03.06.2013 Views

DA BRUNO AD EINSTEIN enrico giannetto enrico.giannetto@unibg ...

DA BRUNO AD EINSTEIN enrico giannetto enrico.giannetto@unibg ...

DA BRUNO AD EINSTEIN enrico giannetto enrico.giannetto@unibg ...

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

1. Introduzione<br />

<strong>DA</strong> <strong>BRUNO</strong> <strong>AD</strong> <strong>EINSTEIN</strong><br />

<strong>enrico</strong> <strong>giannetto</strong><br />

<strong>enrico</strong>.<strong>giannetto</strong>@unibg.it<br />

Università di Bergamo<br />

Piazzale S. Agostino 2, 24129 Bergamo<br />

Celebrare l'opera di Einstein non significa indulgere al "mito" che attorno a lui si è creato,<br />

ma fare luce su quei processi storici troppo superficialmente spesso raccontati facendo ricorso alla<br />

figura del genio isolato e unico, e su quali siano stati effettivamente i suoi contributi alla fisica, e in<br />

particolare alla relatività, e quale ne è il significato.<br />

Per comprendere gli sviluppi della fisica dell’Ottocento e del Novecento, spesso ci si limita<br />

all’esistenza di tre tradizioni principali: newtoniana, cartesiana e leibniziana. Si è cercato di<br />

ricondurre la prospettiva di Albert Einstein (1879-1955) sulle teorie della relatività speciale e<br />

generale al punto di vista cartesiano, o a quello leibniziano. Ad un’analisi più approfondita<br />

dell’opera di Einstein, appare subito evidente quanto ciò sia riduttivo. Infatti, la prospettiva<br />

concettuale di Einstein è strettamente connessa a quella di Baruch Spinoza (1632-1677), perlopiù<br />

considerato importante solo per le idee religiose di Einstein, come se queste possano essere<br />

considerate del tutto esterne e marginali nelle sue costruzioni teoriche.<br />

E Spinoza rimanda a sua volta a Giordano Bruno, al quale bisogna risalire anche per<br />

Leibniz. Ho mostrato altrove come Giordano Bruno sia all’origine della teorizzazione moderna<br />

della relatività del moto, dello spazio (delle distanze e delle lunghezze) e del tempo (degli intervalli<br />

temporali), come il suo pensiero sia stato parzialmente incorporato in quello di Galilei, di Descartes<br />

e poi di Leibniz, e come poi Leibniz sia alla radice della prospettiva relativistica di Poincaré, a cui si<br />

rifece Einstein; 1 vorrei ora mostrare come l’influenza di Spinoza su Einstein ci riporti alla stessa<br />

matrice bruniana.<br />

Il confronto con Albert Einstein si delinea quindi attraverso un’analisi dei processi storici<br />

che hanno caratterizzato l’evoluzione del tema della relatività del moto, dello spazio e del tempo.<br />

Nodi cruciali si evidenziano nell’intreccio fra teologia e immaginazione scientifica nel pensiero di<br />

Giordano Bruno, di René Descartes, di Gottfried Wilhelm Leibnitz 2 e Baruch Spinoza per<br />

comprendere la prospettiva fisica e cosmologica di Einstein in relazione alla sua idea di una<br />

“religione cosmica”.<br />

Si mostra inoltre come i differenti esiti teorici di Henri Poincaré, David Hilbert e Einstein<br />

siano connessi alle differenze e agli intrecci fra concezione elettromagnetica della Natura e<br />

concezione meccanicistica della Natura, a loro volta legate storicamente a differenti radici<br />

teologiche.<br />

2. Bruno e le origini della relatività<br />

Giordano Bruno (1548-1600) è stato il primo a proporre una teoria scientifica della<br />

relatività del moto, delle lunghezze spaziali e degli intervalli temporali nel periodo fra il 1584 e il<br />

1588-1591.<br />

1<br />

E. Giannetto, La relatività del moto e del tempo in Giordano Bruno, in Atti del convegno internazionale ‘Giordano<br />

Bruno e la scienza Nuova: Storia e Prospettive’, in Physis XXXVIII (2001) 305-336, e riferimenti ivi citati.<br />

2<br />

E. A. R. Giannetto, Saggi di storie del pensiero scientifico, Bergamo University Press, Sestante, Bergamo 2005, pp.<br />

235-247.


Ciò non è stato ancora riconosciuto essenzialmente per due ragioni: i) le sue idee teologiche<br />

‘eretiche’ (rispetto a quelle ufficiali della Chiesa Cattolica Romana) furono punite con l’atto<br />

criminale del rogo e le sue opere subirono gli effetti della cosiddetta damnatio memoriae e quindi<br />

ad essere distrutte, non lette, non citate e dimenticate (alcuni dei suoi scritti non sono ancora stati<br />

tradotti dal latino in una lingua moderna); ii) la sua concezione della Natura non era<br />

meccanicistica, ma organicistica, e così, per la storiografia dominante che identifica la scienza con<br />

la prospettiva meccanicistica, Bruno non è considerato uno scienziato.<br />

Bruno fu il primo ad accogliere entusiasticamente il sistema del mondo di Copernico, ma<br />

andò anche oltre Copernico: egli per primo eliminò tutte le sfere solide (anche l’ottava delle stelle<br />

fisse) nelle quali si consideravano incastonati i corpi celesti. Egli diede una base fisica al nuovo<br />

sistema astronomico: forgiò un’alternativa alla fisica di Aristotele creando una sintesi della teoria<br />

medioevale dell’impetus e dell’antico atomismo dinamico, per cui gli atomi non sono puramente<br />

materiali e inerti, ma pieni di potenza e di forma come nella visione originale di Democrito;<br />

tuttavia, al contrario, il vuoto non era affatto vuoto ma pieno di etere. L’atomismo e la sua teologia<br />

cristiana condussero Bruno alla concezione di un universo infinito, costituito da infinti mondi.<br />

Sin dal medioevo la teologia cristiana, unita alla filosofia naturale, produsse una forma di<br />

ragionamento secundum imaginationem, che comportò una progressiva decostruzione della fisica e<br />

della cosmologia di Aristotele: era il cosiddetto argomento de potentia Dei absoluta (sulla potenza<br />

assoluta di Dio, ovvero considerata in maniera indipendente da ciò che realmente ha compiuto).<br />

L’immaginazione scientifica era strettamente legata alla teologia. 3 E sin dal 1277, anno in cui il<br />

vescovo di Parigi, Étienne Tempier, condannò molti punti della fisica aristotelica, si cercò, con<br />

vari tentativi, di costruire una filosofia naturale cristiana. Rivoluzionando anche questa teologia,<br />

Bruno introdusse l’idea che la potenza di Dio è infinita, che non si possa distinguere fra una<br />

potenza di Dio infinita e una de facto, e che quindi anche la creazione doveva comportare un<br />

universo infinito, costituito da infiniti mondi, da infiniti atomi pieni di potenza e da infinite stelle<br />

potenti come il Sole, generatrici di calore e di vita. 4<br />

Questa prospettiva teologica era in opposizione anche e soprattutto alla visuale calvinista,<br />

alle radici della concezione meccanicistica della Natura considerata come inerte e passiva, che<br />

comportava l’eliminazione di ogni potenza interna alla creazione e alle creature in quanto la loro<br />

stessa esistenza avrebbe limitato l’onnipotenza di Dio.<br />

Tuttavia, almeno in un certo rispetto, la teologia della Riforma fu fondamentale per Bruno:<br />

la potenziale libera interpretazione della Bibbia. Solo il riferimento alla Bibbia aveva bloccato<br />

Giovanni Buridano, Nicola Oresme e Niccolò Cusano dall’affermare il moto della Terra. Bruno<br />

arguì che la Bibbia dà solo indicazioni etiche e in nessun modo certezze scientifiche sulla Natura.<br />

La frase contenuta nel libro di Giosuè dell’Antico Testamento, “Fermati, o Sole!”, non fornisce un<br />

assenso scientifico al sistema del mondo tolemaico geocentrico, ma solo un’indicazione della<br />

potenza della fede nella potenza di Dio per cui può mutare il corso degli eventi naturali, comunque<br />

sia concepito dalla cultura di una certa epoca. Di più, la rivelazione del Nuovo Testamento era<br />

quella di una Nuova Terra e di un Nuovo Cielo, e Bruno si considerò colui che aveva compreso il<br />

contenuto nascosto, fisico e cosmologico, di questa rivelazione: la Nuova Terra e il Nuovo Cielo<br />

costituiscono un universo infinito.<br />

Le idee di Bruno furono la base dei famosi versi di Shakespeare in Hamlet (Amleto), II, 2: "Doubt<br />

Thou the stars are fire./ Doubt that the sun doth move./ Doubt truth to be a liar./ But never doubt I<br />

3 Si vedano, per esempio: D. C. Lindberg & R. L. Numbers (a cura di), God and Nature. Historical Essays on the<br />

Encounter between Christianity and Science, University of California Press, Berkeley 1986, tr. it. parziale a cura di P.<br />

Lombardi, La Nuova Italia, Firenze 1994; A. Funkenstein, Theology and the Scientific Imagination - from the middle<br />

ages to the seventeenth century, Princeton University Press, Princeton 1986.<br />

4 M. A. Granada, Palingenio, Patrizi, Bruno, Mersenne: el enfrentamiento entre el principio de plenitud y la distinciòn<br />

potentia absoluta/ordinata Dei a proposito de la necesidad e infinitud del universo, in Potentia Dei – L'onnipotenza<br />

divina nel pensiero dei secoli XVI e XVII, a cura di G. Canziani, M. A. Granada e Y. C. Zarka, Franco Angeli, Milano<br />

2000, pp. 105-134, specialmente pp. 116-124 e riferimenti ivi citati.


love" (“Dubita Tu che le stelle siano fuoco/ Dubita che il Sole si muova/ Dubita che la verità sia una<br />

bugiarda./ Ma non dubitare mai che io amo”). Il dubbio sulla sostanza delle stelle e sul moto del<br />

sole, il dubbio sull’Antico Testamento come verità scientifica sulla Natura, non devono mai<br />

intaccare la fede nell’amore, unica certezza e fonte di certezza per la vita umana. E la necessità<br />

stessa di un universo infinito è una conseguenza di questo stesso amore, come pure scrisse<br />

Shakespeare, in Anthony and Cleopatra (Antonio e Cleopatra), I, 1, 14-17: “Cleo. If it be love<br />

indeed, tell me how much./ Ant. There’s beggary in the love that can be reckon’d./ Cleo. I’ll set a<br />

bourn how far to be belov’d./ Ant. Then must thou needs find out new heaven, new earth” (“Cleo.<br />

Se è invero amore, dimmi quanto è grande. Ant. C’è miseria nell’amore che si può misurare. Cleo.<br />

Traccerò un confine così lontano fin dove si dovrà inoltrare per me l’amore. Ant. Allora, tu,<br />

assolutamente devi scoprire un Nuovo cielo, una Nuova Terra”). Ancora, la relatività del tempo di<br />

Bruno, discussa oltre, è riflessa in Shakespeare, Romeo and Juliet (Romeo e Giulietta), III, V:<br />

“Juliet Art thou gone so? Love, lord, ay husband, friend,/ I must hear from thee every day in the<br />

hour/ For in a minute there are many days./ O, by this count I shall be much in years/ Ere I again<br />

behold my Romeo” (“Giulietta: Sei andato via così? Amore, signore, già sposo, amico,/ Devo<br />

sentirti ogni giorno nell’ora/ Perché in un minuto ci sono molti giorni./ Oh, per questo conto sarò<br />

molto avanti negli anni/ Prima che io veda di nuovo il mio Romeo”). E la relatività delle grandezze<br />

spaziali è in Shakespeare, Hamlet (Amleto), Act II, Scene II: "Hamlet: O God, I could be bounded<br />

in a nutshell, and count myself a king of infinite space...("Amleto: Oh Dio, potrei essere confinato<br />

in un guscio di noce, e misurare me stesso un re dello spazio infinito").<br />

Certamente, nell’affermazione di Bruno di un universo infinito non vi erano solo ragioni<br />

teologiche o del misticismo etico dell’amore, ma anche ragioni scientifiche: le ragioni scientifiche<br />

della fisica e della cosmologia atomiste, della teoria dell’impetus, delle nuove osservazioni<br />

astronomiche delle comete di Tycho Brahe, delle considerazioni critiche, avanzate dallo stesso<br />

Bruno, sull’apparente fissità delle stelle, dovuta alla distanza da noi, e sulle astrazioni matematiche<br />

che mai possono corrispondere alle misure fisiche e alla realtà fisica.<br />

Anche nella fisica di Aristotele era stato il modello cosmologico matematico delle sfere a<br />

restare dominante, ed esso fu distrutto da Bruno dando il via a una relazione non gerarchica fra<br />

matematica e fisica (la fisica non doveva più essere sottomessa a una matematica astratta e assunta<br />

a priori).<br />

In questo modo, Bruno infranse le sfere e i cerchi del moto dei corpi celesti: i moti dei corpi<br />

celesti sono moti completamente liberi nello spazio infinito etereo vuoto (di materia), effettuati per<br />

l’impetus che ogni corpo ha. Non c’è più un luogo naturale correlato a ogni corpo, ma per ogni<br />

corpo vi è l’intero spazio infinito. Ogni corpo ha una costituzione dinamica ed è in moto nello<br />

spazio infinito dove non vi è alcun corpo in quiete come anche alcun centro matematico o fisico.<br />

L’assenza di un qualsiasi corpo in quiete implica l’impossibilità di effettuare una misura assoluta<br />

del moto e conseguentemente la necessaria relatività di tutti i moti. Nella prospettiva di Bruno, la<br />

relatività del moto non costituiva un argomento contro la realtà del moto come per Parmenide, ma,<br />

come per Eraclito, moto e cambiamento sono le caratteristiche fondamentali della realtà fisica.<br />

Invero, per la prima volta fu nell’opera, intitolata La cena de le ceneri (III° dialogo,<br />

1584), scritta in Inghilterra e pubblicata a Londra durante un viaggio e un soggiorno in fuga<br />

dall’inquisizione cattolica, che Bruno argomentò sulla relatività del moto per dare una prova del<br />

sistema del mondo di Copernico attraverso la discussione di un complesso esperimento pensato,<br />

quello della nave, già usato in una forma più semplice da Buridano, Oresme e Niccolò Cusano, e<br />

poi ancora semplificato da Galilei. La relatività del moto considerata da Bruno era basata sull’idea<br />

della partecipazione di tutte le cose, appartenenti a un sistema, al moto del sistema, in una maniera<br />

tale che qualsiasi moto traslatorio (uniforme o non-uniforme, rettilineo o circolare o comunque<br />

curvilineo) senza rotazioni non modifica i fenomeni. Così, non si può comprendere che la Terra<br />

abbia un moto traslatorio di rivoluzione intorno al Sole, perché questo moto della Terra non altera i<br />

fenomeni del moto dei corpi appartenenti al sistema della Terra. Comunque, le rotazioni<br />

procurano una differenza, ma sono intrinsecamente moti relativi fra le differenti parti del corpo.


Qui, Bruno argomentò anche sulla relatività della gravità, dando per la prima volta una sorta di<br />

“principio” di relatività generale dinamica.<br />

Galilei, nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), ripeté alcune<br />

argomentazioni di Bruno (Bruno considerò per confronto anche il moto di qualcosa al di fuori del<br />

sistema, ma Galilei non trattò questo caso), ma non lo citò mai a causa dell’inquisizione. Così, si<br />

deve parlare di un “principio di relatività del moto” di Bruno e non di Galilei. E, in maniera<br />

abbastanza rilevante, questo non ha alcuna relazione con il cosiddetto “principio d’inerzia”, che<br />

l’atomismo dinamico di Bruno non ammetteva: è solo il moto che può continuare, mentre la quiete<br />

nel vuoto è instabile; inoltre, per la cosiddetta coincidentia oppositorum, la quiete si identifica con<br />

il moto a infinita velocità (De infinito, universo et mondi, 1584).<br />

La relatività del tempo segue anche dall’infinità dell’universo, ma in qualche modo ne è<br />

anche indipendente. Questa conseguenza fu discussa da Bruno nel suo Camoeracensis Acrotismus<br />

(1588, art. XXXVIII), e nel suo De innumerabilibus, immenso et infigurabili; seu de universo et<br />

mundis libri octo (1591, Liber VII, cap. VII). Bisogna ricordare la definizione aristotelica del<br />

tempo, che fu assunta anche dalla filosofia naturale medioevale: il tempo era fisicamente e<br />

cosmicamente dato (e definito) dal moto della cosiddetta ottava sfera, la sfera delle stelle fisse,<br />

perché questo era perfettamente uniforme, continuo e semplice, perpetuo, come richiesto dalla<br />

possibilità di misurare e commensurare gli intervalli di tempo (a spazi uguali percorsi<br />

corrispondendo intervalli temporali uguali). Tuttavia, se l’universo è infinito non c’è nessuna sfera,<br />

neanche l’ottava e non esiste alcun moto continuo e perfettamente uniforme, privilegiato per una<br />

definizione del tempo. Non ci sono stelle fisse, che ci appaiono tali solo perché per la loro distanza<br />

non ne possiamo apprezzare i moti che sono diversi fra loro. Ci sono infinite stelle e infiniti moti<br />

nell’universo e ogni moto può essere usato per la definizione del tempo; e dalla relatività dei moti<br />

è implicata la relatività dei tempi: così, moti differenti definiscono differenti, non-omogenei, tempi<br />

“propri”, e così il moto modifica le misure degli intervalli temporali, che dipendono appunto dal<br />

moto.<br />

Così, la relatività dello spazio è già implicita nella sua infinità in cui non vi è alcun centro,<br />

e nella relatività del moto, ma in Bruno è presente anche la relatività delle lunghezze e delle<br />

distanze spaziali. Egli la argomentò nel Camoeracensis Acrotismus (1588, art. XXVII, XXXII,<br />

XXXIV, XXXV e XXXVII), nel De innumerabilibus, immenso et infigurabili; seu de universo et<br />

mundis libri octo, (1591, Liber IV, cap. VI), e, in maniera più profonda, nel De triplici minimo et<br />

mensura ad trium speculativarum scientiarum et mulatarum activarum artium principia libri V<br />

(1591, Liber II, cap. V). Qui, bruno dedusse la relatività delle distanze e delle lunghezze spaziali<br />

partendo da una critica epistemologica radicale della misurabilità e delle misure: il moto influenza<br />

le misure e implica dei limiti sulla possibilità di effettuare delle misure esatte e assolute. Da questo<br />

punto di vista, misure spaziali in differenti condizioni di moto implicano differenti distanze e<br />

lunghezze spaziali.<br />

Come ben noto, Galilei seguì Bruno solo per l’idea di una relatività del moto, limitata al<br />

caso di moti uniformi e considerò una relatività “cinematica” e non “dinamica” (la gravità per<br />

Galilei era assoluta). Soltanto Leibnitz seguì l’idea di Bruno di una relatività generale dinamica del<br />

moto, del tempo e dello spazio, dandole anche una prima forma matematica. Quest’idea ha avuto<br />

una storia complessa e discontinua – che non può essere qui riassunta – all’interno di differenti<br />

concezioni della Natura e del moto, dello spazio e del tempo: alla fine, fu riconsiderata (all’interno<br />

di una concezione elettrodinamica della Natura) da Henri Poincaré, 5 influenzato da Leibnitz; e<br />

poi, attraverso l’influenza dello stesso Poincaré e di Ernst Mach, a sua volta (all’interno di una<br />

concezione della Natura con residui “meccanicisti”) da Albert Einstein, che, al tempo della<br />

formulazione delle teorie della relatività speciale e generale, non era consapevole di questa lunga<br />

storia.<br />

5 E. Giannetto, Henri Poincaré and the rise of special relativity, in Hadronic Journal Supplement 10 (1995), 365-433.


3. Le differenti concezioni della Natura fra Ottocento e Novecento<br />

Solo alla fine dell'Ottocento e all'inizio del nostro secolo, il paradigma 'estensionale'newtoniano<br />

del tempo e del mutamento è stato superato con un ritorno a Bruno, Leibniz e<br />

Anassimandro, da un lato, all'interno della fisica con Poincaré, Einstein, Whitehead, e, dall'altro<br />

lato, quello 'filosofico', con Bergson, lo stesso Whitehead, Heidegger ed Ernst Bloch.<br />

Nel 1873, con la pubblicazione del “Trattato sull’elettricità e sul magnetismo” di Maxwell,<br />

si è chiusa definitivamente un’epoca: la fisica non è più solo meccanica, ma anche termodinamica (i<br />

cui due primi principi riceveranno un’elaborazione definitiva già negli anni ’60) ed<br />

elettromagnetismo, e queste tre discipline fisiche costituiscono tre ‘canoni’ indipendenti di<br />

conoscenze fisiche, che si fronteggiano nel problema di quali siano le loro intersezioni, le loro<br />

relazioni di compatibilità o incompatibilità, di quale di esse abbia una priorità come fondamento di<br />

tutta la fisica. E’ un problema epistemologico, ma anche di differenti concezioni della natura. Alla<br />

consolidata concezione meccanicistica della natura – rappresentata da scienziati come Hermann von<br />

Helmholtz (1821-1894), Heinrich Hertz (1857-1894) e Ludwig Boltzmann (1844-1906) - si<br />

contrapporranno: una concezione termodinamica della natura, seguita principalmente da Pierre<br />

Duhem (1861-1916) e Max Planck (1858-1947); una concezione elettromagnetica della natura<br />

elaborata negli scritti di Hendrik Antoon Lorentz (1853-1928), Joseph Larmor (1857-1942),<br />

Wilhelm Wien (1864-1928), Max Abraham (1875-1922) e Henry Poincaré (1854-1912); una<br />

concezione energetista della natura sviluppata soprattutto da Georg Helm (1851-1923) e Wilhelm<br />

Ostwald (1853-1932).<br />

Le cosiddette 'rivoluzioni' della fisica del novecento derivano da questi contrasti delle<br />

differenti concezione della natura e hanno completamente mutato il quadro precedente. La teoria<br />

della relatività e la fisica dei quanti, in particolare, sono comprensibili come correlate ad una nuova<br />

concezione elettromagnetica della natura: la massa di un corpo non può più essere considerata come<br />

un concetto primitivo, ma non è altro che una forma di energia del campo elettromagnetico (come<br />

stabilito dalla relazione fra massa ed energia in relatività); le particelle non possono più essere<br />

considerate come corpuscoli o ‘atomi’ fondamentali di materia, ma presentano aspetti ondulatori<br />

tipici del campo elettromagnetico di cui sono forme (come stabilito dalla dualità onda-corpuscolo<br />

nella fisica quantistica). 6<br />

La teoria della relatività e la fisica dei quanti, e più recentemente la fisica del caos, nate<br />

anche in relazione ad una necessaria definizione operativa delle grandezze fisiche e ad una<br />

altrettanto necessaria interpretazione pragmatico-performativa delle teorie fisiche, hanno portato al<br />

riconoscimento di in-determinazioni delle grandezze fisiche associate, fra le altre, all'estensione<br />

spaziale, all'estensione temporale e alla velocità che caratterizza il moto.<br />

Anche per la teoria della relatività si può in effetti parlare di indeterminazioni: spazio, tempo<br />

come estensione e velocità, sono grandezze determinate (per i sistemi inerziali) a meno di<br />

trasformazioni di Lorentz. E' questa l'interpretazione che ne ha dato Max Born, a partire dal suo<br />

dibattito con Einstein, affermando una generale incompletezza di tutte le teorie fisiche: non solo<br />

della meccanica quantistica quindi, ma anche della relatività e perfino della meccanica classica a<br />

causa dell'incertezza delle condizioni iniziali.<br />

Come è noto, da queste 'rivoluzioni' del novecento è stato indotto un dibattito sul 'realismo'<br />

all'interno della comunità dei fisici come anche dei filosofi della scienza: essenzialmente dalla<br />

meccanica quantistica; in maniera meno diffusa in relazione alla teoria della relatività, e ancora 'in<br />

nuce' per i problemi sorti con il 'caos' in fisica classica. La meccanica quantistica, la teoria della<br />

relatività, e la fisica del caos sarebbero 'colpevoli', secondo la prospettiva di alcuni fisici e filosofi<br />

della scienza, di una perdita di 'realtà', di una incapacità di descrivere in maniera completa la realtà:<br />

di una perdita di 'realismo' in favore di un pragmatismo che sfocerebbe nell'idealismo filosofico.<br />

6 E. A. Giannetto, The Electromagnetic Conception of Nature and the Origins of Quantum Physics, in corso di stampa.


Dalla prospettiva storica prima brevemente esposta è chiaro, a mio avviso, tuttavia, che in<br />

tali teorie fisiche crolla soltanto un'idea di realtà, quella dominante da secoli nella tradizione<br />

scientifica: la realtà come estensione permanente quantitativamente determinata. Crolla in effetti la<br />

riduzione del mutamento (del moto) a cose estese spazialmente e permanenti nel tempo, quella che<br />

potrebbe essere chiamata la 'reificazione' dei processi naturali in cose-oggetti. Da un tale punto di<br />

vista, si tratta di un ritorno a Leibniz, per quanto riguarda la conciliazione della relatività con la<br />

realtà del moto, e ancora piu' alla fisica del mutamento indeterminato di Anassimandro.<br />

In tali teorie del novecento, infatti, il moto non è più determinabile in funzione di estensioni<br />

spaziali e temporali: la 'realtà' del moto e dei processi fisici, legata agli invarianti delle teorie, è<br />

indeterminata in termini spaziali e temporali esterni; solo il mutamento indeterminato è invariante,<br />

solo gli eventi indeterminati rispetto ai parametri esterni di spazio e tempo come estensione sono<br />

'reali'. La relatività del concetto di simultaneità fa crollare il concetto stesso di estensione spaziale.<br />

Anche una certa critica filosofica della scienza (soprattutto come codificata nelle sue forme<br />

tardo-ottocentesche), operata da Max Weber, Henri Bergson, Georg Simmel e Edmund Husserl, e<br />

sviluppata poi da Martin Heidegger e parallelamente da György Lukàcs all'origine del marxismo<br />

occidentale (seguito poi da Herbert Marcuse, Alfred Sohn-Rethel, Theodor Adorno e Max<br />

Horkheimer) aveva identificato l'associato 'realismo' con una forma di 'reificazione' della natura,<br />

ovvero con uno 'storicamente determinato' progetto di 'razionalizzazione' filosofico-scientifica e<br />

economico-sociale, teso al dominio tecnico del 'mondo della natura' e del 'mondo della vita': la<br />

riduzione della natura ad una platonica idea-numero e dei suoi processi naturali e vitali a valore<br />

numerico-economico, a denaro e a merce. 7<br />

Paradossalmente allora rispetto alla discussione in corso sul loro 'mancato' realismo,<br />

potrebbero essere proprio le teorie quantistiche, relativistiche, del caos e dei processi irreversibili a<br />

restituirci ad una comprensione della 'realtà' fisica, della natura, al di là di sue ideologiche e<br />

metafisiche 'reificazioni', e in accordo alle critiche alla scienza di Bergson, Heidegger e altri<br />

filosofi.<br />

Henri Poincaré (1854-1912) è stato autore sostanziale delle tre grandi rivoluzioni<br />

scientifiche che hanno sconvolto la fisica del Novecento Mi riferisco, appunto, alla relatività, alla<br />

fisica del caos e alla teoria dei quanti: la fisica del Novecento è in gran parte firmata Poincaré.<br />

La fisica del caos, della relatività e dei quanti hanno fatto crollare la concezione<br />

meccanicistica della natura: la complessificazione degli strumenti sperimentali e delle pratiche ad<br />

essi correlate – per ampliare ed estendere il dominio della natura per un più ampio sfruttamento di<br />

essa – paradossalmente ha rivelato un’indeterminazione fondamentale e un’impredicibilità della<br />

natura che rendono impossibili qualsiasi controllo umano, qualsiasi razionalizzazione ultima e<br />

matematizzazione di essa.<br />

Così l’esperienza della natura e dei suoi tempi di tipo meccanicistico-tecnico, che si era<br />

assolutizzata come unica possibile e sostitutiva dell’esperienza religiosa ed anche psicologica ed<br />

umanistica, si rivela falsa, impraticabile, non effettiva. Da una parte, l’esperimento si presenta come<br />

non più in grado di fornire una determinazione univoca della natura: gli strumenti come soggettimacchina<br />

hanno esperienze differenti della natura, dipendenti dai contesti fisici, relative,<br />

complementari, incerte e ambigue come quelle di un soggetto vivente; la natura stessa risulta<br />

indeterminata, non più connotabile da qualità primarie univocamente, esattamente determinabili e<br />

certe, variabilmente attiva e non più passiva. Dall’altra parte, il calcolo non si presenta più in grado<br />

di fornire una determinazione univoca della natura: gli strumenti matematici come soggettimacchina<br />

non hanno più una loro intrinseca certezza, sia per la molteplicità dei linguaggi e delle<br />

loro possibili differenti codificazioni dell’esperienza sia per l’incalcolabilità-impredicibilità<br />

generale dell’evoluzione dei processi fisici; la natura stessa non è determinabile in termini<br />

7 E. A. Giannetto, Heidegger and the Question of Physics, in Proceedings of the 'Conference on Science and<br />

Hermeneutics. Veszprem 1993, M. Feher, O. Kiss & L. Ropolyi eds., Reidel, Dordrecht 1998, pp. 207-225.


geometrici, aritmetici, analitici. La natura non è più teoreticamente comprensibile nei termini di una<br />

ratio meccanica.<br />

Ed è il tempo quale dimensione costitutiva della natura, dei processi fisici, che relativizza e<br />

indetermina l’esperienza della natura meccanicistico-tecnica aprendo ad una nuova percezione della<br />

natura stessa.<br />

Qui le stesse pratiche fisiche - sperimentali, matematiche e teoriche - dimostrano la necessità<br />

di mutare la stessa pre-comprensione tecnica della vita umana effettiva nella natura sulla quale esse<br />

si sono basate negli ultimi due secoli. Tuttavia, il mondo-della-scienza non è più un’astrazione<br />

realizzata, marginale, non è più separabile in alcun modo dal mondo-della-vita: essi diventano<br />

sempre più intrecciati. il mondo-della-scienza non sta solo modificando il mondo-della-vita ma lo<br />

va anche sostituendo. In questa situazione, la fisica non è più una pratica umana fra le altre, la fisica<br />

sta cambiando la faccia del pianeta e sta giocando un ruolo-guida nelle nostre società dominate<br />

dalla tecnica. La fisica come scienza sta rimpiazzando la religione nel ruolo “ideologico” delle<br />

strutture culturali e materiali delle nostre società, nell’atteggiamento nei confronti della vita e della<br />

natura: la scienza sta diventando il nostro “mezzo generalizzato di comunicazione”. Da questo<br />

punto di vista le profonde implicazioni delle rivoluzioni della fisica sull’auto-comprensione della<br />

nostra vita effettiva nella natura sono state rimosse, e la concezione meccanicistica della natura è<br />

ancora viva all’interno e delle comunità scientifiche e delle nostre società.<br />

4. Poincaré, Einstein e le origini della teoria della relatività speciale<br />

Il punto d'avvio per la formulazione della dinamica relativistica da parte di Poincaré è<br />

costituito da una riconsiderazione critica della meccanica newtoniana. 8 Analizzando il linguaggio<br />

della meccanica newtoniana, Poincaré evidenzia i fraintendimenti e le ipostatizzazioni metafisiche<br />

che ne hanno caratterizzato l'interpretazione. Lo spazio assoluto, il tempo assoluto e il moto<br />

assoluto, come parametri vuoti esterni ai processi fisici, sono dei concetti che non hanno senso già<br />

all'interno della meccanica classica perché ad essi non corrisponde alcuna operazione sperimentale<br />

possibile in grado di determinarli come tali. Il linguaggio formale-simbolico della meccanica<br />

classica acquista senso nell'uso globale che facciamo dei suoi termini in relazione all'intero insieme<br />

(non in corrispondenza termine a termine) di operazioni sperimentali di misura che sono differenti<br />

per differenti sistemi di riferimento.<br />

Poincaré effettua così per il linguaggio della fisica un'operazione analoga a quella che anni<br />

dopo Ludwig Wittgenstein farà per il linguaggio naturale e la filosofia: Poincaré decostruisce la<br />

semantica referenziale, denotativa dell'ontologia newtoniana, e indica la teoria fisica come un 'gioco<br />

linguistico' a carattere performativo. 9 Cioè, come un linguaggio i cui enunciati acquistano senso<br />

nelle pratiche fisico-sperimentali corrispondentemente effettuate. Poincaré di fatto introduce una<br />

nuova teoria del significato fisico e corrispondentemente un nuovo modo di concepire una teoria<br />

fisica.<br />

Da questo punto di vista, Poincaré riconosce una realtà fisica al moto e insieme la sua<br />

relatività ed è fortemente influenzato dalla fisica di Leibniz: si può così spiegare, con questo preciso<br />

collegamento storico, il ritorno nella storia della fisica di una concezione 'realista' e relativista del<br />

moto.<br />

Nel 1889, Poincaré già scrisse sull’etere che considerava un concetto metafisico, annunciando<br />

che un giorno sarebbe stato gettato via. 10<br />

8 Per tutto questo paragrafo, si rimanda al riferimento citato nella nota 5.<br />

9 L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen.Philosophical Investigations, Blackwell, Oxford 1953.<br />

10 H. Poincaré, Préface to Théorie mathématique de la lumière, I, Naud, Paris 1889, ristampato in H. Poincaré, La<br />

science et l’hypothèse, Flammarion, Paris 1902, 1968, p. 215. Questo libro fu letto da Einstein (prima di scrivere il suo<br />

articolo Zur Elektrodynamik bewegter Körper, in Annalen der Physik 17 (1905), pp. 891-921, ricevuto il 30 Giugno<br />

1905; ristampato in The Collected Papers of Albert Einstein, vol. 2, The Swiss Years: Writings 1900-1909, ed. by J.<br />

Stachel, Princeton University Press, Princeton 1989, pp. 276-310; engl. transl., On the Electrodynamics of Moving<br />

Bodies, in The Collected Papers of Albert Einstein, vol. 2, The Swiss Years: Writings 1900-1909, English Translation, A.


E già in un articolo del 1895 (A propos de la théorie de Larmor), Poincaré stabilì l’impossibilità del<br />

moto assoluto. 11<br />

Nel 1898, in La mesure du temps, c’erano le prime considerazioni critiche sul tempo e sulla<br />

simultaneità, e là stabilì la loro “convenzionalità”, la possibilità della loro definizione a partire dalla<br />

velocità della luce, che deve essere assunta “convenzionalmente” come costante in tutte le direzioni:<br />

Nous n'avons pas l'intuition directe de l'égalité de deux intervalles de temps. Les personnes qui croient posséder<br />

cette intuition sont dupes d'une illusion... Le temps doit être défini de telle façon que les équations de la mécanique<br />

soient aussi simples que possible. En d'autres termes, il n'y a pas une manière de mesurer le temps qui soit plus vrai<br />

qu'une autre; celle qui est généralement adoptée est seulement plus commode. ...Il a commencé par admettre que la<br />

lumière a une vitesse constante, et en particulier que sa vitesse est la même dans toutes les directions. C'est là un postulat<br />

sans lequel aucune mesure de cette vitesse ne pourrait être tentée. Ce postulat ne pourra jamais être vérifié dirèctément<br />

par l'expérience; il pourrait être contredit par elle, si les résultats des diverses mesures n'étaient pas concordants. Nous<br />

devons nous estimer heureux que cette contradiction n'ait pas lieu et que les petites discordances qui peuvent se produire<br />

puissent s'expliquer facilement. ...c'est que je veux retenir, c'est qu'il nous fournit une règle nouvelle pour la recherche de<br />

la simultanéité... Il est difficile de séparer le problème qualitatif de la simultanéité du problème quantitatif de la mesure<br />

du temps; soit qu'on se serve d'un chronomètre, soit qu'on ait à tenir compte d'une vitesse de transmission, comme celle<br />

de la lumière, car on ne saurait mesurer une pareille vitesse sans mesurer un temps. ...La simultanéité de deux<br />

événements, ou l'ordre de leur succession, l'égalité de deux durées, doivent être définies de telle sorte que l'énoncé des<br />

lois naturelles soit aussi simple que possible. En d'autres termes, toutes ces règles, toutes ces définitions ne sont que le<br />

fruit d'un opportunisme inconscient. 12<br />

Nel 1899, parlando dell’esperimento di Michelson, stabilì come un principio la dipendenza dei<br />

fenomeni ottici solo dai moti relativi di corpi pesanti. 13<br />

Ne La théorie de Lorentz et le principe de réaction (1900), Poincaré usò la relatività del moto –<br />

assunta, da lui per la prima volta, come un principio – per dedurre il principio d’azione e reazione<br />

esteso alla considerazione del campo elettromagnetico, e introdusse analiticamente il metodo di<br />

sincronizzazione degli orologi tramite segnali di luce (già discusso in La mesure du temps), che poi<br />

Einstein seguirà nel 1905. 14<br />

Beck, transl. and P. Havas, consul., Princeton University Press, Princeton 1989, pp. 140-171) e dai suoi amici Maurice<br />

Solovine e Conrad Habicht nell’ "Akademie Olympia". '(Questo) libro ci impressionò profondamente e ci tenne senza<br />

respiro per settimane fino alla fine scrisse Solovine: A. Einstein, Lettres à Maurice Solovine, Gauthier-Villars, Paris<br />

1956, p. VIII. Questo commento riceverà qui una spiegazione tramite le successive citazioni da questo libro.<br />

11 H. Poincaré, A propos de la théorie de Larmor, in L'éclairage électrique 5 (1895), pp. 5-14, ristampato in H.<br />

Poincaré, Œuvres de Henri Poincaré, undici volumi, Gauthier-Villars, Paris 1934-1953, 9, pp. 395-413. La citazione è<br />

da p. 412.<br />

12 H. Poincaré, La mesure du temps, in Revue de métaphysique et de morale 6 (1898), pp. 1-13. Le citazioni sono dalle<br />

pp. 2, 11, 12, 13; ristampato parzialmente in H. Poincaré, La valeur de la science, Flammarion, Paris 1905, engl. transl.<br />

by G. B. Halsted, The Value of Science, Dover, New York 1958. Anche questo libro fu letto da Einstein (prima di<br />

scrivere il suo articolo Zur Elektrodynamik bewegter Körper, op.cit.) e i suoi amici Maurice Solovine and Conrad<br />

Habicht nell’ "Akademie Olympia": questo è noto da una lettera del 14 Aprile 1952, da Solovine a Carl Seelig. Per<br />

questa informazione, si veda: Introduction to Volume 2, in The Collected Papers of Albert Einstein, vol. 2, op. cit., p.<br />

XXIV, note 42. Si deve puntualizzare anche che, come scritto a p. XXV, nota 55 della Introduction to Volume 2, The<br />

Collected Papers of Albert Einstein, vol. 2, op. cit., pp. XVI-XXIX, Einstein può aver letto l’edizione tedesca del libro di<br />

Poincaré, La science et l'hypothèse : Wissenschaft und Hypothese, trad. ted. di Ferdinand and Lisbeth Lindemann, con<br />

annotazioni di F. Lindemann, Teubner, Leipzig 1904. Come puntualizzato nella nota 9 alla ristampa dell’articolo di<br />

Einstein in The Collected Papers..., vol. 2, op. cit., pp. 307-308, nella traduzione tedesca del libro di Poincaré, pp. 286-<br />

289, "the relevant passage of Poincaré 1898 is translated in an editorial note to this paragraph, which includes a lenghty<br />

discussion of Poincaré's comments on simultaneity". In queste note agli articoli di Einstein, i curatori dei volumi The<br />

Collected Papers (pp. 306-310) invero hanno evidenziato molti testi di Poincaré come effettive fonti dell’opera di<br />

Einstein. Per un confronto fra i testi di Poincaré e quelli di Einstein, si veda anche: J. Leveugle, Henri Poincaré (1873) et<br />

la relativité, in La Jaune et la Rouge 494 (1994), pp. 29-51.<br />

13 H. Poincaré, Électricité et optique. La lumière et les théories électrodynamiques. Leçons professées à la Sorbonne en<br />

1888, 1890 et 1899, Paris, Carré et Naud 1901, p. 536.<br />

14 H. Poincaré, La théorie de Lorentz et le principe de réaction, in Archives néerlandaises des Sciences exactes et<br />

naturelles, s. 2, v. 5 (1900), pp. 252-278 e anche in Recueil de travaux offerts par les auteurs à H. A. Lorentz, Nijhoff,<br />

The Hague 1900; ristampato in H. Poincaré, Oeuvres ..., op. cit., 9, pp. 464-488. La citazione è da pp. 482-483.


Qui, diede anche una densità di momento per la densità del campo elettromagnetico, che<br />

implicitamente comporta una densità di massa che è uguale a 1/c 2 volte la densità d’energia,<br />

trovando una prima relazione fra massa ed energia di tipo « relativistico » e riconoscendo 'l'inerzia<br />

dell'energia', ma fu solo dopo, quando riconobbe la massa come variabile con la velocità come<br />

effetto dovuto all’auto-induzione elettromagnetica, ovvero alla cosiddetta “reazione di radiazione”,<br />

ed eventualmente tutta la massa come d’origine elettromagnetica, che ottenne una relazione generale<br />

come E=mc 2 . 15<br />

Poincaré nel 1900, nei saggi poi ristampati nel 1902 ne La scienza e l'ipotesi, introdusse per<br />

primo il principio di relatività per i sistemi inerziali come fondamento della meccanica classica e lo<br />

'generalizzò' subito dopo per i sistemi non inerziali, dice che il principio di relatività generale dello<br />

spazio si può esprimere sia all'interno della geometria euclidea che di quella non-euclidea.<br />

Poincaré considerava la geometria euclidea e quella galileiana (come definibile, seguendo il<br />

programma di Erlangen di Felix Klein, a partire dalle trasformazioni di Galilei che individuano le<br />

grandezze geometriche invarianti) solo come 'linguaggi' fra gli altri possibili in cui poter formulare<br />

una teoria fisica. Infatti, il significato di una teoria fisica è associato non a un 'linguaggio' che<br />

rispecchia nei suoi termini una realtà meta-fisica come in sé data, ma ai contesti d'uso dei suoi<br />

termini in relazione alle operazioni sperimentali, identici per vari 'giochi linguistici' possibili.<br />

La preferibilità di un 'linguaggio' rispetto ad un altro sta solo nella sua comodità o semplicità<br />

d'uso; tuttavia, al contrario di quanto spesso affermato in studi critici sul pensiero di Poincaré, ciò<br />

implica un elemento di 'convenzionalità' solo al livello della scelta del 'linguaggio' da usare, ma mai<br />

arbitrarietà o negazione idealistica di una 'realtà' fisica. Le operazioni sperimentali forniscono il<br />

contesto pragmatico-performativo ineludibile dei 'giochi linguistici' della fisica, anche se non<br />

determinano questi in maniera univoca: non si tratta quindi neanche di una trasformazione<br />

'convenzionalista' del kantismo. E la realtà dei processi dinamici, nonostante le differenti apparenze<br />

cinematiche che rispecchiano la costitutiva relazionalità della realtà del moto (non riducibile a<br />

differenza di posizione) o le possibili differenti convenzioni linguistiche, non è mai negata da<br />

Poincaré.<br />

Una delle obiezioni più frequenti al riconoscimento di Poincaré quale creatore della<br />

dinamica relativistica è stata quella basata sul fatto che l'atteggiamento 'convenzionalista' di<br />

Poincaré sarebbe risultato un 'ostacolo epistemologico' alla costruzione di una nuova teoria. In<br />

effetti, è vero proprio il contrario: Poincaré è consapevole che la geometria euclidea o galileiana<br />

non sono affatto a priori e che il trascendentalismo kantiano porta soltanto all'ipostatizzazione di<br />

una convenzione in conoscenze sintetiche a priori. E la consapevolezza dell'impossibilità di una<br />

fondazione trascendentale della conoscenza fisica non si è tramutata in 'impotenza' epistemologica,<br />

ma nella costruzione positiva di alternative teoriche basate su altre convenzioni più utili.<br />

L'analisi dei fondamenti della meccanica aveva reso Poincaré consapevole che anche la<br />

dinamica, come la geometria, non può essere considerata a priori, ma che si basa su una<br />

convenzione: le definizioni di forza e massa implicavano una circolarità. L'analisi<br />

15 H. Poincaré, La théorie de Lorentz..., op. cit., pp. 468 e seguenti. Anche Einstein citò questo lavoro di Poincaré come<br />

contenente la dimostrazione della relazione relativistica massa-energia, aggiungendo che ne avrebbe fornita un’altra per<br />

amore di chiarezza: A. Einstein, Das Prinzip von der Erhaltung der Schwerpunktbewegung und die Trägheit der<br />

Energie, in Annalen der Physik 20 (1906), pp. 627-633, ristampato in The Collected Papers..., v. 2, op. cit., pp. 360-366,<br />

e The Principle of Conservation of Motion of the Center of Gravity and the Inertia of Energy, in The Collected<br />

Papers...English Translation, v. 2, op. cit., pp. 200-206. Si vedano anche: The Relativity Theory of Poincaré and<br />

Lorentz, in E. Whittaker, A History of the theories of Aether and Electricity. The Modern Theories 1900-1926, Nelson,<br />

London 1953, ch. II, pp. 27-77, p. 51; A. I. Miller: Albert Einstein's Special Theory of Relativity: Emergence (1905) and<br />

Early Interpretation (1905-1911), Addison-Wesley, Reading (MA), 1981, pp. 40-45; A. Miller, A Précis of Edmund<br />

Whittaker's "Relativity Theory of Poincaré and Lorentz", in Archives Internationales d'Histoire des Sciences 37 (1987),<br />

pp. 93-103, in particolare pp. 96-98: qui, Miller ha ragione nel dire che la relazione relativistica massa-energia non è<br />

completamente implicata nell’articolo del 1900, ma non tiene conto del fatto che questa relazione era implicata nei lavori<br />

di Poincaré del 1902, 1904 e 1905;come sarà chiaro dal seguito, le affermazioni di Miller (pp. 100-103) che i lavori di<br />

Poincaré non comportavano una teoria relativistica dello spazio e del tempo comportano un loro fraintendimento.


dell'elettrodinamica dei corpi in movimento con il riconoscimento del darsi di una inerzia<br />

elettromagnetica e della struttura elettromagnetica della materia aggregata gli diede coscienza del<br />

fatto che non può costruirsi una dinamica indipendentemente e a priori rispetto ad una teoria del<br />

mondo fisico e ad una teoria degli strumenti di misura, ovvero rispetto ad una teoria della<br />

costituzione elettromagnetica della materia. Queste analisi e ancora il riconoscimento del gruppo di<br />

trasformazioni di Lorentz come gruppo d'invarianza dell'elettrodinamica che rispetta la relatività del<br />

moto, gli suggerirono la possibilità di una nuova convenzione geometrica e dinamica, che tenga<br />

conto di quanto già detto e rifletta direttamente per tutte le parti della fisica (non solo per la<br />

meccanica, ma anche, in particolare, per l'ottica e l'elettrodinamica) la realtà relazionale del moto, e<br />

allo stesso modo la realtà invariante del moto della luce.<br />

Nel 1904, nella conferenza di St. Louis, 16 Poincaré analizzò la situazione intercorrente tra<br />

esperimenti e principi della fisica: il principio di conservazione della massa, il principio di<br />

conservazione della quantità di moto, il principio di conservazione dell'energia, il principio d'azione<br />

e reazione, il principio di minima azione, il principio di relatività. Una crisi dei principi era<br />

evidente: nuovi strumenti avevano introdotto nuove condizioni di possibilità dell'esperienza<br />

(l'interferometro, le misure a livello microfisico sull'elettrone, le misure di velocità sempre più<br />

elevate) che contrastavano con le codificazioni dell'esperienza precedente. Gli esperimenti di<br />

Kaufmann e quelli di Michelson-Morley risultavano decisivi per la costruzione di un nuovo quadro<br />

teorico. E' qui che Poincaré annuncia la necessità di una nuova meccanica, basata sul principio di<br />

minima azione e su quello di relatività del moto, nonché sulla costanza e l'invarianza della velocità<br />

della luce per trasformazioni fra sistemi inerziali di riferimento.<br />

Poincaré costruì effettivamente la nuova teoria del moto nell'articolo pubblicato il 5 Giugno<br />

1905, 17 circa un mese prima del lavoro di Einstein (ricevuto il 30 Giugno): qui c'era già anche una<br />

teoria relativistica della gravitazione, con l'idea connessa a questa dell'esistenza di onde<br />

gravitazionali che si propagano alla velocità della luce; le forze gravitazionali e inerziali sono in<br />

ultima analisi forze elettromagnetiche. Poincaré introdusse così la dinamica relativistica invariante<br />

per trasformazioni di Lorentz e una crono-geometria euclidea dello spazio-tempo (con quarta<br />

coordinata immaginaria, con velocità della luce posta uguale all'unità: i t; contrariamente a quanto<br />

usualmente affermato non fu Hermann Minkowski a introdurre lo spazio-tempo<br />

quadridimensionale. Nel primo lavoro del 1907 di Minkowski sullo spazio-tempo, il testo di<br />

Poincaré è citato come la fonte di questa idea. 18 ) nell’articolo pubblicato nel 1906 ma consegnato il<br />

21 Luglio 1905: 19 la materia, ovvero la massa dell'elettrone, e la sua dinamica sono ottenute dalla<br />

dinamica del puro campo elettromagnetico.<br />

Poincaré era tuttavia consapevole che una teoria relativistica del moto può essere formulata<br />

anche all'interno del 'linguaggio' classico della geometria galileiana e della dinamica newtoniana,<br />

ma tale formulazione non riflette direttamente il contenuto invariante della realtà fisica e risulta<br />

molto più complicata: spazio e tempo come estensione sembrerebbero, in quanto invarianti, reali, e<br />

il moto della luce non invariante e non reale.<br />

Per Poincaré gli esperimenti hanno un ruolo primario come base per definizioni operative e<br />

costruzioni teoretiche, che costituiscono una teoria 'universale', elettrodinamica della struttura della<br />

materia: questa teoria elettrodinamica è universale nella misura in cui essa include una teoria degli<br />

16<br />

H. Poincaré, L'état actuel et l'avenir de la Physique mathématique, in Bulletin des Sciences Mathematiques, v. 28<br />

(1904), pp. 302-324 ; H. Poincaré, The Principles of Mathematical Physics, translated by G. Halsted, in Philosophy and<br />

Mathematics, v. I of Congress of Arts and Science: Universal Exposition, St. Louis 1904, ed. by H. Rogers, Houghton<br />

Mifflin, Boston 1905, pp. 604-622.<br />

17<br />

H. Poincaré, Sur la dynamique de l'électron, in Comptes Rendus de l'Académie des Sciences, v. 140 (1905), pp. 1504-<br />

1508, ristampato in Œuvres, v. IX, op. cit., pp. 489-493.<br />

18<br />

H. Minkowski, Das Relativitätsprinzip, Lecture delivered on 5 November 1907, Annalen der Physik, IV Folge, v. 47<br />

(1915), pp. 927-938.<br />

19<br />

H. Poincaré, Sur la dynamique de l'électron, in Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, v. 21 (1906), pp. 129-<br />

175, ristampato in Œuvres, v. IX, op. cit., pp. 494-550.


strumenti ovvero delle stesse condizioni fisiche della conoscenza. Per Einstein, al contrario, gli<br />

esperimenti stanno solo alla fine della gerarchia di livelli della costruzione della conoscenza<br />

scientifica come livello di verifica, ma essi non sono presenti nella costruzione della teoria, basata<br />

sui principi; non vi è alcuna previa teoria elettrodinamica della struttura della materia che includa<br />

una teoria degli strumenti: strumenti come regoli e orologi sono assunti a priori come tali e sono<br />

usati per stabilire le definizioni operative. Nell'articolo del 1905 già citato, Zur Elektrodynamik<br />

bewegter Körper, Einstein, contrariamente a quanto usualmente ritenuto, non propose affatto una<br />

nuova meccanica, ma appunto una "elettrodinamica dei corpi in movimento": i due principi, quello<br />

di relatività e quello dell'indipendenza della velocità della luce dal moto delle sorgenti, non sono<br />

proposti come principi di una nuova meccanica, ma di una nuova elettrodinamica dei corpi in<br />

movimento! Solo che Einstein voleva fondare la nuova elettrodinamica sulla cinematica del corpo<br />

rigido: questa gerarchia di discipline, che pone la cinematica prima dell'elettrodinamica, è riflessa<br />

anche nella struttura dell'articolo, che si sviluppa prima attraverso una parte cinematica e dopo in<br />

una elettrodinamica. Alla fine dell'elettrodinamica, è posta la 'dinamica dell'elettrone (lentamente<br />

accelerato)' , che però Einstein, al contrario di Poincaré, non prende come base di una nuova<br />

meccanica generale! Così, Einstein sviluppò prima la cinematica e definì operativamente spazio e<br />

tempo e apparentemente riottenne le trasformazioni di Lorentz indipendentemente<br />

dall'elettrodinamica, attraverso la definizione operativa di spazio e tempo; ma è chiaro che questa<br />

definizione operativa si basa sull'uso dei segnali di luce, ovvero su una ridefinizione dei concetti<br />

geometrici e cinematici in termini della luce e quindi dell'elettrodinamica che ne costituisce<br />

comunque il presupposto taciuto e obliato. Solo nel 1907, Einstein argomentò esplicitamente su una<br />

sostituzione delle equazioni meccaniche newtoniane con le nuove equazioni ricavate, sempre nello<br />

stesso ordine, per l'elettrone indipendentemente dalla natura elettromagnetica delle forze in gioco.<br />

E solo nelle ricostruzioni successive, funzionali alla trattazione della gravitazione e all'elaborazione<br />

della teoria della relatività generale, la formulazione della nuova meccanica della 'relatività speciale'<br />

fu presentata senza la mediazione della nuova elettrodinamica dei corpi in movimento. 20<br />

Quella di Einstein è in parte quindi una costruzione aprioristica basata su principi e<br />

strumenti dati a priori. Nella formulazione della dinamica di Poincaré (non è possibile entrare qui<br />

nei dettagli che la differenziano da quella di Einstein), la relatività del moto, indeterminato in<br />

termini di spazio e di tempo in relazione ai sistemi di riferimento (inerziali), è invece basata sugli<br />

esperimenti ed è la conseguenza di una teoria universale della struttura della materia e/o della<br />

misura, cioè di 'un'ermeneutica fisica' in quanto la nostra conoscenza è relativa (ai sistemi di<br />

riferimento) o 'incompleta' (in relazione all'indeterminazione del moto) proprio perché i nostri<br />

mezzi di conoscenza, gli strumenti, sono sempre correlati a (dati all'interno di) una certa struttura<br />

del mondo da cui non si può prescindere.<br />

Mentre la formulazione di Einstein tenta di ristabilire la priorità della cinematica meccanica<br />

sull’elettrodinamica e quindi in definitiva una concezione, almeno in parte, meccanicistica della<br />

natura, la dinamica di Poincaré rappresenta il crollo della concezione meccanicistica della natura e<br />

il compimento di una concezione elettromagnetica della natura come attiva e non inerte e passiva, e<br />

in definitiva ‘vivente’: la massa-materia è un effetto dinamico del campo elettromagnetico che<br />

costituisce l'unica e sola realtà fisica ultima. 21 Nel 1906 Poincaré scrive un saggio su La fine della<br />

materia, ristampato poi nelle successive edizioni de La scienza e l'ipotesi come capitolo finale: è<br />

qui segnato il crollo di ogni materialismo scientifico e determinismo meccanicista, con il<br />

conseguente ritorno alla arcaica, antica, ma anche cristiana percezione della natura come realtà<br />

dinamica, come campo elettromagnetico o luce che 'anima' una materia-madre anch'essa attiva, una<br />

natura cioè ‘animata’ e ‘vivente’.<br />

20 Si veda per esempio: A. Einstein, Ueber die spezielle und die allgemeine Relativitätstheorie (gemeinverständlich),<br />

Vieweg, Braunschweig 1917, tr. it. di V. Geymonat, Relatività: esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1967.<br />

21 Si veda anche: E. A. Giannetto, >From the Electromagnetic Conception of Nature to Virtual Reality Physics, in Volta<br />

and the History of Electricity, ed. by F. Bevilacqua & E. A. Giannetto, Hoepli, Milano 2003, pp. 409-423.


Tutti questi aspetti complessi della posizione di Poincaré possono forse contribuire a<br />

spiegare, e non solo da un punto di vista 'internista', il perché dell'oblio del ruolo di Poincaré nella<br />

creazione della relatività speciale. Ciò in quanto bisogna distinguere tra la questione della creazione<br />

del nuovo quadro teorico e la questione della istituzionalizzazione della relatività speciale come una<br />

disciplina separata dalle altre branche della fisica, che è una questione appunto sociologica, nella<br />

misura in cui la sua costituzione disciplinare - che in tempi più recenti ha portato anche<br />

all'istituzione di specifiche cattedre universitarie - ha comportato la diffusione e l'accettazione da<br />

parte della comunità internazionale dei fisici.<br />

Invertendo così la tendenza dominante all'interno della fisica, Poincaré opera una<br />

dinamicizzazione e una temporalizzazione della geometria e dello spazio, secondo una linea di<br />

pensiero che sarà poi anche sviluppata da Whitehead (il quale ha riformulato la teoria in termini di<br />

relazioni tra eventi). 22 Le proprietà dell'elettrodinamica, che sta alla base della ridefinizione dello<br />

spazio e del tempo, diventano così qualità dello spazio e del tempo ridefiniti appunto in termini del<br />

moto della luce, non più come mere estensioni vuote date a priori. Così la relatività è legata nella<br />

formulazione di Poincaré, attraverso il problema della cosiddetta 'reazione di radiazione', ad una<br />

ineludibile irreversibilità e storicità-ereditarietà dell'evoluzione dei sistemi fisici. Eddington ha<br />

collegato poi la struttura quadridimensionale dello spazio-tempo esplicitamente all'introduzione<br />

nella fisica del tempo come 'flusso-durata' di Bergson come dimensione costitutiva dei processi<br />

fisici. Saranno queste alcune caratteristiche che resteranno nascoste nella formulazione della teoria<br />

da parte di Einstein: si può notare, quindi, che molte polemiche, contro la relatività da parte di<br />

Bergson, e oggi in parte riprese da Prigogine, sono relative soltanto alla formulazione einsteiniana<br />

della teoria, diffusa poi nella comunità dei fisici.<br />

La posizione di Poincaré di conciliazione della relatività e della 'realtà' del moto, come già<br />

storicamente quella di Leibniz, non si adattava e a tutt'oggi non si adatta, al contrario di quella più<br />

'oggettivistica' e 'semplicistica' epistemologicamente di Einstein o di Minkowski, alla storicamente<br />

determinata 'forma di vita' occidentale, dove la relatività del moto come negazione della sua realtà<br />

(come quella del 'divenire') e riduzione della realtà ad estensione spazio-temporale ha radici nella<br />

'reificazione' socio-economica e nella corrispondente alienazione dell'uomo dalla natura.<br />

Con la relatività crolla un'idea di realtà che era dominante da secoli nella tradizione<br />

scientifica: una realtà intesa come estensione spaziale permanente nel tempo quantitativamente<br />

determinata. Estensione spaziale e temporale, velocità come loro rapporto, sono grandezze<br />

misurabili non più invarianti, e determinate a meno di trasformazioni di Lorentz. O meglio, la<br />

relatività della simultaneità fa crollare lo stesso concetto di estensione spaziale: una simultaneità<br />

reale è definibile solo puntualmente, ovvero non esiste uno spazio di simultaneità. Fra l'altro, come<br />

già notato da Bergson, anche l'estensione temporale presuppone una contraddittoria simultaneità dei<br />

punti-ora coinvolti nel calcolo-somma di un intervallo temporale. Come crolla lo stesso<br />

determinismo universale alla Laplace: non ha più senso parlare di uno stato dell'universo ad un<br />

certo istante. Solo gli eventi, fondamentalmente irreversibili nel loro accadere, sono invarianti,<br />

mentre le loro rappresentazioni in termini di estensioni spaziali e temporali sono puramente relative.<br />

Come è stato bene messo in evidenza dal fisico e filosofo della fisica Herbert Dingle, la<br />

rappresentazione degli eventi in termini spaziali e temporali è altresì relativa al nostro modo di<br />

misurare la velocità in termini di misure spaziali e temporali, e di misurare il tempo in termini di<br />

misure spaziali; altre scelte sarebbero possibili: per esempio misurare il tempo in termini di energia<br />

o di entropia in relazione ai processi radiativi, in maniera tale da introdurre immediatamente un<br />

tempo termodinamico irreversibile. Sono quindi gli eventi come processualità fisica, come generali<br />

processi di mutamento ad essere invarianti, a non essere piu' riducibili ad estensioni spaziali e<br />

temporali, cioè a cose estese spazialmente e permanenti nel tempo: crolla quella che potrebbe essere<br />

chiamata la reificazione dei processi naturali in cose-oggetti.<br />

22 E. Giannetto, Mach's Principle and Whitehead's Relational Formulation of Special Relativity, in Proceedings of the<br />

Conference on the Physical Interpretations of Relativity Theory III, London 1994, pp. 126-146.


L'invariante metrico della teoria non corrisponde ad un misterioso quanto astratto 'spaziotempo'<br />

non misurabile, ma, da un lato, a processi di moto invarianti e reali come quello della luce<br />

(ds 2 = 0) o delle particelle 'materiali' (ds 2 > 0) o ancora alla non-globale ordinabilità temporale di<br />

eventi non connessi in processi di moto (ds 2 < 0); dall'altro lato, ad un nuovo concetto di tempo,<br />

detto 'tempo proprio' dei processi fisici: è questo il tempo reale, distinto dai tempi fittizi, esterni in<br />

quanto legati a differenti sistemi di riferimento non legati ai processi fisici in esame. E' questo<br />

l'equivalente fisico del 'tempo vissuto' bergsoniano, ma non unico quindi ma differente da processo<br />

a processo.<br />

Quanto detto comporta anche l’esistenza di un tempo proprio della luce, differente dal<br />

tempo dei processi ‘materiali’, e che è sempre identicamente nullo: è questa la controparte fisica<br />

dell’idea cristiana di un ‘tempo dell’eternità’, o meglio di un tempo del nuovo aiòn del regno di Dio<br />

ovvero del ‘regno della luce’ (rispetto a sé stessa è come se la luce fosse in quiete e anche in moto a<br />

velocità infinita).<br />

Solitamente si dice che solo nella relatività generale si ha una completa dipendenza dello<br />

spazio e del tempo dagli eventi, ma, in effetti, questo si ha già a livello di relatività speciale allorché<br />

si considerano processi di moto non rettilinei uniformi ovvero accelerati: infatti, in questo caso, non<br />

vi è un tempo proprio o 'interno' definibile come unico per l'intero processo di moto. Il tempo<br />

proprio, come la distanza spaziale, cambia da evento a evento, non è integrabile su tutto il processo<br />

ma è 'storico-ereditario', ovvero dipende da tutta la storia degli eventi. 23 Da evento a evento si<br />

devono considerare sistemi di riferimento differenti solo localmente inerziali, i quali appunto sono<br />

non-inerziali l'uno rispetto all'altro: conseguenza di tutto ciò è che le grandezze definite da questi<br />

sistemi non sono omogenee fra loro (sono legate da relazioni non lineari) e non sono quindi<br />

sommabili fra loro. Il tempo proprio, come lo spazio, non è cioè una grandezza estensiva, ma<br />

intensiva, e il suo flusso, come notato da Bergson, è quindi una molteplicità eterogenea irriducibile,<br />

in dipendenza degli eventi che formano il processo di moto. Cade così la teoria delle grandezze<br />

omogenee alla base della fisica classica newtoniana, e con essa la riduzione del tempo a ordinesuccessione<br />

di estensioni omogenee (lo spazio delle velocità è anch'esso, in generale curvo,<br />

lobachevtskyano, ovvero correlante grandezze non omogenee: anche il moto non è riducibile ad<br />

estensione omogenea, ma è flusso-molteplicità qualitativa eterogenea).<br />

Fra l'altro, le radici che compaiono nelle trasformazioni di Lorentz fanno vedere che quelle<br />

misure, che danno numeri 'razionali' in un riferimento, danno invece irrazionali in un altro, ovvero<br />

non c'è omogeneità di grandezze, ma incommensurabilità (questa ovviamente c'è già, per la<br />

diagonale del quadrato, per la geometria in un riferimento). I numeri irrazionali non sono che un<br />

nome vuoto con cui si è mascherata l'incommensurabilità tra due grandezze, il cui rapporto non è<br />

descrivibile neanche come rapporto di numeri; ovvero, si è mascherata la prima 'divergenza', la<br />

necessità di infiniti numeri per esprimere la non-separabilità continua del moto, come cifre per<br />

esprimere tali rapporti che denotano l'impossibilità di misure e di commensurazioni. Nelle<br />

trasformazioni di Lorentz, la contrazione lungo l'asse del moto è legata ad un confronto di<br />

grandezze lungo direzioni diverse e quindi di superfici, perché l'invio di segnali di luce per<br />

"comunicare"-misurare i tempi non è lungo perpendicolari all'asse del moto relativo (nel qual caso<br />

ci si può ridurre al confronto unidimensionale-retti-lineare), ma in generale, rispetto al riferimento<br />

che si muove, il segnale percorre una 'diagonale' rispetto all'asse di moto.<br />

L'eterogeneità dei tempi propri relativistici fa crollare il rapporto tra aiòn, chronos e kairòs<br />

come grandezze estensive - durate omogenee inglobabili in un ordine-successione globale. Vi è una<br />

molteplicità di chronoi, e l'aiòn universale, al di là dello specifico aiòn della luce, non è unico e<br />

non è che un flusso-molteplicità eterogenea non separabile di chronoi dei processi, che a loro volta<br />

non sono che flussi-molteplicità eterogenee non-separabili dei kairoi degli eventi.<br />

23<br />

Su questo problema generale, si veda anche: E. A. Giannetto, Elena Freda, Vito Volterra and the Conception of a<br />

Hysterical Nature, in corso di stampa.


Così, contrariamente ad alcune interpretazioni della relatività pure autorevoli come quella di<br />

Einstein, a mio avviso, la relatività ci conduce ad una nuova idea di realtà, legata al mutamento, al<br />

moto e al divenire.<br />

Proprio in relazione a queste altre interpretazioni, era nata tutta una serie di polemiche<br />

filosofiche che ancora oggi continuano: filosofi come Bergson, Husserl e Heidegger, e anche in<br />

ambito marxista Lukàcs, Marcuse, Habermas hanno accusato la scienza, e in particolare la relatività<br />

stessa, di dare della natura una visione statica, atemporale e quindi falsa e ideologica, legata<br />

essenzialmente agli scopi della tecnica, ovvero allo sfruttamento della natura e dell'uomo da parte<br />

dell'uomo stesso. La riduzione dei processi a cose estese nello spazio e nel tempo sarebbe la<br />

controparte ideologica della riduzione, della cosiddetta 'reificazione' della vita e di tutto a denaro o<br />

merce, come la relatività come controparte del relativismo dei valori proprio delle società<br />

capitalistiche.<br />

Ritornare allora all'interpretazione di Poincaré, o a quella successiva di Whitehead, che<br />

evidenziano l'aspetto processuale-‘vitale’ della natura e la correlata realtà del mutamento e del<br />

moto, ci permette di sganciare la relatività e la scienza che ne deriva da ogni possibile funzione<br />

ideologica, e al contrario di rappresentare una prospettiva sul mondo propositiva di una nuova<br />

forma di vita alternativa alla "reificazione" e all'alienazione dell'uomo dalla natura, come quella del<br />

cristiano ‘regno di Dio’ o ‘regno della luce’.<br />

5. Einstein, Hilbert e le origini della teoria della relatività generale<br />

Il problema storico della nascita della teoria della relatività generale è stato riaperto nel 1997<br />

per il ritrovamento di un documento di eccezionale importanza da parte di Leo Corry: le bozze<br />

dattiloscritte del lavoro del 1915 di David Hilbert (1862-1943), in cui per la prima volta venivano<br />

presentate le equazioni di campo della teoria. Leo Corry, Juergen Renn e John Stachel ne danno<br />

notizia in un breve articolo, 24 cui, due anni dopo, seguirà uno studio approfondito di Juergen Renn e<br />

John Stachel. 25 Come già accennato, nel 1905 Henri Poincaré (1854-1912), presentando la nuova<br />

dinamica relativistica elettromagnetica (all’interno di una concezione elettromagnetica della natura,<br />

per la quale la massa è di origine elettromagnetica per il fenomeno di auto-induzione<br />

elettromagnetica legata alla cosiddetta “reazione di radiazione”), aveva già proposto una teoria<br />

relativistica di campo della gravitazione, che prevedeva l’esistenza di onde gravitazionali<br />

propagantesi nel vuoto con la velocità della luce c. 26 Albert Einstein (1879-1955) inizierà solo nel<br />

1907 a porsi il problema di una teoria relativistica della gravitazione; nel 1913-1914, insieme<br />

all’amico Marcel Grossmann (1878-1936), proporrà una teoria basata su una crono-geometria dello<br />

spazio-tempo quadridimensionale pseudo-riemanniana. Nel Luglio 1915, Hilbert, già impegnato da<br />

vari anni in un progetto d’assiomatizzazione e formalizzazione della fisica, invitò Einstein a tenere<br />

una conferenza a Göttingen sui nuovi sviluppi della sua teoria di ‘relatività generale’ della<br />

gravitazione. 27 Le successive elaborazioni furono presentate da Einstein, presso l’Accademia<br />

Prussiana delle scienze di Berlino, il 4, l’11, il 18 Novembre 1915, e solo il 25 Novembre 1915 (in<br />

un lavoro poi stampato il 2 Dicembre 1915) presentò le equazioni del campo gravitazionale-metrico<br />

dello spazio-tempo della relatività generale. 28 Hilbert, che nel frattempo si era messo a lavorare<br />

24<br />

L. Corry, J. Renn, J. Stachel, Belated Decision in the Hilbert-Einstein Priority Dispute, in Science 278 (1997) pp.<br />

1270-1273.<br />

25<br />

J. Renn, J. Stachel, Hilbert’s Foundation of Physics: From a Theory of Everything to a Constituent of General<br />

Relativity, Preprint 118, Max-Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte, Berlin 1999.<br />

26<br />

E. Giannetto, Henri Poincaré and the rise of special relativity, in Hadronic Journal Supplement 10 (1995), 365-433.<br />

27<br />

Per tutti i dettagli di questa storia, si vedano: J. Mehra, Einstein, Hilbert and the Theory of Gravitation, in The<br />

Physicist’s Conception of Nature, ed. by J. Mehra, Reidel, Dordrecht 1973, pp. 92-177; J. Earman and C. Glymour,<br />

Einstein and Hilbert: Two Months in the History of General Relativity, in Archive for History of Exact Sciences 19<br />

(1978) 291.<br />

28<br />

A. Einstein, Die Feldgeichungen der Gravitation, in Königlich Preussische Akademie der Wissenschaften (Berlin),<br />

Sitzungsberichte 1915, pp. 844-847.


anch’egli a questo problema, presentò le equazioni del campo gravitazionale-metrico dello spaziotempo<br />

della relatività generale a Göttingen il 20 Novembre del 1915 precedendo Einstein di cinque<br />

giorni. 29 La derivazione delle equazioni in Hilbert e Einstein era diversa: Hilbert era partito da un<br />

principio variazionale, Einstein da un più intuitivo Ansatz fisico. Storici e fisici hanno così<br />

identificato nei loro lavori due vie indipendenti e differenti, perlopiù evidenziando la via rigorosa e<br />

assiomatica di Hilbert come la royal road, ovvero la “via regale”, alla teoria della relatività<br />

generale. Corry, Renn e Stachel hanno cercato di dimostrare, invece, la dipendenza da Einstein di<br />

Hilbert, non solo per quanto riguarda le radici della teoria della relatività generale, ma anche<br />

proprio per il ricavo delle equazioni di campo, facendo notare le differenze fra l’articolo di Hilbert<br />

apparso il 31 Marzo 1916 e le bozze datate 6 Dicembre 1915. 30<br />

Le differenze più importanti riguardano la covarianza generale della teoria che non era<br />

completamente rispettata nelle bozze (c’erano, oltre le 10 generalmente covarianti, 4 equazioni nongeneralmente<br />

covarianti per garantire la validità del principio di causalità e del principio di<br />

conservazione dell’energia-momento), come in precedenti lavori di Einstein, e la forma “non<br />

esplicita” delle equazioni di campo: la parte gravitazionale delle equazioni di campo era data dalla<br />

derivata variazionale del termine gravitazionale √g K rispetto alla metrica g µν , ma questa derivata<br />

non appare calcolata da Hilbert nella parte di bozze ritrovate. 31 Hilbert nelle bozze presentava così<br />

le sue equazioni di campo:<br />

[√g K]µν + ∂ (√g L)⁄ ∂ g µν = 0 (1)<br />

dove il termine ∂ (√g L)⁄ ∂ g µν = Tµν individua il tensore energia-materia, e L è la parte, legata alla<br />

materia (considerata di origine elettromagnetica), della Lagrangiana generale H che ha la forma:<br />

H = K + L (2)<br />

dove K rappresenta la parte gravitazionale.<br />

Nella versione pubblicata, invece, calcolò effettivamente l’espressione della derivata<br />

variazionale:<br />

[√g K]µν = √g (Kµν - ½ K g µν ) (3)<br />

e quindi le equazioni di campo diventano<br />

- Tµν = √g (Kµν – ½ K gµν) (4).<br />

Se ci si limita al problema delle equazioni di campo, è chiaro che solo la questione della<br />

forma delle equazioni è rilevante. Corry, Renn e Stachel affermano che fu la presenza del termine<br />

con la traccia del tensore K nell’articolo di Einstein che guidò Hilbert al calcolo della derivata.<br />

Quello che sfugge alla loro analisi è che, comunque, per quanto possa essere significativo anche da<br />

un punto di vista dell’interpretazione fisica della teoria il calcolo esplicito della derivata, in ogni<br />

caso Hilbert scrisse per primo e indipendentemente le equazioni di campo corrette della relatività<br />

29 D. Hilbert, Die Grundlagen der Physik (Erste Mitteilung), in Nachrichten von der Königlich Gesellschaft der<br />

Wissenschaften zu Göttingen, Mathematisch-physikalische Klasse, Berlin 1916, pp. 395-407.<br />

30 Si vedano anche: T. Sauer, The Relativity of Discovery: Hilbert’s First Note on the Foundations of Physics, in<br />

Archive for History of Exact Sciences 53 (1999) 529-575; V. P. Vizgin, On the discovery of the gravitational field<br />

equations by Einstein and Hilbert: new materials, in Physics-Uspekhi 44 n. 12 (2001) 1283; F. Winterberg, "On Belated<br />

Decision in the Hilbert-Einstein Priority Dispute by L. Corry, J. Renn and J. Stachel", University of Nevada, Nevada,<br />

Reno 2002; C. J. Bjerknes, Anticipations of Einstein in General Theory of Relativity, XTX Inc., Downers Growe,<br />

Illinois 2003; A. A. Logunov, M. A. Mestvirishvili, V. A. Petrov, How were the Hilbert-Einstein equations<br />

diswcovered?, ArXiv:physics/0405075 v3, 16 June 2004 (le critiche presentate in questo articolo ai lavori di Corry,<br />

Renn e Stachel mi sembrano decisive: fondamentale, oltre le argomentazioni matematiche, è il fatto di tener presente<br />

che le bozze del lavoro di Hilbert ritrovate non sono complete, ma hanno delle lacune).<br />

31 Per l’analisi dettagliata e comparativa delle bozze e dell’articolo pubblicato di Hilbert, si rimanda al lavoro citato<br />

nella nota 25 e a A. A. Logunov, M. A. Mestvirishvili, V. A. Petrov, How were the Hilbert-Einstein equations<br />

diswcovered?, op. cit.


generale. D’altra parte, è noto che Hilbert informò subito Einstein dei suoi risultati, come<br />

dimostrato da una lettera di Einstein a Hilbert già del 18 Novembre 1915, ed è piuttosto più<br />

plausibile ritenere che un’attenta considerazione da parte di Einstein di ciò che comportava la<br />

derivata variazionale di Hilbert - anche non calcolata - abbia condotto Einstein a inserire il termine<br />

di traccia del tensore energia-impulso T, modificando le sue equazioni di campo che, fino alla<br />

memoria da lui presentata il 18 Novembre, non lo contenevano, nella forma seguente, equivalente a<br />

quella di Hilbert:<br />

Rµν = - γ (Tµν – ½ gµν T) (5)<br />

dove R corrisponde a K, e γ è una costante.<br />

Insomma, resta del tutto più convincente l’ipotesi che Einstein ricavò le equazioni di campo<br />

considerando quelle date da Hilbert.<br />

Tutto questo, però, è solo un problema di priorità dell’uno o dell’altro, che, per quanto sia<br />

storicamente importante, è di poca rilevanza concettuale. Il punto fondamentale è che in Hilbert la<br />

materia (Tµν) sia considerata come di origine elettromagnetica: le equazioni di Hilbert ed Einstein<br />

sono matematicamente equivalenti, ma non hanno lo stesso significato fisico. La prospettiva di<br />

Hilbert è legata ad una sintesi della teoria elettromagnetica della materia di Gustav Mie (1868-<br />

1957) 32 e della teoria della gravitazione iniziata da Einstein. Si può così tracciare una linea<br />

evolutiva, all’interno della concezione elettromagnetica della natura, che parte dalla dinamica<br />

special-relativista di Poincaré e attraverso Mie conduce alla dinamica general-relativistica di<br />

Hilbert. La teoria della relatività generale dal punto di vista storico non si presenta così<br />

univocamente, si frange in almeno una duplicità di forme. Anzi, si hanno almeno due teorie della<br />

relatività generale. Una, quella di Einstein, in cui si riaffermano la priorità della meccanica,<br />

indipendente da una teoria dell’elettromagnetismo, e la materia come sostanza primitiva: Einstein<br />

non è propriamente un meccanicista, la sua è una teoria in cui il campo metrico-gravitazionale è<br />

reale accanto alla materia, e la natura ha quindi anche caratteristiche di attività (lo spazio-tempo non<br />

è inerte, è una realtà dinamica) oltre quelle della materia inerte e passiva, ma la meccanica è la<br />

scienza fisica “prima”. L’altra teoria, la prima storicamente a essere portata a compimento, quella di<br />

Hilbert, è una dinamica dipendente da una teoria che costituisce una generalizzazione della teoria<br />

dell’elettromagnetismo di Maxwell a sistemi di riferimento non inerziali; una teoria<br />

dell’elettromagnetismo general-relativistica che diviene la scienza fisica prima attraverso una teoria<br />

elettromagnetica della materia, che a sua volta determina il campo metrico-gravitazionale.<br />

Einstein aveva ripreso dalla conferenza sui principi della fisica matematica di Poincaré del<br />

1904 la differenza epistemologica fra una teoria fisica dei principi e una teoria fisica costruttiva che<br />

fa delle ipotesi sulla struttura della materia: Poincaré, però, aveva tematizzato una teoria fisica dei<br />

principi, quale indipendente da un modello meccanico del campo elettromagnetico, come<br />

esemplificato dalla teoria di Maxwell; 33 Einstein, invece, persegue una teoria fisica dei principi che<br />

s’incarna nella meccanica, indipendente da un modello elettromagnetico della materia. 34 In Hilbert e<br />

Einstein si fronteggiano, quindi, due differenti concezioni della natura, della realtà e della teoria<br />

fisica.<br />

Ma c’è di più. Einstein, riprendendo e modificando a suo modo una critica di Ernst Mach<br />

(1838-1916), aveva formulato e posto a fondamento della sua teoria quello che aveva chiamato<br />

32 G. Mie, Grundlagen einer Theorie der Materie, Erste Mitteilung, in Annalen der Physik 37 (1912) pp. 511-534;<br />

Zweite Mitteilung, in Annalen der Physik 39 (1912) pp. 1-40; Dritte Mitteilung, in Annalen der Physik 40 (1913) pp. 1-<br />

66.<br />

33 H. Poincaré, L'état actuel et l'avenir de la Physique mathématique, in Bulletin des Sciences Mathematiques, v. 28<br />

(1904), pp. 302-324 ; H. Poincaré, The Principles of Mathematical Physics, translated by G. Halsted, in Philosophy and<br />

Mathematics, v. I of Congress of Arts and Science: Universal Exposition, St. Louis 1904, ed. by H. Rogers, Houghton<br />

Mifflin, Boston 1905, pp. 604-622.<br />

34 A. Einstein, Mein Weltbild, a cura di C. Seelig, Querido Verlag, Amsterdam 1934, tr. it. di R. Valori, Come io vedo<br />

il mondo, Newton Compton, Roma 1975, pp. 84-85.


“principio di Mach”: il tensore Gµν = (Rµν – ½ R gµν) è univocamente determinato dal tensore Tµν. 35<br />

La prospettiva di Mach indicava il fatto che l’inerzia non dovesse essere considerata come legata<br />

all’esistenza dello spazio assoluto di Newton come realtà in sé, ma al contrario l’origine dell’inerzia<br />

si doveva all’esistenza di tutte le altre masse del resto dell’universo. 36 La richiesta di Einstein era<br />

legata all’eliminazione di uno spazio-tempo assoluto, vuoto di materia, come realtà indipendente<br />

dalla materia: se esistesse uno spazio-tempo indipendentemente dalla materia, si ricadrebbe nella<br />

proposizione di un ente come lo spazio assoluto di Newton non suscettibile di una procedura<br />

sperimentale di misura che lo definisca operativamente e che solo può dare ad esso un effettivo<br />

significato fisico. Ora, già dal 1917, furono trovate delle cosiddette “soluzioni di vuoto” delle<br />

equazioni di campo della relatività generale, che sancivano, al contrario, una violazione del<br />

“principio di Mach”, e dimostravano la possibile esistenza di uno spazio-tempo indipendente anche<br />

in assenza di materia: queste soluzioni, in effetti, segnavano il fallimento della teoria di Einstein<br />

come frutto di una teoria relazionale dello spazio, del tempo e del moto. 37 Il problema della<br />

compatibilità o incompatibilità del “principio di Mach” con la teoria di Einstein è tuttora tema di<br />

discussione scientifica ed epistemologica.<br />

La teoria elettromagnetica della relatività generale di Hilbert può invece superare questo<br />

problema e costituire una teoria quale frutto di una prospettiva relazionale dello spazio, del tempo e<br />

del moto: nella teoria di Hilbert, l’annullarsi del tensore energia-materia, Tµν = 0, non rappresenta<br />

un vuoto assoluto, ma solo un vuoto di materia. L’origine elettromagnetica della materia comporta<br />

che, anche se Tµν = 0, non è mai zero il tensore del campo elettromagnetico Fµν se gµν è diverso da<br />

zero: ovvero, non esiste mai uno spazio-tempo come realtà indipendente assoluta, in quanto il vuoto<br />

di materia non è vuoto di campo elettromagnetico. Si deve generalizzare il “principio di Mach”: il<br />

tensore Gµν = (Rµν – ½ R gµν) è definito dal tensore del campo elettromagnetico Fµν . Il campo<br />

elettromagnetico come realtà fisica unica è all’origine sia della materia che dello spazio-tempo: lo<br />

spazio-tempo può esistere anche se non esiste materia, ma non senza campo elettromagnetico. Solo<br />

a partire da una concezione elettromagnetica della natura, e non da una concezione materialisticomeccanicistica,<br />

è possibile sviluppare una prospettiva teorica relazionale su spazio, tempo e moto.<br />

Riconsiderare la teoria elettromagnetica della relatività generale di Hilbert non ha allora un<br />

senso meramente storiografico, ma ci restituisce la prospettiva rivoluzionaria implicita nella<br />

concezione elettromagnetica della natura di Poincaré, che restava incompatibile con la teoria della<br />

relatività generale di Einstein, e in una concezione relazionale dello spazio, del tempo e del moto<br />

che per molti versi sembrava ormai non realizzata nella teoria di Einstein.<br />

6. Einstein e Spinoza contro Descartes e Newton: teologia e immaginazione scientifica<br />

L'immagine-simbolo forse più rappresentativa della scienza moderna del XVII-XVIII secolo<br />

è quella della retta illimitata, e adesso si è spezzata.<br />

“Newton... conosceva il suo popolo, il suo linguaggio.. sapeva che per indicare un ‘patto<br />

onesto’ si diceva un ‘accordo quadrato’ ed un ‘uomo onesto’ era uno che agiva ‘in maniera<br />

quadrata’. Conosceva il suo universo; sapeva che consisteva di corpi celesti in moto e sapeva anche<br />

che l’unica cosa che non si può ottenere da alcunché è che si muova in linea retta. In altre parole, il<br />

moto non procederà lungo una linea retta... Il mero fatto non fermerà mai un Inglese. Newton<br />

inventò una linea retta, e così fu la legge di gravitazione...Per 300 anni noi credemmo...in<br />

quell’universo newtoniano...Poi venne un giovane professore. Disse un sacco di cose e noi lo<br />

35 A. Einstein, Prinzipielles zur allgemeinen Relativitätstheorie, in Annalen der Physik 55 (1918), pp. 241-244; si<br />

vedano anche: G. Boniolo, Mach e Einstein. Spazio e massa gravitante, Armando, Roma 1988, pp. 143-165; E.<br />

Giannetto, Mach's Principle and Whitehead's Relational Formulation of Special Relativity, in Proceedings of the<br />

Conference on the Physical Interpretations of Relativity Theory III, London 1994, pp. 126-146.<br />

36 E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwickelung historisch-kritisch dargestellt, Brockhaus, Leipzig 1883, tr. it. di A.<br />

D’Elia, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Boringhieri, Torino 1977, pp. 250-252.<br />

37 Si vedano i testi citati alla nota 35 e la bibliografia ivi contenuta.


chiamammo un blasfemo... Che il mondo non è un mondo rettilineo; è un mondo curvo. I corpi<br />

celesti si muovono lungo curve perché quello è per loro il modo naturale di procedere, e così<br />

l’intero universo Newtoniano crollò e fu sostituito dall’universo di Einstein...”: così si era espresso<br />

lo scrittore irlandese George Bernard Shaw, in un pranzo in onore di Einstein, il 27 Ottobre 1930 a<br />

Londra, e questo discorso fu pubblicato come introduzione ad un libro di Einstein del 1931,<br />

intitolato Cosmic Religion. 38<br />

L’ironia di Bernard Shaw nei confronti degli Inglesi colpisce ancora ed aveva certamente<br />

individuato una connessione cruciale nella metafora della ‘rettitudine’ dal campo dell’etica a quello<br />

della fisica.<br />

Ma Shaw non sapeva che Newton nell'enunciare la legge d'inerzia - della quiete e del moto<br />

rettilineo uniforme come stati in cui ogni corpo persevera a meno dell'azione di una forza impressa<br />

dall'esterno, come anche altre leggi fondamentali nel suo trattato del 1687, aveva ripreso e<br />

matematizzato, senza citarlo, quanto già enunciato ne Le Monde (testo scritto intorno al 1630 e<br />

pubblicato nel 1664) e nei Principia Philosophiae del 1644, da un altro grande scienziato e filosofo<br />

francese: René Descartes (Cartesio). 39 Questi nell'enunciare tale legge ne aveva subito svelato, a<br />

commento, il corrispondente fondamento o comunque corrispettivo teologico, facendo un gioco<br />

lingustico con la parola francese droit: 'Secondo questa regola, si deve dunque dire che solo Dio è<br />

l'autore di tutti i movimenti che sono al mondo in quanto sono, e in quanto sono retti; ma che sono<br />

le diverse disposizioni della materia a renderli irregolari e curvi; proprio come i teologi ci insegnano<br />

che Dio è l'autore di tutte le nostre azioni, in quanto esse sono e in quanto sono buone; ma che sono<br />

le diverse disposizioni della nostra volontà che possono renderle viziose'.<br />

Nel 1619 nella città di Ulm (dove per ironia della storia 260 anni dopo sarebbe nato Albert<br />

Einstein) Descartes, in un singolare sogno, aveva avuto l'illuminazione decisiva per la scienza e<br />

invero per l'intera modernità. Egli condivideva certe elaborazioni della teologia calvinista che<br />

esaltavano l'onnipotenza di Dio e consideravano la natura come mero specchio passivo di essa,<br />

ovvero come una macchina inerte, senza vita e senza anima: in natura non potevano essere agenti<br />

delle potenze attive che la animassero, in quanto avrebbero costituito una limitazione<br />

dell'onnipotenza di Dio. Anche il Dio dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Isaac<br />

Newton, il 'pantocrator' o 'colui che tutto governa' dell'Apocalisse di Giovanni, era modellato su tale<br />

concezione. Per entrambi, le forze, che determinano il moto dei corpi in natura, non potevano che<br />

essere forze di Dio, anche se agenti attraverso occasionali cause secondarie. 40<br />

L'immutabilità di Dio per Descartes aveva come conseguenza che i moti fossero conservati<br />

nella stessa direzione e quindi fossero rettilinei. Newton pensava invece che tali forze inerziali di<br />

Dio, insite nel singolo corpo, non fossero sufficienti per spiegare i moti del mondo o anche che<br />

lasciavano troppo 'potere' al caso o al caos della materia; introdusse così anche delle forze impresse<br />

‘centripete’, agenti a distanza anche nel vuoto fra due generici corpi, anche queste di Dio e<br />

concepibili, fra corpi appunto non a contatto, solo per l'onnipresenza di Dio. Erano queste le forze<br />

centripete di gravità introdotte per determinare il moto curvilineo, come quello ellittico dei pianeti<br />

intorno al sole.<br />

Certo, le metafore della rettitudine nella cultura occidentale erano antiche quanto la<br />

geometria euclidea, dato il rilievo in essa del concetto di retta considerata sempre però come finita e<br />

limitata, e risalivano comunque a miti arcaici di derivazione orientale e di natura astronomica che le<br />

legavano complementarmente alle metafore della circolarità. 41<br />

Ma la retta, in quanto illimitata, era considerata imperfetta, e la metafora fondamentale della<br />

perfezione celeste e del divino era il cerchio. Il sogno per secoli inseguito da scienziati e alchimisti<br />

era stato quello della “quadratura del cerchio”: per Dante, alla fine del Paradiso, Canto XXXIII,<br />

38<br />

G. B. Shaw, An Appreciation, in A. Einstein, Cosmic Religion, Covici-Friede, New York 1931, pp. 31-39.<br />

39<br />

R. Descartes, I principi della filosofia, Bollati Boringhieri, Torino 1967.<br />

40<br />

A. Koyré (1957), Dal mondo chiuso all'universo infinito, tr. it. di L. Cafiero, Feltrinelli, Milano 1974, pp. 178-208.<br />

41<br />

E. A. R. Giannetto, Saggi di storie del pensiero scientifico, Bergamo University Press, Sestante, Bergamo 2005, pp.<br />

23-36.


133-138, tale possibilità, di ricondurre la misura del cerchio a quella della retta, era divenuta<br />

simbolo della stessa incarnazione di Dio che aveva unito insieme cielo e terra. Il cerchio era il<br />

simbolo primitivo e preistorico associato all' “uroboro”, ovvero al serpente che si morde la coda, al<br />

dio-Tempo, considerato perlopiù ciclico-circolare (ma anche complementarmente come rettilineo),<br />

all'unità primordiale di tutte le cose come di tutti gli opposti, del maschile e del femminile, del<br />

celeste e del terrestre, alla totalità.<br />

Nel XIII secolo, Il libro dei XXIV filosofi definiva Dio come sfera infinita e la bontà come<br />

movimento rettilineo ma all’interno di un cerchio: e questa metafora, come ci ricorda La sfera di<br />

Pascal di Jorge Luis Borges (in Altre inquisizioni), avrà ancora lunga fortuna. 42 Anche Descartes<br />

aveva inseguito il sogno della “quadratura del cerchio”, ma quasi subito lo aveva abbandonato come<br />

impresa impossibile per gli uomini e aveva avuto, invece, nel simbolo della croce, l'intuizione delle<br />

coordinate ortogonali della sua geometria analitica che avrebbero comunque permesso la<br />

rappresentazione del cerchio, attraverso la proiezione del suo raggio, in termini di rette.<br />

Descartes, che pure ammetteva che i moti reali fossero tutti necessariamente circolari o<br />

curvilinei, e dopo di lui Newton, che pure vedeva nella rotazione la sola traccia evidente<br />

dell'assolutezza del moto rispetto allo spazio assoluto di Dio, avevano infranto con il cerchio un<br />

simbolo più che millenario, primordiale. Era questa anche la conseguenza della supposta<br />

illimitatezza del mondo come materia inerte ovvero estensione spaziale indefinita che, sola, per<br />

Descartes, poteva essere specchio passivo della reale e attuale infinità di Dio.<br />

Il cristianesimo aveva spezzato l'idea della circolarità-ciclicità del tempo, ma, più che in una<br />

linearità come spesso affermato, in una reale discontinuità: l'avvento escatologico del regno di Dio.<br />

Già dal medioevo un mondo chiuso e in questo senso limitato sembrava una limitazione dell'infinita<br />

onnipotenza di Dio, e Nicola Cusano, poi seguito da Giordano Bruno, a cui Descartes si riferiva,<br />

aveva concepito il mondo come illimitato a immagine di Dio e all'infinito, come all'infinitesimo, il<br />

cerchio coincidente con la retta. La retta illimitata-infinita non era più allora simbolo<br />

d'imperfezione, ma anch'essa, come il cerchio, possibile simbolo del divino. E Keplero aveva<br />

sostituito ai cerchi le ellissi per i moti planetari.<br />

Ma Descartes aveva poi spezzato l'unità fra Dio e natura, fra spirito e materia, fra sogno e<br />

ragione, fra inconscio ed io cosciente dell'uomo, fra retta e cerchio: l'unico simbolo di questo Dio<br />

onnipotente che forza la natura passiva e inerte, di quest'uomo unico essere animato che di riflesso<br />

domina la natura e gli altri viventi inanimati, di questa creazione come materia del tutto necessitata<br />

da Dio e come umanità dotata non di libertà ma di servo arbitrio quando non perseveri nella retta<br />

via (retta deriva da regere, da rex, ed è arcaicamente la via regia, di un re divino; è la via che<br />

collega la terra al cielo, il maschile e il femminile del cosmo), di questa prospettiva epistemologica<br />

razionalistica, soggettivistica del cogito ergo sum, non può che essere il simbolo della retta ormai<br />

declinato solo patriarcalmente quale simbolo di potenza maschile, che non unisce più la terra al<br />

cielo o il maschile e il femminile, e che ha spazzato via ogni traccia della Natura animata quale<br />

“Grande Madre” che anche circolarmente cingeva in un abbraccio ogni vivente.<br />

Solo Leibnitz si era opposto e alla fisica di Descartes e alla fisica di Newton, aveva considerato tutti<br />

i moti equivalenti e relativi, era rimasto fedele ad un Dio, cristiano sì ma che aveva creato il mondo<br />

come dotato di libertà e di forza viva fin nei suoi ultimi costituenti individuali ma mai separabili e<br />

ciascuno specchio dell'armonia del tutto: la concezione meccanicistica di una natura passiva e inerte<br />

come una macchina era per lui mero ateismo.<br />

E per una sorta di 'compensazione' della storia fu un altro francese che fra fine Ottocento e<br />

inizio Novecento riscopri la fisica di Leibnitz, enunciò l'equivalenza e la relatività generale di tutti i<br />

moti, formulò prima dello stesso Einstein una dinamica di relatività speciale, e mostrò come anche<br />

42 Liber 24 philosophorum, a cura di P. Necchi, Il melangolo, Genova 1996; J. Luis Borges, Otras Inquisiciones,<br />

Emecé, Buenos Aires 1960, tr. it. di F. Tentori Montalto, Altre Inquisizioni, Feltrinelli, Milano 1963.


le geometrie non-euclidee, sviluppate nell'Ottocento, fossero un possibile 'linguaggio' della fisica:<br />

Poincaré. 43<br />

Einstein, senza citarlo che raramente, segui la via tracciata da questi, e con la relatività<br />

generale, costruita definitivamente fra il 1915 e il 1916, insediò la geometria non-euclidea, pseudoriemanniana,<br />

nella fisica. La retta illimitata non era più 'retta', ma curva e libera, ed il moto<br />

naturalmente curvo per la forza viva stessa della materia, senza alcun bisogno di forze impresse<br />

dall'esterno da un dio-re.<br />

La “religione cosmica” di Einstein, caratterizzata da un profondo sentimento di unità fra<br />

natura e Dio e della piccolezza dell'uomo come individuo separato, aveva soppiantato la rigida<br />

teologia calvinista seguita da Descartes e Newton: era la morte del dio-re meccanico annunciata<br />

dallo Zarathustra di Nietzsche.<br />

L’influenza di Spinoza su Einstein è maggiormente evidente nell’elaborazione della teoria<br />

della relatività generale. 44 Quando si studia la storia della relatività generale, come nel caso della<br />

relatività speciale e di altre teorie, come già detto, si inizia ad avere dubbi su che cosa sia: ciò che<br />

studiamo non appare più riconducibile ad un oggetto definito o pre-definito, si diversifica, si<br />

frammenta in una pluralità irricomponibile ad unità, si de-presentifica in un intreccio storico<br />

complesso. La polemica fra Einstein e Hilbert rende chiaro tutto ciò. Einstein, ancora una volta,<br />

come nel caso della relatività speciale, avrebbe voluto astrattamente prescindere da “ipotesi<br />

costruttive” sulla struttura della materia e dell’universo, e tralasciò, al contrario di Hilbert, di<br />

considerare l’origine elettromagnetica della materia per fare una “fisica dei principi” (la cui crisi<br />

Poincaré aveva già stigmatizzato nel 1904). Questa posizione, apparentemente generale e<br />

“neutrale”, corrisponde invece a “prendere partito” fra le differenti prospettive fondazionali della<br />

fisica e le differenti concezioni della Natura: la meccanica, astrattamente resa autonoma<br />

dall’elettromagnetismo ovvero dalla natura delle forze elettromagnetiche e della materia, modellata<br />

sul paradigma delle forze puramente posizionali e statiche della gravitazione newtoniana, è<br />

considerata la scienza prima, in cui poi verrà inquadrato l’elettromagnetismo. C’è quindi comunque<br />

un presupposto meccanicistico nascosto.<br />

La gravitazione è un effetto inerziale (Mach) o l’inerzia è un effetto gravitazionale:all’inizio,<br />

sembra che Einstein sia legato alla prima idea machiana, identificando la gravitazione con lo<br />

spazio-tempo e facendo dello spazio-tempo una variabile dinamica, un campo, ma determinato dalla<br />

materia. Come la forza è prodotta dalla materia, poi, a sua volta, questa forza agisce sulla materia e<br />

quindi lo spazio-tempo come campo gravitazionale/inerziale è solo un medium delle interazioni fra<br />

la materia. Alla fine, dopo le prime dimostrazioni, date già a partire dal 1917, che esistono soluzioni<br />

di vuoto, in assenza di materia, delle equazioni di campo della relatività generale, Einstein prenderà<br />

via via consapevolezza che questo spazio-tempo vuoto di materia può esistere ugualmente, che<br />

questo non comporta uno spazio-tempo assoluto ma si tratta di uno spazio-tempo che è (pieno di) un<br />

campo gravitazionale che esiste indipendentemente dall’esistenza della materia: supererà così l’idea<br />

della priorità della materia sul campo gravitazionale e cercherà di costruire una teoria di campo<br />

unificato.<br />

Questo sviluppo di posizioni di Einstein è proprio indicativo dell’influenza della teologia<br />

spinoziana: per Spinoza, contrariamente a Descartes, la materia non si riduce a estensione spaziale,<br />

ma materia e spazio sono entrambi i “modi” di un’unica sostanza divina che è attiva, in cui seppure<br />

materia e forma geometrica sono distinguibili, non sono separabili. 45 Posto uno dei due modi, si dà<br />

anche l’altro; il tempo è puro spazio, e la sostanza è eterna. Secondo Einstein, che segue Spinoza,<br />

non vi è materia inerte e passiva senza forma geometrica attiva (a cui è ricondotta la gravitazione),<br />

perché spinozianamente la Natura è Dio stesso, “Natura sive Deus”: la Natura non si riduce a<br />

materia inerte e passiva, c’è anche forma geometrica che è campo gravitazionale/inerziale che è<br />

43 H. Poincaré, Note sur les principes de la mécanique dans Descartes et dans Leibnitz, in W. G. Leibnitz, La<br />

monadologie, Delagrave, Paris 1880, pp. 225-231; H. Poincaré, La science et l’hypothèse, Flammarion, Paris 1902.<br />

44 M. Jammer, Einstein and Religion. Physics and Theology, Princeton University Press, Princeton 1999.<br />

45 B. Spinoza (1663-1675), Etica, Bollati Boringhieri, Torino 1959.


forza attiva. In un primo momento, per Einstein la materia viene logicamente prima della<br />

forma/forza e la determina, poi invece la forma/forza (lo spazio-tempo è comunque una variabile<br />

dinamica, e non qualcosa di meramente inerte e passivo) diventa indipendente e più importante<br />

della materia. La meccanica come disciplina viene prima delle altre e ne è indipendente, è questo il<br />

residuo di meccanicismo presente in Einstein; per il resto, Einstein, a parte il tentativo del 1905 di<br />

ridurre la radiazione elettromagnetica a corpuscoli materiali e la teoria di Maxwell a una teoria<br />

puramente statistica, 46 non sarà mai completamente meccanicista nel senso di ridurre la Natura a<br />

materia inerte e passiva.<br />

Al contrario di Descartes e di Newton e seguendo Spinoza, per Einstein la forza/potenza non<br />

appartiene solo a Dio, al Dio onnipotente della teologia della Riforma e specialmente calvinista,<br />

separato ed esterno alla Natura che sottomette la Natura alle sue leggi (e per Newton alle<br />

manifestazioni della Sua potenza nelle forze gravitazionali): la forza/potenza è invece interna alla<br />

Natura, perché Dio e Natura si identificano. Questo tratto spinoziano chiaramente derivava da una<br />

interpretazione della teologia di Bruno, che Bruno a sua volta riprendeva da Cusano.<br />

La relatività generale secondo Einstein non opera cartesianamente una riduzione della<br />

dinamica alla geometria, ma al contrario è la geometria ad essere ricondotta alla dinamica, tuttavia,<br />

la riduzione del tempo a spazio fa sì che la dinamica in ultima analisi sia ricondotta a una statica.<br />

Coerentemente, per Einstein anche l’universo deve essere statico, in quanto sostanza divina eterna e<br />

immutabile. La Natura non è inerte e passiva ma statica, con forze statiche: lo spazio-tempo non è<br />

in espansione, ma statico: fu questa prospettiva teologica di eternità e immutabilità divina della<br />

Natura-Dio che fece effettuare ad Einstein nel 1917, nelle sue Kosmologische Betrachtungen, 47 una<br />

modifica delle sue equazioni di campo, introducendo la cosiddetta “costante cosmologica” (che poi<br />

considerò il più grande errore della sua vita; oggi è invece il termine che permette alla relatività<br />

generale di dare conto delle osservazioni cosmologiche) che pensava potesse assicurare - oltre la<br />

compatibilità della relatività generale con il principio di Mach - la staticità dell’universo (cosa<br />

invero dimostratasi poi falsa: l'universo può essere chiuso o aperto, finito o indefinito in quanto allo<br />

spazio che si espande con la sua storia evolutiva, ma certamente 'curvo' e senza centro; e la<br />

rappresentazione copernicana del sistema solare è del tutto equivalente a quella tolemaica per la<br />

relatività generale del moto.).<br />

Anche se le forze gravitazionali della relatività generale non dipendono più dalla sola<br />

posizione come in Newton, ma anche dalla velocità e dall’accelerazione, il fatto che il tempo sia<br />

ridotto a una mera dimensione spaziale rende la prospettiva einsteiniana statica, in quanto le forze<br />

sono statiche perché velocità e accelerazioni sono mere funzioni di uno spazio quadrimensionale, e<br />

il tempo e il moto per Einstein non sono reali. Prima ancora di risalire, seppur correttamente, a<br />

Parmenide con Enriques e Popper, bisogna risalire a Spinoza per comprendere la prospettiva di<br />

Einstein, a Spinoza che aveva staticizzato il dinamismo del divenire di Bruno. 48<br />

A livello cosmologico, però, in almeno un elemento Einstein si distacca da Spinoza e da<br />

Bruno: il suo universo non è solo statico, ma sferico e finito seppure illimitato: in questo caso, vi è<br />

sì un ritorno a Parmenide, Platone ed Aristotele. Qui, a livello globale, la forma geometrica sferica<br />

dell’universo è assunta a priori, come conseguenza di una teologia statica, laddove invece, a livello<br />

locale, la forma geometrica era determinata da Einstein dalla materia (la metrica dal tensore<br />

energia-materia). E anche quando Einstein sarà costretto ad accettare l’idea dell’universo in<br />

espansione, riconsidererà l’espansione alla Spinoza, sub specie aeternitatis, in quanto per lui il<br />

tempo e il moto non sono reali.<br />

46<br />

A. Einstein, Ueber einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt,<br />

Annalen der Physik 17, 132 (1905); A. Einstein, Zur Theorie der Lichterzeugung und Lichtabsorption, Annalen der<br />

Physik 20, 199 (1906).<br />

47<br />

A. Einstein, Kosmologische Betrachtungen zur allgemeinen Relativitätstheorie, in Preussische Akademie der<br />

Wissenschaften, Sitzungsberichte, I, pp. 142-152.<br />

48<br />

F. Enriques, La relatività del movimento nell’antica Grecia, in Periodico di Matematiche, Marzo, 1921, pp.77-94,<br />

ristampato in A. Kopff , I fondamenti della relatività, Hoepli, Milano 1923, pp. 385-400.


Per inciso, è interessante notare anche la posizione di Hilbert: formalista in matematica, non<br />

lo era in fisica, ed è nella sua fisica che la sua prospettiva fondazionale viene stravolta. La fisica non<br />

è un mero gioco formale di simboli vuoti, in essa il significato è essenziale: nella sua formulazione<br />

della relatività generale, la forma geometrica non è data a priori e indipendentemente da una<br />

semantica fisica, che non è data da mera materia inerte e passiva, ma da un campo elettromagnetico<br />

attivo a cui è ricondotta l’origine della materia. Per Hilbert, qui, la forma geometrica non è più un<br />

“primum” e non può essere mai vuota (come nella versione di Einstein), ma è determinata sempre<br />

dal campo elettromagnetico all’origine della materia: la materia non è più la realizzazione o il<br />

modello semantico di una forma-idea geometrica vuota, ma la forma-idea geometrica è contingente,<br />

variabile dipendente dalla materia, ovvero dal campo elettromagnetico.<br />

L’idea di uno spazio-tempo curvo fu plausibile per Einstein - al di là degli sviluppi interni<br />

della matematica e della fisica legati al consolidamento delle geometrie non-euclidee e alle<br />

dimostrazioni di Poincaré della loro utilizzabilità in fisica e della loro compatibilità con un principio<br />

di relatività generale del moto ne La scienza e l’ipotesi – 49 perché la rettitudine rettificantegiustificante<br />

del Dio della teologia della Riforma, a cui si rifaceva pure Descartes nella sua<br />

giustificazione del principio d’inerzia di un moto rettilineo e uniforme, non andava più contrapposta<br />

alla deviazione curvilinea (dalla rettitudine) della Natura ridotta a materia, dovuta alle sue<br />

“inclinazioni” casuali; perché la forza inerziale centrifuga della Natura ridotta a materia inerte non<br />

doveva più essere corretta, rettificata in un’orbita chiusa circolare o ellittica, dall’esterno da Dio,<br />

come in Newton, da forze gravitazionali rette opposte (centripete) di caduta universale per creare e<br />

conservare l’ordine del mondo del sistema copernicano-kepleriano.<br />

Se la Natura è Dio, come per Spinoza, anche il moto curvilineo deve essere considerato<br />

naturale, e non dovuto al caso della materia o a un intervento esterno di Dio, ma implicito nella<br />

forma geo-metrica dell’universo e quindi dovuto alla forza (gravitazionale) interna alla Natura che<br />

si esplica in quella. È l’ordine geometrico globale, e non la rettilinearità che caratterizza la sostanza<br />

naturale divina per Spinoza; ed è a questo livello d’ordine geometrico globale che è possibile<br />

individuare la corrispondenza fra ordine cosmico e ordine etico, come esemplificato dall’etica di<br />

Spinoza, more geometrico demonstrata. Non ci sono per Einstein, conseguenze etiche della scienza,<br />

ma corrispondenza fra etica e scienza. L’ordine geometrico cosmico non è antropocentrico e a<br />

questo non può corrispondere un ordine etico antropocentrico: l’etica di Einstein è non specista e lo<br />

condusse al vegetarianesimo, 50 come anche alla valorizzazione dell’etica del rispetto di tutta la vita<br />

di Albert Schweitzer. 51<br />

La contemplazione di questo spinoziano ordine geometrico cosmico della Natura-Dio è per<br />

Einstein all’origine della religione cosmica, presentata in un saggio (Cosmic Religion) del 1931, 52<br />

che si emancipa dalla primitiva religione fondata sul terrore delle divinità o da quelle forme di<br />

religione antropocentriche interessate al destino individuale dell’uomo: all’origine della scienza<br />

stessa è quindi lo stesso spinoziano amor Dei intellectualis, che fa sì, secondo Einstein, che “la<br />

religione senza la scienza è zoppa, ma la scienza senza la religione è cieca”. La scienza non deve<br />

essere ridotta a tecnica di dominio della Natura, ma deve essere conoscenza della Natura-Dio: è<br />

49<br />

H. Poincaré, La science et l’hypothèse, Flammarion, Paris 1902, tr. it. a cura di G. Boniolo, in Opere epistemologiche,<br />

voll. I & II, Piovan, Abano (Pd) 1989.<br />

50<br />

"Although I have been prevented by outward circumstances from observing a strictly vegetarian diet, I have long<br />

been an adherent to the cause in principle. Besides agreeing with the aims of vegetarianism for aesthetic and moral<br />

reasons, it is my view that a vegetarian manner of living by its purely physical effect on the human temperament would<br />

most beneficially influence the lot of mankind". – Einstein's Letter to 'Vegetarian Watch-Tower', 27 December 1930 ,<br />

Einstein Archive 46-756; "So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It<br />

always seems to me that man was not born to be a carnivore." - Einstein's Letter to Hans Muehsam, 30 March 1954,<br />

Einstein Archive 38-435; the above quotations are from: The New Quotable Einstein, collected and edited by Alice<br />

Calaprice, Princeton University Press, Princeton 2005, pp. 281-282.<br />

51<br />

A. Schweitzer (1931), Aus meinem Leben und Denken, F. Meiner, Leipzig, tr. it. di A. Guadagnin, La mia vita e il<br />

mio pensiero, Comunità, Milano 1965.<br />

52<br />

A. Einstein, Cosmic Religion, Covici-Friede, New York 1931, pp. 43-54.


questa prospettiva che alla fine permetterà ad Einstein di liberarsi dalla concezione meccanicistica<br />

della Natura. La Teo-ria (dal greco, "teòs" e "orao") della relatività generale prima e del campo<br />

unificato poi è per Einstein, etimologicamente, reale visione-contemplazione di Dio.<br />

È per questa ragione che Einstein rifiutò spinozianamente la meccanica quantistica come una<br />

teoria incompleta, ripetendo più volte, e nello specifico nelle lettere a Max Born del 4 Dicembre<br />

1926 e del 7 Settembre 1944, 53 che “Dio non gioca a dadi”, o, come diceva già nel 1921 a proposito<br />

dell’etere, “Sottile è il Signore, ma non malizioso”, perché la Natura nasconde il suo segreto ma non<br />

per inganno. Secondo Einstein, seguendo Spinoza, l’ordine cosmico geometrico della Natura-Dio è<br />

perfettamente causale e deterministico e non può essere altrimenti perché appunto si tratta di Dio:<br />

tutto è assolutamente determinato, il libero arbitrio dell’uomo è un’illusione e la vera libertà sta<br />

nell’uniformarsi a tale ordine cosmico-etico geometrico.<br />

Questo presupposto teologico ha radici arcaiche nel mito, in particolare della Grande Madre<br />

Divina della Via Lattea come ho spiegato altrove, 54 ma derivò all’ebreo Spinoza certamente come<br />

un residuo della teologia cristiana della Riforma, della teologia luterana del servo arbitrio e della<br />

teologia calvinista della predestinazione, che privilegiava la considerazione della ragione in Dio<br />

rispetto a quella della volontà libera; la volontà libera, invece, imperscrutabile e imponderabile, del<br />

Suo Amore, non è rinchiudibile in qualsiasi forma pre-costituita: l’ordine cosmico divino può non<br />

essere prefissato e prevedibile, può essere complesso e evolutivo-temporale. 55<br />

È forse la deriva del modello cosmologico di Einstein che assumeva una forma geometrica a<br />

priori, mentre la teoria la rendeva dipendente dal moto effettivo della materia, a portare Einstein a<br />

credere in un ordine cosmico deterministico; e tale deriva è certamente connessa a un residuo<br />

meccanicistico di un moto della materia deterministico, a sua volta storicamente connesso a quel<br />

residuo di teologia della Riforma.<br />

La fisica del caos di Poincaré aveva nel frattempo, già a fine Ottocento, sconvolto la<br />

meccanica celeste: nessuna traiettoria esatta e continua del moto dei pianeti e degli astri è più<br />

determinabile, l'evoluzione temporale e il moto non sono più rappresentabili geometricamente e<br />

quindi “eliminabili retoricamente” in un’ellisse, in una parabola, in un'iperbole o in una qualsiasi<br />

configurazione geometrica statica.<br />

Una piccolissima perturbazione, finanche quella dovuta ad un frammento di cometa o ad una<br />

“stella cadente”, potrà provocare uno sconvolgimento maestoso delle orbite celesti attuali, come un<br />

battito d'ali di farfalla, qua e ora, potrà indurre una tempesta futura dall'altra parte della terra, come<br />

un sorriso o una carezza alla nostra nascita potrà cambiare il futuro delle nostre vite e dell'intera<br />

storia umana.<br />

La fisica dei quanti, inaugurata da Planck, Einstein e Poincaré, e realizzata poi da Bohr,<br />

Heisenberg, Born, Jordan, Pauli, Dirac e Schrödinger e da altri ancora, l'ha rivelato ancor più per il<br />

microcosmo: il moto di una qualsiasi particella di materia o di luce non è più geometricamente e<br />

meccanicamente rappresentabile. Lo spazio ed il tempo sono 'matrici quadrate infinite', in generale<br />

indeterminate e inconoscibili del tutto, e non si potrà mai più scrivere l’equazione di una traiettoria<br />

curva o retta che sia.<br />

Contrariamente a quanto pensava lo stesso Einstein, e come invece prefigurato poeticamente<br />

da Nietzsche che si rifaceva al Rig-Veda e a Eraclito, “Dio gioca a dadi” e, come ha scritto il<br />

cosmologo Stephen Hawking, a volte li getta dove non è possibile neanche vederli: è questo l’esito<br />

del ‘principio d’indeterminazione' di Heisenberg, teorema fondamentale della fisica dei quanti.<br />

Niels Bohr, anch’egli protagonista di questa rivoluzione, scelse ancora il cerchio, non più<br />

come forma di una traiettoria ormai impossibile, ma il cerchio dell'yin e dello yang come simbolo<br />

53<br />

A. Einstein, M. Born, H. Born, Briefwechsel 1916-1955, Nymphenburger, München 1969, tr. it. di G. Scattone,<br />

Einstein-Born. Scienza e vita, Einaudi, Torino 1973.<br />

54<br />

E. R. A. Giannetto, Saggi di storie del pensiero scientifico, Bergamo University Press, Sestante, Bergamo 2005, pp.<br />

23-36.<br />

55<br />

E. R. A. Giannetto, Saggi di storie del pensiero scientifico, Bergamo University Press, Sestante, Bergamo 2005, pp.<br />

377-401.


della 'complementarità' degli aspetti più profondi, quantistici, della totalità non-separabile della<br />

natura di cui anche noi siamo parte.<br />

La nuova fisica del Novecento è pervenuta all'irriducibilità del moto, del tempo e della<br />

Natura a qualsivoglia schema matematico-sperimentale deterministico, materialisticomeccanicistico<br />

e ci indica, come ha scritto Ilya Prigogine, una Nuova Alleanza fra Dio, uomo e<br />

Natura anche quale necessità di una nuova etica e di un nuovo modo di vivere nella viva Natura. 56<br />

56 I. Prigogine & I. Stengers, La Nouvelle Alliance. Métamorphose de la Science, Gallimard, Paris 1979, La nuova<br />

alleanza, ed. it. a cura di R. Morchio, Longanesi, Milano 1979 & ed. it. a cura di P. D. Napolitani, Einaudi 1981; E. R.<br />

A. Giannetto, Saggi di storie del pensiero scientifico, Bergamo University Press, Sestante, Bergamo 2005, pp. 477-479.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!