’“effetto<br />

di superficie” sullo schermo è quello del cartello segnaletico, talvolta<br />

quasi del manifesto pubblicitario: i compositori e designer di segnaletiche<br />

sono così le prime figure professionali a occuparsi di grafica tv.<br />

Per un broadcaster di eccellenza come la BBc, che solo nel 1954 assume<br />

il suo primo graphic designer, John Sewell, è naturale che il lavoro<br />

di grafica debba dipendere dal dipartimento di scenografia. Sarà così<br />

fino al 1963. l’estrazione culturale è peraltro emblematica di questa<br />

epoca: la sua specializzazione è in illustrazione, con l’aggiunta di un<br />

interesse per il cinema 2 . nella sua nuova professione Sewell declina le<br />

proprie abilità di disegnatore per produrre lettering, immagini fisse e<br />

semplici sequenze animate, arricchendo – e spiazzando – il lavoro dei<br />

compositori di pannelli che, fino ad allora, avevano fornito alla BBc<br />

la maggior parte delle esigenze grafiche per la programmazione. la<br />

tipografia è in particolare un terreno in cui la giovane grafica televisiva<br />

cerca soluzioni formali che superino alcune rigidità pur all’interno<br />

dell’impostazione cartellonistica.<br />

uno dei generi televisivi sottoposti a maggiore sperimentazione grafica<br />

è, da subito, l’informazione. In questo campo il graphic design deve<br />

cercare soluzioni per produrre sintesi visiva alla massima potenza, in<br />

grado di tradurre in pochi segni notizie e concetti di rilevanza giornalistica.<br />

Fra le pratiche più diffuse nella tv inglese e americana, ancora<br />

fino agli anni Settanta, per illustrare informazioni di attualità anche<br />

cruciali permane la consuetudine di ricorrere al disegno, attraverso vignette<br />

che si richiamano alla tradizione dei newspaper cartoon. Fra i<br />

tanti esempi celebri: l’indebolimento della sterlina britannica, sottoposta<br />

alle turbolenze economiche dei Seventies, nei telegiornali inglesi<br />

è spesso rappresentato con una caricatura che la ritrae antropomorfizzata,<br />

come una lettera diventata bruco e con una gamba fasciata; per<br />

accompagnare i commenti politici alle elezioni presidenziali, negli usa<br />

del 1972, la sigla apre con un pannello composto dalla caricatura dei<br />

simboli dei due partiti – l’elefante repubblicano e l’asinello democratico<br />

– che riprende l’iconografia in voga sin dalle caricature ottocentesche<br />

di Thomas nast su Harper’s Weekly. le competenze più antiche,


Tracce<br />

Questioni di superficie<br />

persino precedenti all’invenzione della grafica come il disegno e la caricatura,<br />

sono gli strumenti chiave per caratterizzare l’identità visiva<br />

della superficie schermica. Peraltro quelle stesse elezioni del 1972, con<br />

la grande presenza di pannelli e cartelli negli studi televisivi, segnano<br />

la fine di un’epoca: saranno le ultime elezioni americane a presentare<br />

ancora i risultati con pannelli composti manualmente.<br />

Proprio nella pratica del disegno a mano, tuttavia, si nasconde il germe<br />

di una consapevolezza differente, che contribuisce a erodere l’idea<br />

stessa di trasparenza della superficie televisiva. Il contrasto è quello<br />

fra strutturazione visiva e gestualità, grafica vs. disegno. lo spettatore<br />

trova infatti nel disegno qualcosa che eccede la funzione documentale<br />

della superficie televisiva: in esso rinviene le tracce di una mano creatrice,<br />

“usando le immagini per acquisire l’esperienza consapevole di<br />

vedere attraverso gli occhi di chi le ha create” 3 . all’animazione, sempre<br />

più diffusa nella programmazione – non solo per bambini, visto il suo<br />

uso nella pubblicità – spetta quindi il compito di scardinare le vecchie<br />

concezioni suggerendo con forza un’idea centrale: la natura bidimensionale<br />

dello schermo. la presenza di disegni che “animano” e trattano<br />

ludicamente la superficie del video mette in crisi l’idea di una mera<br />

“finestra” sul mondo. la trasparenza, affermano i segni animati dei<br />

cartoon, è un’illusione, una convenzione dell’interfaccia dello schermo.<br />

Il punto più alto di questa riflessione lo raggiunge un disegnatore<br />

italiano, Osvaldo cavandoli, che con La Linea usa l’ibridazione di disegno<br />

e grafica per creare una serie di straordinari meta-racconti sulla<br />

natura convenzionale dello spazio televisivo: uno spazio che è anche –<br />

o innanzitutto – superficie “scritta” dalle mani dei suoi creatori.<br />

Sul piano materiale, anche l’evoluzione delle tecnologie di ripresa e<br />

di trasmissione contribuisce a ridefinire le condizioni percettive della<br />

superficie televisiva. la fiction dedicata al tema dei viaggi spazio-temporali<br />

è l’occasione giusta per spingere ancora più avanti la consapevolezza<br />

delle complesse relazioni fra soglie e piani implicate nell’interfaccia<br />

video. Per la sigla del programma Doctor Who, nel 1963 Bernard<br />

lodge punta una telecamera davanti a un monitor, sviluppando nuovi<br />

effetti di sovrapposizione: la superficie dello schermo si fa multilayer,<br />

segnalando così l’avvento di una nuova era di opacità dello/nello schermo<br />

televisivo.<br />

l’avvento del colore e gli standard di maggiore definizione dell’immagine<br />

a esso connessi scatenano nuove sperimentazioni. lo spazio<br />

multi-scrivibile della superficie schermica è pienamente appropriato dal<br />

graphic design televisivo, e con gli anni Settanta – età della maturità per<br />

la grafica televisiva – arrivano innovazioni come le identità cromatiche<br />

dei building blocks creati da Martin lambie-nairn per channel 4, pri-<br />

43<br />

3. J. Berger,<br />

Sul disegnare,<br />

Scheiwiller,<br />

Milano 2007 (ed.<br />

or. 2005), p.13.


4. T. Murakami,<br />

Superflat, Madra,<br />

Tokyo 2000.<br />

Questioni di superficie<br />

44<br />

Tracce<br />

mo successo della computer grafica in tv, che con un effetto valanga<br />

arriverà a sostituire rapidamente le vecchie tecniche di lavorazione manuale<br />

con quelle digitali. l’estetica multilayer del video fa il suo ingresso<br />

nell’epoca della simulazione, avvicinando sempre più le esigenze di<br />

superficie dello schermo televisivo a quelle del video del computer, come<br />

testimonia lo scenario contemporaneo della tv digitale.<br />

Ma la complessità culturale della superficie rivela anche il significato<br />

antropologico dell’interfaccia televisiva, per esempio nella diversità<br />

tra Occidente e Oriente. nei generi informativi, da sempre avamposto<br />

strategico per lo sviluppo dell’interfaccia, questa differenza è massimamente<br />

evidente: i programmi di news in asia sono diversi anche<br />

– soprattutto – sul piano della superficie schermica, piena di scritte,<br />

sottotitoli, oggetti grafici e segnaletiche multilayer. la superficie è<br />

sfruttata spazialmente al punto da ridurre persino l’importanza spettacolare<br />

dell’estetica da studio, tanto amata dalla tv occidentale. la<br />

flatness dell’immaginario visivo asiatico, ben raccontata dall’arte di<br />

Murakami, è la vera risorsa strategica per generare forme di attenzione:<br />

non solo parole, ma anche linee ed elementi vettoriali che si muovono<br />

continuamente, fino alla debordante presenza di character disegnati,<br />

ad antropomorfizzare la relazione d’uso fra l’utente e lo schermo televisivo<br />

4 . nell’economia politica della tv contemporanea, non è un caso<br />

che il Giappone abbia conquistato un ruolo di leader mondiale proprio<br />

nel segmento della produzione più tipicamente flat: l’animazione. una<br />

leadership che dice di un diverso modello di integrazione industriale e<br />

insieme culturale. In Occidente i telefilm, ovvero il cinema; in Oriente<br />

gli anime, ovvero il disegno (il manga). Questioni antiche: questioni<br />

di superficie.


Tracce<br />

QueSTIOnI DI SuPerFIcIe<br />

Matteo stefanelli<br />

1. Previsioni del tempo sulla tv australiana degli anni sessanta.<br />

2. Prime grafiche tv.<br />

3. La sterlina britannica in una caricatura degli anni sessanta.<br />

4. grafiche per l’election night americana del 1972.<br />

5. spot della tv a colori rCa nei primi anni sessanta.<br />

6. La Linea di osvaldo Cavandoli.<br />

7. La sigla di doctor Who creata da Bernard Lodge.<br />

8. Ident di Channel 4 disegnato da Martin Lambie-nairn.<br />

9. L’affollamento grafico della tv giapponese.<br />

Questioni di superficie<br />

45


forme, stili, valori, personaggi<br />

46<br />

Tracce


Tracce<br />

SPeccHIO e FOcOlare<br />

Piermarco aroldi<br />

Specchio e focolare<br />

come è stato più volte osservato, l’addomesticamento della tv<br />

in quanto medium è passato anche attraverso l’integrazione dell’apparecchio<br />

come pezzo di arredamento cui trovare una collocazione<br />

(una stanza adeguata, prima di tutto: la cucina, il tinello o il salotto?),<br />

uno spazio (legato alla profondità del tubo catodico: una nicchia o un<br />

angolo, un carrello apposito, una mensola, una parete?), una logica<br />

(continuità per mimetismo con l’arredamento tradizionale o rottura<br />

esplicita per evocazione della modernità; occultamento dietro serrande<br />

e saliscendi od ostentazione dichiarata?). In questa negoziazione entrano<br />

in gioco l’estetica della tecnologia e i valori a essa attribuiti: le linee<br />

liberty o decò delle prime radio, il rigore razionalista dei primi televisori,<br />

l’esplosione delle plastiche colorate in pieno gusto pop degli anni<br />

Sessanta e Settanta, il ritorno high tech nero di fine millennio, l’effetto<br />

seamless degli schermi piatti, lcd o al plasma, dei nostri anni.<br />

colori, materiali, forme e, soprattutto, volumi; in questo senso,<br />

l’evoluzione più significativa è rappresentata dal passaggio dal cinescopio<br />

al flat screen o, meglio, dalla “scatola” alla “cornice”: la prima, esageratamente<br />

tridimensionale, strettamente imparentata con la “scatola<br />

teatrale” del repertorio borghese dal Settecento in poi, esplicita l’idea<br />

di un “contenitore” che racchiude un “contenuto”, storie, personaggi<br />

ed eventi che hanno luogo “lì dentro”, dove tutto convive a rischio di<br />

47


1. P. Valery,<br />

Scritti sull’arte,<br />

Guanda, Milano<br />

1984 (ed. or.<br />

1934).<br />

Specchio e focolare<br />

48<br />

Tracce<br />

mescolamento, contaminazione e parodia; la seconda, sfacciatamente<br />

bidimensionale, da appendere al muro, come un quadro o una specchiera,<br />

ridotta a sola superficie riflettente, quasi a ricordare la lezione<br />

decostruzionista e, ancor più, la pratica televisiva da metà anni Ottanta<br />

in poi, tutta volta a dimostrare che la “scatola è vuota”, o è piena solo di<br />

altre scatole, in un rinvio interminabile all’autoreferenzialità.<br />

l’ingresso dell’apparecchio radio-televisivo tende non solo a ridefinire<br />

la dimensione domestica, ma ad articolare questa ridefinizione<br />

lungo una serie di contraddizioni estremamente feconde: per esempio,<br />

quella che si articola intorno alle due (apparentemente?) opposte metafore<br />

del “mondo in casa” (con la variante più voyeuristica della “finestra<br />

sul mondo”), da una parte, e del “focolare elettronico”, dall’altra.<br />

Metafore banali, si direbbe, certamente datate se non desuete, ma che<br />

forse proprio per questo potremmo provare a prendere sul serio, se non<br />

addirittura alla lettera, per verificarne fino in fondo la natura profetica<br />

a cui si alludeva nelle pagine precedenti.<br />

una prima serie di metafore, infatti, fa leva sulla natura di “conduttura”<br />

che consente il trasporto di ciò che è “esterno” verso ciò che è<br />

“interno”, l’esperienza a domicilio di ciò che è distante, disperso nel<br />

vasto mondo “là fuori”. come profetizzava Paul Valery in un saggio<br />

dal significativo titolo de La conquista dell’ubiquità (1928) 1 , “come<br />

l’acqua, il gas, la corrente elettrica giungono da lontano nelle nostre<br />

case per rispondere ai nostri bisogni con uno sforzo quasi nullo, così<br />

saremo alimentati da immagini visive o uditive, che appariranno e spariranno<br />

al minimo gesto, quasi a un cenno”. Si tratta dell’intuizione,<br />

pienamente moderna, dell’abitazione come nodo di una rete di distribuzione,<br />

e il nome proposto da Valery per questo servizio, descritto<br />

quasi al dettaglio del gesto con cui manipoliamo il telecomando per<br />

fare zapping, è – non a caso – “Società per la distribuzione della realtà<br />

sensibile a domicilio”. Questa rete, destinata oggi a concretizzarsi<br />

in internet e a dare forma alla cosiddetta broadband society, connette<br />

locale e globale, individuale e collettivo, domestico e nazionale; e se il<br />

mondo diventa familiare, una volta entrato nel piccolo schermo, ecco<br />

che la sua esondazione dalla “scatola” televisiva nell’ambiente domestico<br />

rende quest’ultimo esotico, trasfigurando usi, costumi e abitudini<br />

dei suoi abitanti.<br />

una seconda serie di metafore, invece, agisce su altri elementi di arredo,<br />

già presenti nell’abitazione e dotati di una loro funzione propria<br />

che, in qualche misura, nella modernità viene assunta dallo schermo tv.<br />

Tanto per cominciare, tra i materiali di cui è fatto il televisore c’è,<br />

indubbiamente, il vetro, a fare da “quarta parete”, trasparente, alla scatola<br />

di legno o plastica, più o meno ingombrante, che costituisce la


Tracce<br />

Specchio e focolare<br />

componente, per così dire, di “mobilio” della televisione. la superficie<br />

vetrata dello schermo costituisce l’interfaccia principale della tv e uno<br />

dei suoi elementi materiali di maggiore impatto nell’ambiente domestico<br />

e nei rituali familiari e sociali che vi si svolgono. Oltre a quella della<br />

finestra, la metafora dominante, qui, è quella dello specchio.<br />

In quanto oggetto di lusso domestico, tipicamente femminile e tradizionalmente<br />

connotato di vanità, esso è innanzitutto motivo di contemplazione<br />

della bellezza e del suo formidabile (divino) potere sugli<br />

uomini; anche quando è ridotto a borghese strumento di seduzione,<br />

esso mantiene però un potere di fascinazione ben rappresentato dalla<br />

figura dello “specchio magico”. Se la radio si accompagna alla toilette e<br />

alla specchiera, il televisore vi si sostituisce, dando forma tanto al “sex<br />

appeal dell’inorganico” (Mario Perniola) quanto alla dimensione femminile<br />

della tecnologia, altrimenti tristemente “maschile”.<br />

non è possibile, però, ignorare come la superficie specchiante del<br />

televisore racchiuda, al tempo stesso, una promessa che spetterà, poi,<br />

alla televisione mantenere: darsi come un luogo in cui ci si riflette, in<br />

cui l’identità dello spettatore cerca conferme (“specchio delle mie brame…”),<br />

da cui attingere modelli e paradigmi con i quali confrontarsi;<br />

in esso la stessa realtà del mondo si rispecchia, offrendosi ora al riconoscimento,<br />

dunque a una forma di conoscenza che oscilla tra il senso<br />

comune e forme più mature di riflessività, ora all’opera di chirurgia<br />

estetica che la rende irriconoscibile ma totalmente telegenica.<br />

Parte di queste metafore, invece, insistono sulla dimensione della<br />

chiusura e dell’intimità: la radio prima, il televisore poi, sono il nuovo<br />

focolare domestico, sia nel senso che intorno a esso si riunisce il nucleofamiglia<br />

(in continuità, peraltro, con il luogo simbolico per eccellenza<br />

di questa unità che è il desco familiare), sia in virtù della sua apparente<br />

capacità di “scaldare” l’ambiente. Fuoco, cibo, unione del gruppo sono,<br />

dunque, alcuni dei significati che tale metafora proietta sull’apparecchio<br />

tv a conferma della sua vocazione a sostenere la “sicurezza ontologica”<br />

della nostra quotidiana percezione della vita. In modo analogo,<br />

d’altra parte, i rituali del consumo pongono spesso il televisore in relazione<br />

con i momenti del pranzo e della cena, e gli “usi ambientali”,<br />

documentati dagli audience Studies da lull 2 in poi, sottolineano la<br />

potenzialità del mezzo come strumento di “arredo” dell’attesa e della<br />

solitudine, specie con la sua funzione di “rumore di fondo” e di accompagnamento.<br />

e, sempre prendendo alla lettera le metafore, non<br />

sarà forse un caso che il verbo che usiamo per il televisore sia proprio<br />

“accendere”: come il fuoco, come il gas della cucina, come una caldaia.<br />

Ma, come è noto, la metafora è un procedimento retorico di slittamento<br />

semantico potenzialmente in grado di innescare una semiosi<br />

49<br />

2. J. lull, In<br />

famiglia, davanti<br />

alla tv, Meltemi,<br />

roma 2003 (ed.<br />

or. 1990).


Specchio e focolare<br />

50<br />

Tracce<br />

illimitata; così, retrocedendo dal caminetto acceso in quanto “cuore<br />

della casa”, è possibile approdare al “sacro fuoco di Vesta”, l’emblema<br />

rituale del focolare che celebra, contemporaneamente, la sopravvivenza<br />

della città e quella di ogni singola unità familiare che la compone. riassunte<br />

nel simbolo del fuoco perenne conservato nel tempio, “doppio”<br />

del focolare regale, infatti, convivono tanto la natura intima e privata<br />

della familia quanto quella collettiva e politica dell’urbs e della res publica,<br />

quasi a confermare, ancora una volta, l’integrazione sociale – per<br />

esempio su base nazionale – allusa dalla mediazione simbolica dal televisore,<br />

costantemente acceso tra le nostre mura domestiche.


Tracce<br />

SPeccHIO e FOcOlare<br />

Piermarco aroldi<br />

1. L’ascolto radiofonico in famiglia (anni trenta e Quaranta).<br />

2. Il consumo televisivo in famiglia nella pubblicità americana degli apparecchi radio-tv<br />

(anni Cinquanta).<br />

3. Pubblicità di apparecchi radiofonici (anni trenta).<br />

4. La storica sigla del tg1.<br />

5. denario di Quinto Cassio Longino con il tempio di vesta.<br />

6. L’ascolto domestico della radio nella pubblicità degli apparecchi radiofonici<br />

(anni trenta e Quaranta).<br />

7. venere allo specchio (diego velazquez, 1650).<br />

8. Pubblicità di apparecchi televisivi (anni Cinquanta e sessanta).<br />

9. Pubblicità di un televisore a schermo piatto (2009).<br />

Specchio e focolare<br />

51


forme, stili, valori, personaggi<br />

52<br />

Tracce


Tracce<br />

VarcHI e PaSSaGGI<br />

Piermarco aroldi<br />

Varchi e passaggi<br />

a ben guardare, anche le metafore che insistono sulla dimensione<br />

intima e domestica dell’esperienza televisiva, come nel caso del<br />

focolare o dello specchio, celano una seconda dimensione, più aperta<br />

e, ovviamente, comunicativa. entrambe, infatti, alludono anche a<br />

un’apertura, e dunque a un varco e a un passaggio.<br />

Per quanto riguarda il camino, esso consente non solo l’uscita del<br />

fumo ma anche il transito di e la comunicazione con gli esseri del<br />

mondo superiore, elargitori di protezione o di beni materiali, come San<br />

nicola/Babbo natale; o, in molte culture tradizionali, con gli spiriti<br />

degli antenati e dei trapassati. Potremmo anche dire che il focolare<br />

acceso testimonia che la casa è sì abitata, ma questa “abitazione” non<br />

è solo faccenda di chi “vive” nella casa. la casa è abitata anche da chi<br />

non vive più: i Lares familiares, per stare ancora entro l’orizzonte delle<br />

radici italiche della nostra cultura, o gli spettri e i fantasmi, se ci affacciamo<br />

all’immaginario popolare del folklore e di tanta parte della<br />

narrazione massmediale.<br />

ed è proprio questo immaginario a offrire alcune testimonianze iconografiche<br />

interessanti: la fascinazione, mista di curiosità e timore, vagamente<br />

ipnotica con cui i bambini guardano al camino acceso, o alla<br />

canna fumaria aperta verso l’ignoto, riecheggia, per esempio, sia nella<br />

locandina di Poltergeist (Tobe Hooper, 1982), sia nell’inquadratura di<br />

53


Varchi e passaggi<br />

54<br />

Tracce<br />

Ringu (Hideo nakata, 1998), in cui i figli dei protagonisti subiscono<br />

il richiamo, perturbante e letale, dello schermo televisivo. entrambi<br />

i film ruotano, infatti, intorno alla capacità del televisore domestico<br />

di farsi, a tutti gli effetti, medium, evocatore di spiriti, varco aperto<br />

sull’aldilà, passaggio frequentato dai revenant: nel primo essi parlano<br />

attraverso il televisore alla piccola carol per rivelarle che la casa è<br />

infestata dai fantasmi di coloro che riposano nel cimitero sul quale la<br />

speculazione edilizia ha eretto il nuovo complesso residenziale, mentre<br />

nel secondo la visione di un misterioso video è seguita da una telefonata<br />

che preannuncia la morte dell’occasionale spettatore nel giro della<br />

settimana seguente. Passaggio aperto su entrambi i lati, dunque, sul<br />

quale è pericoloso affacciarsi, pena essere risucchiati e annientati dal<br />

gorgo che si spalanca attraverso lo schermo. Due, e opposti, i possibili<br />

esorcismi: espellere il televisore, lasciandolo fuori dalla porta di casa<br />

(l’inquadratura finale di Poltergeist), o al contrario moltiplicarne la visione,<br />

diffondere, come in una catena di Sant’antonio, il video fatale,<br />

estendendone il contagio (l’inquadratura finale di Ringu).<br />

ambigua e polivalente come poche, poi, la metafora dello specchio<br />

è all’origine stessa dell’immagine occidentale, così come emerge dalla<br />

mitologia classica fino alla sua sopravvivenza nella fotografia, “specchio<br />

dotato di memoria” (Oliver Wendell Holmes); ma in questo itinerario<br />

essa non perde del tutto la sua natura inquietante, l’enigma del<br />

doppio, l’incubo dell’alter ego, o il richiamo di morte che condanna<br />

tanto la Medusa quanto narciso: specchiarsi è smarrirsi nel proprio<br />

orrore o perdersi nell’amore di sé, sprofondare in acque stagnanti ma<br />

profonde, entrare in un’altra dimensione da cui è difficile riemergere<br />

indenni. Massima ambiguità: quegli stessi specchi che è bene velare<br />

quando una casa è colpita dal lutto per impedire che l’anima vi resti<br />

intrappolata nel suo cammino verso l’aldilà non riflettono l’immagine<br />

dei non-morti, i vampiri o dei revenant. ancora una volta, cifra di un<br />

passaggio (im)possibile tra mondi.<br />

Il modello di questo transito è, alcuni millenni dopo narciso, alice:<br />

attirata in uno specchio non dalla seduzione della propria immagine,<br />

ma dalla curiosità circa la reale natura della “casa dello specchio”,<br />

cioè del riflesso della stanza familiare restituito dalla grande specchiera<br />

posta sopra al caminetto (a partire, guarda caso, proprio dal camino:<br />

“Quanto mi piacerebbe veder quella parte! chi sa se nell’inverno c’è il<br />

fuoco”). entrarci, dice la stessa alice, fu la cosa più facile del mondo;<br />

“quello che trovò dall’altra parte” ce lo descrive, invece, il gusto perverso<br />

di carroll per il nonsense. Per ora ci basti soffermarci sull’iconografia<br />

di questo transito, come proposta dalle illustrazioni dell’edizione originale<br />

(Through the Looking-Glass and What Alice Found There, 1871),


Tracce<br />

Varchi e passaggi<br />

forse le più famose, quelle di John Tenniel: alice, dopo essersi arrampicata<br />

sulla mensola del camino, attraversa la superficie dello specchio<br />

appoggiandosi a essa con la mano destra; ne tradisce così la consistenza,<br />

in parte solida, in parte no, “come un velo” o “una specie di<br />

nebbia”; o forse liquida. Dall’altra parte trova, come è noto, una realtà<br />

simmetrica che ben presto sfugge a ogni logica.<br />

Se la consistenza dello specchio di alice ricorda molto da vicino<br />

quella, acquorea o nebulosa, del teleschermo, ciò che è possibile trovare<br />

“dall’altra parte” risponde, invece, ad alcune logiche che si articolano<br />

nello spazio tra realtà e rappresentazione; chi viene risucchiato “dentro”<br />

la realtà televisiva può essere, così, condannato a ripeterne all’infinito<br />

i meccanismi narrativi (come i protagonisti di Pleasantville, Gary<br />

ross, 1998; salvo stravolgere, con la consapevolezza della vita reale,<br />

l’apparente innocenza della sitcom anni cinquanta). O a vagare da un<br />

canale all’altro, da un programma all’altro, da un dispositivo all’altro<br />

come un’onda elettromagnetica in grado di disturbare tutte le trasmissioni,<br />

mescolandone i contenuti (è ciò che accade a Gip, il bambino<br />

protagonista del racconto di Gianni rodari Gip nel televisore, 1962).<br />

O, peggio, a perdersi in un labirinto allucinatorio, in cui è impossibile<br />

distinguere la realtà dalla sua percezione, patologicamente deformata,<br />

come capita al protagonista di Videodrome (David cronenberg, 1983):<br />

unico esito possibile, la rivolta – tumorale, e dunque omicida e suicida<br />

– della carne viva contrapposta all’immagine elettronica.<br />

rimanere fisicamente esclusi da questa rappresentazione, rigettati al<br />

di qua dello schermo con il corpo e l’immaginazione totalmente assorbita<br />

dal video, ha effetti alienanti o tragicomici: Fantozzi, in Fantozzi<br />

contro tutti (neri Parenti, 1980), sorpreso in piena notte dalla moglie<br />

Pina mentre cerca di abbracciare, attraverso il teleschermo, il corpo<br />

provocante di una pornostar apparso su una tv privata, aziona inavvertitamente<br />

il telecomando e cambia canale, ritrovandosi a baciare<br />

l’immagine di un sacerdote, conduttore di un programma religioso.<br />

nel nostro caso il transito si complica; il passaggio è, infatti, frequentato<br />

in entrambe le direzioni. Si può “entrare” nello specchio/<br />

televisore, così come ci sono cose e persone che possono “uscire” da<br />

esso. Passando “dall’altra parte”, alice “esce” dallo specchio in un’altra<br />

realtà; cosa “esce”, invece, dal televisore per abitare la nostra realtà,<br />

quotidiana e domestica? Innanzitutto ciò che quotidiano e domestico<br />

non è (altrimenti saremmo ancora nell’ambito del riconoscimento<br />

puramente “speculare”, al massimo in una forma grammaticalizzata e<br />

normativa, come suggeriva già anni fa casetti 1 , della nostra quotidianità<br />

e domesticità); piuttosto ciò che è esotico, o romantico.<br />

anche in questo caso la televisione replica in forme proprie l’espe-<br />

55<br />

1. F. casetti (a<br />

cura di), Tra me<br />

e te, rai Vpt,<br />

roma 1988.


2. Si ricorderà a<br />

proposito il caso<br />

dell’attore nick<br />

novecento e, più<br />

recentemente,<br />

del volto che<br />

ha incarnato le<br />

diverse stagioni<br />

della tv italiana,<br />

Mike Bongiorno,<br />

protagonista<br />

di uno spot<br />

pubblicitario<br />

programmato<br />

pochi giorni<br />

dopo la sua<br />

scomparsa.<br />

Varchi e passaggi<br />

56<br />

Tracce<br />

rienza che è già stata del cinema: romantica ed esotica insieme è, per<br />

esempio, la storia d’amore della protagonista di La rosa purpurea del<br />

Cairo (Woody allen, 1985), spettatrice cinematografica appassionata<br />

di cui il personaggio del suo film preferito si innamora, al punto<br />

da uscire dallo schermo per raggiungerla. Ma più spesso la tv sembra<br />

frequentare i territori del “perturbante”, del freudiano Unheimliche, insieme<br />

familiare, rimosso e dunque estraneo. È, per esempio, il ritorno<br />

del passato, un passato in bianco e nero che sembra esaltare la nostalgia<br />

a discapito della memoria; è, alla lettera, il ritorno degli “spettri”,<br />

nella cui radice verbale è possibile cogliere tanto la natura visiva dello<br />

“specchio” quanto la nostra condizione di “spettatori”: immagini di<br />

repertorio che si danno come se le persone rappresentate fossero ancora<br />

vive, in grado di agire e parlare, e suscitare sentimenti 2 . È, ancora, il<br />

ritorno dei nostri fantasmi e delle nostre paure, rese iconograficamente<br />

– ancora – dal film Ringu, nonché dal suo remake statunitense The<br />

Ring (Gore Verbinsky, 2002) e delle sue innumerevoli parodie: il demone/bambina,<br />

sepolta in un pozzo, riemerge dalle viscere della terra<br />

per poi scivolare fuori dallo schermo e uccidere, con il solo orrore della<br />

sua visione, lo spettatore. È forse un caso che a costituire un punto di<br />

svolta epocale nella storia della televisione italiana ci sia stato il tragico<br />

episodio di Vermicino?


Tracce<br />

VarcHI e PaSSaGGI<br />

Piermarco aroldi<br />

1. L’attesa del natale da parte di una bambina americana (fotografia del XIX secolo).<br />

2. La locandina di Poltergeist (tobe hooper, 1982).<br />

3. narciso (Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, 1597-1599).<br />

4. 7. Illustrazioni di John tenniel per through the Looking-glass,<br />

and What alice Found there di Lewis Carroll (1871).<br />

5. videodrome (david Cronenberg, 1983).<br />

6. Fantozzi contro tutti (neri Parenti, 1980).<br />

8. ringu (hideo nakata, 1998).<br />

9. La rosa purpurea del Cairo (Woody allen, 1985).<br />

Varchi e passaggi<br />

57


CAPITOLO I Tracce<br />

64


Tracce CAPITOLO I<br />

sezione II<br />

rITualI<br />

– L’esperienza televisiva –<br />

65


forme, stili, valori, personaggi<br />

78<br />

Tracce


Tracce<br />

l’InTérIeur<br />

alberto abruzzese e Luca Massidda<br />

L’intérieur<br />

“Cugino mio! Adesso mi rendo conto che in te non arde<br />

neppure la più piccola scintilla di talento per la scrittura. Ti<br />

manca il requisito primario per poter un giorno seguire le orme<br />

del tuo degno cugino paralitico; vale a dire un occhio che sappia<br />

vedere. A te quel mercato non offre la veduta di una variegata e<br />

vertiginosa calca che si agita senza senso. No, no, amico mio, per<br />

me da ciò si dispiega il molteplice scenario della vita borghese e il<br />

mio spirito, come un sagace Callot o un moderno Chodowiecki,<br />

produce uno schizzo dopo l’altro, i cui tratti sono spesso piuttosto<br />

sfacciati. Su, cugino! Voglio vedere se mi riesce di insegnarti le<br />

primizie dell’arte di osservare. Prova a guardare proprio davanti<br />

a te giù in strada, eccoti il mio cannocchiale…”<br />

e.t.a. hoffmann 1<br />

quindici anni prima che lo spettatore dell’uomo della folla<br />

di Poe, seduto nella sala di un café londinese, con lo sguardo fisso<br />

sul grande schermo della sua vetrina, immaginasse il cinema, il cugino<br />

di e.T.a. Hoffmann, seduto nella propria casa berlinese, lo sguardo<br />

immobile sul piccolo schermo della sua domestica finestra, prefigurava<br />

la televisione. Il primo si stanca presto del flusso disordinato delle immagini<br />

della folla. È lì per essere spettatore di una Storia, per inseguire<br />

79<br />

1. e.T.a.<br />

Hoffmann, La<br />

finestra d’angolo<br />

del cugino,<br />

Marsilio, Venezia<br />

2008 (ed. or.<br />

1822), p. 61.


2. W. Benjamin,<br />

“Di alcuni motivi<br />

in Baudelaire”,<br />

in Id., Angelus<br />

Novus, einaudi,<br />

Torino 1995, p.<br />

108.<br />

3. r. Sennet, Il<br />

declino dell’uomo<br />

pubblico, Bruno<br />

Mondadori,<br />

Milano 2006 (ed.<br />

or. 1976), p. 349.<br />

4. a. abruzzese,<br />

Lo splendore<br />

della tv. Origini<br />

e destino del<br />

linguaggio<br />

audiovisivo,<br />

costa e nolan,<br />

Genova 1995,<br />

p.116.<br />

5. W. Benjamin,<br />

I “passages” di<br />

Parigi. Volume<br />

primo, einaudi,<br />

Torino 1982,<br />

p. 11.<br />

6. e. Morin, Lo<br />

spirito del tempo,<br />

Meltemi, roma<br />

2002 (ed. or.<br />

1962), p. 236.<br />

7. W. Benjamin,<br />

I “passages” di<br />

Parigi, cit., p.<br />

229.<br />

8. S. Kern, Il<br />

tempo e lo spazio.<br />

La percezione del<br />

mondo tra Otto<br />

e Novecento, il<br />

Mulino, Bologna<br />

1995 (ed. or.<br />

1983), p. 181.<br />

L’intérieur<br />

80<br />

Tracce<br />

un divo, per guardare un film. Il secondo è costretto a imparare i principi<br />

di una diversa arte di guardare. con il suo binocolo-telecomando<br />

impara a “isolare scenette di genere” 2 , a dilettarsi facendo zapping tra<br />

i quadri viventi che il palinsesto metropolitano offre al suo sguardo.<br />

Possibile trovare già agli inizi del XIX secolo le tracce di una relazione,<br />

quella tra la televisione e la casa, che dovrà attendere più di cento<br />

anni prima di essere finalmente consumata?<br />

Già richard Sennet aveva visto nella passività obbligata dello spettatore<br />

di Hoffmann una rappresentazione perfettamente iscrivibile nella<br />

logica della tecnologia televisiva: nella storia del cugino berlinese il sociologo<br />

britannico coglie l’anticipazione letteraria di quel “paradosso<br />

della visibilità e dell’isolamento” 3 che caratterizzerà l’esperienza tv.<br />

rivoluzione industriale, metropoli moderna, ascesa della borghesia:<br />

è proprio il XIX secolo che impone alla dimora il compito di “programmarsi<br />

come luogo di consumo e di riproduzione dell’immaginario collettivo”<br />

4 . aprendo inedite vie d’accesso al suo interno e creando nuove<br />

protesi che si propagano verso l’esterno, l’abitare scopre e rivela la sua<br />

natura compiutamente audiovisiva. Ben prima che lo facesse la televisione<br />

sono state dunque le “fantasmagorie dell’intérieur” 5 a inscrivere<br />

“l’estrema ubiquità degli altrove nell’estrema immobilità del qui” 6 .<br />

arredamenti, drappi, ritratti, collezioni. l’intérieur della dimora<br />

borghese diventa una wunderkammer, una stanza delle meraviglie, un<br />

palco in cui la metropoli si mette in scena e lo spettacolo del mondo e<br />

delle sue merci accade. Benjamin ci racconta l’illusione continuamente<br />

perduta e nuovamente rincorsa del piccolo borghese che “vuole avere la<br />

sensazione che nella stanza accanto avrebbe potuto aver luogo sia l’incoronazione<br />

di carlo Magno che l’assassinio di enrico IV, la firma del<br />

trattato di Verdun o le nozze di Ottone e Teofano” 7 . l’immaginazione<br />

in differita del borghese benjaminiano dovrà attendere l’incoronazione<br />

di re Giorgio VI (1937), prima grande cerimonia in diretta della storia<br />

della televisione, per essere pienamente soddisfatta. Ma i desideri e i<br />

bisogni del pubblico, così come le strategie spettacolari della loro soddisfazione,<br />

erano già sulla scena dell’intérieur ottocentesco.<br />

Per funzionare, quel prodromo televisivo che è il salotto borghese<br />

ha però ancora bisogno di specchiarsi nella metropoli moderna. Per<br />

gestire il paradosso di visibilità e isolamento, per tenere insieme il qui<br />

e l’altrove, per trovare un equilibrio tra i suoi ingressi e le sue uscite è<br />

necessario che la stanza si affacci sulla metropoli. che sia il mercato<br />

Berlinese del Gendarmenmarkt o l’ubiquità parigina della Tour di Delaunay<br />

8 , la presenza fisica della città è ancora indispensabile per gestire<br />

le nevrosi di un immaginario che è già pervasivamente metropolitano.<br />

Dove questa manca, dove la finestra dà sul piccolo paese di provincia,


Tracce<br />

L’intérieur<br />

è ancora troppo forte il rischio di smarrirsi. In Madame Bovary gli<br />

ornamenti, i dipinti, le riviste di moda, la pianta di Parigi, i Misteri di<br />

eugène Sue, l’abbonamento allo Spirito dei salotti, il portasigari di seta<br />

verde del Visconte rappresentano un altrove che fagocita il qui, oggetti<br />

che producono “un immaginario soddisfacimento delle proprie brame”<br />

9 condannato a una frustrazione ingestibile.<br />

Inutile a questo punto citare a sostegno tutte le numerose ambientazioni<br />

salottiere della storia della televisione che continuamente rimettono<br />

in scena questa genesi domestica dello spettacolo televisivo. un<br />

riferimento però ce lo concediamo, a un programma che ha fatto la<br />

storia della televisione italiana: Bontà loro. Ogni puntata del talk show<br />

di Maurizio costanzo andato in onda tra il 1976 e il 1977 si apriva con<br />

il baffuto e paffuto conduttore che andava a chiudere la piccola finestra<br />

aperta sullo sfondo della scarna scenografia. Tra lo spettatore e lo schermo<br />

non è più necessaria la mediazione dell’altrove metropolitano. la<br />

tv, il qui, ha fagocitato l’altrove, la metropoli. e non poteva esserci immagine<br />

più credibile per simbolizzarlo di quell’avvolgente rotondità che<br />

il conduttore romano morfologicamente condivide con lo schermo tv 10 .<br />

la metropoli è ora uno dei tanti ciuski a disposizione nel ventre di un<br />

Doraemon televisivo capace di dare senso al tessuto disteso e disconnesso<br />

dell’abitare suburbano del tardo novecento: “isolata dalle relazioni<br />

primarie, l’abitazione suburbana rientra nel circolo della socialità<br />

tramite la televisione” 11 .<br />

anche qui, inutile fare l’elenco delle decine e decine di programmi<br />

che attraverso le proprie immagini e la propria ambientazione hanno<br />

sancito la perfetta sintonia tra televisione e realtà suburbana 12 , il loro<br />

legittimarsi e finanziarsi reciprocamente (esattamente come avevano<br />

fatto un secolo prima cinema e metropoli), le loro affinità elettive. Valga<br />

per tutti l’esempio della più longeva delle serie tv animate: I Simpson.<br />

la più anonima delle città americane (Springfield), il più anonimo<br />

dei quartieri (evergreen Terrace), la più anonima delle villette<br />

monofamiliari, per una narrazione episodica lunga ormai più di venti<br />

anni compiutamente suburbana e autoreferenzialmente televisiva.<br />

all’apice della pervasività della tecnologia televisiva, quel paradosso<br />

di visibilità e isolamento che aveva formato gli interni del salotto borghese<br />

ha subito una piccola ma significativa metamorfosi: il nuovo tessuto<br />

urbano diffusamente post-metropolitano dell’egemonia televisiva<br />

ora pretende che una mobilità assoluta si accompagni all’autosufficienza<br />

della residenza familiare 13 .<br />

la dimora borghese ha allora bisogno di trasferirsi nella più spettacolare<br />

delle sue protesi all’esterno. Per l’affermazione definitiva di quella<br />

forma di privatizzazione mobile descritta da Williams, la televisione<br />

81<br />

9. G. Flaubert,<br />

Madame Bovary,<br />

Garzanti, Milano<br />

2007 (ed. or.<br />

1856), p. 31.<br />

10. a. Grasso,<br />

Storia della<br />

televisione<br />

italiana,<br />

Garzanti, Milano<br />

2000, p. 307.<br />

11. a. Miconi,<br />

“Flussi. la<br />

televisione e<br />

l’ordine urbano<br />

del capitalismo”,<br />

in V. Giordano<br />

(a cura di),<br />

Linguaggi della<br />

metropoli,<br />

liguori, napoli<br />

2002, p. 176.<br />

12. r.<br />

Silverstone,<br />

Televisione e vita<br />

quotidiana, il<br />

Mulino, Bologna<br />

2000 (ed. or.<br />

1994), p. 101.<br />

13. r. Williams,<br />

Televisione.<br />

Tecnologia e<br />

forma culturale,<br />

editori riuniti,<br />

roma 2000 (ed.<br />

or. 1974), p. 46.


14. a. abruzzese,<br />

D. Borrelli,<br />

L’industria<br />

culturale. Tracce<br />

e immagini di<br />

un privilegio,<br />

carocci, roma<br />

2000, p. 122.<br />

15. r. Barthes,<br />

Miti d’oggi,<br />

einaudi, Torino<br />

1994 (ed. or.<br />

1971), p. 147-<br />

148.<br />

16. Si veda M.<br />

Mcluhan, Gli<br />

strumenti del<br />

comunicare, net,<br />

Milano 2000 (ed.<br />

or. 1964).<br />

L’intérieur<br />

82<br />

Tracce<br />

necessita di un nuovo complice, di una spalla capace di mettere in<br />

moto le fantasmagorie dell’interiéur, di un guscio capace di rinnovare<br />

per l’ennesima volta il paradosso della visibilità e dell’isolamento: l’automobile.<br />

le immagini in movimento che l’abitacolo dell’auto offre<br />

ai suoi passeggeri-spettatori immediatamente sembrano “anticipare<br />

il modello di un’attenzione distratta, automatica e intermittente” che<br />

sarà poi propria della fruizione televisiva 14 . Per sancire questo patto,<br />

difficile trovare un esempio più significativo della miticamente moderna<br />

Déesse descritta da roland Barthes. “esaltazione del vetro”, “nuovo<br />

nautilus”, “embrione di una nuova fenomenologia della connessione”,<br />

“spirituale e casalinga” 15 : nelle parole con cui il semiologo francese descrive<br />

il mito moderno targato citroën ritroviamo la stessa sublimazione<br />

della gestalt televisiva che abbiamo già visto in costanzo. la Ds<br />

è tanto televisiva da incarnare perfettamente anche la più mediologica<br />

– e meno immediata – delle sue qualità: “è la grande fase tattile della<br />

scoperta, il momento in cui il meraviglioso visivo si accinge a subire<br />

l’assalto raziocinante del tatto”. nelle parole con cui Barthes descrive<br />

l’automobile francese non è difficile vedere – o meglio, sentire – una<br />

perfetta immagine della partecipazione tattile che la freddezza televisiva<br />

pretende dal suo pantofolaio spettatore 16 .


Tracce<br />

l’InTérIeur<br />

alberto abruzzese e Luca Massidda<br />

1. tour eiffel (robert delaunay, 1909).<br />

2. Museum Wormianum (1655).<br />

3. una scena di Madame Bovary (vincente Minnelli, 1949).<br />

4. Maurizio Costanzo a Bontà loro (1976-78).<br />

5. doraemon (tsutomu shibayama, 1973).<br />

6. I simpson (1989-).<br />

7. La sigla di drive In (1983-88).<br />

8. La sigla di Love Boat (1977-87).<br />

9. Citroën ds (1955-75).<br />

L’intérieur<br />

83


CAPITOLO I Tracce<br />

100


Tracce CAPITOLO I<br />

sezione III<br />

FluSSI<br />

– L’emozione televisiva –<br />

101


forme, stili, valori, personaggi<br />

102<br />

Tracce


Tracce<br />

Il MaeSTrO<br />

giorgio simonelli<br />

Il maestro<br />

la prima immagine che mi viene alla mente, pensando al teatro<br />

televisivo, del teatro in televisione o dell’eredità che il teatro ha lasciato<br />

alla tv, è un’immagine fotografica. la fotografia si trova all’interno di<br />

un libro raro e prezioso, che le bibliografie non citano quasi mai. Fu<br />

pubblicato dalla eri nel 1964 per celebrare i primi dieci anni dell’esercizio<br />

televisivo nazionale e si intitola, infatti, Dieci anni di televisione<br />

in Italia. curato dal Servizio documentazione e studi della rai con<br />

il “coordinamento letterario e redazionale” di Geno Pampaloni, raduna<br />

alla redazione dei testi un gruppo di autori destinati a chiara e<br />

varia fama. Tra gli altri andrea camilleri, Paolo Valmarana, Federico<br />

Doglio, emilio Garroni, Brando Giordani, emanuele Milano, Francesca<br />

Sanvitale si dedicano alla ricostruzione dei percorsi seguiti nel<br />

decennio dalla produzione televisiva, corrispondenti ai diversi generi<br />

televisivi: il giornalismo, lo spettacolo leggero, la tv dei ragazzi e la<br />

“drammatica e narrativa”.<br />

I saggi introduttivi, impegnati ad approfondire e legittimare, in tempi<br />

in cui non era affatto scontato, il rilievo informativo, culturale e<br />

spettacolare del nuovo mezzo recavano le firme, ancora più pesanti, di<br />

Bonaventura Tecchi, enrico Fulchignoni, carlo Bo, riccardo Bacchelli.<br />

ecco: le pagine di Bacchelli, tutte tese a sostenere la tesi, ai<br />

tempi ardita, della continuità tra racconto di cronaca e messa in scena<br />

115


Il maestro<br />

116<br />

Tracce<br />

e a celebrare l’esperienza del teleteatro e la sua estensione nel teleromanzo<br />

(era recente il successo de Il mulino del Po), sono accompagnate<br />

da fotografie ricche di fascino e di significato. una riproduce un ambiente<br />

domestico, familiare piccolo-borghese: una cucina in cui una<br />

donna stira mentre due ragazze fanno i compiti; alle loro spalle, lungo<br />

la parete piastrellata, campeggia un televisore e con esso la sua funzione<br />

pedagogica, lo stretto legame con l’acculturazione di massa. l’altra<br />

è quella, meravigliosa, da cui sono partito. al centro c’è eduardo De<br />

Filippo. In piedi su una panchetta, abbigliato in completo chiaro, giacca<br />

e cravatta; nella mano destra ha gli occhiali, con la sinistra regge un<br />

grosso libro e una bacchetta da maestro, o meglio da cantastorie. alla<br />

sua destra, infatti, campeggia un pannello con vari quadri che illustrano<br />

una storia triste e popolare di un giovane povero arrestato dai carabinieri<br />

(con i pennacchi, come li descriveva Fabrizio de andré); ai<br />

margini due figure femminili stilizzate, due ombre, incorniciano un<br />

quadretto in cui la semplicità, la povertà degli oggetti e dell’ambiente<br />

vela la ricchezza e la complessità dei significati. Sono concentrati in<br />

quell’immagine tutti i simboli di un’esperienza e di una stagione della<br />

teatralità televisiva. non è tanto o soltanto la presenza di un autoreattore<br />

che ne fu grande protagonista a renderla tanto simbolica. certo,<br />

eduardo è eduardo: lui che (come racconta una particolareggiata<br />

aneddotica ormai sconfinata nella leggenda) voleva tenere il suo teatro<br />

lontano dalle telecamere, lui che all’improvvido funzionario rai che lo<br />

cercò presentandosi al telefono come “la televisione” rispose “sì, le passo<br />

il frigorifero”, lui che dopo questi difficili approcci fece del suo teatro<br />

un monumento televisivo, che fece di una rappresentazione di forte<br />

ispirazione locale, dialettale, regionale un appuntamento atteso e partecipato<br />

“dall’alpi a Sicilia”, lui che ancor oggi a quindici anni dalla<br />

sua morte ogni volta che va in edicola con un Dvd del suo teatro vende<br />

come pochi altri. eppure non è lui, o meglio non è l’eduardo attore,<br />

protagonista di tante serate di teatro televisivo – in diretta, in rvm, in<br />

Vhs, in Dvd – che dà il senso di quell’immagine. Sono gli oggetti che<br />

gli stanno intorno: la bacchetta, gli occhiali, il libro, la panca, il pannello<br />

con le illustrazioni. l’ho già detto: eduardo è eduardo. È il volto,<br />

il corpo, la voce di un grande attore di teatro che va in televisione; è la<br />

scrittura di un regista che va in televisione, è il mondo di un autore<br />

teatrale che diventa televisione, è un pezzo di teatro, di storia del teatro<br />

che diventa televisione. e la cosa vale per lui come per tanti altri.<br />

Quante di queste presenze abbiamo visto per un quarto di secolo, tra il<br />

1955 e il 1980, quanti e quali volti, corpi, voci e scritture teatrali sono<br />

diventati volti, corpi, voci e scritture televisive. Insieme con eduardo:<br />

Gassman e albertazzi, randone e Foà, Moriconi e cortese, Squarzina


Tracce<br />

Il maestro<br />

e Strehler, Fo e Bene. Ma queste presenze carismatiche, divistiche, le<br />

loro scritture sublimi non sono il cuore della teatralità televisiva, del<br />

lascito che la tv ha trovato nel teatro. Il cuore è nella bacchetta e nel<br />

pannello della fotografia di eduardo e in ciò che rappresentano. ciò<br />

che il teatro ha lasciato alla nascente tv non è solo un repertorio, un<br />

immenso repertorio, le 2.275 opere messe in scena e in onda tra il 1954<br />

e il 1986 da un gruppo di registi e di attori che vissero l’esperienza del<br />

nuovo mezzo come una continuazione della loro attività in teatro, il<br />

teleschermo come un’estensione del palcoscenico. la natura teatrale<br />

della televisione è nel progetto, nel fine a cui le 2.275 opere, i loro autori<br />

e attori mirano. Quello che in profondità passa in televisione del<br />

teatro, l’imprinting che il teatro lascia sulla tv statu nascenti è racchiuso<br />

in due parole che non si possono più pronunciare ma che, a mio rischio<br />

e pericolo (già mi fischiano le orecchie), non posso fare a meno di rispolverare.<br />

la prima parola è “pedagogico”. Quell’essere un grande apparato<br />

educativo, una fucina di storie, di personaggi, di azioni, capace<br />

di suscitare problemi, di dare indirizzi, di proporre modelli, quel modo<br />

di considerarsi e di proporsi che si definisce appunto pedagogico e che<br />

aveva caratterizzato il teatro in varie epoche e culture, era la ragione e<br />

la natura della televisione. Senza remore, senza timori reverenziali, senza<br />

paura di fare la parte della maestrina, con gli occhiali, il libro e la<br />

bacchetta tranquillamente esibiti da eduardo. una pedagogia che non<br />

solo utilizzava in gran quantità il repertorio teatrale per trovare le storie<br />

da raccontare, i personaggi e gli interpreti e si affidava ai “teatranti” per<br />

raccontarle, per riscriverle in forme televisive, ma che estendeva il modello<br />

di rappresentazione del teatro a testi di altra origine e a messaggi<br />

di altra natura: alla fiction con la teatralizzazione della narrativa, alla<br />

divulgazione della storia e alla pubblicità con quel grandioso teatrino<br />

di Carosello. l’altra parola, forse ancor più impronunciabile – ma senza<br />

la quale anche “pedagogico” non ha senso –, è “popolare”. la televisione<br />

è un teatro popolare e anche qui la fotografia di eduardo, con il richiamo<br />

al cantastorie, lo dice chiaramente. Ma popolare non significa<br />

più nulla; se riferito alla televisione poi, peggio che andar di notte, con<br />

tutte le confusioni che hanno portato la definizione “nazional-popolare”<br />

dalla versione gramsciana a quella baudiana. Però la fotografia è<br />

così chiara ed eloquente che supera tutte le ambiguità dell’aggettivo,<br />

tutte le questioni che lo hanno svuotato di significato. Guardando<br />

quell’immagine sembra di capire al volo perché, come e in che senso lì,<br />

con eduardo ma non solo, con albertazzi e Gassman, con quelli che<br />

abbiamo citato e i tanti che non abbiamo citato, la tv era un grande<br />

teatro popolare. lo era quando metteva in scena storie semplici o un<br />

po’ troppo semplificate (come dicevano i critici dello sceneggiato), ma<br />

117


Il maestro<br />

118<br />

Tracce<br />

lo era anche quando rappresentava testi di una certa complessità, opere<br />

di autori che all’epoca non comparivano ancora nei programmi dei licei<br />

e forse neppure di tutte le università. c’è una storiella raccontata da<br />

andrea camilleri in uno dei suoi libri meno noti, una raccolta di modi<br />

di dire del suo “ paese di terra e di mare” con breve spiegazione della<br />

loro origine. Il volumetto si intitola Il gioco della mosca e propone tra le<br />

altre, ordinate alfabeticamente, la voce Sunnu cose di Pirinnellu. “Sono<br />

cose di Pirandello”: così nell’agrigentino, patria di Pirandello e di camilleri,<br />

già dagli anni Trenta i contadini e i pescatori commentavano<br />

le “situazioni familiari intricate, di persone date per morte e improvvisamente<br />

riapparse o di persone credute vive che invece erano morte da<br />

tempo”, facendo “stingere sull’uomo Pirandello i non facili colori dati<br />

ai suoi personaggi”. nell’estate del 1960 camilleri si trovava nella sua<br />

casa del paese d’origine, in vacanza, e una sera mentre guardava la tv<br />

che trasmetteva l’Enrico IV di Pirandello si presentò un vecchio contadino<br />

chiedendogli il favore di stilare una lunga e complessa petizione.<br />

Mentre camilleri scriveva il testo, il contadino si sedette davanti alla<br />

tv, facendosi “sempre più attento, chino in avanti, le braccia appoggiate<br />

alle gambe”. la compilazione dell’atto terminò quando anche la trasmissione<br />

era terminata e lo scrittore, consegnando all’ospite il lavoro,<br />

gli chiese se aveva gradito lo spettacolo a cui aveva casualmente assistito.<br />

“Bah! – rispose il contadino con una smorfia – c’è uno che dice di<br />

essere imperatore ma non lo è per davvero. Però lo diventa sul serio<br />

quando gli fa comodo per scansarsi da un omicidio. e gli altri ora ci<br />

credono, ora no. Mi parinu cose di Pirinnellu”. ecco in questo formidabile<br />

raccontino, reso ancor più gustoso dal particolare, nascosto nel<br />

testo, che camilleri era sceneggiatore e regista della prosa televisiva, e<br />

anche di alcune messe in scena di Pirandello, in questa storiella di una<br />

pagina c’è la conferma e l’illustrazione più chiara e convincente di quel<br />

fenomeno che abbiamo chiamato la pedagogia popolare teatral-televisiva.<br />

una teatralità diffusa, organica – come si sarebbe detto un tempo<br />

–, liquida – come si direbbe oggi –, che porta uno dei lavori più ostici<br />

e complessi di Pirandello in una prima serata estiva (forse una replica?)<br />

e cattura l’attenzione – si sa non c’erano il telecomando e gli altri canali,<br />

ma la possibilità di uscire, sì – di un contadino analfabeta che non<br />

solo legge a modo suo il testo, ma lo inserisce all’interno di una visione<br />

del mondo codificata in un modo di dire del suo paese. una diffusione<br />

della teatralità trasversale ai palinsesti e al territorio, una divulgazione<br />

del nuovo, dell’avanguardia – tale era Pirandello nel 1960 –, che si inserisce<br />

naturalmente nelle categorie della tradizione popolare locale.


Tracce<br />

Il MaeSTrO<br />

giorgio simonelli<br />

1. Il “maestro” eduardo de Filippo con bacchetta e lavagna.<br />

2. amleto con Carmelo Bene (1977).<br />

3. vittorio gassman ne Il mattatore (1959).<br />

4. L’idiota con giorgio albertazzi (1959).<br />

5. Fotogramma dallo sceneggiato Il conte di Montecristo (1966).<br />

6. arlecchino servo di due padroni di giorgio strehler (1951).<br />

7. giorgio gaber con gianni Morandi nel programma Questo e quello (1964).<br />

Il maestro<br />

119


CAPITOLO I Tracce<br />

150


Tracce CAPITOLO I<br />

appendici<br />

151


CAPITOLO I Tracce<br />

152


Tracce<br />

nOTa Del curaTOre<br />

Nota del curatore<br />

vi sono libri che – nel momento in cui si progettano e si realizzano<br />

– sembrano svelare il senso del proprio cammino. Giunto alla<br />

curatela del mio terzo atlante (il primo è stato il Dizionario della pubblicità.<br />

Storia, tecniche e personaggi – Zanichelli, 1994 – curato con<br />

alberto abruzzese; il secondo l’Atlante della comunicazione, realizzato<br />

per Hoepli nel 2005), mi è appunto capitato di ritrovare un vecchio<br />

compagno di strada, aby Warburg, con le sue ossessioni per la raccolta<br />

iconografica e la storia dell’arte e della cultura.<br />

Vecchio compagno di strada dicevo, e a buona ragione, visto che lo<br />

incontrai per la prima volta durante la stesura del mio primo libro, Gli<br />

archivi imperfetti (Vita e pensiero, Milano 1986), studiando i lavori di<br />

Frances amelia Yates, allora personaggio di spicco del Warburg Institute<br />

londinese (The Art of Memory, 1966, tr. it. L’arte della memoria,<br />

einaudi, Torino 1972). le questioni poste dallo studioso tedesco non<br />

sono mai uscite, da allora, dal mio campo di interesse, anche se con<br />

fasi alterne.<br />

la ricostruzione delle vicende del Warburg Institute operata da carlo<br />

Ginzburg si è accompagnata alla lettura e rilettura del suo famoso<br />

saggio “Spie. radici di un paradigma indiziario” (ora in c. Ginzburg,<br />

Miti, emblemi, spie, einaudi, Torino 1992), che mi fu di grande utilità<br />

per la stesura di un lavoro pubblicato ne Il prodotto culturale. Teorie,<br />

153


CAPITOLO I Tracce<br />

162


Tracce<br />

L’esplorazione del noto<br />

l’eSPlOraZIOne Del nOTO<br />

Marco Cendron<br />

portando lo sguardo a una distanza ridotta dal soggetto e<br />

combinandolo con un uso sfacciato del flash, Jacopo Benassi crea immagini<br />

sfrontate, nelle quali l’osservatore condivide non solo il punto<br />

di vista dell’obiettivo, ma anche lo spazio occupato dalla lampada che<br />

illumina il soggetto e che determina, con la sua presenza, la visione<br />

stessa. Queste fotografie ci rendono consapevoli dello sguardo come<br />

esperienza fisica. nell’atto di fotografare, Benassi sembra non preoccuparsi<br />

del soggetto e di ciò che esso rappresenta, anche quando<br />

si tratta dell’arte, della cultura. nelle sue immagini non si trovano<br />

né arroganza né reverenza, piuttosto lo sguardo di un fotografo che<br />

sembra osservare tutto come fosse la prima volta, come venisse da un<br />

luogo altro. concentrandosi su dettagli inattesi, ci restituisce soggetti<br />

incredibilmente vivi, immagini che trovano profondità lì dove non<br />

avremmo mai guardato, per pudore o per noia. un punto di vista che<br />

crea un soggetto nuovo. Il semplice rapporto triangolare tra fotografo,<br />

osservato e osservatore, vive così un’incredibile combinazione tra leggerezza<br />

dello sguardo e violenza della luce.<br />

163


Colofono<br />

164<br />

Tracce<br />

atlante warburghiano<br />

della televisione<br />

a cura di Fausto Colombo<br />

con fotografie di Jacopo Benassi<br />

Proprietà letteraria riservata · © 2010 rTI<br />

ISBn 9788895596075<br />

direttore editoriale<br />

Marco Paolini<br />

direttore<br />

Laura Casarotto<br />

editor<br />

Fabio Guarnaccia<br />

coordinamento redazionale<br />

Luca Barra<br />

Tracce<br />

si ringrazia per la collaborazione:<br />

Fondazione cardinale Federico Borromeo, Biblioteca ambrosiana, De agostini editore, Giorgio ricchebuono,<br />

don Francesco Braschi, antonio Scuderi, Francesco Tempesta, alessia assasselli, Gabriella Mainardi.<br />

e-mail link2link@mediaset.it<br />

sito www.link.mediaset.it<br />

blog www.linkmagazine.blogspot.com<br />

link · rti<br />

Viale europa, 48<br />

20093 cologno Monzese (MI)<br />

art director<br />

Marco Cendron<br />

progetto grafico<br />

<strong>Pomo</strong><br />

impaginazione<br />

Alessandro I. Cavallini<br />

illustrazioni<br />

Scarful<br />

l’editore si dichiara disponibile a colmare eventuali omissioni relative a testi e illustrazioni<br />

degli aventi diritto che non sia stato possibile contattare.<br />

finito di stampare da tipografia negri · bologna · nel mese di marzo 2010


icostruire le tracce di una storia culturale della<br />

televisione, e di quanto questa storia ci lascia in eredità. affrontare<br />

per immagini, percorsi e mappe i temi più interessanti<br />

comparsi sul piccolo schermo. Seguire gli snodi del medium nel<br />

tempo, le sue costanti e le sue evoluzioni. Questi sono gli intenti<br />

di Tracce, un atlante che cerca di rendere espliciti i legami della<br />

tv con la tecnologia, l’arredamento, le arti grafiche, la letteratura,<br />

il teatro e gli altri media, così come con le relazioni sociali,<br />

gli spazi, i rituali. Il volume fa proprio – e adatta alla storia<br />

della televisione – il modello pensato (per la storia dell’arte) da<br />

aby Warburg, che nel 1929 presentò a roma il progetto di un<br />

atlante illustrato sulle antiche divinità nella cultura europea,<br />

da sviluppare con la raccolta e la giustapposizione di materiale<br />

iconografico anche molto eterogeneo. e stabilisce così legami e<br />

corrispondenze tra immagini, fotografie, testi, programmi. a<br />

corredo del lavoro, un servizio fotografico originale porta in<br />

primo piano luci e ombre della Biblioteca ambrosiana di Milano.<br />

Tracce è insieme una provocazione intellettuale e un oggetto<br />

di design, da consultare e collezionare. un nuovo tassello nella<br />

storia della tv.<br />

Contributi di:<br />

Alberto Abruzzese, Piermarco Aroldi, Giuseppina Baldissone,<br />

Andrea Bellavita, Fausto Colombo, Manolo Farci,<br />

Luca Massidda, Giorgio Simonelli, Matteo Stefanelli.<br />

€ 25,00<br />

ISBN 88-95-59607-5

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