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DA BRUNO AD EINSTEIN enrico giannetto enrico.giannetto@unibg ...

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133-138, tale possibilità, di ricondurre la misura del cerchio a quella della retta, era divenuta<br />

simbolo della stessa incarnazione di Dio che aveva unito insieme cielo e terra. Il cerchio era il<br />

simbolo primitivo e preistorico associato all' “uroboro”, ovvero al serpente che si morde la coda, al<br />

dio-Tempo, considerato perlopiù ciclico-circolare (ma anche complementarmente come rettilineo),<br />

all'unità primordiale di tutte le cose come di tutti gli opposti, del maschile e del femminile, del<br />

celeste e del terrestre, alla totalità.<br />

Nel XIII secolo, Il libro dei XXIV filosofi definiva Dio come sfera infinita e la bontà come<br />

movimento rettilineo ma all’interno di un cerchio: e questa metafora, come ci ricorda La sfera di<br />

Pascal di Jorge Luis Borges (in Altre inquisizioni), avrà ancora lunga fortuna. 42 Anche Descartes<br />

aveva inseguito il sogno della “quadratura del cerchio”, ma quasi subito lo aveva abbandonato come<br />

impresa impossibile per gli uomini e aveva avuto, invece, nel simbolo della croce, l'intuizione delle<br />

coordinate ortogonali della sua geometria analitica che avrebbero comunque permesso la<br />

rappresentazione del cerchio, attraverso la proiezione del suo raggio, in termini di rette.<br />

Descartes, che pure ammetteva che i moti reali fossero tutti necessariamente circolari o<br />

curvilinei, e dopo di lui Newton, che pure vedeva nella rotazione la sola traccia evidente<br />

dell'assolutezza del moto rispetto allo spazio assoluto di Dio, avevano infranto con il cerchio un<br />

simbolo più che millenario, primordiale. Era questa anche la conseguenza della supposta<br />

illimitatezza del mondo come materia inerte ovvero estensione spaziale indefinita che, sola, per<br />

Descartes, poteva essere specchio passivo della reale e attuale infinità di Dio.<br />

Il cristianesimo aveva spezzato l'idea della circolarità-ciclicità del tempo, ma, più che in una<br />

linearità come spesso affermato, in una reale discontinuità: l'avvento escatologico del regno di Dio.<br />

Già dal medioevo un mondo chiuso e in questo senso limitato sembrava una limitazione dell'infinita<br />

onnipotenza di Dio, e Nicola Cusano, poi seguito da Giordano Bruno, a cui Descartes si riferiva,<br />

aveva concepito il mondo come illimitato a immagine di Dio e all'infinito, come all'infinitesimo, il<br />

cerchio coincidente con la retta. La retta illimitata-infinita non era più allora simbolo<br />

d'imperfezione, ma anch'essa, come il cerchio, possibile simbolo del divino. E Keplero aveva<br />

sostituito ai cerchi le ellissi per i moti planetari.<br />

Ma Descartes aveva poi spezzato l'unità fra Dio e natura, fra spirito e materia, fra sogno e<br />

ragione, fra inconscio ed io cosciente dell'uomo, fra retta e cerchio: l'unico simbolo di questo Dio<br />

onnipotente che forza la natura passiva e inerte, di quest'uomo unico essere animato che di riflesso<br />

domina la natura e gli altri viventi inanimati, di questa creazione come materia del tutto necessitata<br />

da Dio e come umanità dotata non di libertà ma di servo arbitrio quando non perseveri nella retta<br />

via (retta deriva da regere, da rex, ed è arcaicamente la via regia, di un re divino; è la via che<br />

collega la terra al cielo, il maschile e il femminile del cosmo), di questa prospettiva epistemologica<br />

razionalistica, soggettivistica del cogito ergo sum, non può che essere il simbolo della retta ormai<br />

declinato solo patriarcalmente quale simbolo di potenza maschile, che non unisce più la terra al<br />

cielo o il maschile e il femminile, e che ha spazzato via ogni traccia della Natura animata quale<br />

“Grande Madre” che anche circolarmente cingeva in un abbraccio ogni vivente.<br />

Solo Leibnitz si era opposto e alla fisica di Descartes e alla fisica di Newton, aveva considerato tutti<br />

i moti equivalenti e relativi, era rimasto fedele ad un Dio, cristiano sì ma che aveva creato il mondo<br />

come dotato di libertà e di forza viva fin nei suoi ultimi costituenti individuali ma mai separabili e<br />

ciascuno specchio dell'armonia del tutto: la concezione meccanicistica di una natura passiva e inerte<br />

come una macchina era per lui mero ateismo.<br />

E per una sorta di 'compensazione' della storia fu un altro francese che fra fine Ottocento e<br />

inizio Novecento riscopri la fisica di Leibnitz, enunciò l'equivalenza e la relatività generale di tutti i<br />

moti, formulò prima dello stesso Einstein una dinamica di relatività speciale, e mostrò come anche<br />

42 Liber 24 philosophorum, a cura di P. Necchi, Il melangolo, Genova 1996; J. Luis Borges, Otras Inquisiciones,<br />

Emecé, Buenos Aires 1960, tr. it. di F. Tentori Montalto, Altre Inquisizioni, Feltrinelli, Milano 1963.

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