Sardegna…tracce del passato
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<strong>del</strong>l’Africa. Quando i romani tagliarono la sommità <strong>del</strong>la collina per ampliare l’area <strong>del</strong>la Byrsa,<br />
gettarono i detriti a valle, ricoprendo con uno strato alto sette metri che sigillò le strutture puniche,<br />
quelle <strong>del</strong>l’ultima fase <strong>del</strong>l’urbanizzazione. L’ambiente abitativo è quindi ben conservato.<br />
Le strutture puniche più recenti sono state usate solo per circa 50 anni, e oggi possiamo studiare<br />
la tipologia <strong>del</strong>l’edilizia popolare di quell’epoca. Una missione archeologica francese ha scavato la<br />
zona e sotto tonnellate di detriti è stato ritrovato il quartiere cartaginese <strong>del</strong>la Byrsa. Secondo<br />
Appiano le case erano alte fino a sei piani con alzato in mattoni crudi e soffitti in legno. Le case<br />
presentano una pianta caratteristica: si affacciano su una corte centrale interna dalla quale<br />
prendono luce, aria e acqua grazie alle cisterne nelle quali confluiva l’acqua piovana che veniva<br />
canalizzata. L’ingresso è collegato alla corte attraverso un corridoio. La fronte <strong>del</strong>la casa, quella<br />
sulla strada, era occupata da alcuni vani che generalmente erano destinati alle attività<br />
economiche, dunque aperti al pubblico o agli animali. Gli ambienti interni al pianterreno erano<br />
quelli di vita: cucina e locali per vivere, mentre la notte si andava nei piani alti per dormire.<br />
Le case erano costruite su uno zoccolo in pietra grossa e alzato in mattoni crudi cementati con<br />
malta di fango. I muri erano intonacati con calce, anche per garantire che l’acqua piovana non si<br />
infiltrasse nelle camere. Gli alzati probabilmente erano progressivamente più sottili perché<br />
dovevano reggere un peso minore. Le scale mostrano la presenza <strong>del</strong>la zona notte. La copertura<br />
<strong>del</strong> tetto con lastre di pietra a doppio spiovente convogliava l’acqua piovana in canalette che la<br />
indirizzavano poi verso la cisterna. Lo smaltimento <strong>del</strong>le acque reflue avveniva con dei canali che<br />
confluivano nella strada dove lo scarico era assicurato da pozzetti. Ogni casa aveva la sua<br />
cisterna realizzata con intonaco idraulico e spigoli stondati per una più agevole pulizia. Se vi era un<br />
banco roccioso sotto la casa veniva scavato un vano per ottenere la cisterna, altrimenti si scavava<br />
il terreno e si costruiva un muretto con blocchetti, a loro volta rivestiti in argilla. Le cisterne erano<br />
chiuse con lastre a piattabanda e avevano un pozzetto per attingere l’acqua. L’intonaco con il<br />
quale si rivestiva l’interno <strong>del</strong>la cisterna era grigio perché era costituito da malta, inerti e piccoli<br />
carboncini per aumentare l’impermeabilizzazione. In alternativa si utilizzava il cocciopisto,<br />
materiale utilizzato anche per il tipico pavimento punico. Per ottenerlo si miscelavano degli inerti,<br />
calce e frammenti di ceramica che sono quelli che danno il colore rosato. Le strade, ortogonali,<br />
erano in terra battuta e per recuperare la pendenza presentano scale, quindi non erano percorse<br />
da carri. Le fonti parlano di una Cartagine <strong>del</strong> II a.C. in forte declino ma i riscontri archeologici, a<br />
partire dalle strutture portuali, descrivono una realtà completamente diversa e mostrano una città<br />
fiorente. Attorno alla città bassa si sviluppano le necropoli. Le più arcaiche sono quelle di Byrsa,<br />
Dermech, Duimès, Santamonica e Odeòn.<br />
Come per Tharros, Ibiza e Cagliari, la necropoli è quella che è stata depredata per prima perché<br />
proprio in questi luoghi si trovano materiali integri e spesso pregiati. Soprattutto nel corso <strong>del</strong> 1800<br />
gli scavi avevano ideali differenti da quelli odierni: si cercavano materiali esotici, c’era un gusto<br />
antiquario, l’archeologia era una specie di caccia al tesoro.<br />
Un personaggio importante a Cartagine era Padre Delacr, un sacerdote che alla fine <strong>del</strong>l’Ottocento<br />
ha scavato centinaia di tombe ma, non essendo archeologo, decontestualizzava i reperti per cui<br />
oggi è difficile ricostruire i contesti. Verso la metà <strong>del</strong> 1800 sulla Byrsa è stata impiantata una<br />
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