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XAVIER GONZÁLEZ D'ÈGARA - Xavier Gonzalez Arnau

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Cahiers d’Art International TRENTADUE PAGINA 4<br />

Lo stupore negli occhi dell’uomo<br />

Matilde Flori<br />

Socrate: Si addice particolarmente al filosofo questa<br />

tua sensazione: il meravigliarti. Non vi è altro inizio<br />

della filosofia se non questo [1]<br />

Nelle sue opere il nostro artista crea, ispirato<br />

dalla Genesi, rivivendo lo sguardo primordiale<br />

sull’oggettività pura della creazione dell’universo.<br />

All’inizio dell’uomo c’è sempre lo stupore: gli occhi<br />

del bambino si posano meravigliati qua e là, in loro<br />

riluce la sete di esperire il mondo, una sete innocente,<br />

incontaminata come il primo sorriso di Adamo.<br />

In questo <strong>Xavier</strong> González d’Ègara è filosofo. Lo è<br />

perché la meraviglia è un sentimento intellettuale,<br />

una “commozione viva dello spirito e del cuore, anzi<br />

una scossa religiosa” (R. Guardini): il thaumàzein, il<br />

meravigliarsi è il moto dell’anima che inaugura la<br />

filosofia, secondo Platone. Ogni domanda di senso,<br />

ogni ardito spingersi nell’ignoto, riconosce la sua<br />

sede eletta qui, nel thaumàzein, nello stupore che<br />

porta in sé un alito d’infinito. Ed è qui che convergono<br />

la Genesi e lo spirito dei Greci, ai quali non poteva<br />

sfuggire la religiosità dell’interrogarsi.<br />

Al contempo la tradizione giudaico-cristiana e quella<br />

greca divergono proprio in questo: il thàuma greco<br />

è una meraviglia piena di angoscioso sgomento: è<br />

consapevole di sé e della propria portata distruttiva,<br />

raggiunge l’autocoscienza. Il thàuma è uno stupore<br />

maturo, adulto, acuto, che ravvisa distintamente le<br />

perniciose conseguenze della ignoranza, ma scorge<br />

anche i pericoli nichilistici della conoscenza; è uno<br />

stupore denso d’angustia, che vuole al più presto<br />

liberarsi di se medesimo perché avrà in tal modo<br />

attinto alla Sapienza. È un filo teso sopra l’abisso<br />

ai cui estremi stanno Conoscenza e Ignoranza: sotto<br />

di essi troneggia minaccioso il Nulla, eterno spettro<br />

della grecità; agli Elleni era sconosciuto il Dio delle<br />

Scritture.<br />

La meraviglia veterotestamentaria prima del Peccato<br />

è invece la Primavera di Vivaldi, è una voce bianca di<br />

cherubino, pura innocenza, pura fede, pura bellezza.<br />

Lo stupore biblico dipinge la gioia dell’ignoranza,<br />

accarezza la spensieratezza del bambino, si fa ode<br />

all’ingenuità. Lo sguardo del primo uomo cade diretto<br />

sulla creazione, è non-mediato, fresco, spontaneo.<br />

Ma anche l’integrità di questa visione è ben presto<br />

infangata dal Peccato: se da un lato ci fu un uomo<br />

che ebbe il dono di guardare il mondo con gli occhi<br />

di un cieco che d’improvviso riacquista il vedere,<br />

tormentoso sogno di ogni grande artista (basti pensare<br />

a Monet), dall’altro per sua libera decisione si scrolla<br />

di dosso la condizione edenica ed accede ad uno<br />

sguardo corrotto, mediato come quello dell’adulto<br />

che pur rimane intriso di stupore, ma sarà adesso uno<br />

stupore di nuovo timbro.<br />

Uniti dalla comune sensazione di essere immersi<br />

in un grandioso progetto divino, greci e giudei si<br />

ritrovano fianco a fianco ad ammirare la bellezza e la<br />

bontà del cosmo, in cui tutto è ordine, in cui ad ogni<br />

ente è assegnato il proprio posto nella perfezione.<br />

La coscienza profonda che tutto sia bene, poiché<br />

pensato e voluto da un intelletto superiore, genera<br />

il sentimento dell’Altezza e della destinazione etica<br />

dell’uomo. Ancora una volta, che lo si chiami Dio<br />

oppure Taumaturgo (creatore di opere degne di<br />

meraviglia), quella che viene alla luce è la dimensione<br />

religiosa del comprendere antico.<br />

Trasporre in colori e forme l’ambiguità del pensiero<br />

occidentale; diventare Adamo e peccare, appropriarsi<br />

del suo puerile contemplare l’Essere, e arricchirlo<br />

di occhi greci, limpidi, fendenti ma pregni di cupa<br />

angoscia; stemperare nella dualità i dualismi<br />

infanzia/età adulta, innocenza/colpa, ignoranzameraviglia-sgomento/conoscenza;<br />

sfumare nella<br />

labilità i confini del concetto: tutto ciò è compito<br />

dell’arte. Alla filosofia non resta che cederle il passo,<br />

fare professione di umiltà di fronte a ciò che le parole<br />

non hanno forza per dire, né l’intelletto di penetrare.<br />

[1] Platone, Teeteto, 155d

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