DA BRUNO AD EINSTEIN enrico giannetto enrico.giannetto@unibg ...

DA BRUNO AD EINSTEIN enrico giannetto enrico.giannetto@unibg ... DA BRUNO AD EINSTEIN enrico giannetto enrico.giannetto@unibg ...

dmf.unicatt.it
from dmf.unicatt.it More from this publisher
03.06.2013 Views

Ciò non è stato ancora riconosciuto essenzialmente per due ragioni: i) le sue idee teologiche ‘eretiche’ (rispetto a quelle ufficiali della Chiesa Cattolica Romana) furono punite con l’atto criminale del rogo e le sue opere subirono gli effetti della cosiddetta damnatio memoriae e quindi ad essere distrutte, non lette, non citate e dimenticate (alcuni dei suoi scritti non sono ancora stati tradotti dal latino in una lingua moderna); ii) la sua concezione della Natura non era meccanicistica, ma organicistica, e così, per la storiografia dominante che identifica la scienza con la prospettiva meccanicistica, Bruno non è considerato uno scienziato. Bruno fu il primo ad accogliere entusiasticamente il sistema del mondo di Copernico, ma andò anche oltre Copernico: egli per primo eliminò tutte le sfere solide (anche l’ottava delle stelle fisse) nelle quali si consideravano incastonati i corpi celesti. Egli diede una base fisica al nuovo sistema astronomico: forgiò un’alternativa alla fisica di Aristotele creando una sintesi della teoria medioevale dell’impetus e dell’antico atomismo dinamico, per cui gli atomi non sono puramente materiali e inerti, ma pieni di potenza e di forma come nella visione originale di Democrito; tuttavia, al contrario, il vuoto non era affatto vuoto ma pieno di etere. L’atomismo e la sua teologia cristiana condussero Bruno alla concezione di un universo infinito, costituito da infinti mondi. Sin dal medioevo la teologia cristiana, unita alla filosofia naturale, produsse una forma di ragionamento secundum imaginationem, che comportò una progressiva decostruzione della fisica e della cosmologia di Aristotele: era il cosiddetto argomento de potentia Dei absoluta (sulla potenza assoluta di Dio, ovvero considerata in maniera indipendente da ciò che realmente ha compiuto). L’immaginazione scientifica era strettamente legata alla teologia. 3 E sin dal 1277, anno in cui il vescovo di Parigi, Étienne Tempier, condannò molti punti della fisica aristotelica, si cercò, con vari tentativi, di costruire una filosofia naturale cristiana. Rivoluzionando anche questa teologia, Bruno introdusse l’idea che la potenza di Dio è infinita, che non si possa distinguere fra una potenza di Dio infinita e una de facto, e che quindi anche la creazione doveva comportare un universo infinito, costituito da infiniti mondi, da infiniti atomi pieni di potenza e da infinite stelle potenti come il Sole, generatrici di calore e di vita. 4 Questa prospettiva teologica era in opposizione anche e soprattutto alla visuale calvinista, alle radici della concezione meccanicistica della Natura considerata come inerte e passiva, che comportava l’eliminazione di ogni potenza interna alla creazione e alle creature in quanto la loro stessa esistenza avrebbe limitato l’onnipotenza di Dio. Tuttavia, almeno in un certo rispetto, la teologia della Riforma fu fondamentale per Bruno: la potenziale libera interpretazione della Bibbia. Solo il riferimento alla Bibbia aveva bloccato Giovanni Buridano, Nicola Oresme e Niccolò Cusano dall’affermare il moto della Terra. Bruno arguì che la Bibbia dà solo indicazioni etiche e in nessun modo certezze scientifiche sulla Natura. La frase contenuta nel libro di Giosuè dell’Antico Testamento, “Fermati, o Sole!”, non fornisce un assenso scientifico al sistema del mondo tolemaico geocentrico, ma solo un’indicazione della potenza della fede nella potenza di Dio per cui può mutare il corso degli eventi naturali, comunque sia concepito dalla cultura di una certa epoca. Di più, la rivelazione del Nuovo Testamento era quella di una Nuova Terra e di un Nuovo Cielo, e Bruno si considerò colui che aveva compreso il contenuto nascosto, fisico e cosmologico, di questa rivelazione: la Nuova Terra e il Nuovo Cielo costituiscono un universo infinito. Le idee di Bruno furono la base dei famosi versi di Shakespeare in Hamlet (Amleto), II, 2: "Doubt Thou the stars are fire./ Doubt that the sun doth move./ Doubt truth to be a liar./ But never doubt I 3 Si vedano, per esempio: D. C. Lindberg & R. L. Numbers (a cura di), God and Nature. Historical Essays on the Encounter between Christianity and Science, University of California Press, Berkeley 1986, tr. it. parziale a cura di P. Lombardi, La Nuova Italia, Firenze 1994; A. Funkenstein, Theology and the Scientific Imagination - from the middle ages to the seventeenth century, Princeton University Press, Princeton 1986. 4 M. A. Granada, Palingenio, Patrizi, Bruno, Mersenne: el enfrentamiento entre el principio de plenitud y la distinciòn potentia absoluta/ordinata Dei a proposito de la necesidad e infinitud del universo, in Potentia Dei – L'onnipotenza divina nel pensiero dei secoli XVI e XVII, a cura di G. Canziani, M. A. Granada e Y. C. Zarka, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 105-134, specialmente pp. 116-124 e riferimenti ivi citati.

love" (“Dubita Tu che le stelle siano fuoco/ Dubita che il Sole si muova/ Dubita che la verità sia una bugiarda./ Ma non dubitare mai che io amo”). Il dubbio sulla sostanza delle stelle e sul moto del sole, il dubbio sull’Antico Testamento come verità scientifica sulla Natura, non devono mai intaccare la fede nell’amore, unica certezza e fonte di certezza per la vita umana. E la necessità stessa di un universo infinito è una conseguenza di questo stesso amore, come pure scrisse Shakespeare, in Anthony and Cleopatra (Antonio e Cleopatra), I, 1, 14-17: “Cleo. If it be love indeed, tell me how much./ Ant. There’s beggary in the love that can be reckon’d./ Cleo. I’ll set a bourn how far to be belov’d./ Ant. Then must thou needs find out new heaven, new earth” (“Cleo. Se è invero amore, dimmi quanto è grande. Ant. C’è miseria nell’amore che si può misurare. Cleo. Traccerò un confine così lontano fin dove si dovrà inoltrare per me l’amore. Ant. Allora, tu, assolutamente devi scoprire un Nuovo cielo, una Nuova Terra”). Ancora, la relatività del tempo di Bruno, discussa oltre, è riflessa in Shakespeare, Romeo and Juliet (Romeo e Giulietta), III, V: “Juliet Art thou gone so? Love, lord, ay husband, friend,/ I must hear from thee every day in the hour/ For in a minute there are many days./ O, by this count I shall be much in years/ Ere I again behold my Romeo” (“Giulietta: Sei andato via così? Amore, signore, già sposo, amico,/ Devo sentirti ogni giorno nell’ora/ Perché in un minuto ci sono molti giorni./ Oh, per questo conto sarò molto avanti negli anni/ Prima che io veda di nuovo il mio Romeo”). E la relatività delle grandezze spaziali è in Shakespeare, Hamlet (Amleto), Act II, Scene II: "Hamlet: O God, I could be bounded in a nutshell, and count myself a king of infinite space...("Amleto: Oh Dio, potrei essere confinato in un guscio di noce, e misurare me stesso un re dello spazio infinito"). Certamente, nell’affermazione di Bruno di un universo infinito non vi erano solo ragioni teologiche o del misticismo etico dell’amore, ma anche ragioni scientifiche: le ragioni scientifiche della fisica e della cosmologia atomiste, della teoria dell’impetus, delle nuove osservazioni astronomiche delle comete di Tycho Brahe, delle considerazioni critiche, avanzate dallo stesso Bruno, sull’apparente fissità delle stelle, dovuta alla distanza da noi, e sulle astrazioni matematiche che mai possono corrispondere alle misure fisiche e alla realtà fisica. Anche nella fisica di Aristotele era stato il modello cosmologico matematico delle sfere a restare dominante, ed esso fu distrutto da Bruno dando il via a una relazione non gerarchica fra matematica e fisica (la fisica non doveva più essere sottomessa a una matematica astratta e assunta a priori). In questo modo, Bruno infranse le sfere e i cerchi del moto dei corpi celesti: i moti dei corpi celesti sono moti completamente liberi nello spazio infinito etereo vuoto (di materia), effettuati per l’impetus che ogni corpo ha. Non c’è più un luogo naturale correlato a ogni corpo, ma per ogni corpo vi è l’intero spazio infinito. Ogni corpo ha una costituzione dinamica ed è in moto nello spazio infinito dove non vi è alcun corpo in quiete come anche alcun centro matematico o fisico. L’assenza di un qualsiasi corpo in quiete implica l’impossibilità di effettuare una misura assoluta del moto e conseguentemente la necessaria relatività di tutti i moti. Nella prospettiva di Bruno, la relatività del moto non costituiva un argomento contro la realtà del moto come per Parmenide, ma, come per Eraclito, moto e cambiamento sono le caratteristiche fondamentali della realtà fisica. Invero, per la prima volta fu nell’opera, intitolata La cena de le ceneri (III° dialogo, 1584), scritta in Inghilterra e pubblicata a Londra durante un viaggio e un soggiorno in fuga dall’inquisizione cattolica, che Bruno argomentò sulla relatività del moto per dare una prova del sistema del mondo di Copernico attraverso la discussione di un complesso esperimento pensato, quello della nave, già usato in una forma più semplice da Buridano, Oresme e Niccolò Cusano, e poi ancora semplificato da Galilei. La relatività del moto considerata da Bruno era basata sull’idea della partecipazione di tutte le cose, appartenenti a un sistema, al moto del sistema, in una maniera tale che qualsiasi moto traslatorio (uniforme o non-uniforme, rettilineo o circolare o comunque curvilineo) senza rotazioni non modifica i fenomeni. Così, non si può comprendere che la Terra abbia un moto traslatorio di rivoluzione intorno al Sole, perché questo moto della Terra non altera i fenomeni del moto dei corpi appartenenti al sistema della Terra. Comunque, le rotazioni procurano una differenza, ma sono intrinsecamente moti relativi fra le differenti parti del corpo.

love" (“Dubita Tu che le stelle siano fuoco/ Dubita che il Sole si muova/ Dubita che la verità sia una<br />

bugiarda./ Ma non dubitare mai che io amo”). Il dubbio sulla sostanza delle stelle e sul moto del<br />

sole, il dubbio sull’Antico Testamento come verità scientifica sulla Natura, non devono mai<br />

intaccare la fede nell’amore, unica certezza e fonte di certezza per la vita umana. E la necessità<br />

stessa di un universo infinito è una conseguenza di questo stesso amore, come pure scrisse<br />

Shakespeare, in Anthony and Cleopatra (Antonio e Cleopatra), I, 1, 14-17: “Cleo. If it be love<br />

indeed, tell me how much./ Ant. There’s beggary in the love that can be reckon’d./ Cleo. I’ll set a<br />

bourn how far to be belov’d./ Ant. Then must thou needs find out new heaven, new earth” (“Cleo.<br />

Se è invero amore, dimmi quanto è grande. Ant. C’è miseria nell’amore che si può misurare. Cleo.<br />

Traccerò un confine così lontano fin dove si dovrà inoltrare per me l’amore. Ant. Allora, tu,<br />

assolutamente devi scoprire un Nuovo cielo, una Nuova Terra”). Ancora, la relatività del tempo di<br />

Bruno, discussa oltre, è riflessa in Shakespeare, Romeo and Juliet (Romeo e Giulietta), III, V:<br />

“Juliet Art thou gone so? Love, lord, ay husband, friend,/ I must hear from thee every day in the<br />

hour/ For in a minute there are many days./ O, by this count I shall be much in years/ Ere I again<br />

behold my Romeo” (“Giulietta: Sei andato via così? Amore, signore, già sposo, amico,/ Devo<br />

sentirti ogni giorno nell’ora/ Perché in un minuto ci sono molti giorni./ Oh, per questo conto sarò<br />

molto avanti negli anni/ Prima che io veda di nuovo il mio Romeo”). E la relatività delle grandezze<br />

spaziali è in Shakespeare, Hamlet (Amleto), Act II, Scene II: "Hamlet: O God, I could be bounded<br />

in a nutshell, and count myself a king of infinite space...("Amleto: Oh Dio, potrei essere confinato<br />

in un guscio di noce, e misurare me stesso un re dello spazio infinito").<br />

Certamente, nell’affermazione di Bruno di un universo infinito non vi erano solo ragioni<br />

teologiche o del misticismo etico dell’amore, ma anche ragioni scientifiche: le ragioni scientifiche<br />

della fisica e della cosmologia atomiste, della teoria dell’impetus, delle nuove osservazioni<br />

astronomiche delle comete di Tycho Brahe, delle considerazioni critiche, avanzate dallo stesso<br />

Bruno, sull’apparente fissità delle stelle, dovuta alla distanza da noi, e sulle astrazioni matematiche<br />

che mai possono corrispondere alle misure fisiche e alla realtà fisica.<br />

Anche nella fisica di Aristotele era stato il modello cosmologico matematico delle sfere a<br />

restare dominante, ed esso fu distrutto da Bruno dando il via a una relazione non gerarchica fra<br />

matematica e fisica (la fisica non doveva più essere sottomessa a una matematica astratta e assunta<br />

a priori).<br />

In questo modo, Bruno infranse le sfere e i cerchi del moto dei corpi celesti: i moti dei corpi<br />

celesti sono moti completamente liberi nello spazio infinito etereo vuoto (di materia), effettuati per<br />

l’impetus che ogni corpo ha. Non c’è più un luogo naturale correlato a ogni corpo, ma per ogni<br />

corpo vi è l’intero spazio infinito. Ogni corpo ha una costituzione dinamica ed è in moto nello<br />

spazio infinito dove non vi è alcun corpo in quiete come anche alcun centro matematico o fisico.<br />

L’assenza di un qualsiasi corpo in quiete implica l’impossibilità di effettuare una misura assoluta<br />

del moto e conseguentemente la necessaria relatività di tutti i moti. Nella prospettiva di Bruno, la<br />

relatività del moto non costituiva un argomento contro la realtà del moto come per Parmenide, ma,<br />

come per Eraclito, moto e cambiamento sono le caratteristiche fondamentali della realtà fisica.<br />

Invero, per la prima volta fu nell’opera, intitolata La cena de le ceneri (III° dialogo,<br />

1584), scritta in Inghilterra e pubblicata a Londra durante un viaggio e un soggiorno in fuga<br />

dall’inquisizione cattolica, che Bruno argomentò sulla relatività del moto per dare una prova del<br />

sistema del mondo di Copernico attraverso la discussione di un complesso esperimento pensato,<br />

quello della nave, già usato in una forma più semplice da Buridano, Oresme e Niccolò Cusano, e<br />

poi ancora semplificato da Galilei. La relatività del moto considerata da Bruno era basata sull’idea<br />

della partecipazione di tutte le cose, appartenenti a un sistema, al moto del sistema, in una maniera<br />

tale che qualsiasi moto traslatorio (uniforme o non-uniforme, rettilineo o circolare o comunque<br />

curvilineo) senza rotazioni non modifica i fenomeni. Così, non si può comprendere che la Terra<br />

abbia un moto traslatorio di rivoluzione intorno al Sole, perché questo moto della Terra non altera i<br />

fenomeni del moto dei corpi appartenenti al sistema della Terra. Comunque, le rotazioni<br />

procurano una differenza, ma sono intrinsecamente moti relativi fra le differenti parti del corpo.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!