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DA BRUNO AD EINSTEIN enrico giannetto enrico.giannetto@unibg ...

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Qui, Bruno argomentò anche sulla relatività della gravità, dando per la prima volta una sorta di<br />

“principio” di relatività generale dinamica.<br />

Galilei, nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), ripeté alcune<br />

argomentazioni di Bruno (Bruno considerò per confronto anche il moto di qualcosa al di fuori del<br />

sistema, ma Galilei non trattò questo caso), ma non lo citò mai a causa dell’inquisizione. Così, si<br />

deve parlare di un “principio di relatività del moto” di Bruno e non di Galilei. E, in maniera<br />

abbastanza rilevante, questo non ha alcuna relazione con il cosiddetto “principio d’inerzia”, che<br />

l’atomismo dinamico di Bruno non ammetteva: è solo il moto che può continuare, mentre la quiete<br />

nel vuoto è instabile; inoltre, per la cosiddetta coincidentia oppositorum, la quiete si identifica con<br />

il moto a infinita velocità (De infinito, universo et mondi, 1584).<br />

La relatività del tempo segue anche dall’infinità dell’universo, ma in qualche modo ne è<br />

anche indipendente. Questa conseguenza fu discussa da Bruno nel suo Camoeracensis Acrotismus<br />

(1588, art. XXXVIII), e nel suo De innumerabilibus, immenso et infigurabili; seu de universo et<br />

mundis libri octo (1591, Liber VII, cap. VII). Bisogna ricordare la definizione aristotelica del<br />

tempo, che fu assunta anche dalla filosofia naturale medioevale: il tempo era fisicamente e<br />

cosmicamente dato (e definito) dal moto della cosiddetta ottava sfera, la sfera delle stelle fisse,<br />

perché questo era perfettamente uniforme, continuo e semplice, perpetuo, come richiesto dalla<br />

possibilità di misurare e commensurare gli intervalli di tempo (a spazi uguali percorsi<br />

corrispondendo intervalli temporali uguali). Tuttavia, se l’universo è infinito non c’è nessuna sfera,<br />

neanche l’ottava e non esiste alcun moto continuo e perfettamente uniforme, privilegiato per una<br />

definizione del tempo. Non ci sono stelle fisse, che ci appaiono tali solo perché per la loro distanza<br />

non ne possiamo apprezzare i moti che sono diversi fra loro. Ci sono infinite stelle e infiniti moti<br />

nell’universo e ogni moto può essere usato per la definizione del tempo; e dalla relatività dei moti<br />

è implicata la relatività dei tempi: così, moti differenti definiscono differenti, non-omogenei, tempi<br />

“propri”, e così il moto modifica le misure degli intervalli temporali, che dipendono appunto dal<br />

moto.<br />

Così, la relatività dello spazio è già implicita nella sua infinità in cui non vi è alcun centro,<br />

e nella relatività del moto, ma in Bruno è presente anche la relatività delle lunghezze e delle<br />

distanze spaziali. Egli la argomentò nel Camoeracensis Acrotismus (1588, art. XXVII, XXXII,<br />

XXXIV, XXXV e XXXVII), nel De innumerabilibus, immenso et infigurabili; seu de universo et<br />

mundis libri octo, (1591, Liber IV, cap. VI), e, in maniera più profonda, nel De triplici minimo et<br />

mensura ad trium speculativarum scientiarum et mulatarum activarum artium principia libri V<br />

(1591, Liber II, cap. V). Qui, bruno dedusse la relatività delle distanze e delle lunghezze spaziali<br />

partendo da una critica epistemologica radicale della misurabilità e delle misure: il moto influenza<br />

le misure e implica dei limiti sulla possibilità di effettuare delle misure esatte e assolute. Da questo<br />

punto di vista, misure spaziali in differenti condizioni di moto implicano differenti distanze e<br />

lunghezze spaziali.<br />

Come ben noto, Galilei seguì Bruno solo per l’idea di una relatività del moto, limitata al<br />

caso di moti uniformi e considerò una relatività “cinematica” e non “dinamica” (la gravità per<br />

Galilei era assoluta). Soltanto Leibnitz seguì l’idea di Bruno di una relatività generale dinamica del<br />

moto, del tempo e dello spazio, dandole anche una prima forma matematica. Quest’idea ha avuto<br />

una storia complessa e discontinua – che non può essere qui riassunta – all’interno di differenti<br />

concezioni della Natura e del moto, dello spazio e del tempo: alla fine, fu riconsiderata (all’interno<br />

di una concezione elettrodinamica della Natura) da Henri Poincaré, 5 influenzato da Leibnitz; e<br />

poi, attraverso l’influenza dello stesso Poincaré e di Ernst Mach, a sua volta (all’interno di una<br />

concezione della Natura con residui “meccanicisti”) da Albert Einstein, che, al tempo della<br />

formulazione delle teorie della relatività speciale e generale, non era consapevole di questa lunga<br />

storia.<br />

5 E. Giannetto, Henri Poincaré and the rise of special relativity, in Hadronic Journal Supplement 10 (1995), 365-433.

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