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Girolamo Francesco Maria Mazzola Il parmigianino Esoterism…

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29/05/2012 - 20.14 <strong>Girolamo</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Maria</strong> <strong>Mazzola</strong> <strong>Il</strong> <strong>parmigianino</strong> Esoterismo Occultismo Magia Astrologia<br />

<strong>Girolamo</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Maria</strong> <strong>Mazzola</strong> <strong>Il</strong> <strong>parmigianino</strong> Esoterismo Occultismo Magia<br />

Astrologia<br />

L'alchimista di Pieter Bruegel il Vecchio<br />

La trasmutazione dei metalli di base in oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir o<br />

quintessenza o pietra dei filosofi o tintura rossa) simboleggia un tentativo di arrivare alla<br />

perfezione e superare gli ultimi confini dell'esistenza. Gli alchimisti credevano che l'intero<br />

universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l'oro, per la sua intrinseca natura di<br />

incorruttibilità, era considerato la sostanza che più si avvicinava alla perfezione. Era anche<br />

logico pensare che riuscendo a svelare il segreto dell'immutabilità dell'oro si sarebbe ottenuta la<br />

chiave per vincere le malattie ed il decadimento organico; da ciò l'intrecciarsi di tematiche<br />

chimiche, spirituali ed astrologiche che furono caratteristiche dell'alchimia medievale.<br />

La scienza dell'alchimia ebbe inoltre una notevole evoluzione nel tempo, iniziando quasi come<br />

un'appendice metallurgico-medicinale della religione, maturando in un ricco coacervo di studi,<br />

trasformandosi nel misticismo ed alla fine fornendo alcune delle fondamentali conoscenze<br />

empiriche nel campo della chimica e della medicina moderne.<br />

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Fino al XVIII secolo, l'alchimia era considerata una scienza seria in Europa; per esempio, Isaac<br />

Newton impiegò molto più tempo allo studio dell'alchimia piuttosto che a quello dedicato<br />

all'ottica o alla fisica, per le quali divenne famoso. Tuttavia Newton mantenne sempre un<br />

notevole riserbo intorno ai suoi studi alchemici, e non pubblicò mai opere sull'argomento. Fu<br />

l'economista John Maynard Keynes che nel 1936 rese pubblici manoscritti newtoniani<br />

sull'alchimia, dei quali era entrato in possesso ad un'asta.<br />

Altri eminenti alchimisti del mondo occidentale furono Ruggero Bacone, http://goo.gl/QSvu4<br />

http://goo.gl/Nbzy5 il Parmigianino, http://goo.gl/HM8Ff http://goo.gl/ZfEHg Thomas Browne,<br />

e non ultimo Cagliostro. http://goo.gl/nv3xM http://goo.gl/a8qnl Si interessarono di alchimia<br />

anche San Tommaso d'Aquino e Giordano Bruno. http://goo.gl/W4m7G http://goo.gl/XjvUn<br />

<strong>Il</strong> declino dell'alchimia iniziò nel XVIII secolo con la nascita della chimica moderna, che fornì una<br />

più precisa e reale struttura per le trasmutazioni della materia, e la medicina, con un nuovo<br />

grande disegno dell'universo basato sul materialismo razionale.<br />

<strong>Il</strong> laboratorio dell'Alchimista di Giovanni Stradano, Studiolo di <strong>Francesco</strong> I nel Palazzo Vecchio<br />

a Firenze.<br />

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E' in questo periodo che viene pubblicata la prima storia dell'alchimia, nel 1561 a Parigi.<br />

L'autore è Robert Duval<br />

Anche molti artisti, come per esempio il Parmigianino, e persino personalità politiche del periodo<br />

si interessarono all'alchimia. Tra questi: Caterina Sforza, <strong>Francesco</strong> I de' Medici, nel cui studiolo<br />

di Palazzo Vecchio fece dipingere allegorie alchimistiche da Giovanni Stradano, e Cosimo I de'<br />

Medici<br />

In Inghilterra, l'alchimia nel XVI secolo è spesso associata al dottor John Dee (1527-1608, meglio<br />

conosciuto per il suo ruolo di astrologo, crittografo ed in generale "consulente scientifico" della<br />

regina Elisabetta I d'Inghilterra. Dee si interessò anche di alchimia tanto da scrivere un libro<br />

sull'argomento (Monas Hieroglyphica, 1564 influenzato dalla Cabala<br />

<strong>Il</strong> Parmigianino e l'alchimia<br />

Andrea De Pascalis - Giornalista, Saggista<br />

Intorno ai rapporti di <strong>Francesco</strong> <strong>Mazzola</strong> detto il Parmigianino (1503-1540) con la scienza<br />

alchemica, desunti da attendibili fonti storiche e per lungo tempo dimenticati, da alcuni anni si è<br />

molto detto e scritto. <strong>Il</strong> breve saggio di Andrea De Pascalis vuole riassumere i punti principali a<br />

favore e contro l'ipotesi di un'interpretazione alchemica delle opere del Parmigianino<br />

<strong>Francesco</strong> <strong>Mazzola</strong> detto il Parmigianino, Autoritratto in specchio convesso (1524 circa).<br />

1. Le fonti<br />

Ne Le Vite, edizione del 1550, Vasari attribuisce al Parmigianino un interesse così forte e<br />

dissennato per l'alchimia da averlo condotto alla rovina:<br />

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Ma il cervello, che aveva a continovi ghiribizzi di strane fantasie, lo tirava fuor de l'arte: potendo<br />

egli guadagnare quello oro, che egli stesso avrebbe voluto: con quello che la natura nel dipignere,<br />

e'l suo genio gli avevano insegnato. Et volse con quello, che non potè mai imparare, perdere la<br />

spesa e il tempo, et farsi danno alla propria vita. Et questo fu ch'egli stillando cercava l'archimia<br />

dell'oro, et non si accorgeva lo stolto, ch'aveva l'archimia nel far le figure; le quali con pochi<br />

imbratamenti di colori, senza spesa, traggono de le borse altrui le centinaia de gli scudi. Ma egli<br />

in questa cosa invanito, et perdutovi il cervello, sempre fu povero; e tal cosa gli fe' perdere tempo<br />

grandissimo, et odiarlo da infiniti, che più per il suo danno, che per il loro bisogno, di ciò si<br />

dolevano...<br />

L'interesse del Parmigianino per l'alchimia è collocato da Vasari in un'epoca ben precisa della<br />

vita del pittore, quella più estrema:<br />

Poi si tolse a fare alla Madonna della Steccata una opera grandissima a fresco...In questo tempo<br />

si diede all'alchimia, et pensando in breve arricchirne, tentava di congelare il Mercurio...<br />

<strong>Il</strong> lavoro alchemico avrebbe provocato il dissesto economico e la rovina mentale dell'artista, che<br />

sempre più trascurava i pennelli per dedicarsi alle manipolazioni alchemiche:<br />

Perché tenendo egli di molti fornelli et spese, non poteva riscuotere tanto dell'opera, quanto in<br />

tal cosa consumava. La qual pazzia fu cagione, ch'egli lasciato per dilettazione di tal novella, la<br />

utilità e il nome dell'arte propria, per la finta et vana, in malissimo disordine della vita e<br />

dell'animo si condusse.<br />

Presto l'interesse per l'alchimia divenne così esclusivo da impedire di concludere il lavoro alla<br />

Steccata, incorrendo nelle ire dei committenti, che si rivolsero alla giustizia:<br />

Là onde egli non potendo resistere, una notte si partì di Parma; et con alcuni suoi amici si fuggì<br />

a San Secondo; et quivi incognito dimorò molti mesi, di continuo alla alchimia attendendo. Et<br />

perciò aveva preso aria di mezzo stolto; et già la barba e i capelli cresciutigli, aveva più viso<br />

d'uomo salvatico, che di persona gentile come egli era.<br />

Sempre secondo la testimonianza di Vasari, l'alchimia fu indirettamente la causa della morte<br />

dell'artista, poiché, essendosi il Parmigianino riavvicinato a Parma, i committenti lo fecero<br />

imprigionare, costringendolo alla promessa di dar fine all'opera.<br />

Ma fu tanto lo sdegno che di tal cattura prese, che accorandosi di dolore, dopo alcuni mesi si morì<br />

d'anni XXXI...<br />

L'edizione 1568 de Le Vite tratteggia in modo più dettagliato le condizioni del Parmigianino alle<br />

prese con la febbre per l'alchimia:<br />

Intanto cominciò <strong>Francesco</strong> a dismettere l'opera della Steccata, o almeno a fare tanto adagio, che<br />

si conosceva che v'andava di male gambe; e questo avveniva, perché avendo cominciato a<br />

studiare le cose dell'alchimia, aveva tralasciato del tutto le cose della pittura, pensando di dover<br />

tosto arricchire, congelando mercurio ... e non avendo altra entrata, e pur bisognandogli anco<br />

vivere, si veniva così consumando con questi suoi fornelli a poco a poco...<br />

In questa versione de Le Vite il Parmigianino, abbandonata la Steccata dopo la lite con i<br />

committenti, fuggì a Casal Maggiore,<br />

dove uscitogli alquanto di capo l'alchimie, fece per la chiesa di Santo Stefano, in una tavola la<br />

nostra Donna in aria, e da basso San Giovanbattista e Santo Stefano...<br />

Fu una breve tregua, poiché<br />

<strong>Francesco</strong>, finalmente, avendo per sempre l'animo a quella sua alchimia, come gli altri che le<br />

impazzano dietro una volta, ed essendo di delicato e gentile, fatto con la barba e chiome lunghe e<br />

malconce, quasi un uomo salvatico ed un altro da quello che era stato, fu assalito, essendo mal<br />

condotto e fatto malinconico e strano, da una febbre grave e da un flusso crudele, che lo fecero in<br />

pochi giorni passare a miglior vita...<br />

A condurre l'artista alla tomba non sarebbe stato dunque il dispiacere per l'essere stato condotto<br />

in prigione, ma una malattia caratterizzata da malinconia e febbre.<br />

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2. La fine del Parmigianino: testimonianza storica o stereotipo letterario?<br />

La testimonianza del Vasari non è accettata da tutti. D'altro canto, la tradizione del<br />

Parmigianino alchimista tramandataci da Vasari non non era unanime, se appena sette anni<br />

dopo la prima edizione de Le Vite, in Dialogo della pittura intitolato l'Aretino (Venezia 1557) L.<br />

Dolce scriveva che:<br />

<strong>Il</strong> Parmigianino fu incolpato a torto ch'egli attendesse all'alchimia...<br />

M. Fagiolo Dell'Arco e altri autori prima di lui rifiutano la versione del Dolce ritenendo che essa<br />

nascesse da un atteggiamento moralistico: a loro avviso, L. Dolce condivideva l'opinione di quanti<br />

nel suo tempo consideravano l'alchimia un'arte eticamente riprovevole, e smentiva di proposito<br />

la fama alchimistica del Parmigianino per non screditare la figura dell'artista.<br />

È anche vero che la versione di Vasari è avvalorata da un'altra attendibile fonte quasi coeva,<br />

Edoari da Herba, che ricorda il Parmigianino come "peritissimo alchimista".<br />

Se consideriamo l'effettiva posizione dell'alchimia nella società europea del XVI secolo, troviamo<br />

che le motivazioni addotte per rifiutare la testimonianza di L. Dolce sono labili. L'alchimia non<br />

fu mai considerata arte eticamente illecita, salvo nei casi in cui essa fu piegata alla falsificazione<br />

dei metalli a scopo di lucro. Nel XIV e XV secolo la questione della liceità dell'alchimia era stata<br />

ampiamente soppesata da teologi e giuristi: i primi tendevano a ritenere l'alchimia una scienza<br />

falsa ma non magica o diabolica (tale era la posizione espressa, ad esempio, nel 1486-1487 nel<br />

manuale inquisitoriale Malleus Maleficarum di H. Institor e J. Sprenger); i secondi si schierano<br />

pressoché unanimemente per la liceità dell'alchimia, al punto che sul finire del XV secolo<br />

Hyeronimus de Zanetinis prendeva atto dell'esistenza di una tradizione giuridica di due secoli a<br />

favore dell'alchimia.<br />

D'altro canto, per gli stessi motivi la testimonianza del Vasari sull'interesse del Parmigianino<br />

per l'alchimia non può essere rifiutata a priori. I rapporti tra pittura e alchimia nel XV/XVI<br />

secolo sono stati ormai ampiamente dimostrati. Pittori alchimisti furono van Eyck e Beccafumi.<br />

E di Cosimo Rosselli (1439-1507) lo stesso Vasari scrive che:<br />

La sua passione per l'alchimia fu causa ... che lo condusse ad un'estrema povertà.<br />

Semmai questa seconda testimonianza del Vasari, riferita a Rosselli e anch'essa centrata<br />

sull'interesse per l'alchimia come fattore che conduce l'artista alla rovina, dovrebbe costringerci<br />

a chiederci quanto siano attendibili i dettagli vasariani sulla fine del Parmigianino. Dai brani<br />

sopra citati, dal loro tono, appare chiaro che Vasari ritiene l'alchimia una scienza illusoria. Nella<br />

cultura europea del Medioevo e del Rinascimento l'alchimia fu accolta con sentimenti<br />

contrastanti.<br />

Se da un lato l'alchimia fa studiata o praticata anche da principi e re, dall'altro essa non riuscì a<br />

entrare nelle università, dove pure era accolta e insegnata l'astrologia. Come si già detto, i<br />

teologi tendevano a considerare l'alchimia una falsa scienza, in ciò seguendo il giudizio di<br />

Tommaso d'Aquino, per il quale l'alchimia era una scienza teoricamente possibile ma i cui<br />

procedimenti di imitazione della natura molto difficilmente potevano essere realizzati in<br />

laboratorio.<br />

Sulla liceità dell'alchimia non disputavano solo teologi e giuristi. Anche eruditi e uomini di<br />

scienza polemizzavano spesso se l'alchimia fosse scienza vera o falsa, e su questo problema<br />

scrissero dei trattati.<br />

<strong>Il</strong> più noto di questi testi era la Pretiosa margarita novella, opera scritta nel 1330 circa dal<br />

medico lombardo Pietro Bono e ancora molto nota all'epoca del Parmigianino, tanto da essere<br />

stampata a Venezia nel 1546. E nel 1544 fu scritto a Firenze Questione sull'alchimia di<br />

Benedetto Varchi, che discettava se l'alchimia fosse "vera e lodevole, o falsa e biasimevole".<br />

I dubbi sull'alchimia erano stati accolti da figure di spicco della cultura europea del XIV-XVI<br />

secolo, ispirando un modello letterario che raffigurava l'aspirante alchimista come un disgraziato<br />

che va incontro alla rovina personale e sociale.<br />

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Nel De remediis utriusque fortunae, del 1366 circa, <strong>Francesco</strong> Petrarca scriveva:<br />

Individui ricchissimi si consumano per tale futilità.<br />

E mentre si sforzano di diventare più ricchi, dedicandosi a questa brutta faccenda, gettano via<br />

malamente le ricchezze guadagnate bene.<br />

E infine, avendo speso così i loro averi, viene loro a mancare perfino quanto è necessario ai più<br />

elementari bisogni. Alcuni, evitando la conversazione degli altri cittadini, se ne stanno in<br />

disparte, angosciati e addolorati, avendo preso l'abitudine di non pensare ad altro che ai mantici,<br />

alle pinze e ai carboni, e di non frequentare altri che non appartengano alla stessa eretica<br />

consorteria; e quasi diventano uomini selvatici. Alcuni, avendo smarrito dapprima la luce della<br />

ragione, hanno poi perso anche la luce degli occhi in questo esercizio.<br />

Per Petrarca la pratica dell'Arte conduce al disordine della vita individuale e familiare. Egli così<br />

avverte l'aspirante alchimista:<br />

La tua casa si riempirà di ospiti strani e di apparecchi bizzarri. Si riempirà di mangioni e di<br />

beoni ... di bugiardi, di impostori e di soffiatori ... In ogni angolo della casa vi saranno bacinelle,<br />

fiale e bocce piene di acqua fetida, di erbe sconosciute, di strani sali, solfo, alambicchi e fornelli...<br />

Vi saranno affanni inutili, stoltizia, squallore del viso e caliggine degli occhi ... Condurrai la tua<br />

vita con vergogna e con biasimo, lavorando di notte, nascondendoti come i ladri.<br />

Anche per Geoffrey Chaucer - ne il Racconto del famiglio del canonico, uno del Canterbury Tales,<br />

1388 - l'alchimia è una "dannata" e "balorda scienza sfuggente", che riduce sul lastrico coloro che<br />

la perseguono, e gli alchimisti vi sono descritti come individui che ovunque si rechino possono<br />

essere riconosciuti per l'odore di zolfo che emanano e per il loro aspetto male in arnese.<br />

Lo stereotipo letterario dell'alchimista folle si rinforzò nei decenni a cavallo tra XV e XVI secolo.<br />

Nel 1494 fu pubblicato a Basilea il poema satirico-didascalico Narrenschiff (Nave dei folli) di<br />

Sebastian Brant, che metteva alla berlina anche quanti desideravano arricchirsi con "la brutta<br />

menzogna dell'alchimia", riuscendo soltanto a ridurre in polvere e cenere le loro ricchezze.<br />

Nell'Elogio della follia (1511) di Erasmo da Rotterdam gli alchimisti sono:<br />

Coloro che con nuove e misteriose arti cercano di trasformare la specie naturale delle cose e<br />

vanno a caccia per terra e per mare di una misteriosa quintessenza.<br />

Questa dolce speranza li domina tanto che non retrocedono davanti ad alcuna fatica né spesa, e<br />

con meravigliosa inventiva escogitano ogni volta qualcos'altro, e, se s'ingannano, godono persino<br />

della delusione, finché, sfumato tutto il loro avere, non hanno più neanche il necessario per<br />

costruirsi una stufetta.<br />

D'altro canto, queste raffigurazioni letterarie dell'alchimista corrispondevano ad una realtà<br />

precisa.<br />

Nel De secretissimo philosophico opere chemico, attribuito all'alchimista tedesco Bernardo di<br />

Treves e certamente scritto nella seconda metà del XV secolo [11], l'autore descrive la vicenda<br />

della propria ricerca alchimistica come un ininterrotto dilapidare per decenni le sostanze di<br />

famiglia in inutili esperimenti.<br />

<strong>Il</strong> presunto Bernardo di Treves descrive l'alchimia dell'epoca come una specie di follia collettiva<br />

che aveva investito l'Europa:<br />

Ho visto molti uomini, anzi infiniti, che si affaticavano in queste amalgamazioni e nelle<br />

moltiplicazioni al bianco e al rosso, con tutte le materie immaginabili...<br />

Ad un certo punto la vergogna del fallimento è tale che:<br />

Per la qualcosa, non potendo quasi né bere né mangiare, diventai così magro che tutti pensavano<br />

fossi stato intossicato da qualche veleno...<br />

Parmigianino apparteneva realmente alla schiera degli "infiniti" che "congelavano il mercurio"<br />

fino all'autodistruzione fisica o il Vasari volle soltanto rappresentare la morte dell'artista - in<br />

realtà dovuta a qualche malanno ignoto - secondo lo stereotipo letterario sull'alchimia così in<br />

voga nel suo tempo? Alla luce degli elementi disponibili, entrambe le ipotesi sembrano possibili.<br />

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La Madonna dal collo lungo (1534).<br />

3. Alchimia e ermetismo nella cultura europea (XII-XVI sec.)<br />

In che cosa consisteva la ricerca alchemica all'epoca del Parmigianino?<br />

L'alchimia era arrivata in Europa alla metà del XII secolo, con le traduzioni in latino effettuate<br />

sui testi arabi, in Spagna. Prima di quest'epoca erano giunti in Europa da Bisanzio solo pochi<br />

trattati ellenistici sulle tinture dei metalli. E infatti nella prefazione alla propria traduzione in<br />

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latino del testo arabo poi noto come Libro di re Khalid, effettuata nel 1144, Roberto di Chester<br />

scriveva:<br />

Cosa sia l'alchimia, e quale sia la sua composizione, che la latinità non ha ancora conosciuto, lo<br />

spiegherò in questo libro.<br />

L'alchimia araba era a sua volta l'erede dell'alchimia ellenistica, fiorita in Egitto nei primi secoli<br />

della nostra era. La questione delle origini dell'alchimia è complessa, e la discussione delle<br />

diverse ipotesi esula da questa sede. È appena necessario sapere che l'alchimia nacque<br />

dall'incontro in Egitto tra tecniche artigianali di lavorazione e di falsificazione dei metalli,<br />

speculazioni magico mistiche orientali (persiane e forse ebraiche) e la gnosi ermetica. Già nelle<br />

prime opere di alchimia a noi note (trattati di Zosimo di Panopolis, il Libro di Comario, etc. [15] ) la<br />

ricerca della trasmutazione dei metalli vili in oro si sovrappone e si confonde con quella della<br />

rigenerazione spirituale dell'operatore. Come il metallo vile viene fatto morire nel crogiolo perché<br />

possa rinascere purificato come metallo perfetto e immortale (l'oro), così - su un diverso piano -<br />

l'alchimista persegue un processo di morte e purificazione spirituali per riconquistare la<br />

perfezione dell'uomo edenico. Nell'ellenistico <strong>Il</strong> libro di Comario mezzo di tale duplice<br />

trasformazione è un pharmakon di vita che si ottiene con il lavoro alchemico.<br />

Se l'alchimia (o Arte sacra, come la chiamavano gli alchimisti ellenistici) era certamente ispirata<br />

dalla gnosi ermetica, è altrettanto certo che tra i testi ermetici propriamente detti (posti cioè<br />

sotto il nome di Hermes Trismegisto) a noi noti esistono libri di magia e di astrologia, ma non un<br />

solo testo di alchimia. Anche se Hermes viene indicato come padre dell'Arte sacra dallo stesso<br />

Zosimo, ermetismo e Arte sacra non sono sinonimi.<br />

Dall'Egitto ellenistico l'alchimia si attestò in Siria, dove probabilmente si arricchì di elementi<br />

dottrinari provenienti dall'estremo Oriente, e da lì fu assorbita dalla cultura araba. Anche tra gli<br />

arabi l'alchimia fu un insieme inestricabile nella cui letteratura i segreti sulla lavorazione dei<br />

metalli si mischiano a quelli che dovrebbero consentire all'alchimista di riconquistare la<br />

perfezione primordiale.<br />

Per qualche tempo l'alchimia latina conobbe soltanto le traduzioni dei testi arabi, come le opere<br />

di Jabir, la Tavola smeraldina, la Turba dei Filosofi, etc. Agli inizi del XIII secolo apparvero i<br />

primi testi originali di alchimia latina, compresi alcuni trattati presentati come traduzioni di<br />

libri di Jabir (latinizzato Geber) ma in realtà scritti da un europeo.<br />

All'epoca del Parmigianino i testi di riferimento erano costituiti dalle traduzioni dall'arabo sopra<br />

citate, dai libri del falso Geber, dalle opere di Arnaldo di Villanova, dello pseudo Raimondo Lullo,<br />

di Giovanni di Rupescissa, di Bernardo di Treves.<br />

Nei trattati di alchimia latina sono prevalenti (o forse sono più evidenti) gli aspetti tecnici legati<br />

alla lavorazione dei metalli rispetto alle pretese magico-mistiche, anche se ad una più profonda<br />

lettura alcuni di essi sono interpretabili anche come tecniche di manipolazioni delle energie<br />

psicofisiche, in linea con le pretese di parte dell'alchimia cinese, ellenistica ed araba.<br />

Capisaldi teorici della prima alchimia latina sono: l'unità della materia; i due princìpi (Solfo e<br />

Argento vivo); la teoria dell'evoluzione dei metalli (che nella miniera si trasformano da<br />

imperfetti a perfetti grazie agli influssi delle forze naturali, per cui l'alchimista non fa altro che<br />

riprodurre in laboratorio, con ritmo accelerato, l'opera della natura); la suddivisione delle<br />

operazioni in sette o più fasi (caratterizzate da cambiamenti di colore della materia lavorata, di<br />

cui le principali sono nigredo, albedo e rubedo); la fabbricazione della Pietra filosofale e/o<br />

dell'Elisir al rosso come obiettivo finale della ricerca.<br />

Questo sistema rimase pressoché immutato fino a Paracelso (1493 o 1494-1541), che spostò<br />

l'accento dell'alchimia sugli aspetti naturalistici e medici, facendo dell'alchimia una scienza<br />

finalizzata non più alla fabbricazione dell'oro ma alla preparazione di medicine per curare i<br />

malati. Da un punto di vista tecnico Paracelso http://goo.gl/yrvNb http://goo.gl/5UKGg non fu<br />

un innovatore, poiché riprese idee e scoperte di Villanova, Rupescissa, lo pesudo Lullo. Fu<br />

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soltanto con Paracelso però che i due principi costitutivi della materia (Solfo e Mercurio o<br />

Argento Vivo) divennero tre (i tria prima) con l'aggiunta del Sale (principio "neutro") ai primi<br />

due. I libri di Paracelso divennero noti dopo la sua morte. Ne consegue, ad esempio, che il<br />

Parmigianino non poteva conoscerli e che l'alchimia cui si dedicò era quella pre-paracelsiana,<br />

basata su due soli principi costitutivi della materia.<br />

L'epoca di Parmigianino, invece, fu quella della riscoperta della filosofia ermetica che fece<br />

seguito alla traduzione in latino (dal greco) - da parte di Marsilio Ficino - del Corpus<br />

Hermeticum, raccolta di 17 trattati attribuiti al mitico Hermes Trismegisto importata nella<br />

Firenze di Cosimo dei Medici nel 1460 dall'impero di Bisanzio.<br />

Fino ad allora si era attribuita ad Hermes grande fama, ritenendolo un sapiente realmente<br />

vissuto in tempi remoti, il quale secondo l'interpretazione di Lattanzio (III-IV secolo) aveva<br />

addirittura profetizzato l'avvento del Cristo. Nel contempo tra gli scritti ermetici si conosceva<br />

solo il Pimandro e qualche frammento. La traduzione del corpus fece diventare l'ermetismo una<br />

filosofia alla moda nel mondo rinascimentale. Influenzata dall'ermetismo nacque una magia<br />

rinascimentale dotta, che soppiantò la vecchia magia diabolica e popolare dei grimori. In questo<br />

spirito erano nate la qabbalah cristiana di Pico della Mirandola (1463-1494) e la occulta<br />

philosophia di Cornelio Agrippa http://goo.gl/pDVKx http://goo.gl/zFl6W (1486-1535). Imbevuto<br />

di ermetismo, neoplatonismo e qabbalah (oltre che della "vecchia" astrologia), il mago<br />

rinascimentale divenne un sapiente che mirava alla conoscenza suprema, usando strumenti<br />

come la meditazione sui simboli e le speculazioni sui numeri e le lettere dell'alfabeto.<br />

L'alchimia pre-paracelsiana, anche se imbevuta fin dall'origine di filosofia ermetica, non può<br />

essere identificata con la magia rinascimentale. Inizialmente le rimase estranea, tanto che né<br />

Pico della Mirandola né Marsilio Ficino furono realmente interessati all'alchimia, anche se ad<br />

entrambi furono attribuiti alcuni apocrifi.<br />

Alchimia e magia ermetico-qabbalistica acquisirono connessioni più strette soltanto con Cornelio<br />

Agrippa e, in maggior grado, con John Dee (1527-1587), che diede vita ad un'alchimia più<br />

speculativa che pratica.<br />

Per tutti questi motivi l'alchimia cui eventualmente si dedicò Parmigianino era ancora<br />

un'alchimia pratica, interessata soprattutto a distillare e calcinare le più diverse sostanze per<br />

estrarne Solfo e Argento Vivo purificati. Ed è appunto quanto testimonia Vasari.<br />

Ritratto del conte Galeazzo Sanvitale (1524).<br />

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4. Sul simbolismo di alcune opere<br />

Chi ha ricercato tracce di simbolismo alchemico nelle opere del Parmigianino si è soffermato<br />

soprattutto sul ritratto del conte Sanvitale (1524), sull'affresco ispirato al mito di Atteone a<br />

Fontanellato (1524) e sulla decorazione incompiuta della Chiesa di Santa <strong>Maria</strong> della Steccata,<br />

affidata al pittore nel 1531.<br />

Bisogna notare, anzitutto, che se si presta fede a Vasari le prime due opere furono eseguite<br />

alcuni anni prima che il pittore cominciasse ad interessarsi all'alchimia.<br />

<strong>Il</strong> ritratto Sanvitale. Comunque, ad attirare l'attenzione generale di quanti hanno cercato i<br />

segni del simbolismo alchemico anche nelle opere precedenti gli anni dell'interesse alchemico del<br />

Parmigianino è stato soprattutto il numero 72 raffigurato nel medaglione posto nella mano<br />

destra del conte Sanvitale.<br />

Per Fagiolo Dell'Arco esso avrebbe un chiaro significato ermetico, poiché - in base alle<br />

corrispondenze numeri/pianeti/metalli - il 2 corrisponde a Giove e il 7 alla Luna, il che<br />

equivarrebbe ad una coniunctio (la congiunzione tra gli opposti è uno dei capisaldi delle pratiche<br />

alchemiche).<br />

Ma l'autentica congiunzione di cui parlano gli alchimisti è quella tra Re e Regina, tra principio<br />

maschile e femminile, ossia tra Solfo e Mercurio, simbolicamente raffigurato in tutta<br />

l'iconografia alchemica come unione tra Sole e Luna, e non tra Giove e Luna. D'altro canto, le<br />

corrispondenze tra numeri e pianeti variava quasi da autore ad autore di alchimia.<br />

E infatti per Van Lennep, che evidentemente attinge a fonte diversa da Fagiolo dell'Arco, il 7 è il<br />

numero di Saturno e il 2 quello di Giove.<br />

Per C. Mutti addirittura il 72 corrisponde all'unità nel tutto.<br />

Se proprio avesse senso cercare un significato al 72 in chiave di simbolismo alchemico, si<br />

dovrebbe dire più semplicemente che il 7 è il numero dei metalli e dei pianeti e che 2 è il numero<br />

dei due princìpi costituitivi della materia metallica al tempo del Parmigianino (Solfo e Mercurio,<br />

poiché il terzo principio, come già detto, fu introdotto solo da Paracelso).<br />

Tuttavia, se un significato esoterico vi è nel medaglione del ritratto Sanvitale è più plausibile che<br />

esso sia da ricercarsi su piste piuttosto lontane rispetto a quelle dell'alchimia.<br />

Qualche decennio prima che fosse dipinto il ritratto, nell'ambiente umanista italiano aveva fatto<br />

irruzione la qabbalah. Giovanni Pico della Mirandola http://goo.gl/qOfcb http://goo.gl/cKXMR<br />

(1463-1494) aveva suscitato grande interesse con le sue conclusiones sulla qabbalah, composte da<br />

due serie di argomentazioni, la seconda delle quali, anche se porta il titolo di Conclusiones<br />

cabalisticae LXXI, è in realtà composta di 72 conclusioni.<br />

Un numero, questo, importantissimo nel simbolismo qabbalistico, come spiegato dallo stesso Pico<br />

in quella parte delle sue Conclusiones dedicata al mistero dei nomi divini:<br />

Chi sarà stato in grado di trasformare il numero quattro nel numero dieci avrà modo, se sarà<br />

esperto in qabbalah, di dedurre, dal nome ineffabile, il nome di settantadue lettere.<br />

<strong>Il</strong> nome di Dio composto da settantadue lettere era considerato dai qabbalisti il più potente di<br />

tutti i settantadue nomi divini, tant'è che pronunciarlo suscitava effetti magici straordinari.<br />

<strong>Il</strong> nome di Dio è molto di più di un attributo, poiché partecipa dell'essenza stessa della divinità,<br />

in un certo qual modo è la sostanza stessa della divinità.<br />

Rivelati da Giovanni Pico della Mirandola al mondo rinascimentale, la mistica del più arcano dei<br />

nomi divini e il connesso simbolismo del numero 72 si erano diffusi ulteriormente con la<br />

pubblicazione nel 1517 del De arte cabalistica di Johannes Reuchlin e, via via, con le opere degli<br />

altri qabbalisti cristiani.<br />

<strong>Il</strong> tempo e i luoghi sono gli stessi in cui si formò Parmigianino, cosicché il medaglione del ritratto<br />

Sanvitale addita una possibile chiave interpretativa, quella del simbolismo qabbalistico, finora<br />

rimasta inesplorata.<br />

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Tre particolari dagli affreschi della saletta di Diana e Atteone nella Rocca di Fontanellato.<br />

L'affresco del mito di Atteone. Quanto al mito di Atteone, per Fagiolo dell'Arco si tratta<br />

anch'esso di un simbolo della congiunzione. Mutti e Van Lennep vi vedono una rappresentazione<br />

del "furore eroico", poiché tale era il significato ermetico attribuito a questo mito da Giordano<br />

Bruno. Bruno visse dopo Parmigianino e come filosofo ermetico non era minimamente<br />

interessato all'alchimia, anzi nella sua commedia <strong>Il</strong> candelaio mise alla berlina le ricerche<br />

alchemiche: ciò dimostra una volta di più che nel Rinascimento filosofia e magia ermetica non<br />

coincidevano con le teorie alchemiche, e l'interesse per l'alchimia non coincideva<br />

necessariamente con l'interesse per la magia ermetica e viceversa.<br />

È pur vero che gli alchimisti usavano attribuire significati alchemici ai miti dell'antichità.<br />

Quest'uso fu molto in voga nel XVII e XVIII secolo, ma i suoi presupposti risalgono a molto<br />

prima. In De Alchemia dialogi duo (1548) l'italiano Giovanni Bracesco già forniva i significati<br />

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alchemici di una serie di miti e di personaggi della mitologia greca, tra i quali non figura<br />

comunque il mito di Atteone.<br />

In realtà le miniature dei manoscritti alchemici dimostrano come il simbolismo alchemico tra<br />

XIV e XV secolo avesse connotazioni diverse da quelle mitologiche. E anche l'esame dei<br />

manoscritti alchemici circolanti in Italia fatta da Giovanni Carbonelli mostra immagini che<br />

fanno riferimento piuttosto ad aquile, draghi, alberi, sole, luna, stelle ed altri simboli non<br />

mitologici.<br />

È ben vero che - come sostiene Fagiolo dell'Arco - la metamorfosi di Atteone potrebbe voler<br />

significare la metamorfosi della materia e dell'operatore stesso così cara all'alchimia, ma è<br />

impossibile dimostrare che questo fosse il significato profondo dell'affresco. D'altro canto, ne La<br />

metamorfosi di Atteone il dettaglio delle donne al bagno ricorda piuttosto, anche sotto l'aspetto<br />

formale, un dettaglio di una delle 22 miniature dello Splendor Solis, testo di alchimia del XVI<br />

secolo (la copia più antica è del 1532-1535), in cui le bianche figure femminili che si bagnano in<br />

una vasca simboleggiano piuttosto il bagno di Diana ossia l'albedo (processo di imbiancamento).<br />

Semmai si insistesse a ricercare significato alchemico in quest'affresco, il senso occulto dell'opera<br />

sarebbe questo, essendo il bagno di Diana un simbolo ben noto all'alchimia dell'epoca del<br />

Parmigianino.<br />

Particolare degli affreschi del santuario parmense della Madonna della Steccata. Le vergini sono<br />

raffigurate con un'anfora sul capo.<br />

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La Steccata. Risalendo ad un periodo successivo all'approccio di Parmigianino all'alchimia,<br />

l'affresco della Steccata dovrebbe essere l'opera dell'artista nella quale ricercare con più<br />

attenzione tracce del simbolismo alchemico.<br />

In realtà nell'opera non appare nulla di così evidente. Esistono tuttavia alcuni elementi sui quali<br />

conviene soffermarsi. L'insieme costituito dalla tre vergini stolte e le tre vergini savie è<br />

caratterizzato dal fatto che le sei vergini sono tutte raffigurate con un'anfora sul capo. <strong>Il</strong> modello<br />

iconografico della fanciulla che reca un'anfora sul capo non è sconosciuto all'alchimia.<br />

Vedasi l'insieme delle quattro figure femminili con l'anfora sul capo che simboleggiano i quattro<br />

elementi e le corrispondenti fasi della Grande Opera in un'incisione del primo Seicento. Nel caso<br />

delle immagini alchemiche, però, l'elemento centrale è costituito non dalle figure femminili ma in<br />

ciò che si intravede nei vasi semitrasparenti che recano sul capo. Nell'immagine alchemica<br />

sopracitata, infatti, in trasparenza si distinguono nei quattro vasi altrettanti simboli che Jung<br />

interpreta come quelli di nigredo, albedo, citrinatio, rubedo.<br />

Le vergini-elemento, nei cui vasi sono raffigurati diversi momenti della grande opera<br />

(J.D. Mylius, Philosophia reformata, Francoforte 1622).<br />

Nella già citata serie di XXII miniature dello Splendor Solis, all'incirca coeve del periodo<br />

alchemico del Parmigianino, le immagini 12-18 mostrano tutte il vaso alchemico in trasparenza,<br />

con all'interno simboli che rappresentano le corrispondenze tra regimi e pianeti. Questa<br />

caratteristica della trasparenza manca nell'affresco della Steccata, così come nelle sei figure e nei<br />

sei vasi manca qualsiasi altro dettaglio che faccia pensare all'alchimia.<br />

Ai lati delle sei vergini sono, a coppie, le figure a grisaille di Adamo ed Eva e quelle di Mosè ed<br />

Aronne. Proprio la figura di Aronne mostra un simbolismo ricorrente nell'iconografia alchemica:<br />

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il serpente attorcigliato al bastone, combinazione che caratterizza il caduceo ermetico. Nella<br />

figura della Steccata il simbolo sta chiaramente a ricordare l'episodio biblico di Levitico XXI: 4-9,<br />

in cui Mosè fa fabbricare un serpente di bronzo che poi pone su un'asta per salvare gli Ebrei<br />

assaliti da serpenti velenosi. Ma nell'iconografia alchemica il serpente trafitto o arrotolato su<br />

un'asta sta a significare la fissazione del Mercurio. In modo tale è presentato, ad esempio, nel Le<br />

livre des figures hiéroglyphiques che dovrebbe risalire al XV secolo. È altresì vero che questo<br />

simbolo ricorreva nell'iconografia cristiana come simbolo del Cristo, e della promessa di vita<br />

eterna. Sfugge invece, ai sensi dell'iconografia alchemica, il collegamento tra i quattro<br />

personaggi (Adamo ed Eva, Mosè ed Aronne). Se Adamo ed Eva possono rappresentare la coppia<br />

maschile-femminile, o Solfo-Mercurio, non si trovano precedenti per la simultanea raffigurazione<br />

di Mosè ed Aronne.<br />

In Fagiolo Dell'Arco si attribuiscono valenze alchemiche ad altri particolari dell'affresco, quali le<br />

colombe e i granchi. In effetti la colomba è frequente simbolo dell'albedo (vedi la miniatura XI<br />

dello Splendor Solis, raffigurante la coctio), mentre il granchio è segno alchimistico citato in<br />

dizionari di alchimia. Esso è raffigurato anche in una miniatura dell'Aurora consurgens (inizio<br />

XV secolo). Ma questi due simboli, isolati da un contesto, non rivestono alcun significato.<br />

La Madonna dal collo lungo. Anche a questo dipinto sono state attribuite valenze alchemiche<br />

(Fagiolo Dell'Arco, Mutti). Questa raffigurazione della Vergine starebbe a simboleggiare il vaso<br />

alchemico, in genere rappresentato in forma ovoidale (da cui Uovo filosofale) o in forma di vaso<br />

dal collo fortemente allungato (vedi, ad esempio, le miniature dello Splendor Solis<br />

precedentemente citate).<br />

Ed è anche vero che il simbolismo dell'alchimia latina prese assai presto ispirazione da quello<br />

cristiano, stabilendo tra l'altro il parallelismo tra il Cristo nato dalla Vergine <strong>Maria</strong> e la Pietra<br />

Filosofale nata dall'Acqua Mercuriale. Ma il parallelismo tra il vaso alchemico e la matrice di<br />

una divinità femminile è molto più antico, poiché già nell'alchimia ellenistica si era stabilito il<br />

parallelismo tra il vaso alchemico e l'utero di Iside. All'alchimia ellenistica appartiene<br />

l'espressione "La terra vergine (il Lapis) sarà trovata nella vagina della vergine".<br />

Ma anche in questo caso gli indizi sono troppo labili per attribuire all'opera un sicuro significato<br />

alchemico nel senso indicato da Dell'Arco: e cioè che la Vergine dal collo lungo, matrice del Figlio,<br />

raffigura il vaso alchemico in cui prende forma la Pietra Filosofale. *<br />

Per le motivazioni sopra esposte (l'attestato parallelismo tra Vergine <strong>Maria</strong> e vaso alchemico in<br />

molta dell'alchimia latina) si tratta di una interpretazione valida in linea teorica ma che avrebbe<br />

bisogno di ulteriori prove a sostegno.<br />

*<br />

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La Visualizzazione alchemica: trovare la pietra filosofale<br />

Lunedì 17 gennaio dell’anno 1382, Nicholas Flamel e<br />

sua moglie Pernelle crearono il Grande Elisir.<br />

Scaldarono il prodotto in una boccetta e, con il cuore<br />

che batteva veloce, stettero in attesa per vede re i<br />

colori rivelatori.<br />

Questo arrivarono e nella sequenza corretta: dal grigio<br />

al nero, chiamata “testa di corvo”. Poi dal nero al<br />

bianco: dapprima il bianco apparve come un alone<br />

intorno al bordo del nero, quindi l’alone lanciò<br />

filamenti bianchi verso il centro finché l’intera massa<br />

fu di un bianco perfetto. Ecco l’elisir bianco.<br />

Flamel non vide l’ora di metterlo alla prova. Aprì la<br />

boccetta e ne estrasse l’elisir. Poi, prendendo circa 250<br />

grammi di piombo, lo fuse in un crogiolo e vi aggiunse<br />

un po’ dell’elisir bianco, al che il piombo fu convertito<br />

all’istante in argento puro.<br />

Finalmente certo di aver finalmente raggiunto la<br />

padronanza nell’Arte Alchemica, Flamel ripose il resto dell’elisir nella boccetta e continuò a<br />

scaldarlo. Ora, uno dopo l’altro, apparvero i rimanenti colori: il bianco si trasformò<br />

nell’iridescenza della coda del pavone, poi in giallo, questo in arancione, l’arancione in viola e<br />

infine il viola in rosso – il rosso del Grande Elisir.<br />

Con le sue parole, Flamel quindi dice: “Nella stessa casa, il venticinquesimo giorno del seguente<br />

aprile, nello stesso anno, alle cinque della sera, seguendo il mio libro parola per parola, proiettai<br />

il Grande Elisir su 250 grammi di mercurio che in verità trasmutai in circa la stessa quantità di<br />

oro puro, certamente migliore dell’oro comune, essendo più morbido e flessibile …” Si dice che<br />

Flamel abbia ripetuto questo esperimento altre tre volte prima di morire.<br />

Alchimia spirituale<br />

Un secolo più tardi, Theophrastus Bombastus von Hohenheim,<br />

chiamato Paracelsus, pensò che, mentre era senz’altro possibile<br />

tramutare metalli vili in argento e oro, al vero scopo<br />

dell’alchimia questo tipo di tramutazione fisica fosse di<br />

importanza secondaria.<br />

Come fisico e padre della chimica come scienza, Paracelsus era<br />

convinto che il vero scopo del processo alchemico fosse la<br />

preparazione di sostanze terapeutiche che avrebbero aiutato a<br />

ridare la salute perfetta ai corpi ammalati. Lavorando con questo<br />

obiettivo, le sue idee sull’alchimia e le sue speculazioni sul<br />

significato della vita lo portarono ad approfondire la psiche<br />

umana, nei campi che oggi conosciamo come psicologia e<br />

psichiatria.<br />

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Paracelsus credeva che come possiamo usare il processo alchemico per manifestare la salute<br />

fisica nel corpo, allo stesso modo possiamo comprendere il processo come un sentiero psicologico<br />

per la salvezza dell’anima – un sentiero verso la perfezione del nostro essere e l’apertura<br />

completa della nostra coscienza.<br />

Alla ricerca della pietra filosofale<br />

In precedenza Flamel aveva detto chiaramente che la chiave per svelare il mistero della<br />

trasmutazione era la Lapis Philosophorum o Pietra Filosofale. Solo coloro che possedevano la<br />

Pietra Filosofale avrebbero trasmutato con successo i metalli vili in argento e oro. Inoltre,<br />

secondo Paracelsus, la sfug gente Pietra Filosofale era altrettanto fondamentale per il processo<br />

della tramutazione spirituale.<br />

Secondo i primi alchimisti fisici, la Pietra Filosofale è una<br />

sostanza pura e sottile che, quando viene applicata a<br />

metalli o piante, li esalta. E’ un’essenza perfetta, qualcosa<br />

che, in realtà, è l’anima stessa della materia – una sostanza<br />

che rivela la propria natura, che trasmette la sua<br />

perfezione a tutte le cose messe a contatto con essa.<br />

Gli alchimisti trascendentali successivi ebbero una<br />

comprensione notevolmente diversa della Pietra Filosofale.<br />

Pensavano che non si trattava di una sostanza, bensì<br />

piuttosto di una gnosi spirituale, una saggezza esaltata la<br />

cui virtù tramuta l’umanità portandola ad un livello di<br />

coscienza e potere personale più elevato. Paracelso credeva<br />

che se una persona scopriva e produceva la “pietra” della<br />

saggezza, essa avesse tolto la perla dall’oscurità, liberato la<br />

scintilla divina dalla sua prigione. La pietra avrebbe<br />

permesso alla volontà cosciente e all’intelletto di farsi inondare dalla lumen naturae, dalla stessa<br />

Luce della Natura – e in questo stato di coscienza esaltata tutte le cose sarebbero state<br />

possibili.<br />

Gli insegnamenti di Ermete Trismegistus<br />

Sia l’alchimia fisica sia quella trascendentale avevano le loro origini negli insegnamenti di<br />

Ermete, chiamato Ermete Trismegistus o l’Ermete Tre Volte<br />

Grande. Le letture di Cayce ci dicono che Ermete fu un<br />

ingegnere proveniente dall’Atlantid e ormai quasi sommersa,<br />

il quale, insieme con Ra, costruì, progettò o diresse la<br />

costruzione del complesso delle piramidi di Giza “durante il<br />

regno di Araaraart [circa ’da 10 490 a 10 390 prima che il<br />

Principe entrasse in Egitto’ – 5748-6] quando ci furono molti<br />

che cercavano di dare all’uomo una comprensione migliore<br />

del rapporto stretto fra le Forze Creatrici e il creato, fra uomo<br />

e uomo e l’uomo e il suo Creatore.” 5748-6<br />

Fu Ermete Trismegisto http://goo.gl/k1qB1<br />

http://goo.gl/dIQWT ad esprimere per primo il grande<br />

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principio che le immagini tenute nella mente influenzano l’universo intorno a noi. Di<br />

conseguenza, un’immagine particolare porta un effetto particolare. L’alchimia, il discendente più<br />

recente della filosofia ermetica, incluse questa idea in un processo chiamato “tramutazione”.<br />

Secondo la filosofia ermetica, la chiave al processo dell’alchimia spirituale è l’arte della<br />

visualizzazione. Imparando a creare e controllare le immagini mentali, l’alchimista spirituale è<br />

in grado di lavorare con realtà limitative per produrre profonde tramutazioni interiori.<br />

Trattenendo nella mente un’immagine specifica, l’alchimista conosce gli effetti prodotti<br />

dall’energia specifica di quell’immagine – e trova che gli effetti di quell’immagine non solo<br />

trasformano il sé ma si spingono anche oltre e trasformano il mondo intorno al sé.<br />

Che cosa è la visualizzazione?<br />

La visualizzazione è l’arte di dare forma alle immagini nell’immaginazione con l’obiettivo di<br />

manifestare le forme e le qualità di quelle immagini nel mondo materiale esteriore e in quello<br />

spirituale interiore. Gli insegnamenti ermetici ci dicono che siamo co-creatori con la Mente<br />

Cosmica perché condividiamo la sua Coscienza Divina. Ne consegue che è la coscienza focalizzata<br />

e concentrata su qualcosa ad avere il dominio su tutte le cose.<br />

All’apparenza la Pratica di Visualizzazione è semplice:<br />

. Rilassatevi.<br />

. Scegliete la meta: ciò che volete vedere manifestato nella vostra vita – più specifico è<br />

l’obiettivo, meglio è.<br />

. Visualizzate: create l’immagine interiore del vostro desiderio. Riempitela con dettagli;<br />

muovetevi intorno nella vostra immagine, toccate, udite e odorate le cose.<br />

Visualizzate sempre al presente o al passato come qualcosa che sta accadendo o è accaduto.<br />

Soprattutto sentite le sensvisualizzazioneazioni che avete mentre vi occupate della vostra<br />

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immagine. In realtà la parola è fuorviante – se i sentimenti sono abbastanza forti, le immagini<br />

non servono.<br />

. Lasciate andare: dimenticate le immagini del tutto e continuate con le vostre faccende<br />

normali.<br />

. Agite seguendo il feedback intuitivo: fate attenzione ad intuizioni, sogni, lampi di<br />

intuizione e sincronicità e agite seguendo le indicazioni che offrono.<br />

. Gioite e ringraziate per la realtà fisica, mentale o spirituale che avete manifestato.<br />

Le letture di Cayce e la<br />

visualizzazione<br />

Le letture di Cayce ci dicono che<br />

l’energia viene modellata dalla<br />

mente come una forma-pensiero<br />

nella dimensione mentale che<br />

infine si manifesta nella<br />

dimensione fisica o materiale. E’<br />

solo attraverso l’aspetto “mente”<br />

della nostra anima che siamo in<br />

contatto con l’aspetto “mente”<br />

dell’Unione, o Dio. Dio collabora<br />

con noi specialmente attraverso<br />

l’aspetto “mente” della nostra<br />

anima.<br />

Per questo le letture mettono in<br />

chiaro che nel processo dello<br />

sviluppo dell’anima sono essenziali tre elementi: spirito – l’Unica Forza; la Mente – creatrice di<br />

schemi o pensieri; la volontà – la nostra facoltà di scegliere. Da qui nasce la frase trovata così<br />

spesso nelle letture: “Lo Spirito è la vita, la mente costruisce e ciò che è fisico o materiale ne è il<br />

risultato.” 4722-1<br />

Dato che “la Mente costruisce”, è strano che Cayce parlasse così severamente della prassi di<br />

visualizzazione in una lettura condotta nel 1935:<br />

“(D) Per portare una cosa o condizione desiderata alla manifestazione è consigliabile<br />

visualizzarla facendone un’immagine o semplicemente tenere in mente l’idea nella preghiera e<br />

farla produrre da Dio a modo Suo senza che ne facciamo uno schema?<br />

(R) …Se si visualizza creando un quadro fisso si diventa adoratori di idoli. Questo è forse<br />

piacevole, con il concetto che hai del tuo Dio che ha detto ‘non avere altri dei davanti a me’? <strong>Il</strong><br />

Dio nel sé, il Dio dell’universo, ti incontra quindi nel tuo sé interiore. Sii paziente e lascia [il<br />

risultato] a Lui. Egli sa di cosa hai bisogno prima che tu lo chieda. Visualizzare è come dirGli che<br />

aspetto deve avere la cosa quando l’avrai ricevuta. E’ quella la tua idea di un Creatore Onni-<br />

Saggio, Onni-Misericordioso? Allora il tuo servizio sia piuttosto ‘non la mia volontà, oh Dio, bensì<br />

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la Tua sia fatta in me, attraverso me’. Perché ogni cosa è Sua. Quindi, pensa di conseguenza – e,<br />

soprattutto, agisce di conseguenza.” 705-2<br />

“Conosci il tuo ideale”<br />

Sia nelle letture di Cayce sia nella filosofia ermetica ciò che distingue la visualizzazione<br />

alchemica da un trucco da salotto New Age è l’intenzione o l’ideale, il contesto nel quale le<br />

immagini vengono create.<br />

“Conosci il tuo ideali e sappi che l’ideale deve essere spirituale e che la mente costruisce. <strong>Il</strong><br />

significato deve venire dallo scopo spirituale e i risultati materiali sono solo il segno di ciò che si<br />

sta facendo – e non il fine di ciò che un’entità compie.” 3084-1<br />

“Quando cerchi, cerca di comprendere. Nello scopo non mirare solo al materiale, perché con le<br />

cose materiali possono arrivare solo false speranze. I tuoi scopi e le tue comprensioni siano nelle<br />

verità spirituali, perché la Mente costruisce, ma la fonte deve essere nella spiritualità – che<br />

porta a pace, armonia e contentezza …” 1932-1<br />

“… Se farai uno studio approfondito sul fatto che è davvero la mente a costruire, vedrai che ciò<br />

che si mantiene nella visione mentale diventa realtà nell’esperienza materiale. Perché la mente<br />

costruisce e ciò a cui pensiamo può diventare crimine o miracolo. Perché i pensieri sono cose e<br />

come le loro correnti pervadono la sfera dell’esperienza di un’entità queste diventano barriere o<br />

trampolini di lancio, a seconda del modo in cui vengono, per così dire, poste. Perché come il<br />

mentale si sofferma su questi pensieri, così dà forza, potere alle cose che non appaiono.” 906-3<br />

Trovare la Pietra Filosofale<br />

Che cos’è, dunque, la Pietra Filosofale? Paracelsus avrebbe detto che è una saggezza elevata che<br />

innalza l’umanità su un livello di coscienza e di potere personale maggiore. E’ una conoscenza<br />

che libera la nostra coscienza dai limiti, dalle illusioni create dalla materia. E’ una visione che<br />

permette alla nostra coscienza di farsi pervadere dall’intero potenziale della Mente Divina, il<br />

potenziale che lascia esistere tutte le possibilità e rende possibili tutte le cose.<br />

Nelle letture Cayce chiarisce la natura e la<br />

fonte di questa saggezza elevata – è lo spirito o<br />

l’Unica Forza con cui entriamo in sintonia<br />

attraverso la consapevolezza del nostro ideale<br />

spirituale.<br />

Nel contesto del nostro ideale, via via che<br />

riusciamo a manifestare prosperità finanziaria,<br />

salute fisica, una bella vita famigliare e rapporti<br />

amorevoli, approfondiamo la nostra conoscenza<br />

del fatto che siamo co-creatori con Dio. Dopo<br />

l’idea iniziale di essere vittime ci rendiamo<br />

conto di essere la causa e il creatore: e, cosa<br />

molto importante, condividiamo con gli altri le<br />

ricchezze spirituali e materiali che creiamo e diamo loro la speranza che tutte le cose siano<br />

possibili.<br />

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“Come hai quindi mantenuto, come hai applicato ciò che hai raggiunto, così sarai capace di dare<br />

aiuto a coloro che stanno inciampando – qualcuno ciecamente, qualcuno a tentoni, qualcuno<br />

scoraggiato, qualcuno troppo ansioso, qualcuno troppo zelante nel proprio strano modo di essere,<br />

ma tutti stanno cercando – cercando la luce.” 1301-1<br />

5. <strong>Il</strong> Parmigianino incisore<br />

Vi sono dunque pochi indizi che consentano di interpretare le opere del Parmigianino in chiave<br />

di significati alchemici. Si può concordare con Van Lennep che le tracce del Parmigianino<br />

alchimista debbano piuttosto essere ricercate nelle tecniche di incisione che egli adottò.<br />

Scrivendo dello xilografo Ugo da Carpi, il Vasari afferma:<br />

Non sarebbe troppo lodare l'invenzione dell'incisione con acquaforte ... <strong>Francesco</strong> Mazzuoli incide<br />

così una piccola folla di graziosi soggetti...<br />

L'uso dell'acquaforte, la cui preparazione presupponeva conoscenze "chimiche", era certamente<br />

una novità all'epoca del Parmigianino. Egli la apprese realmente da Ugo da Carpi, come sostiene<br />

Vasari?<br />

L'argomento è stato approfondito da Van Lennep, che ha dimostrato che la tecnica di incisione<br />

con acquaforte è nata in Germania all'inizio del 1500 e di lì è stata importata in Italia da<br />

Marc'Antonio Raimondi, di cui si conserva una stampa di ispirazione alchemica, che raffigura tre<br />

personaggi accanto a un alambicco.<br />

Raimondi avrebbe rivelato il procedimento al Parmigianino e alla sua cerchia, che ne fece uso a<br />

partire dal 1530, data che coincide con quella indicata dal Vasari come inizio dell'avventura<br />

alchemica del Parmigianino. Lo stesso Van Lennep ha minuziosamente illustrato l'apporto dato<br />

dagli alchimisti alla scoperta e alla messa a punto delle tecniche chimiche poi impiegate per la<br />

preparazione dell'acido nitrico e successivamente dell'aqua fortis.<br />

È possibile perciò che abbia ragione il Van Lennep nell'ipotizzare che fu proprio la manipolazione<br />

degli acidi e delle altre sostanze chimiche impiegate per le incisioni a volgere l'attenzione del<br />

Parmigianino verso l'alchimia. Ma come sottolineato in precedenza, bisogna considerare quanto<br />

fosse forte all'epoca l'interesse per l'alchimia, scienza alla moda. Per cui potrebbe essere<br />

plausibile anche il contrario: e cioè che l'abilità del Parmigianino nella tecnica dell'acquaforte sia<br />

stata non la causa ma l'effetto delle sue conoscenze alchemiche.<br />

Per orientarsi almeno un po’ nell’affascinante, ma insidiosa ed oscura selva delle SCIENZE<br />

ARCANE, sarà utile mettere in chiaro il significato di qualche termine ‘tecnico’ che ricorrerà<br />

durante questo viaggio:<br />

ALCHIMIA (dall’arabo al-kîmiyâ che indica ‘la pietra filosofale’ o ‘il reagente universale’)<br />

conoscenza iniziatica che aspira ad ottenere una Armonia tra gli opposti, simboleggiata dalla<br />

unione (coniunctio) di polarità contrarie: Sole/Luna, Uomo/Donna, Adamo/Eva, Notte/Giorno ecc.<br />

Essa ha una parte FILOSOFICA e MISTICA e una parte PRATICA e SPERIMENTALE: l’arte<br />

dei metalli che – attraverso una sequenza di fasi e col fuoco come agente di trasmutazione –<br />

distilla le proprietà dei quattro elementi (Terra, Acqua, Aria, Fuoco) nella Quintessenza (o Elixir<br />

o Pietra filosofale) e nobilita i metalli vili e deperibili, come il piombo, in metalli puri, come l’oro.<br />

Come il metallo vile viene fatto morire nel crogiolo (o Fornello o Athanor o Vashermeticum) per<br />

poter rinascere purificato in metallo perfetto e immortale, così – sul piano morale – l’alchimista<br />

persegue un processo di morte e purificazioni spirituali per riconquistare<br />

la perfezione dell’uomo edenico.<br />

CABBALÀ: con la parola ebraica qabbalah (‘ricezione’) si indica la tradizione segreta del<br />

misticismo giudaico e in particolare il movimento di pensiero di connotazione esoterica che prese<br />

avvio in Europa a partire dal sec. XII-XIII. Traendo spunto dalla Sacra Scrittura, i testi<br />

cabbalistici illustravano come ogni parte del Creato rispondesse a una segreta armonia del<br />

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disegno trascendente. Fin dalle sue origini essa volle essere anzitutto un approfondimento<br />

spirituale, o derek ha-emet “il cammino della verità”.<br />

ERMETISMO: dottrina filosofica del I sec. d.C. attribuita ad Hermes Trismegisto (Mercurio,<br />

padre dell’alchimia e protettore delle scienze occulte) che riconduce la filosofia greca a quella<br />

egizia, difendendo il paganesimo dagli attacchi della religione cristiana. Alla fine del sec. XV la<br />

traduzione del cosiddetto Corpus Hermeticum, per mano di Marsilio Ficino, rilanciò negli<br />

ambienti più raffinati delle corti europee la Filosofia Ermetica.<br />

ESOTERISMO: tendenza di alcune dottrine filosofiche e religioni a riservare una parte della<br />

verità a pochi iniziati. Nella sua etimologia greca (Esoterikós = ‘più interno, destinato al segreto’)<br />

si contrappone a Exoterikós (= ‘destinato al pubblico, essoterico’).<br />

FILOSOFIA OCCULTA: disciplina che studia le virtù segrete delle cose e degli esseri, nella<br />

convinzione che, tramite la conoscenza delle forze naturali, sia possibile mettere in opera una<br />

trasformazione dello stato di cose esistente.<br />

Ultima raccomandazione, prima di mettersi in cerca degli indizi ermetici ed alchemici<br />

disseminati nei capolavori di Parmigianino: si ricordi che nel Rinascimento non necessariamente<br />

l’interesse per l’alchimia e quello per la magia ermetica coincidevano, e viceversa.<br />

Parmigianino ALCHIMISTA: chi lo ha detto?<br />

La testimonianza più nota sul Parmigianino alchimista è quella di GIORGIO VASARI (nelle due<br />

edizioni delle Vite, 1550 e 1568), poi ripresa dallo storico parmigiano ANGELO MARIA EDOARI<br />

DA ERBA nel suo Compendio copiosissimo dell’origine, antichità, successi e nobiltà della città di<br />

Parma (ms. 1572 ca. Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Parm. n. 922, p. 234, ove Parmigianino è<br />

detto “alchimista peritissimo”), nonché da GIOVAN BATTISTA ARMENINI (“Giovane di bello,<br />

et vivace ingegno, e tutto gentile, et cortese […] ma non contento di così largo favore caduto dal<br />

cielo, che vedendo per vitio dell’età prevalere alle virtù l’oro, gli entrò nel capo di voler attendere<br />

all’Alchimia, si lasciò corrompere di maniera a questa pazzia, che si condusse a pessimo<br />

disordine di vita, et dell’honore, e di molto gratioso che egli era, divenne bizzarrissimo et quasi<br />

stolto”, De’ veri precetti della pittura, Ravenna 1587, p. 16).<br />

Benché animato a tratti da intenti moralistici, il ritratto vasariano passerà alla Storia:<br />

“…il cervello, che aveva a continovi ghiribizzi di strane fantasie, lo tirava fuor de l’arte: potendo<br />

egli guadagnare quello oro, che egli stesso avrebbe voluto: con quello che la natura nel dipignere,<br />

e ’l suo genio gli avevano insegnato. Et volse con quello, che non potè mai imparare, perdere la<br />

spesa e il tempo, et farsi danno alla propria vita. Et questo fu ch’egli stillando cercava l’archimia<br />

dell’oro, et non si accorgeva lo stolto, ch’aveva l’archimia nel<br />

far le figure...” (Le Vite, ed. 1550).<br />

Per quanto dovute a qualche importante letterato del tempo,<br />

a niente varranno le isolate smentite della diceria di un<br />

Parmigianino alchimista (cfr. LODOVICO DOLCE, Dialogo<br />

della pittura intitolato l’Aretino, Venezia 1557: “il<br />

Parmigianino fu incolpato a torto ch’egli attendesse<br />

all’alchimia…”).<br />

L’interesse del pittore per l’alchimia risale al periodo<br />

dell’incarico per i lavori nella Chiesa della Steccata a Parma<br />

(“…si tolse a fare alla Madonna della Steccata [...] In questo<br />

tempo<br />

si diede all’alchimia, et pensando in breve arricchirne,<br />

tentava di congelare il Mercurio...” (VASARI, Le Vite, ed.<br />

1568). Tale interesse divenne così esclusivo che “…cominciò<br />

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<strong>Francesco</strong> a<br />

dismettere l’opera della Steccata, o almeno a fare tanto adagio, che si conosceva che v’andava di<br />

male gambe; e questo avveniva, perché avendo cominciato a studiare le cose dell’alchimia, aveva<br />

tralasciato del tutto le cose della pittura, pensando di dover tosto arricchire, congelando<br />

mercurio; [...] e non avendo altra entrata, e pur bisognandogli anco vivere, si veniva così<br />

consumando con questi suoi fornelli a poco a poco” (Le Vite, ed. 1568). Dopo la lite coi<br />

fabbriceri della Steccata, il pittore fugge a Casal Maggiore e là “avendo per sempre l’animo a<br />

quella sua alchimia, […] essendo di delicato e gentile, fatto con la barba e chiome lunghe e<br />

malconce, quasi un uomo salvatico ed un altro da quello che era stato, fu assalito, essendo mal<br />

condotto e fatto malinconico e strano, da una febbre grave e da un flusso crudele, che lo fecero in<br />

pochi giorni passare a miglior vita...”.<br />

<strong>Il</strong> PARMENSE terra di magia?<br />

Parrebbe proprio che l’interesse di Parmigianino per l’alchimia (tutt’altro che raro nell’élites<br />

culturali del sec. XVI) potesse essere in parte propiziato da una tradizione che nel Parmense<br />

aveva radici profonde.<br />

Senza stare a scomodare Dante e la sua<br />

condanna del mago Asdente, “lo calzolaio di<br />

Parma” (Convivio IV, XVI, 6; Inf. XX, 118-119) o<br />

il fatto che la zona dell’attuale Emilia Romagna<br />

pareva particolarmente ben disposta allo studio<br />

delle scienze arcane (si pensi a Pico della<br />

Mirandola, fondatore della Cabala Cristiana, ma<br />

anche – in area ferrarese – all’attività di pittori<br />

come Cosmè Tura, Del Cossa, Dosso Dossi ecc.):<br />

gli umori e le suggestioni di questa raffinata<br />

cultura esoterica dureranno ancora, in pieno<br />

Seicento, nella Bologna del giovane Guercino. A<br />

noi converrà comunque restare nei più stretti<br />

dintorni del nostro Pittore.<br />

<strong>Il</strong> già ricordato Edoari da Erba documenta a<br />

Parma la presenza di tre grandi occultisti: Biagio<br />

Pelacani (citato tra l’altro da G. B. NAZARI,<br />

Della trasmutatione metallica sogni tre, in un<br />

importante testo alchemico edito nel 1572), il<br />

medico Giorgio Anselmi senior (nato a Parma<br />

nel 1386, la cui opera era nota anche a Cornelio<br />

Agrippa) e Andrea Bianchi detto l’Albio<br />

Parmigiano, per il quale Parmigianino eseguì la<br />

Conversione di San Paolo (Vienna,<br />

Kunsthistorisches Museum). Davvero un<br />

terreno fertile, dunque, il Parmense per studiosi<br />

e praticanti di scienze arcane…<br />

Insieme alla stupenda e travagliata<br />

realizzazione parmigianinesca degli affreschi<br />

nell’arcone di CHIESA DELLA STECCATA (che<br />

poi vedremo) il ‘triangolo magico’ dell’esoterismo<br />

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parmense tocca FONTANELLATO e SORAGNA. Alla ROCCA MELI LUPI DI Soragna il<br />

Manierismo del Parmigianino è reinterpretato da Nicolò dell’Abate (Modena 1509/12 –<br />

Fontainebleau 1571), figura chiave, insieme ad altri pittori manieristi ed ‘ermetici’ come Rosso<br />

Fiorentino e il<br />

Primaticco, dell’Ecole de Fontainebleau, nel ciclo di affreschi dedicati alle Fatiche di Ercole<br />

(tema di noto significato alchemico sia perché legato al mito dei pomi aurei del Giardino delle<br />

Esperidi, sia perché rappresenta un lavoro di sublimazione per fasi analogo all’Opus Magnum).<br />

Temi e cifre ermetiche nell’arte del Parmigianino: DOVE?<br />

Tra i temi esoterici di più suggestiva e lunga tradizione vi è lo SPECCHIO, simbolo lunare,<br />

simbolo dello sdoppiamento e simbolo della discesa in se stessi (cioè, alla lettera, di quel tipo di<br />

riflessione propria dei temperamenti speculativi e di coloro in cui prevale l’umor melanconico di<br />

Saturno).<br />

Parmigianino lascia ai posteri una indimenticabile traccia del suo interesse per questo oggetto<br />

simbolico tanto importante nel celebre Autoritratto allo specchio, ma anche nello specchio posto<br />

al centro della volta del Camerino di Diana nella Rocca Sanvitale di Fontanellato, accompagnato<br />

dal motto “RESPICE FINEM” (Attendi la fine), non un’opera dipinta, bensì il sigillo dell’opera,<br />

posta al centro del cielo chiuso del Camerino, lì ad indicare proprio il compimento della Grande<br />

Opera di trasmutazione perpetrata dall’Alchimia (e<br />

dall’Arte).<br />

PARMIGIANINO, Autoritratto allo specchio (1524 - Vienna, Kunsthistorisches Museum)<br />

FONTANELLATO - Specchio al centro della volta del Camerino di Diana<br />

Un itinerario fra gli indizi ermetici dell’arte di Parmigianino non può che prevedere una lunga<br />

sosta nella chiesa di SANTA MARIA DELLA STECCATA (Parma), dove il pittore – con<br />

tumultuose vicissitudini – realizzò gli affreschi dell’arcone, liberamente interpretando la<br />

parabola evangelica delle Vergini Savie e delle Vergini Folli.<br />

La tradizione connessa alla parabola delle Dieci Vergini è complessa e non omogenea; quattro le<br />

principali linee interpretative: 1) la parabola evangelica in sé, 2) l’interpretazione simbolica data<br />

dalla Patristica, 3) la tradizione teatrale, 4) la tradizione figurativa non molto ampia, ma<br />

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significativa (si vedano il Codice Purpureo di Rossano, f. 4; gli affreschi del Castello di Appiano,<br />

secc. XII-XIII; il mosaico della facciata di Santa <strong>Maria</strong> in Trastevere a Roma). La Vergine<br />

centrale dei gruppi è alternativamente la Regina del Giorno e la Regina delle Tenebre. Le<br />

Vergini Savie si ricollegano all’attributo mariano di “Virgo prudentissima”. Nella realizzazione di<br />

Parmigianino la connotazione positiva o negativa delle Vergini è data solo dalle lampade accese o<br />

spente.<br />

Nell’arcone della Steccata si possono individuare diversi simboli riconducibili al repertorio<br />

iconografico dell’Alchimia:<br />

. gli EMBLEMI dei QUATTRO ELEMENTI (componenti essenziali del mondo i cui rapporti e<br />

combinazioni determinano la trasformazione della materia e il passaggio da uno stato dell’essere<br />

all’altro)<br />

. la personificazione, attraverso la raffigurazione di Adamo ed<br />

Eva, del dualismo sulla cui tensione si fonda l’Armonia del<br />

Mondo<br />

il simbolismo della LUCE (il vaso che produce inlustratio, la<br />

illuminazione del sapiente)<br />

il ricorrente motivo del VASO, che certo risponde, come voleva<br />

san Paolo, all’idea di corpo = vaso dell’anima (Romani, 9, 21), è<br />

sviluppato alla Steccata in una serie di tre coppie di vasi nelle<br />

quali per due volte è descritto un contenuto nero, per due volte<br />

uno bianco e per due volte uno rosso, secondo una precisa<br />

simbologia cromatica che trova corrispondenza nelle fasi del<br />

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processo di distillazione dell’elisir attraverso la fase nera di putrefazione della materia prima<br />

(Nigredo), la successiva fase ‘bianca’ (Albedo) e la fase conclusiva della Rubedo, allorché il rosso –<br />

colore araldico della resurrezione – segnala il compimento dell’opus alchemicum (vedi E. Fadda,<br />

in Parmigianino e la pratica dell’alchimia, p. 46).<br />

Ma prima di squadernare alla Steccata il libro della Natura con tanta stupefacente maestria<br />

pittorica e originalità inventiva, Parmigianino aveva già lasciato qualche indizio di un suo<br />

interesse per i simboli ermetici nel Ritratto di Galeazzo Sanvitale (1524), altri ne lascerà nella<br />

Madonna dal collo lungo (1534 – Firenze, Uffizi), nel Cupido che fabbrica l’arco (1533-34 –<br />

Vienna, Kunsthistorisches Museum), nella Madonna col Bambino, san Zaccaria, la Maddalena e<br />

san Giovannino (Firenze, Uffizi) e così via…<br />

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Ecco le principali interpretazioni:<br />

secondo la Cabbalà 72 è la cifra che racchiude la chiave segreta del nome ineffabile di Dio<br />

secondo le corrispondenze numeri/pianeti/metalli stabilite dalla Occulta Philosophia il 7 e il 2<br />

rappresentano il numero di Giove (= stagno) e quello della Luna (= argento), quest’opinione<br />

sostenuta da Maurizio Fagiolo dell’Arco non è del tutto convincente, giacché in tutta l’iconografia<br />

alchemica la congiunzione tra principio maschile e femminile è rappresentata dalle nozze<br />

mistiche di Sole e Luna (o Apollo e Diana, e non di Giove e Luna).<br />

l’opinione più verosimile pare quella sostenuta da Andrea De Pascalis che il 7 e il 2, siano incisi<br />

sulla moneta per alludere, rispettivamente, al numero dei Metalli (sette come i Pianeti maggiori)<br />

e al numero dei principi costitutivi della materia metallica al tempo di Parmigianino (Zolfo, polo<br />

maschile e igneo, e Mercurio, polo femminile liquido; il terzo elemento della trasmutazione, cioè<br />

il principio neutro del Sale, sarà introdotto da Paracelso solo a metà del sec. XVI).<br />

Intanto, nel nome dei Sanvitale, ecco che siamo già dritti e filati a FONTANELLATO.<br />

È ora di scoprire…<br />

Quali sono i SIMBOLI ERMETICI a FONTANELLATO?<br />

Aveva appena 21 anni, <strong>Francesco</strong> <strong>Mazzola</strong>, quando venne convocato alla Rocca Sancitale<br />

Fontanellato. In un piccolo ambiente segreto al piano terra (chissà perché non al piano nobile?),<br />

circondato da locali di servizio affrescò, con vistosi debiti iconografici verso il Correggio della<br />

Camera di San Paolo (Parma), lo stupendo “Camerino di Diana”, raffigurandovi la storia tragica<br />

di ATTEONE, ma...<br />

…che cosa narrava quel mito?<br />

DIANA e ATTEONE:<br />

mito…<br />

Due le versioni del mito a noi pervenute: una, tramandata dai mitografi greci Igino e Pausania, e<br />

l’altra dal poeta latino Ovidio. La prima racconta che Atteone, appoggiato a una roccia nei pressi<br />

di Orcomeno, vide per caso Artemide (Diana) che si bagnava al fiume e restò a guardarla per<br />

potersi poi vantare con gli amici di aver visto nuda la dea. Offesa, Artemide si vendicò<br />

trasformandolo in cervo e facendolo quindi divorare dalla sua muta di cani.<br />

Nella seconda versione del mito, narrata nelle Metamorfosi di Ovidio, il cacciatore Atteone<br />

durante una battuta di caccia, si allontana dagli altri cacciatori a cui si accompagnava per<br />

addentrarsi solo nella foresta. Nel fare ciò incappa per caso nei segreti recessi dove Diana era<br />

intenta a un bagno. La dea, irritata per esser stata sorpresa, spruzza addosso ad Atteone degli<br />

schizzi d’acqua e lo trasforma all’istante in cervo, al che – non riconoscendo più il padrone – i<br />

cani stessi di Atteone si scagliano contro la preda e la uccidono.<br />

…e misteri<br />

<strong>Il</strong> mito di Diana e Atteone non compare nelle iconografie alchemiche. Assume significati ermetici<br />

solo allorché se ne consideri l’aspetto principale della metamorfosi, oppure quando si voglia<br />

focalizzare l’attenzione sul particolare del BALNEUM (il bagno che rigenera) o allorché si voglia<br />

riprendere la lettura ermetica di quel mito fatta da Giordano Bruno negli Heroici furori (1585).<br />

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Nel dialogo bruniano la caccia è una venatio sapientiae (ricerca di sapienza), nella quale i cani<br />

sono allegorie dei pensieri e del desiderio e “l’amore trasforma e converte nella cosa amata” (G.<br />

BRUNO, De gl’heroici furori) in un processo di purissima alchimia morale.<br />

A riguardo del tema del BAGNO di DIANA, si può notare che il particolare delle ninfe che si<br />

bagnano in una vasca nell’affresco di Fontanellato ha qualche interessante analogia con un<br />

dettaglio della tavola numero 6 dello Splendor Solis (prezioso manoscritto alchemico del 1532-35<br />

con 22 tavole miniate d’eccellente fattura), miniatura ove si allude al processo di imbiancamento<br />

(l’Albedo che succede alla prima fase dell’opus magum:<br />

Nigredo e precede le due successive di Citrinitas e Rubedo).<br />

Misteriosa, oltre che ambigua, resta nel suo insieme la mitologia di Diana, “in quanto Sagittaria<br />

lucifera, dunque spirituale, sembra che la dea investa i tre regni. <strong>Il</strong> minerale (l’arco d’argento),<br />

con cui ha rapporti di segreta affinità, le servirebbe da tramite col regno vegetale (l’olmo e la<br />

quercia) e con la bestialità animale (la fiera)…”. Dea terribile, Diana, regina della Notte e sorella<br />

del Sole, dea serena e tuttavia capace di ferocia di belva, figura dell’eterno feminino e sfuggente<br />

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come un ermafrodito…”lei si compiace nell’incertezza perenne di appartenere o non appartenere<br />

a un principio virile. L’incertezza è il suo regno, il suo universo” (P. KLOSSOWSKY, <strong>Il</strong> bagno di<br />

Diana).<br />

<strong>Il</strong> CAMERINO di DIANA:<br />

monumento funebre, studiolo segreto o boudoir?<br />

AD DIANAM / DIC DEA SI MISERUM SORS HUC ACTEONA DUXIT A TE CUR CANIBUS /<br />

TRADITUR ESCA SUIS? NON NISI MORTALES ALIQUO / PRO CRIMINE PENAS FERRE<br />

LICET:<br />

TALIS NEC DECET IRA / DEAS<br />

“A Diana. Di’, o dea, perché, se è la sorte che ha condotto qui il misero Atteone, egli è da te dato<br />

in pasto ai suoi cani? Non per altro che per una colpa è lecito che i mortali subiscano una simile<br />

pena:<br />

un’ira tale non si addice alle dee”.<br />

Parmigianino iniziò ad affrescare la stanza nell’estate o nell’autunno 1524, all’indomani della<br />

morte del piccolo figlio di Galeazzo Sanvitale, fatto che probabilmente determinò la committenza<br />

(è il parere di Marzio Dall’Acqua). Si è a lungo discusso sulla vera natura e destinazione di<br />

questo luogo: secondo alcuni (Ghidiglia Quintavalle) fu una raffinata saletta da bagno di Paola<br />

Gonzaga, sposa di Galeazzo Sanvitale e Signora di Fontanellato, secondo altri (Fagiolo dell’Arco,<br />

Mutti) si tratterebbe di una trasposizione pittorica dei motivi alchemici della coniunctio del<br />

principio maschile e femminile, con ripresa<br />

del tema della vergine (ampiamente<br />

trattato da Parmigianino alla Steccata, e si<br />

ricordi – poi – che nella mitologia classica<br />

la Vergine per eccellenza è proprio Diana),<br />

ma anche quello della metamorfosi da uno<br />

stato all’altro della materia (Atteone che si<br />

trasforma in animale) è eminente<br />

archetipo alchemico. C’è anche stato chi<br />

(Davitt-Asmus) ha proposto<br />

un’interpretazione che divide la narrazione<br />

in tre momenti: la caccia d’amore, la fonte<br />

e la morte (che indicano il passaggio<br />

dall’amore carnale a quello divino, sulla<br />

base dell’identificazione del cervo-Atteone<br />

con il sacrificio Cristo). Pare tuttavia, tra<br />

tutte, che l’interpretazione più verosimile<br />

sia quella secondo la quale il Camerino di<br />

Parmigiano a Fontanellato fu una sorta di<br />

cappella destinata a celebrare il lutto di<br />

Paola Gonzaga per la perdita del figlio con<br />

un’allegoria mitologica (e non cristiana) del<br />

tutto coerente con quella rinascita del<br />

paganesimo antico che avvenne nel<br />

Rinascimento.<br />

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Nell’iscrizione che percorre come un fregio il perimetro del Camerino di Diana spicca quel<br />

curioso ACTEONA, un accusativo alla greca che in italiano suona, evidentemente, femminile<br />

Mettendo però a confronto Atteone e Atteona non scopriremo forse che sono abbigliati allo stesso<br />

modo?<br />

Diventa così convincente l’ipotesi che a Fontanellato Parmigianino non abbia tanto (o soltanto)<br />

voluto svolgere un tema ermetico, quanto proiettare su sfondo mitico il lutto privato di Paola<br />

Gonzaga, raffigurata da Parmigianino con una spiga spezzata in mano (altro simbolo di morte),<br />

ingiustamente punita – come l’incolpevole Atteone – con la perdita del figlio.<br />

PARMIGIANINO, Atteone che si muta in cervo (1524 – Fontanellato, Rocca Sanvitale)<br />

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<strong>Il</strong> viaggio VIRTUALE potrebbe continuare, se non fosse che lo stupore e il piacere di una scoperta<br />

DAL VERO non possono essere equiparati da nessun viaggio telematico.<br />

Per scoprire questi misteri e tante altre meraviglie, niente di meglio di un viaggio REALE a<br />

Fontanellato… raggiungere questa bella corte padana è facile: Parmigianino, Paola e Galeazzo<br />

Sanvitale, Atteone, e la temibile signora della Rocca, Diana, vi aspettano!<br />

<strong>Il</strong> Diogene del Parmigianino.<br />

Alchimia e geometria<br />

<strong>Il</strong> Diogene inciso nel 1527 su invenzione del Parmigianino (1503-1540)1 è stato oggetto di letture<br />

che hanno trascurato proprio ciò di cui il filosofo mostra di occuparsi e che merita attenzione<br />

perché centrale nell’elaborazione intellettuale dell’artista<br />

Gian Giacomo Caraglio (?) su invenzione del Parmigianino, Diogene<br />

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L’identità di Diogene è riconoscibile dagli attributi alle spalle del personaggio: la lanterna che si<br />

associa al detto " cerco l’Uomo ", la botte dell’incontro con Alessandro Magno e il pollo spennato<br />

che Diogene avrebbe mandato per beffa a Platone che aveva definito l’uomo " animale bipede,<br />

senza piume ". Diogene, ignudo, siede frontalmente su un masso squadrato, la pelliccia<br />

trattenuta sul petto all’altezza del cuore gli copre in parte il torace. È assorto nella lettura di un<br />

libro appoggiato per terra cui funge da leggio un altro volume, e accompagna con la torsione del<br />

busto il gesto del braccio destro che indica con una bastoncino l’illustrazione di un dodecaedro<br />

sulla pagina di un terzo libro ai suoi piedi. Una folata d’aria gonfia il manto alle spalle e gli<br />

scompone i capelli, non però (incongruenza curiosa) le pagine dei libri. A evidenza la lettura<br />

all’origine della sua grande tensione interiore ha come oggetto il dodecaedro.<br />

I due Diogene<br />

Particolare del libro con dodecaedro<br />

Prima di occuparcene a nostra volta, occorre tener presente che nel Rinascimento sull’identità di<br />

Diogene detto il Cinico si faceva non poca confusione, se del filosofo originario di Sinope vissuto<br />

nel IV secolo a. C. si poteva far tutt’uno con Diogene di Apollonia, un fisico della scuola ionica<br />

vissuto un secolo prima. La con-fusione del Diogene presocratico con Diogene il Cinico era<br />

confortata dal commento al De civitate Dei (VIII 2) di sant’Agostino, opera delle più lette in<br />

ambiente umanistico, dove egli accenna al pensiero filosofico della scuola ionica. " Anche Diogene<br />

– scrive sant’Agostino –, l’altro uditore [insieme ad Anassagora] di Anassimene, disse certo che<br />

l’aria è la materia delle cose, da cui tutte le cose derivano, ma la dotò di ragione divina perché<br />

senza questa niente poteva derivarne " 2 . " Questo Diogene – annota la glossa – è detto il cinico<br />

cioè canino ".<br />

Alla confusione c’è da aggiungere un altro dato importante, l’esistenza di un leggendario Diogene<br />

alchimista. Nella ricostruzione della leggenda, si è rilevata nel trattato sull’alchimia del medico<br />

Pietro Bono da Ferrara Margarita Pretiosa Novella (1330), volgarizzato nel Quattrocento, la<br />

presenza fra le autorità dell’alchimia, insieme a Ermete Trismegisto " padre e profeta de filosofi<br />

", Democrito, Pitagora, http://goo.gl/ub1cx http://goo.gl/lLpsw Platone, http://goo.gl/nLFI2<br />

http://goo.gl/C8lBb Aristotele e a molti altri alchimisti greci, latini e arabi, di un Diogene del<br />

quale non si indica la patria. Pietro Bono seguiva una tradizione che si fa risalire al De arte<br />

sacra di Olimpiodoro di Alessandria l’alchimista (IV secolo), in cui l’autore menziona il fisico<br />

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presocratico Diogene di Apollonia che, come s’è visto, riteneva principio di tutte le cose l’"aria".<br />

Dunque non si trattava di Diogene di Sinope né di un alchimista, tuttavia il testo dell’alchimista<br />

Olimpiodoro sarebbe diventato una delle fonti che consentì il nascere della leggenda di un<br />

Diogene il Cinico alchimista. Per la vita appartata e solitaria, il distacco dai beni mondani, la<br />

riduzione dei bisogni all’essenziale, Diogene il Cinico rispondeva all’ideale dell’alchimista che<br />

opera non per avidità di ricchezze, rifiuta le ricompense e i privilegi dei principi e antepone a<br />

tutto la ricerca in solitudine della conoscenza e della Sapienza. Nella con-fusione, pertanto,<br />

Diogene il Cinico avrebbe potuto occuparsi di fisica, non di matematica e geometria euclidea, un<br />

dato da tener presente per il dodecaedro dell’invenzione del Diogene.<br />

<strong>Il</strong> dodecaedro<br />

Come è noto, il giovane Parmigianino s’interessava all’alchimia e negli ultimi anni della sua<br />

breve vita era diventato un alchimista di laboratorio: " stillando cercava l’archimia dell’oro et<br />

non si accorgeva lo stolto, ch’aveva l’archimia nel far le figure " – scriveva il Vasari non senza<br />

irritazione e rammarico nella prima edizione delle Vite (1550). Questo può spiegare l’incontro<br />

con la tradizione del Diogene alchimista in scritti di alchimia in cui non se ne indicava la patria,<br />

mentre come abbiamo visto il fisico di Apollonia e il Cinico di Sinope erano diventati una sola<br />

persona. Di qui nell’invenzione del Diogene l’importanza del motivo della folata d’aria, messa in<br />

evidenza dal gonfiarsi impetuoso del mantello, nella misura in cui potrebbe evocare quell’"aria"<br />

che per il fisico Diogene era il principio materiale di tutte le cose, dotato di ragione divina. In tal<br />

caso il motivo, oltre che espediente formale di movimento e di spazio, sarebbe da considerare un<br />

attributo del filosofo.<br />

Quanto alla presenza del dodecaedro nel Diogene, la scarsa attenzione prestatagli non può non<br />

sorprendere. Nessuno studioso sembra aver rilevato sino ad oggi la sua derivazione dalle tavole,<br />

tratte da disegni di Leonardo, del Compendio de la divina proportione di Luca Pacioli, pubblicato<br />

a Venezia nel 1509, dalla figura del dodecaedro " piano solido " con ombre a chiaroscuro e, come<br />

questa, illustrazione della pagina di un libro che nell’incisione appare scorciata dalla<br />

disposizione in prospettiva del volume. La stessa cosa vale per l’altra pagina: quantunque dato il<br />

taglio della composizione ne sia resa solo una parte, su di essa appare tracciato nella tipica, ben<br />

riconoscibile, schematizzazione leonardiana un poliedro " vacuo " che l’incompletezza della<br />

raffigurazione non consente di identificare. Ora, identificata la fonte figurativa del dodecaedro, si<br />

può comprendere di più e meglio l’invenzione del Parmigianino.<br />

Fra Luca Pacioli (1445/1450 circa - 1517) originario di Borgo San Sepolcro, teologo francescano,<br />

conterraneo del pittore e matematico Piero della Francesca, è il famoso autore della Summa de<br />

Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalita, stampata a Venezia nel 1494,<br />

enciclopedia del sapere matematico del tempo, dall’aritmetica all’algebra, alle operazioni<br />

commerciali, alla geometria. <strong>Il</strong> suo ritratto ci è pervenuto in una magnifica tavola del 1495 oggi a<br />

Capodimonte.<br />

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"IACO.BAR." , Fra Luca Pacioli e un discepolo, 1495,<br />

Napoli, Gallerie di Capodimonte<br />

È noto il sodalizio intellettuale di Pacioli con Leonardo. Nel 1496 il matematico è chiamato<br />

all’insegnamento pubblico a Milano dal duca Ludovico Sforza al quale nel 1498 dedica il trattato<br />

De la divina proportione, con sessanta figure a piena pagina dei cinque corpi regolari – tetraedro,<br />

ottaedro, esaedro, icosaedro, dodecaedro – e dei loro dipendenti, disegnati in prospettiva da<br />

Leonardo. A stampa l’opera doveva uscire undici anni dopo.<br />

Leonardo da Vinci (?), http://goo.gl/0sEPr http://goo.gl/k5A8x http://goo.gl/B5w8S<br />

http://goo.gl/wFGF5 Dodecaedro piano solido e dodecaedro piano vacuo, in L. Pacioli, Divina<br />

Proportione, Milano, Biblioteca Ambrosiana<br />

Nel portare argomenti a dimostrazione della " divinità " della proporzione, intesa come virtù<br />

informativa dell’universo creato secondo " numero peso e misura ", Pacioli rifacendosi alla<br />

cosmologia del Timeo (53a-56a) osserva: " Sì commo Idio l’essere conferesci a la Virtù Celeste per<br />

altro nome detta quinta essenza, e mediante quella a li altri quatro corpi semplici, cioè li quatro<br />

elementi, Terra, Aqua, Aire e Fuoco, e per questi l’essere a cadauna altra cosa in natura, così<br />

questa nostra sancta proporzione l’esser formale dà (secondo l’antico Platone in suo Timeo) a<br />

esso cielo, atribuendoli la figura del corpo detto Duodecedron, altramente corpo de 12 pentagoni,<br />

el quale commo de sotto se monstrarà senza la nostra proporzione non è possibile poterse<br />

formare ". E ancora: " La forma del 12 basi pentagone [ Platone ] atribuì al cielo sì commo a<br />

quello che è receptaculo de tutte le cose. Questo duoedecedron el simile fia receptaculo e albergo<br />

de tutti gli altri 4 corpi regulari commo apare in le loro inscriptioni uno in l’altro ".<br />

La quintessenza cosmica<br />

Dunque, secondo il pensiero neoplatonico del Pacioli, la quinta essenza è la virtù celeste di<br />

origine divina che dà vita all’universo. <strong>Il</strong> cielo/quinta essenza/quinto elemento ha la forma del<br />

dodecaedro che è strutturato dalla " sancta " proporzione; esso è il " ricettacolo " vitale dei<br />

quattro elementi empedoclei – fuoco, terra, aria, acqua –, corpi semplici che partecipano della<br />

quinta essenza e sono informati dalla proporzione del dodecaedro, ricettacolo appunto dei<br />

quattro corpi regolari euclidei, secondo le corrispondenze tetraedro-fuoco, esaedro terra,<br />

ottaedro-aria, icosaedro-acqua. Dagli elementi semplici si genera in natura ogni altra cosa del<br />

mondo animale, vegetale, minerale soggetto al ciclo della generazione e corruzione, mentre la<br />

struttura delle cose è generata dai corpi regolari e da quelli da loro dipendenti con infinite<br />

combinazioni sempre regolate dalla proporzione. Con una metafora attinta dalla pratica<br />

distillatoria non senza implicazioni di filosofia naturale il Pacioli dice in proposito: " da quelli 5<br />

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[corpi] regulari la virtù [della proporzione] sempre negli altri dependenti se distilla a<br />

similitudine de li 5 [corpi ] semplici che alla formatione de ogni creato composto concorrano ".<br />

L. Pacioli, Divina Proportione, Venezia 1509, tavv. XXVII - XXVIII,<br />

Dodedcaedro piano solido e dodecaedro piano vacuo<br />

Dopo quanto abbiamo visto, nel Diogene non è un matematico euclideo a occuparsi del<br />

dodecaedro bensì un filosofo della natura, un fisico, di conseguenza la figura sulla quale egli<br />

punta il bastoncino, indicando l’oggetto della propria riflessione filosofica e sollecitando<br />

l’attenzione dell’osservatore, è la figura dell’incorruttibile cielo/quinta essenza di origine divina –<br />

come nella cosmologia platonica del Pacioli dal quale Parmigianino dipende. Ora, dato l’orizzonte<br />

culturale e operativo di Parmigianino, non possiamo ignorare che nella dottrina alchemica,<br />

facendo forza alla fisica aristotelica che non ammette alcunché d’incorruttibile nel mondo<br />

sublunare soggetto a corruzione e generazione, la quinta essenza, è il legame "spirituale" e vitale<br />

da cui dipende l’unità degli elementi portati alla semplicità originaria nella pietra filosofale,<br />

"pietra" che è la sostanza di trasmutazione dei metalli nel composto perfetto dell’oro e medicina<br />

dei corpi. Concettualmente l’immagine del dodecaedro si collega al motivo iconografico<br />

dell’"aria", che come si è visto poc’anzi per il presocratico Diogene era il principio divino di tutte<br />

le cose. Ebbene, se col motivo dell’"aria" Parmigianino fa allusione al soffio del principio vitale,<br />

col dodecaedro indicato da Diogene ne mostra appunto la " figura ", mentre con la sua mano<br />

portata al cuore ne suggerisce la valenza ignea pneumatica.<br />

<strong>Il</strong> Diogene non solo attesta la ricezione nell’iconografia (caso unico forse) della con-fusione del<br />

fisico di Apollonia e del Cinico di Sinope nella figura di un Diogene alchimista, un dato che<br />

appartiene alla storia della cultura filosofica e dell’alchimia, ma quel che più conta è che con la<br />

sua invenzione il Parmigianino introduce nella tradizione iconografica dell’immaginario<br />

alchemico l’immagine simbolica del dodecaedro/quintessenza, destinata a non restare un caso<br />

isolato. Infatti, in campo teorico, la saldatura della cosmologia dei poliedri platonici all’alchimia<br />

doveva operarsi nel trattato illustrato Philosophia pyrotechnica di William Davidson (Parigi<br />

1635). Si può concludere sottolineando la rilevante importanza dell’immagine del dodecaedro del<br />

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Diogene, frutto dell’appropriazione di un contenuto simbolico mutuato dalla cosmologia platonica<br />

e associato alla scienza degli elementi dell’alchimia, in una sintesi concettuale nella quale si<br />

riconosce il ruolo primario avuto dalla Divina proportione di fra Luca Pacioli.<br />

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LA MADONNA DELLA ROSA DI PARMIGIANINO<br />

E’ passato Natale, ma l’atmosfera che lo rende magico rimane (se non sei nervosetto… se lo sei, è<br />

deleterio!); tra luci ipnotiche e buoni profumi, gente allegra (diciamo) e canti di Chiesa, anche gli<br />

amanti delle sperimentazioni dell’arte contemporanea (sarei io) ed i critici feroci del mercato<br />

delle aste, delle mostre mondane, della cecità di fronte al nuovo-bello (sempre io!) cedono,<br />

finalmente, provando a cimentarsi in un tema diverso: la lettura di un’opera d’ arte sacra.<br />

Paura?<br />

Non scappate.<br />

Niente di noioso, forse. Anche perché a produrre l’opera di cui voglio scrivere fu uno degli artisti<br />

più particolari ed interessanti della storia dell’arte italiana.<br />

Un vero “mago” della pittura, un autentico maestro di eleganza, un uomo dalla vita un po’<br />

tormentata: il Parmigianino, uno dei massimi rappresentanti della “Maniera”, ossia l’arte alla<br />

maniera dei grandi (Raffaello, Michelangelo, Leonardo, ecc.), ma con alcuni caratteri riletti,<br />

esasperati, dai colori, alle linee, alla costruzione dello spazio.<br />

E’ un’opera che forse con il Natale c’entra poco, la parmigianinesca Madonna della Rosa (1529-<br />

30, olio su tavola, 109 x 88,5 cm, Dresda, Gemäldegalerie), ma che mi ha folgorata letteralmente<br />

per il modo sensuale ed ammiccante con il quale rappresenta il tema sacro.<br />

<strong>Il</strong> soggetto è una Madonna che tiene in braccio un bambino, tema di per sé assai comune nella<br />

pittura rinascimentale (e non solo).<br />

Cosa ci colpisce, allora? Subito l’occhio è catturato dall’eleganza generale delle figure: la Vergine<br />

sembra una nobildonna bella e sensualissima, con la veste trasparente che mette in mostra la<br />

linea del seno, i dettagli dorati tra i capelli e sull’abito, con le mani affusolate dalle lunghissime<br />

dita, più adatte ad una suonatrice d’arpa che alla madre di Gesù; il bambino si distende con un<br />

corpo altrettanto lungo ed affusolato lungo la diagonale principale, mentre il suo sesso sembra<br />

impudentemente incorniciato dall’angolo formato dalle braccia della Vergine, ed al braccio ha un<br />

prezioso braccialetto di corallo; anche il mappamondo su cui poggia il bambino sembra un<br />

capolavoro di oreficeria; ugualmente preziosa la trama fine dei capelli delle due figure sacre, la<br />

resa dei petali della rosa, il roteare vorticoso della calda tenda alle spalle del gruppo.<br />

<strong>Il</strong> quadro è così profanamente sacro da essere per alcuni non una “Madonna con bambino”, ma<br />

una “Venere e Cupido”, anche per via della posa della Vergine, simile a quella delle Veneri<br />

“pudiche” della classicità.<br />

Potrebbe ulteriormente stupire la notizia che l’opera fu destinata ad un papa, Clemente VII,<br />

anche se all’inizio doveva andare al pruriginoso letterato dell’epoca, il poco sacro Pietro Aretino.<br />

Parmigianino decise di cambiar destinatario quando il papa passò da Bologna, dove l’artista si<br />

trovava, in occasione dell’incontro con Carlo V (il globo allude presumibilmente all’Impero).<br />

Inoltre l’opera sacra in questione si presta ad una serie di letture magico-alchemiche , tra cui<br />

quella che vede in <strong>Maria</strong> il “vas hermeticum”, il contenitore in cui si miscelavano gli ingredienti<br />

che dovevano dare, alla fine del processo alchemico, la “pietra filosofale”, l’oro (si veda anche la<br />

forma del ventre della Vergine nella famosa “Madonna dal collo lungo”, sempre di Parmigianino);<br />

il Cristo del quadro sarebbe proprio la “pietra filosofale”, prodotto magico del lavoro<br />

dell’alchimista, come Cristo è miracolo divino che si fa terreno attraverso l’Immacolata<br />

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Concezione di <strong>Maria</strong>; la rosa senza spine potrebbe essere proprio il simbolo della concezione<br />

senza peccato; il modulo circolare della rosa e del globo tenuto dal bambino sarebbero simboli<br />

della ciclicità del procedimento alchemico, assimilato dagli alchimisti stessi alla gravidanza (il<br />

risultato finale è l’oro, i cui bagliori rilucono spesso in questa ed in altre opere del <strong>Mazzola</strong>);<br />

infine la rosa bianca e rossa unite a dare la rosa rosa sarebbero emblema del sacrificio di Cristo<br />

(purezza più passione), salvatore del mondo (il globo nel dipinto).<br />

In realtà, la “doppiezza” formale dell’immagine corrisponde alla duplicità dell’interpretazione,<br />

volutamente al limite tra sacro e profano, in cui la bellezza appaia, oltre che mezzo, “finalità<br />

stessa del processo poetico e pittorico” , di pari passo con il contenuto, ma al contempo scissa dallo<br />

stesso.<br />

Parmigianino ha voluto che la sua opera risultasse sensuale, elegante, misteriosa.<br />

Questo piaceva all’artista ed agli intellettuali dell’epoca.<br />

Ma non era né profano, né irrispettoso; eros, bellezza , fisicità, carnalità: tutti elementi che<br />

contraddistinguevano il biblico “Cantico dei Cantici”; l’amore della Vergine per il bambino può<br />

anche essere letto in chiave “sensuale”, come se fosse, oltre che madre, sposa del Signore;<br />

quest’aspetto si giustifica meglio nel clima intellettualistico che letterati ed artisti respiravano<br />

presso le corti e gli ambienti raffinati che commissionavano loro le opere.<br />

Come Petrarca, prima di Parmigianino, non riuscì a descrivere l’amore per Laura se non con<br />

parole ed immagini di sapore mistico, divino; come il Cantico dei Cantici “volendo scrivere<br />

misticamente cose altissime e divine […] finse un ardente ed affettuoso dialogo di un innamorato<br />

con la sua donna, parendogli di non poter trovare quaggiù tra noi similitudine alcuna più [..]<br />

conforma alle cose divine, che l’amor verso le donne” (Baldassarre Castiglione, “<strong>Il</strong> cortegiano”,<br />

1528); così il parmense esprime l’amore divino sottoforma di sentimento umano, terreno, anche<br />

se dei più elevati.<br />

Per una volta vorrei che, dopo l’analisi, si chiudesse il discorso facendo sì che, più delle parole e<br />

dei libri, parlasse l’opera.<br />

Una buona bibliografia basterà per chi vuole approfondire (si offre qualcuno?).<br />

Parmigianino dedicò una vita alla ricerca inesausta della bellezza e dell’eleganza, nella vita, ma<br />

soprattutto nell’arte, producendo sempre veri miracoli di luce, di colore, di linee e di armonia,<br />

pur nell’artificio di certe soluzioni, anzi a maggior ragione, all’insegna di una bellezza elaborata<br />

e manierata, frutto di intenso lavoro della mente, come del braccio, dell’occhio, come dell’anima;<br />

avrebbe di certo gradito una sosta lunga ed estatica dinanzi alla sua meraviglia.<br />

Se dunque ci piace tributare un omaggio a lui, che mise una fiducia cieca nei mezzi dell’arte,<br />

facciamolo.<br />

Credo ne valga la pena… Vale sempre e comunque la pena di dare un senso profondo al proprio<br />

tempo, di riempire occhi, mente, corpo ed anima di qualcosa che ci somiglia, ma ci trascende al<br />

contempo; di imparare da chi si è sforzato di insegnare qualcosa; di ammirare chi ha scavalcato i<br />

secoli per trasmettere a noi oggi messaggi sempre verdi e sensazioni, per fortuna, immortali.<br />

L’alchimia è un antico sistema filosofico esoterico che combina elementi<br />

di chimica, fisica, astrologia, metallurgia, medicina, misticismo e religione. <strong>Il</strong> pensiero alchemico<br />

è considerato da molti il precursore della chimica moderna, prima della nascita del metodo<br />

scientifico.<br />

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Vi sono tre grandi obiettivi che si proponevano gli alchimisti:<br />

- conquistare l’onniscienza;<br />

- creare la panacea universale, un rimedio cioè per curare tutte le malattie, per generare e<br />

prolungare indefinitamente la vita;<br />

- trovare un metodo per trasmutare tutti metalli vili in oro.<br />

La pietra filosofale, sostanza di tipo etereo (che potrebbe essere una polvere, un liquido o una<br />

pietra) era il fine ultimo di ogni alchimista.<br />

L’alchimia, oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, implicava un’esperienza di crescita e<br />

un processo di liberazione e di salvezza. In quest’ottica la scienza alchemica veniva sacralizzata e<br />

ricondotta a un tipo di conoscenza metafisica e filosofica, assumendo connotati mistici, cosicché i<br />

processi e i simboli alchemici possiedono sovente un significato interiore relativo allo<br />

sviluppo spirituale in connessione con quello prettamente materiale della trasformazione<br />

fisica.<br />

<strong>Il</strong> ermine alchimia deriva all’arabo al-kimiyah, al-kimiyà o al-khimiyah, composto ell’articolo<br />

l- e della parola kimiyà che significa “pietra filosofale” e che a sua volta sembrerebbe discendere<br />

dal termine greco khymeia (χυµεία) che significa “fondere”, “colare insieme”, “saldare”,<br />

“allegare”, ecc. (da khumatos, “che è stato colato, un lingotto”).<br />

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Un’altra etimologia collega la parola con Al Kemi, che significa “l’arte egizia”, dato che gli antichi<br />

Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo<br />

antico.<br />

<strong>Il</strong> vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa “succo per fare l’oro”.<br />

***<br />

Per comprendere l’alchimia bisogna considerare come la conversione di una sostanza in un’altra,<br />

che formò la base della metallurgia fin dal suo apparire verso la fine del Neolitico, appariva, in<br />

una cultura senza alcuna conoscenza formale di fisica o chimica, come un’opera magica. Nei<br />

tempi remoti, una fisica priva di una componente metafisica sarebbe stata parziale e incompleta.<br />

Pertanto, per gli alchimisti non vi fu ragione alcuna di separare la dimensione materiale da<br />

quella simbolica o filosofica.<br />

[L'alchimista di Pieter Bruegel il Vecchio]<br />

La trasmutazione dei metalli di base in oro simboleggia un tentativo di arrivare alla<br />

perfezione e superare gli ultimi confini dell’esistenza. Gli alchimisti credevano che l’intero<br />

universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l’oro, per la sua intrinseca natura di<br />

incorruttibilità, era considerato la sostanza che più si avvicinava alla perfezione. Era anche<br />

logico pensare che riuscendo a svelare il segreto dell’immutabilità dell’oro si sarebbe ottenuta la<br />

chiave per vincere le malattie e il decadimento organico; da ciò l’intrecciarsi di tematiche<br />

chimiche, spirituali e astrologicheche fu un processo tipico dell’alchimia medievale.<br />

La scienza dell’alchimia ebbe inoltre una notevole evoluzione nel tempo, iniziando quasi come<br />

un’appendice metallurgico-medicinale della religione, maturando in un ricco coacervo di studi,<br />

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trasformandosi nel misticismo e alla fine fornendo alcune delle fondamentali conoscenze<br />

empiriche nel campo della chimica e della medicina moderne.<br />

Alcuni eminenti alchimisti del mondo occidentale furono Ruggero Bacone, http://goo.gl/QSvu4<br />

http://goo.gl/Nbzy5 San Tommaso d’Aquino, Parmigianino, Giordano Bruno, e fra gli<br />

ultimi Cagliostro. <strong>Il</strong> declino dell’alchimia iniziò nel XVIII secolo con la nascita della chimica<br />

moderna, che fornì una più precisa e reale struttura per le trasmutazioni della materia, e la<br />

medicina, con un nuovo grande disegno dell’universo basato sul materialismo razionale.<br />

La storia dell’alchimia è diventata un prolifico campo per speculazioni accademiche. Via via che<br />

l’ermetico linguaggio degli alchimisti andava gradatamente decifrato, gli storici hanno<br />

cominciato a trovare connessioni intellettuali tra quella disciplina ed altre componenti della<br />

storia culturale occidentale, come le società mistiche, del tipo di quella dei Rosacroce, la<br />

stregoneria e naturalmente l’evoluzione della scienza e della filosofia.<br />

Processo alchemico<br />

[L'alchimista in cerca della Pietra Filosofale (1771) di Joseph Wright of Derby]<br />

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L’opus alchemicum per ottenere la pietra filosofale avveniva mediante sette procedimenti,<br />

divisi in quattro operazioni: Putrefazione,Calcinazione, Distillazione e Sublimazione; e tre fasi:<br />

Soluzione, Coagulazione e Tintura.<br />

Attraverso queste operazioni la materia prima, mescolata con lo zolfo e il mercurio e scaldata<br />

nella fornace (atanor), si trasformerebbe gradualmente, passando attraverso vari stadi,<br />

contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione.<br />

<strong>Il</strong> numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchemici, è<br />

legato al significato magico dei numeri.<br />

I tre stadi fondamentali sono:<br />

- Nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;<br />

- Albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;<br />

- Rubedo o opera al rosso, che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi.<br />

<strong>Il</strong> concetto di sulphur et mercurius: si tratta, letteralmente, di “zolfo e mercurio”, cioè, nel<br />

linguaggio simbolico dell’alchimia, di due essenze primordiali visti nel quadro di un sistema<br />

dualistico che ritiene qualsiasi materiale come miscela di questi due componenti, vale a dire di<br />

un elemento “in combustione” (zolfo) e di uno “volatile” (mercurio), dotati di gradi diversi di<br />

purezza e in un diverso rapporto di mescolanza tra loro. Da Paracelso (1493-1541) venne poi<br />

aggiunto un terzo elemento, il sal (il sale), che doveva costituire la tangibilità: quando il legno è<br />

in combustione, la fiamma prende origine dal sulphur, il mercurius trapassa in evaporazione,<br />

mentre il sal ne è la cenere residua.<br />

Simboli alchemici<br />

L’universo alchemico è pervaso di simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, permeano le<br />

varie operazioni e gli ingredienti costitutivi del processo per ottenere la pietra filosofale.<br />

Così per esempio l’oro e l’argento acquisiscono nell’iconografia alchemica i tratti simbolici<br />

del Sole e della Luna, della luce e delle tenebre e del principio maschile e femminile, che si<br />

uniscono (sizigia) nella coniunctio oppositorum della Grande Opera (Rebis).<br />

Simboli astrologici<br />

[Simboli da un libro sull'alchimia del XVII secolo]<br />

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Gli elementi cosmici avevano grande importanza non solo per la loro influenza sui processi<br />

alchemici, ma anche per il parallelismo che li legava agli elementi naturali, in base alla credenza<br />

che “ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto”.<br />

Tradizionalmente, ognuno dei sette corpi celesti del sistema solare conosciuti dagli antichi era<br />

associato con un determinato metallo. La lista del dominio dei corpi celesti sui metalli è la<br />

seguente:<br />

- <strong>Il</strong> Sole governa l’Oro<br />

- La Luna è connessa con l’Argento<br />

- Mercurio, Mercurio<br />

- Venere, Rame<br />

- Marte, Ferro<br />

- Giove, Stagno<br />

- Saturno Piombo<br />

Sia i metalli che i corpi celesti erano in relazione con l’anatomia umana e le sette viscere<br />

dell’uomo<br />

Simboli animali<br />

[L'Ouroboro in un'incisione di Lucas Jennis nel trattato alchemico De Lapide Philisophico]<br />

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Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale compaiono spesso figure<br />

animali e fantastiche. I tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava,<br />

la nigredo, l’albedo e la rubedo erano rispettivamente simboleggiati dal corvo, dal cigno e<br />

dalla fenice. Quest’ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il<br />

principio del “nulla si crea e nulla si distrugge”, tema centrale della speculazione<br />

alchimistica. Inoltre era sempre la fenice a deporre l’uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il<br />

contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare.<br />

Anche il serpente ouroboros, che si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere<br />

alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità deltempo e dell’”Uno il Tutto”.<br />

Storia dell’Alchimia<br />

L’alchimia abbraccia alcune tradizioni filosofiche che si sono propagate per quattro millenni e tre<br />

continenti, e la loro generale inclinazione per un linguaggio criptico e simbolico rende difficile<br />

tracciare le loro mutue influenze e relazioni.<br />

Si possono distinguere almeno due grandi canali, che sembrano essere in gran parte<br />

indipendenti, almeno nelle tappe più remote: l’alchimia orientale, attiva in Cina e nella zona<br />

della sua influenza culturale, e l’alchimia occidentale, il cui centro nei millenni è slittato<br />

tra Egitto, Grecia, Roma, il mondo islamico e alla fine l’Europa. L’alchimia cinese fu<br />

strettamente connessa al Taoismo, mentre quella occidentale sviluppò un proprio sistema<br />

filosofico, connesso solo superficialmente con le maggiori religioni occidentali. Se queste due<br />

tipologie abbiano avuto una comune origine e fino a che punto si siano influenzate l’una con<br />

l’altra è tuttora oggetto di questione.<br />

Alchimia nell’Europa medievale<br />

[Pagina dal trattato di alchimia di Raimondo Lullo<br />

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Dopo essere caduta alquanto in disuso durante l’alto Medioevo, l’Occidente riprende contatto con<br />

la tradizione alchemica greca attraverso gli Arabi. L’incontro tra la cultura alchemica araba e il<br />

mondo latino avviene per la prima volta in Spagna, probabilmente ad opera di Gerberto di<br />

Aurillac, che più tardi divenne Papa Silvestro II (morto nel 1003). Nel XII secolo va ricordata la<br />

figura del più importante dei traduttori di opere arabe, Gerardo da Cremona, che<br />

interpretò Averroè, tradusse l’Almagesto, e forse alcune opere di Razes e Geberus.<br />

<strong>Il</strong> rientro vero e proprio dell’alchimia in Europa viene in genere fatto risalire al 1144,<br />

quando Roberto di Chester tradusse dall’arabo il Liber de compositione alchimiae, un libro dai<br />

forti connotati iniziatici, mistici ed esoterici, nel quale un saggio, Morieno, erede del sapere<br />

di Ermete Trismegisto, insegna al Re Calid.<br />

<strong>Il</strong> materiale alchimistico dei testi arabi verrà rielaborato durante tutto il XIII secolo. Alberto<br />

Magno (1193-1280) affronta la tematica alchemica nel De mirabilibus mundi e nel Liber de<br />

Alchemia di incerta attribuzione. A Tommaso d’Aquino (1225-1274) vengono attribuiti alcuni<br />

opuscoli alchemici, nei quali è dichiarata la possibilità della produzione dell’oro e dell’argento.<br />

<strong>Il</strong> primo vero alchimista dell’Europa medievale deve essere considerato Roger Bacon (1241-<br />

1294) un Francescano che esplorò i campi dell’ottica e della linguistica oltre agli studi alchemici.<br />

Le sue opere, il Breve Breviarium, il Tractatus trium verborum e lo Speculum Alchimiae, oltre ai<br />

numerosi pseudo-epigrafi a lui attribuiti, furono utilizzate dagli alchimisti dal XV al XIX secolo.<br />

Alla fine del XIII secolo l’alchimia si sviluppò in un sistema strutturato di credenze, grazie anche<br />

all’opera di Arnaldo da Villanova (ca. 1240-ca.1312), con il suo Rosarium Philosophorum, e<br />

soprattutto con Raimondo Lullo (1235-1315), che divenne presto una leggenda per la sua<br />

presunta abilità alchemica.<br />

Nel XIV secolo l’alchimia ebbe una flessione a causa dell’editto di Papa Giovanni XXII (Spondent<br />

Pariter) che vietava la pratica alchemica, fatto che scoraggiò gli alchimisti appartenenti alla<br />

Chiesa dal continuare gli esperimenti.<br />

[Misteriosi simboli alchemici incisi sulla tomba di Nicholas Flamel a Parigi]<br />

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L’alchimia fu comunque tenuta viva da uomini come Nicholas Flamel, il quale è degno di nota<br />

solamente perché fu uno dei pochi alchimisti a scrivere in questi tempi travagliati. Flamel visse<br />

dal 1330 al 1419 e sarebbe servito da archetipo per la fase successiva della pratica alchemica. <strong>Il</strong><br />

suo unico interesse per l’alchimia ruotava intorno alla ricerca della pietra filosofale; in anni di<br />

paziente lavoro riuscì a tradurre il mitico Libro di Abramo l’ebreo, che avrebbe acquistato nel<br />

1357 e che gli avrebbe rivelato i segreti per la costruzione della pietra dei filosofi.<br />

Nell’alto Medioevo gli alchimisti si concentrarono nella ricerca dell’elisir della giovinezza e della<br />

pietra filosofale, credendo che fossero entità separate. In quel periodo molti di loro<br />

interpretavano la purificazione dell’anima in connessione con la trasmutazione del piombo in oro<br />

(nella quale credevano che il mercurio giocasse un ruolo cruciale). Questi individui erano visti<br />

come maghi e incantatori da molti, e furono spesso perseguitati per le loro pratiche.<br />

Alchimia nel Rinascimento e nell’età moderna<br />

[The Alchemist di Sir William Fettes Douglas, XIX secolo]<br />

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Nel contesto delle idee del Cinquecento è impossibile tracciare un confine netto che separi una<br />

disciplina scientifica dall’altra, come anche tracciare molte linee di separazione tra il complesso<br />

delle scienze da un lato e la riflessione speculativa e magico-astrologica dall’altro. In questo<br />

periodo magia e medicina, alchimia e scienze naturali e addirittura astrologia e astronomia<br />

operano in una sorta di simbiosi, legate le une alle altre in modo spesso inestricabile.<br />

Agli inizi del XVI secolo uno dei maggiori interpreti di questo coacervo di discipline scientifiche<br />

fu il medico, astrologo, filosofo e alchimista Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, 1486-<br />

1535. Costui credeva di essere un mago e di essere capace di evocare gli spiriti. La sua influenza<br />

fu di modesta entità, ma come Flamel, produsse opere, fra le quali il De occulta philosophia,<br />

alle quali fecero riferimento tutti gli alchimisti posteriori. Ancora come Flamel fece molto per<br />

cambiare l’alchimia da una filosofia mistica a una magia occultista. Inoltre mantenne vive le<br />

filosofie degli antichi alchimisti, che includevano scienza sperimentale, numerologia, ecc.,<br />

aggiungendovi la teoria magica, che rinforzava l’idea di alchimia come credenza occultista.<br />

Paracelso http://goo.gl/yrvNb http://goo.gl/5UKGg<br />

<strong>Il</strong> nome più importante di questo periodo è, senza dubbio, Paracelso Theophrastus Bombastus<br />

von Hohenheim, 1493-1541), il quale diede una nuova forma all’alchimia, spazzando via un certo<br />

occultismo che si era accumulato negli anni e promuovendo l’utilizzo di osservazioni empiriche<br />

ed esperimenti tesi a comprendere il corpo umano. Rigettò le tradizioni gnostiche e le teorie<br />

magiche, pur mantenendo molto delle filosofie ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche.<br />

Per Paracelso l’alchimia era la scienza della trasformazione dei metalli reperibili in natura per<br />

produrre composti utili per l’umanità. La iatrochimica di Paracelso era basata sulla teoria che il<br />

corpo umano fosse un sistema chimico nel quale giocano un ruolo fondamentale i due tradizionali<br />

principi degli alchimisti, ovvero lo zolfo e il mercurio, ai quali lo scienziato aggiunse il sale.<br />

Paracelso era convinto che l’origine delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi<br />

principi chimici e non dalla disarmonia degli umori, come pensavano i galenici. Quindi, secondo<br />

lui, la salute poteva essere ristabilita utilizzando rimedi di natura minerale e non di natura<br />

organica.<br />

[<strong>Il</strong> laboratorio dell'Alchimista diGiovanni Stradano, Studiolo di <strong>Francesco</strong> I nel Palazzo<br />

Vecchio a Firenze]<br />

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Anche molti artisti, come per esempio il Parmigianino e persino personalità politiche del periodo<br />

si interessarono all’alchimia. Tra questi: Caterina Sforza, <strong>Francesco</strong> I de’ Medici, nel cui<br />

studiolo di Palazzo Vecchio fece dipingere allegorie alchimistiche da Giovanni Stradano,<br />

e Cosimo I de’ Medici. In Inghilterra, l’alchimia nel XVI secolo è spesso associata al dottor John<br />

Dee (1527-1608), meglio conosciuto per il suo ruolo di astrologo, crittografo e in generale<br />

“consulente scientifico” della regina Elisabetta I d’Inghilterra. Dee si interessò anche di alchimia<br />

tanto da scrivere un libro sull’argomento (Monas Hieroglyphica, 1564) influenzato dalla Cabala.<br />

<strong>Il</strong> declino dell’alchimia occidentale<br />

<strong>Il</strong> declino dell’alchimia in Occidente fu causato dalla nascita della scienza moderna con i suoi<br />

richiami a rigorose sperimentazioni scientifiche e al concetto di materialismo. Nel XVII<br />

secolo Robert Boyle (1627-1691) diede avvio al metodo scientifico nelle investigazioni chimiche,<br />

alla base di un nuovo approccio alla comprensione della trasformazione della materia, che di<br />

fatto rivelò la futilità delle ricerche alchemiche della pietra filosofale.<br />

Anche gli enormi passi avanti compiuti dalla medicina nel periodo seguente la iatrochimica di<br />

Paracelso, supportati dagli sviluppi paralleli della chimica organica, diedero un duro colpo alle<br />

speranze dell’alchimia di reperire elisir miracolosi, mostrando l’inefficacia se non la tossicità dei<br />

suoi rimedi.<br />

[Distillazione con un alambicco]<br />

Ridotta ad arcano sistema filosofico, scarsamente connesso al mondo materiale, l’Ars magna subì<br />

il fato comune di altre discipline esoteriche quali l’astrologia; esclusa dagli studi universitari e<br />

ostracizzata dagli scienziati, si cominciò a guardare ad essa come all’epitome della superstizione.<br />

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A livello popolare, tuttavia, l’alchimista era ancora considerato il depositario di grandi saperi<br />

arcani. Facendo leva sulla credulità popolare, molti imbroglioni si attribuirono titoli di guaritore<br />

e per dimostrare effettive capacità produssero manuali manoscritti che imitavano, nel gergo e<br />

nelle illustrazioni, i trattati di famosi autori alchemici (in tal modo, nacquero anche i cosiddetti<br />

“erbari dei falsi alchimisti” che solo di recente hanno iniziato ad essere analizzati in modo<br />

attento dagli studiosi).<br />

Dopo aver goduto per più di duemila anni di un grande prestigio intellettuale e materiale,<br />

l’alchimia uscì in tal modo dal pensiero occidentale, salvo ricomparire nelle opere di studiosi a<br />

cavallo tra scienza, filosofia ed esoterismo, quali lo psicanalista Carl Gustav Jung, il<br />

pensatoreJulius Evola e l’esoterista, alchimista e scrittore italiano Giuliano Kremmerz.<br />

ALCHIMIA<br />

Un alchimista potrebbe dar carne e sangue ad un sogno?<br />

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Si ritiene comunemente che il termine alchimia derivi dall'arabo al-kimiya o al-khimiya<br />

(ا ءﺎـــــــــــــﻳﻣﻳآﻟ<br />

ءﺎـــــــــــــﻳﻣﻳآﻟ o ءﺎـــــــــــــــﻳﻣﻳﺧﻟا<br />

ءﺎـــــــــــــــﻳﻣﻳﺧﻟا), ءﺎـــــــــــــــﻳﻣﻳﺧﻟا che è probabilmente composto dall'articolo al- e la parola greca<br />

khymeia (χυµεία) che significa "fondere", "colare insieme", "saldare", "allegare", ecc. (da<br />

khumatos, "che è stato colato, un lingotto").<br />

Dalla radice “chimia” deriverà tra l’altro anche la chimica, scienza moderna che secondo i più<br />

deve le sue origini a questa antica disciplina, prima della nascita del metodo scientifico.<br />

Gershom Scholem però ritiene invece che il termine kimija, pur se reperita in fonti arabe, abbia<br />

la sua prima origine nella kabbalah ebraica e significhi: “ciò che viene da Dio”.<br />

Un'altra etimologia collega la parola con Al Kemi, che significa "l'arte egizia", dato che gli antichi<br />

Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo<br />

antico. <strong>Il</strong> vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa "succo per<br />

fare l'oro".<br />

Aldilà del suo significato letterale, ci troviamo di fronte un antico sistema filosofico esoterico, che<br />

combina elementi di chimica, fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia, medicina,<br />

misticismo e religione in un tutto armonico… o almeno si propone di farlo, fondendo insieme tre<br />

ambiziosi obiettivi: conquistare l'onniscienza, creare la panacea universale, (rimedio per<br />

curare tutte le malattie, prolungando indefinitamente la vita) ed infine il più famoso di tutti:<br />

trasmutare i metalli in oro.<br />

Per far ciò era indispensabile la famosissima pietra filosofale, sostanza non meglio<br />

identificata, che potrebbe essere anche una polvere o un liquido, non necessariamente una pietra<br />

nel senso letterale, secondo alcuni si tratterebbe di una pianta.<br />

Qualcuno ha proposto per questo ruolo la moscatella, nota col nome scientifico di adoxa<br />

moschatellina pianta erbacea tipica del sottobosco di faggio, un tempo comune in tutte le zone<br />

temperate e fredde dell’emisfero boreale ed oggi ridotta a poche zone caratteristiche delle Alpi<br />

Marittime e dell’Appennino ligure.<br />

Ecco la pietra in tutto il suo ermetico splendore, descritta in un sonetto del 1329:<br />

Chi solvere non sa, ne' assottigliare<br />

corpo non tocchi, ne' argento vivo<br />

per chi non puo' lo fisso et volativo<br />

tenere chi non sa de duo un fare.<br />

Fatelo dunque stretto abbracciare<br />

con acqua viva e sal disolutivo,<br />

tene bene e coque piane si che sie privo<br />

della terra mama la qual lo fa celare<br />

Allora vedrai fuggire la morte abscura<br />

et ritornar lo Sole lucente e bello<br />

con molti fiori ornato in sua figura .<br />

Questa e' la pietra, questo e' quello<br />

delli filosofi l'antica scrittura<br />

Che sull'incudine batte lo martello.<br />

Finis.<br />

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Estratto dal testo l'Acerba. Si trova nel Codice Riccardiano n.946, nel Codice Magliabechiano II -<br />

III - 308 a carte 406 della Biblioteca Nazionale di<br />

Firenze.<br />

L’autore è Cecco d'Ascoli pseudonimo di <strong>Francesco</strong><br />

Stabili, fu astrologo, filosofo e alchimista. Nel 1324 fu<br />

condannato da Fra Lamberto da Ciangulo dell'ordine<br />

dei frati predicatori ad essere arso vivo come eretico. La<br />

sentenza dice cosi: "Frate Accursio dell'Ordine dei<br />

Frati Minori Inquisitore a Firenze, vist o il<br />

processo che gli è stato mandato al 17 luglio 1327<br />

da Frate Lamberto da Bologna contro Maestro<br />

Cecco d'Ascoli... che l'ha dichiarato eretico e lo ha<br />

consegnato al tribunale secolare del vicario<br />

ducale onde essere assoggettato alle pene che gli<br />

sono dovute; ha condannato il libro di Astrologia<br />

di cui è autore ed un altro, in lingua volgare,<br />

intitolato l'Acerba; ha decretato che sarebbero<br />

bruciati ed ha colpito da scomunica tutti quelli<br />

che possedessero tali o simili libri".<br />

L'alchimia, oltre ad essere una disciplina fisica e<br />

chimica, implicava un'esperienza di crescita ed un<br />

processo di liberazione e di salvezza dell'artefice dell'esperimento. Per questo spesso entrò in<br />

urto con i dogmi della Chiesa, fino ad arrivare alla guerra aperta nel medioevo feudale. La<br />

scienza alchemica veniva considerata sacra e ricondotta ad un tipo di conoscenza metafisica e<br />

filosofica, assumendo connotati mistici, cosicché i processi e i simboli alchemici possiedono<br />

sovente un significato interiore relativo allo sviluppo spirituale in connessione con quello<br />

prettamente materiale della trasformazione fisica. Così per esempio l'oro e l'argento acquisiscono<br />

nell'iconografia alchemica i tratti simbolici del Sole e della Luna, della luce e delle tenebre e del<br />

principio maschile e femminile, che si uniscono nella coniunctio oppositorum della Grande<br />

Opera.<br />

Gli elementi cosmici avevano grande importanza non solo per la loro influenza sui processi<br />

alchemici, ma anche per il parallelismo che li legava agli elementi naturali, in base alla credenza<br />

che "ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto", perciò il sapere alchemico era strettamente<br />

legato all’Astrologia.<br />

Tradizionalmente, ognuno dei sette corpi celesti del sistema solare conosciuti dagli antichi era<br />

associato con un determinato metallo: <strong>Il</strong> Sole governa l'Oro, metallo perfetto, simboleggiato dal<br />

colore rosso e ritenuto un principio maschile. La Luna è connessa con l'Argento, ad uno<br />

scalino immediatamente inferiore, principio femminile simboleggiato dal bianco. Mercurio è<br />

collegato ovviamente all’elemento omonimo che, essendo volatile, ebbe fin dapprincipio una<br />

trattazione a parte. Venere al rame, che un tempo era ritenuto un momento di passaggio in cui<br />

oro ed argento si trovassero ancora insieme; la metallurgia antica infatti considerava i metalli<br />

come gradini intermedi rispetto alla perfezione, rappresentata dall’oro: più il metallo era lontano<br />

dal sole e più gli era difficile liberarsi dalle “scorie” terrene. Di qui la necessità di fonderli e la<br />

speranza di riuscire a trasmutarli appunto in oro. Seguiva Marte, collegato al ferro; Giove allo<br />

stagno e finalmente Saturno al piombo… ed all’influsso di questo pianeta il Rinascimento<br />

riconduceva l’umore malinconico.<br />

La malinconia è uno stato emotivo molto caratteristico e diffuso tra gli uomini; si è soliti<br />

distinguerla dalla “melanconia” in quanto la seconda avrebbe una matrice clinica più esplicita.<br />

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Originariamente la melanconia, nelle teorie mediche greche, apparteneva alla categoria degli<br />

“umori”; si assumeva la melanconia come autentico male da curare. Nel corso dei secoli questa<br />

visione si è complicata sempre più; basti pensare a l’immagine di Albrecht Dürer intitolata<br />

proprio Melencolia I, dove l’artista tedesco realizzò una sintesi di implicazioni teologiche,<br />

emotive e scientifiche, mettendo in mostra il pianeta tradizionalmente legato al sentimento della<br />

melanconia (Saturno) e le connessioni alchemiche tra razionalità e creazione artistica. Ma<br />

l’immagine di Dürer porta a compimento un vasto processo simbolico che interessa tutto il<br />

medioevo.<br />

Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale compaiono spesso figure<br />

ermetiche tratte dal mondo vegetale ed animale, se lo studio dei primi è vastissimo e ci<br />

porterebbe decisamente troppo lontano, tra gli animali il corvo ed il cigno (già cari alla mitologia<br />

celtica ed entrati a buon diritto nell’araldica medioevale) e la fenice sono per così dire i<br />

protagonisti degli studi alchemici. Quest'ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie<br />

ceneri, incarna il principio del "nulla si crea e nulla si distrugge", tema centrale della<br />

speculazione alchimistica. Inoltre, era sempre la fenice a deporre l'uovo cosmico, che a sua volta<br />

raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare. Anche il serpente che si<br />

mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere alchemiche, in quanto simbolo<br />

della ciclicità del tempo e del "Uno il Tutto" ("En to Pan").<br />

L'alchimia abbraccia alcune tradizioni filosofiche che si sono propagate per quattro millenni e tre<br />

continenti e la loro generale inclinazione per un linguaggio criptico e simbolico rende difficile<br />

tracciare le loro mutue influenze e relazioni.<br />

JOLLIVET-CASTELLOT F. nella sua:<br />

STORIA DELL'ALCHIMIA pubblicato a<br />

puntate sulla testata francese<br />

“Hyperchimie” dal 1897 al 1898,ed<br />

attualmente visibile, con prefazione di<br />

Giuliano Kremmerz, sostiene che le<br />

origini della scienza alchemica, della<br />

filosofia ermetica e dell'arte spargirica<br />

(spagiria, nella terminologia Greca,<br />

significa separare, dividere e quindi<br />

associare, o unire) risalgano alla più<br />

remota antichità:<br />

“Nelle fraternità iniziatiche perdura<br />

tuttora la tradizione che queste<br />

metafisiche trascendentali fiorissero<br />

splendidamente in seno alla misteriosa<br />

Atlantide ed alla vetusta Lemuria, i cui<br />

tempi, cinquantamil'anni prima di Cristo,<br />

lasciarono i loro segreti in retaggio ai<br />

santuari indiani ed egiziani.”<br />

Si possono distinguere almeno due grandi<br />

canali, che sembrano essere in gran parte<br />

indipendenti, almeno nelle tappe più<br />

remote: l'alchimia orientale, attiva in Cina<br />

e nella zona della sua influenza culturale,<br />

e l'alchimia occidentale, il cui centro nei<br />

millenni è slittato tra Egitto, Grecia,<br />

Roma, il mondo islamico ed alla fine l'Europa. L'alchimia cinese fu strettamente connessa al<br />

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Taoismo, mentre quella occidentale sviluppò un proprio sistema filosofico, connesso solo<br />

superficialmente con le maggiori religioni occidentali. Se queste due tipologie abbiano avuto una<br />

comune origine e fino a che punto si siano influenzate l'una con l'altra è tuttora oggetto di<br />

discussione.<br />

Mentre quella occidentale fu più concentrata sulla trasmutazione dei metalli, l'alchimia cinese<br />

ebbe una maggiore connessione con la medicina. Un trait d’union importante può essere<br />

considerata la medicina ebraica, con la sua attenzione all’uomo integrale. Per chi vuol saperne di<br />

più e non è in grado d’addentrarsi in complicati studi sulla “kabbalah” sarà senz’altro utile la<br />

lettura di "Medicus" il primo dei tre libri che Noah Gordon dedica alla saga di una famiglia di<br />

medici scozzesi, siamo ai primordi dell’XI secolo ed il protagonista raggiungere la Persia dove<br />

esiste l'unica scuola di medicina: quella di Abu Ali al-Hussein Ibn Sina noto con il nome un po'<br />

"tradotto" di Avicenna.<br />

E qui ci conviene di nuovo dar la parola al nostro Jollivet-Castellot F.:<br />

“Con Avicenna [in arabo Abu Ibn Sina] incontriamo uno dei più famosi ermetisti<br />

orientali, che le varie discipline moderne si contendono. Nacque nel 980 nei dintorni di<br />

Scivaz, piccola città persiana, [o ad Afsenna, nel canato di Bocara]. Mostrò talento<br />

precoce nelle matematiche e nella più sublime filosofia.<br />

Come tutti gli adepti di quei tempi, praticò quella medicina che deriva direttamente<br />

dalla spargiria e dovette una desideratissima reputazione a numerose e sollecite cure<br />

[fu detto Principe dei medici. Fu anche astronomo. Dante http://goo.gl/8kQH2<br />

http://goo.gl/nLn9r lo nomina nel IV canto dell'Inferno:<br />

....... e vidi......<br />

Ippocrate, Avicenna e Gali'eno,<br />

Averrois che 'l gran commentofeo.<br />

(v. 143 e 144). ]<br />

La sua fama crebbe maggiormente<br />

durante i viaggi che fece nell'Arabia e<br />

nella Siria, regioni che percorse da<br />

nomade. Alfine si stanziò a Ispahan,<br />

dove morì [nel 1037 o 1057 altri però lo<br />

dicono defunto ad Hamadan nel 1073.<br />

Questa notizia è più attendibile<br />

dell'antecedente]. Lasciò parecchie<br />

opere, due delle quali sull'alchimia: il<br />

Tractatulus alchemiae e De<br />

conglutinatione lapidum [Sulla<br />

medicina lasciò i Libri quinque canonis<br />

medicinae]”<br />

Ma torniamo al problema delle origini<br />

ed alle differenze fra Oriente ed<br />

Occidente. La pietra filosofale degli<br />

alchimisti europei può essere comparata<br />

con l'elisir dell'immortalità cercato dagli<br />

alchimisti cinesi. Comunque, da un<br />

punto di vista ermetico, questi due<br />

interessi non erano separati e la pietra<br />

dei filosofi era spesso equiparata all'elisir di lunga vita.<br />

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Gli alchimisti occidentali generalmente fanno risalire l'origine della loro arte all'antico Egitto.<br />

Metallurgia e misticismo erano inesorabilmente legati insieme nel mondo antico, in cui una<br />

cosa come la trasformazione dell'oro grezzo in un metallo scintillante doveva sembrare un atto<br />

governato da regole misteriose. La trattazione alchemica dei metalli affonda le radici<br />

nell’antichità. La fusione a cera persa è, infatti, un metodo che veniva usato già da Sumeri,<br />

Egizi, Etruschi, popoli Africani e Precolombiani. Questi popoli rivedevano nel processo di fusione<br />

a cera il processo di creazione della vita umana. Per cui, la tecnica di fusione a cera rendeva per<br />

loro ogni manufatto unico ed irripetibile, come l’essere umano ed il fabbro partecipava in qualche<br />

modo di poteri divini. La mitologia celtica e la religione etrusca danno grande spazio alla<br />

metallurgia ed eroi e dei si contendono il privilegio d’esercitare quest’arte. Niente di strano che<br />

vi siano connesse conoscenze importanti, negate agli uomini comuni.<br />

La città di Alessandria in Egitto fu un centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria<br />

preminenza fino al declino della cultura egiziana antica. Sfortunatamente non esistono<br />

documenti originali egizi sull'alchimia. Questi scritti, qualora fossero esistiti, andarono perduti<br />

nell'incendio della Biblioteca di Alessandria, nel 391. L'alchimia egiziana è per lo più conosciuta<br />

attraverso le opere di antichi filosofi greci, sopravvissute solamente in traduzioni islamiche.<br />

La leggenda vuole che il fondatore dell'alchimia egiziana sia il dio Thot, chiamato Ermes-Thoth o<br />

Ermes il tre volte grande (Ermes Trismegisto) dai Greci. Secondo la leggenda il dio avrebbe<br />

scritto i quarantadue libri della conoscenza, che avrebbero coperto tutti i campi dello scibile, fra<br />

cui anche l'alchimia. <strong>Il</strong> simbolo di Ermes era il caduceo (bastone con due serpenti attorcigliati)<br />

che divenne uno dei principali simboli alchemici. La Tavola di Smeraldo di Ermes Trismegistus,<br />

che è nota solamente attraverso traduzioni greche ed arabe, è generalmente considerata la base<br />

per la pratica e la filosofia alchemica occidentale.<br />

Le dottrine alchimistiche della scuola greca passarono attraverso tre fasi evolutive: l'alchimia<br />

come tecnica, cioè l'arte prechimica degli artigiani egizi, l'alchimia come filosofia ed infine quella<br />

religiosa. I Greci s’appropriarono delle dottrine ermetiche degli Egiziani, mescolandole,<br />

nell'ambiente sincretistico della cultura alessandrina, con le filosofie del Pitagorismo e della<br />

scuola ionica e successivamente dello Gnosticismo. La filosofia pitagorica consiste<br />

essenzialmente nella credenza che i numeri governino l'universo e che siano l'essenza di tutte le<br />

cose, dal suono alle forme.<br />

<strong>Il</strong> pensiero della scuola ionica era basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i<br />

fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti principali furono Talete ed Anassimandro di<br />

Mileto, fu poi sviluppata da Platone ed Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte<br />

integrante dell'alchimia. Si delinea, come base della nuova scienza, la nozione di una materia<br />

prima che forma l'universo, e che può essere spiegata solamente attraverso attente esplorazioni<br />

filosofiche. Un concetto molto importante, introdotto in quel tempo da Empedocle, è che tutte le<br />

cose nell'universo erano formate solamente da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. A<br />

questi Aristotele aggiunge l'etere, la materia di cui sono formati i cieli e che viene denominata<br />

quintessenza. La terza fase si differenzia dalla precedente di speculazione filosofica per le<br />

caratteristiche di una religione esoterica, per l'abbondanza di rituali misteriosi e per il<br />

linguaggio. Nei primi secoli dell'età imperiale, in età ellenistica, si sviluppò una letteratura di<br />

carattere filosofico-soteriologico-religiosa, di vario carattere, accomunata dalla pretesa<br />

rivelazione da parte del dio Thot-Ermete, da cui il nome di letteratura ermetica. <strong>Il</strong> supporto<br />

dottrinale di questa letteratura è una forma di metafisica che si rifà al Neoplatonismo ed al<br />

Neopitagorismo.<br />

Nel II secolo sarebbero stati scritti anche gli Oracoli caldaici, dei quali sono pervenuti solo<br />

frammenti, che presentano molte analogie con gli scritti ermetici. In questo momento storico,<br />

quindi, si sarebbe operata una fusione tra il patrimonio filosofico greco e la gnosi ermetica, nella<br />

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quale la grande opera assume connotati di tecnica tesa alla realizzazione in senso interiore e<br />

cosmico.<br />

Tra gli alchimisti ellenistici vanno citati Bolo di Mende e Zosimo di Panopoli, il primo autore che<br />

abbia scritto opere alchemiche in modo sistematico e firmando la propria creazione.<br />

La distruzione del Serapeo e della Biblioteca di Alessandria segnò la fine del centro culturale<br />

greco, spostando il processo dello sviluppo alchemico verso il Vicino Oriente. L'alchimia islamica<br />

è molto meglio conosciuta perché meglio documentata e molti dei testi antichi giunti sino a noi si<br />

sono preservati come traduzioni islamiche.<br />

Alchimisti islamici come Abu Bakr Mohammad Ibn Zakariya al-Razi, (in latino Rasis o Rhazes)<br />

diedero un contributo fondamentale alle scoperte chimiche, come la tecnica della distillazione, e<br />

ai loro esperimenti si devono l'acido muriatico (l'antico nome dell'acido cloridrico), l'acido<br />

solforico e l'acido nitrico, oltre alla soda (al-natrun) e potassio (al-qali), da cui derivano i nomi<br />

internazionali di sodio e potassio, Natrium e Kalium. L'apporto di nomenclatura alchimistica a<br />

tutta la posteriore cultura occidentale è di origine araba: termini arabi sono infatti: atanor<br />

(fornace), azoth (forma corrotta da al-zawq, 'mercurio'), alcool (da al-kohl, 'antimonio'), elisir (da<br />

al-iksīr, "pietra" filosofale) e alambicco. La scoperta che l'acqua regia, un composto di acido<br />

nitrico e muriatico, potesse dissolvere il metallo nobile - l'oro - accese l'immaginazione degli<br />

alchimisti per il millennio a venire.<br />

Jollivet-castellot f. osserva ancora che:<br />

“I filosofi islamici diedero anche grandi contributi all'ermetismo alchemico. Al<br />

riguardo la più grande e influente figura è probabilmente Giabir ibn Hayyan (in arabo<br />

نﺎــــــﻳﺣ<br />

نﺎــــــﻳﺣ نـــــﺑإ<br />

نـــــﺑإ رﺑﺎـــــــﺟ رﺑﺎـــــــﺟ<br />

رﺑﺎـــــــﺟ ), latinizzato in Geber il Geber o Geberus dei Latini. Nacque ad<br />

Haran, nella Mesopotamia, alla fine del secolo ottavo. In quell'epoca la civiltà<br />

orientale brillava del massimo splendore e Bagdad, divenuta il centro delle umane<br />

cognizioni, sostituiva quasi Alessandria.<br />

Giaber compì gli studi alla scuola di Edessa, che godeva giustamente molta<br />

reputazione, v’era insegnata la più parte delle lingue: il greco, il caldeo e il siriaco, e<br />

v'eran commentate l'opere dei più dotti filosofi.<br />

Giaber non solo assimilò le parole dei maestri, ma si fece notare per la sua iniziativa nella<br />

scienza alchemica.<br />

Paracelso l'ebbe in grande stima e lo chiamò magister<br />

magistrorum (Maestro dei maestri). Difatti la sua<br />

Summa perfectionis abbraccia, in modo<br />

originalissimo, tutta la spargiria. Egli indica, in<br />

termini perfetti, le qualità richieste per l'adeptato:<br />

volontà, perseveranza e pazienza, e ne commenta gli<br />

effetti sull'opera.<br />

Versatissimo nella pratica, Giaber constatò la maggior<br />

parte delle nozioni sperimentali, delle quali andiamo<br />

oggi tanto orgogliosi. [Trovò la preparazione<br />

dell'acido nitrico e dell'acqua regia... conobbe<br />

probabilmente i preparati della potassa colla calce,<br />

del sale ammoniaco e dell'alcool, non che la pietra<br />

filosofale, il sublimato corrosivo, ecc. ]. A lui spetta<br />

anche l'onore d'aver diffuso nel mondo profano il<br />

gusto per la chimica volgare, cioè per l'essoterismo<br />

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della scienza ermetica. Fece far passi giganteschi alle conquiste industriali, pur<br />

conservando accuratamente, mediante uno scelto cenacolo, i segreti tradizionali della<br />

pietra trasmutatoria.<br />

<strong>Il</strong> Compendio di perfezione di Giaber si trova, in latino, nella Biblioteca Chimica del<br />

Manget. Fu tradotto in francese e inserito nella Biblioteca dei Filosofi chimici del<br />

Salmon.<br />

Dell'altre sue opere, meritano d'essere menzionati: il Testamento e il Trattato<br />

dell'alchimia [Lapis philosophorum]. Gli vengono attribuiti cinquecento scritti, dei<br />

quali però molti si sono smarriti e molti sono, senza dubbio, apocrifi.”<br />

Questo importante alchimista, fu il primo, a quanto sembra, ad aver analizzato gli elementi<br />

secondo le quattro qualità base di caldo, freddo, secco e umido. Jābir ipotizzò che, siccome in ogni<br />

metallo due di queste qualità erano interne e due esterne, mescolando le qualità di un metallo, si<br />

sarebbe ottenuto un altro metallo. La grande serie di scritti che gli vengono attribuiti esercitò<br />

una enorme influenza sulle correnti alchimistiche europee.<br />

Nell'alto Medioevo infatti la tradizione alchemica era stata del tutto dimenticata e tornò in<br />

Occidente attraverso gli Arabi. L'incontro tra la cultura alchemica araba ed il mondo latino<br />

avviene per la prima volta in Spagna, probabilmente ad opera di Gerberto D'Aurillac o di<br />

Soisson, monaco del monastero di Bobbio, che fu tra l’altro maestro dell'imperatore Ottone III.<br />

Fu l'uomo più dotto dei suoi tempi. Alcuni lo vogliono celebre mago, altri semplice curioso di cose<br />

occulte, privo dei pregiudizi tanto comuni alla sua epoca. Iniziato alla scienza sacra in Spagna,<br />

diffuse in Italia, mediante i suoi confratelli, l'uso delle cifre arabiche; naturalmente non mancano<br />

i detrattori, che sostengono fosse innalzato al seggio pontificale in virtù d'un patto stretto col<br />

demonio. In ogni caso papa Silvestro II godé poco dell'eccelsa carica: eletto il 2 aprile 999, morì il<br />

13 maggio 1003.<br />

Nel XII secolo va ricordata la figura del più importante dei traduttori di opere arabe, Gerardo da<br />

Cremona, che interpretò Averroè, il cui nome arabo era Abū l-Walīd Muhammad ibn Ahmad<br />

Muhammad ibn Rushd, diventato nel Medioevo Aven Roshd e infine Averroes, tradusse<br />

l'Almagesto, e forse alcune opere di Razes e Geberus.<br />

<strong>Il</strong> rientro vero e proprio dell'alchimia in Europa viene in genere fatto risalire al 1144, quando<br />

Roberto di Chester tradusse dall'arabo il Liber de compositione alchimiae, un libro dai forti<br />

connotati iniziatici, mistici e esoterici, nel quale un saggio, Morieno, erede del sapere di Ermete<br />

Trismegisto, insegna al Re Calid.<br />

<strong>Il</strong> materiale alchimistico dei testi arabi verrà rielaborato durante tutto il XII e XIII secolo.<br />

Alberto Magno (1193-1280) affronta la tematica alchemica nel De mirabilibus mundi e nel Liber<br />

de Alchemia di incerta attribuzione. A Tommaso d'Aquino (1225-1274) vengono attribuiti alcuni<br />

opuscoli alchemici, nei quali è dichiarata la possibilità della produzione dell'oro e dell'argento.<br />

Per le opere alchemiche di Tommaso e per la confutazione ad opera di Naudé, Parisien<br />

nell’Apologia dei grandi uomini supposti di magia, scritto nel 1712.<br />

<strong>Il</strong> primo vero alchimista dell'Europa medievale deve essere considerato Ruggero Bacone (1241-<br />

1294) un francescano, che esplorò i campi dell'ottica e della linguistica oltre agli studi alchemici.<br />

Le sue opere, il Breve Breviarium, il Tractatus trium verborum e lo Speculum Alchimiae, oltre ai<br />

numerosi pseudo-epigrafi a lui attribuiti, furono utilizzate dagli alchimisti dal XV al XIX secolo.<br />

Alla fine del XIII secolo l'alchimia si sviluppò in un sistema strutturato di credenze soprattutto<br />

con Raimondo Lullo (1235-1315), che divenne presto una leggenda per la sua presunta abilità<br />

alchemica. Nel sito di Montesion troviamo il testamento che fu redatto dal Lullo, secondo alcuni<br />

studiosi, nel 1276 ad Assisi, dove si era recato per prendere i voti come "terziario Francescano";<br />

secondo altri lo scritto è, invece del 1295 e redatto a Mallorca (o Maiorca, isola delle Baleari)<br />

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nello stesso anno in cui fondò il Collegio "Miramar", struttura dedicata alla preparazione dei<br />

futuri Missionari.<br />

La traduzione di Massimo Marra è stata eseguita sul testo "Bibliotheque des Philosophes<br />

Chimiques" Paris, 1740-1754, vol. IV.<br />

Nel XIV secolo l'alchimia ebbe una flessione a causa dell'editto di Papa Giovanni XXII, che<br />

vietava la pratica alchemica, fatto che scoraggiò gli alchimisti appartenenti alla Chiesa dal<br />

continuare gli esperimenti. La fiamma del sapere fu comunque tenuta viva da uomini come<br />

Nicholas Flamel, il quale è degno di nota solamente perché fu uno dei pochi alchimisti a scrivere<br />

in questi tempi travagliati. Flamel visse dal 1330 al 1419 e sarebbe servito da archetipo per la<br />

fase successiva della pratica alchemica. <strong>Il</strong> suo unico interesse per l'alchimia ruotava intorno alla<br />

ricerca della pietra filosofale; in anni di paziente lavoro riuscì a tradurre il mitico Libro di<br />

Abramo l'ebreo, che avrebbe acquistato nel 1357, e che gli avrebbe rivelato i segreti per la<br />

costruzione della pietra dei filosofi.<br />

Non abbiamo tuttavia nessuno scritto originale di Flamel e men che meno del manoscritto<br />

ebraico che avrebbe tradotto, il che ne ha fatto materia d’una fittissima leggenda. Nel 1655,<br />

Pierre Borel, medico ordinario del re Sole, Luigi XIV, fu il suo primo biografo ufficiale e ne<br />

parlò estesamente nel suo “Tresor de recherches et antiquitez gauloises et françoise” che tra l’altro<br />

è anche un vero e proprio trattato alchemico… purtroppo tutto si può dire della corte del re Sole,<br />

men che ci fossero buoni medici! Famosa è l’epidemia di morbillo che decimò la famiglia del re, in<br />

cui il pronipote del monarca, Luigi duca d'Angiò fu salvato dalla sua governante, che lo sottrasse<br />

alle cure “ufficiali” a base di salassi, per provvedere personalmente a lui. Perciò il Borel non gode<br />

d’un gran credito nel mondo della scienza e Flamel con lui!<br />

"L'Alchimia di Flamel" così com’è stato pubblicato a Londra da J. e E. Hodson nel 1806 da un<br />

manoscritto del 1772, ma ci avverte che, per quanto sia stato attribuito all’alchimista del XIV, è<br />

certamente opera del cavaliere Denis Molinier. Secondo gli studiosi anche il "Libro di Abraham<br />

l'Ebreo" e il "Testamento", compendio della più nota opera "<strong>Il</strong> Breviario", sarebbero tutti da<br />

attribuire alla penna di questo autore e quindi permeati dalla cultura illuminista dell’epoca.<br />

A questo punto va fatta una doverosa precisazione: in un primo tempo gli alchimisti si<br />

concentrarono nella ricerca dell'elisir della giovinezza e della pietra filosofale, credendo che<br />

fossero entità separate. Molti di loro interpretavano la purificazione dell'anima in connessione<br />

con la trasmutazione del piombo in oro (nella quale credevano che il mercurio giocasse un ruolo<br />

cruciale). Questi individui erano visti come maghi e incantatori da molti, e furono spesso<br />

perseguitati per le loro pratiche, perché di fatto opponevano ai dogmi della Chiesa un sistema<br />

diverso di credenze.<br />

Con la grosse spinta commerciale che seguì le crociate si fece avanti invece uno spirito diverso:<br />

l’apertura verso altri popoli ed altre credenze, iniziata dalla Chiesa stessa col movimento<br />

francescano, diffuse una diversa interpretazione del mondo. <strong>Il</strong> sapere antico fu riscoperto come<br />

valore in se’ e si fece strada l’idea che tutta una gamma di conoscenze fossero utili per vivere<br />

meglio, indipendentemente dal nucleo originario. L’alchimia fu quindi riconosciuta come una<br />

scienza utile… a patto di concentrarsi sempre di più sugli aspetti pratici, trascurandone<br />

volutamente quelli esoterici. Era iniziata in realtà la sua decadenza… ma chiunque avrebbe<br />

pensato il contrario!<br />

Nel contesto delle idee del Cinquecento è impossibile delimitare una disciplina scientifica<br />

dall'altra, come anche tracciare molte linee di separazione tra il complesso delle scienze da un<br />

lato e la riflessione speculativa e magico-astrologica dall'altro. In questo periodo magia e<br />

medicina, alchimia e scienze naturali e addirittura astrologia e astronomia operano in una sorta<br />

di simbiosi, legate le une alle altre in modo spesso inestricabile.<br />

Agli inizi del XVI secolo uno dei maggiori interpreti di questo coacervo di discipline scientifiche<br />

fu il medico, astrologo, filosofo e alchimista Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim, 1486-<br />

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1535. Costui credeva di essere un mago e di essere capace di evocare gli spiriti. La sua influenza<br />

fu di modesta entità, ma come Flamel, produsse opere, fra le quali il De occulta philosophia, alle<br />

quali fecero riferimento tutti gli alchimisti posteriori. Ancora come Flamel fece molto per<br />

cambiare l'alchimia da una filosofia mistica ad una magia occultista. Inoltre mantenne vive le<br />

filosofie degli antichi alchimisti, che includevano scienza sperimentale e numerologia,<br />

aggiungendovi la teoria magica, che rinforzava l'idea di alchimia come credenza occultista.<br />

<strong>Il</strong> nome più importante di questo periodo è, senza dubbio, Paracelso, (Theophrastus Bombastus<br />

von Hohenheim, 1493-1541), il quale diede una nuova forma all'alchimia, spazzando via un certo<br />

occultismo che si era accumulato negli anni e promuovendo l'utilizzo di osservazioni empiriche<br />

ed esperimenti tesi a comprendere il corpo umano. Rigettò le tradizioni gnostiche e le teorie<br />

magiche, pur mantenendo molto delle filosofie ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche.<br />

Per Paracelso l'alchimia era la scienza della trasformazione dei metalli, reperibili in natura per<br />

produrre composti utili per l'umanità. La iatrochimica (dal greco iatros (ιατρός) medico e dal gr.<br />

chemeía chimica) di Paracelso era basata sulla teoria che il corpo umano fosse un sistema<br />

chimico nel quale giocano un ruolo fondamentale i due tradizionali principi degli alchimisti, e<br />

cioè lo zolfo ed il mercurio, ai quali lo scienziato ne aggiunse un terzo: il sale. Paracelso era<br />

convinto che l'origine delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi principi chimici e<br />

non dalla disarmonia degli umori, come pensavano i galenici. Quindi, secondo lui, la salute<br />

poteva essere ristabilita utilizzando rimedi di natura minerale e non di natura organica. È<br />

questo il principio base della farmacopea moderna.<br />

A Venezia l’alchimia fu esercitata più che altrove con l’intento pratico di produrre colori per la<br />

pittura, la tintoria e soprattutto per l’arte vetraria, con processi tecnici ignorati ed invidiati dagli<br />

scienziati moderni. Alcune particolari formule sono rimaste segrete e con la chiusura delle scuole<br />

d’arte, voluta da Napoleone, se ne perse per sempre il segreto di fabbrica. Per questo fu<br />

avversata molto tiepidamente dal governo, perché di fatto portava lustro alla città. Qui furono<br />

stampati nel 1583 i “Tre dialoghi sull’oro” di Avraham Portaleone da Mantova, in cui appare<br />

evidente il legame tra l’alchimia e la Kabbala ebraica.<br />

Ci fu anche la clamorosa beffa del cipriotto Marco Bragadin, detto Mamugnà, che, giunto a<br />

Venezia il 26 novembre 1590, fu ospitato in casa Dandolo alla Giudecca, dove cominciò a<br />

“trasformare l’argento vivo in oro finissimo”, ma quando dalla Serenissima si trasferì in<br />

Baviera il duca scoprì la frode e lo condannò alla decapitazione. Probabilmente la famosa<br />

trasformazione altro non era che un semplicissimo processo di doratura del tutto superficiale!<br />

Sempre a Venezia, facendo fede alla lettera di Leone da Modena datata 1615, esercitarono sia<br />

suo figlio Mordechaj che il dotto prete Don Giuseppe Grillo, che s’erano messi i società per<br />

produrre argento, lavorando il piombo con l’arsenico. È interessate il fatto che tale lucrosa<br />

attività fu sospesa perché nuoceva alla salute d’entrambi, non già perché non producesse gli<br />

effetti voluti!<br />

La fine del cinquecento e gli albori del secolo successivo sono gli anni d’oro dell’alchimia. Anche<br />

molti artisti, come per esempio <strong>Girolamo</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Maria</strong> <strong>Mazzola</strong>, detto il Parmigianino e<br />

persino personalità politiche del periodo si interessarono alla “Grande Opera” Tra questi:<br />

Caterina Sforza, <strong>Francesco</strong> I de' Medici[, nel cui studiolo di Palazzo Vecchio fece dipingere<br />

allegorie alchimistiche da Giovanni Stradano, e Cosimo I de' Medici.<br />

In Inghilterra, l'alchimia nel XVI secolo è spesso associata al dottor John Dee (1527-1608),<br />

meglio conosciuto per il suo ruolo di astrologo, crittografo ed in generale "consulente scientifico"<br />

della regina Elisabetta I d'Inghilterra. Dee si interessò anche di alchimia tanto da scrivere un<br />

libro sull'argomento (Monas Hieroglyphica, 1564) influenzato dalla Cabala.<br />

<strong>Il</strong> declino dell'alchimia in Occidente fu causato dalla nascita della scienza moderna con i suoi<br />

richiami a rigorose sperimentazioni scientifiche.<br />

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Nel XVII secolo Robert Boyle (1627-1691) diede l'avvio al metodo scientifico nelle investigazioni<br />

chimiche, alla base di un nuovo approccio alla comprensione della trasformazione della materia,<br />

che di fatto rivelò la futilità delle ricerche alchemiche della pietra filosofale.<br />

Anche gli enormi passi avanti compiuti dalla medicina nel periodo seguente e la stessa<br />

iatrochimica di Paracelso, supportati dagli sviluppi paralleli della chimica organica, diedero un<br />

duro colpo alle speranze dell'alchimia di reperire elisir miracolosi, mostrando l'inefficacia se non<br />

la tossicità dei suoi rimedi.<br />

Ridotta ad arcano sistema filosofico, scarsamente connesso al mondo materiale, l'Ars magna subì<br />

il fato comune di altre discipline esoteriche quali l'astrologia e la cabala; esclusa dagli studi<br />

universitari e ostracizzata dagli scienziati, si cominciò a guardare ad essa come ad una pura<br />

superstizione.<br />

A livello popolare, tuttavia, l'alchimista era ancora considerato come il depositario di grandi<br />

saperi arcani. Facendo leva sulla credulità popolare, molti imbroglioni si attribuirono titoli di<br />

guaritore e per dimostrare effettive capacità produssero manuali manoscritti che imitavano, nel<br />

gergo e nelle illustrazioni, i trattati di famosi autori alchemici (in tal modo, nacquero anche i<br />

cosidetti "erbari dei falsi alchimisti" che solo di recente hanno iniziato ad essere analizzati in<br />

modo attento dagli studiosi).<br />

Dopo aver goduto per più di duemila anni di un grande prestigio intellettuale e materiale,<br />

l'alchimia uscì in tal modo dal pensiero occidentale, salvo ricomparire nelle opere di studiosi a<br />

cavallo tra scienza, filosofia ed esoterismo, quali lo psicanalista Carl Gustav Jung e il pensatore<br />

Julius Evola.<br />

« L'alchimia è, come il folclore, un grandioso affresco proiettivo di processi di pensiero inconsci. A<br />

causa di questa fenomenologia mi sono sottoposto allo sforzo di leggere da cima a fondo l'intera<br />

letteratura classica dell'alchimia »<br />

(Carl Gustav Jung)<br />

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Raffigurazione alchemica del principio maschile e del principio femminile: il re e la regina<br />

« L'alchimia serve a separare il vero dal falso »<br />

(Teofrasto Paracelso)<br />

L'alchimia è un'antico sistema filosofico esoterico che combina elementi di chimica, fisica,<br />

astrologia, arte, semiotica, metallurgia, medicina, misticismo e religione. <strong>Il</strong> pensiero alchemico è<br />

considerato da molti il precursore della chimica moderna prima della nascita del metodo<br />

scientifico.<br />

Vi sono tre grandi obiettivi che si proponevano gli alchimisti:<br />

* conquistare l'onniscienza<br />

* creare la panacea universale, un rimedio cioè per curare tutte le malattie, per generare e<br />

prolungare indefinitamente la vita<br />

* trasmutare i metalli in oro o argento.<br />

La pietra filosofale, sostanza di tipo etereo (che potrebbe essere una polvere, un liquido o una<br />

pietra), era la chiave per realizzare questi obiettivi.<br />

L'alchimia, oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, implicava un'esperienza di crescita ed<br />

un processo di liberazione e di salvezza dell'artefice dell'esperimento. In quest'ottica la scienza<br />

alchemica veniva sacralizzata e ricondotta ad un tipo di conoscenza metafisica e filosofica,<br />

assumendo connotati mistici e soteriologici, cosicché i processi e i simboli alchemici possiedono<br />

sovente un significato interiore relativo allo sviluppo spirituale in connessione con quello<br />

prettamente materiale della trasformazione fisica.<br />

<strong>Il</strong> termine alchimia deriva dall'arabo al-kimiya o al-khimiya (ءﺎـــــــــــــــﻳﻣﻳآﻟا o ءﺎـــــــــــــــﻳﻣﻳﺧﻟا),<br />

che è<br />

probabilmente composto dall'articolo al- e la parola greca khymeia (χυµεία) che significa<br />

"fondere", "colare insieme", "saldare", "allegare", ecc. (da khumatos, "che è stato colato, un<br />

lingotto"). Un'altra etimologia collega la parola con Al Kemi, che significa "l'arte egizia", dato che<br />

gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il<br />

mondo antico. <strong>Il</strong> vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa "succo<br />

per fare l'oro".<br />

Introduzione<br />

Per comprendere l'alchimia, bisogna considerare come la conversione di una sostanza in un'altra,<br />

che formò la base della metallurgia fin dal suo apparire verso la fine del Neolitico, appariva, in<br />

una cultura senza alcuna conoscenza formale di fisica o chimica, come un'opera magica. Nei<br />

tempi remoti, una fisica priva di una componente metafisica sarebbe stata parziale ed<br />

incompleta al pari di una metafisica sprovvista di manifestazione fisica. Pertanto, per gli<br />

alchimisti non vi fu ragione alcuna di separare la dimensione materiale da quella simbolica o<br />

filosofica.<br />

La trasmutazione dei metalli di base in oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir o<br />

quintessenza o pietra dei filosofi o tintura rossa) simbolizza un tentativo di arrivare alla<br />

perfezione e superare gli ultimi confini dell'esistenza. Gli alchimisti credevano che l'intero<br />

universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l'oro, per la sua intrinseca natura di<br />

incorruttibilità, era considerato la più perfetta delle sostanze. Era anche logico pensare che<br />

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riuscendo a svelare il segreto dell'immutabilità dell'oro si sarebbe ottenuta la chiave per vincere<br />

le malattie ed il decadimento organico; da ciò l'intrecciarsi di tematiche chimiche, spirituali ed<br />

astrologiche che furono caratteristiche dell'alchimia medievale.<br />

La scienza dell'alchimia ebbe inoltre una notevole evoluzione nel tempo, iniziando quasi come<br />

un'appendice metallurgico-medicinale della religione, maturando in un ricco coacervo di studi,<br />

trasformandosi nel misticismo ed alla fine fornendo alcune delle fondamentali conoscenze<br />

empiriche nel campo della chimica e della medicina moderne.<br />

Fino al XVIII secolo, l'alchimia era considerata una scienza seria in Europa; per esempio, Isaac<br />

Newton impiegò molto più tempo allo studio dell'alchimia piuttosto che a quello dedicato<br />

all'ottica o alla fisica, per le quali divenne famoso. Tuttavia Newton mantenne sempre un<br />

notevole riserbo intorno ai suoi studi alchemici, e non pubblicò mai opere sull'argomento. Fu<br />

l'economista John Maynard Keynes che nel 1936 rese pubblici manoscritti newtoniani<br />

sull'alchimia, dei quali era entrato in possesso ad un'asta.<br />

Altri eminenti alchimisti del mondo occidentale furono Ruggero Bacone, San Tommaso d'Aquino,<br />

Tycho Brahe, Thomas Browne, ed il Parmigianino. <strong>Il</strong> declino dell'alchimia iniziò nel XVIII secolo<br />

con la nascita della chimica moderna, che fornì una più precisa e reale struttura per le<br />

trasmutazioni della materia, e la medicina, con un nuovo grande disegno dell'universo basato sul<br />

materialismo razionale.<br />

La storia dell'alchimia è diventata un prolifico campo per speculazioni accademiche. Via via che<br />

l'ermetico linguaggio degli alchimisti andava gradatamente decifrato, gli storici hanno<br />

cominciato a trovare connessioni intellettuali tra quella disciplina ed altre componenti della<br />

storia culturale occidentale, come le società mistiche, del tipo di quella dei Rosacroce, la<br />

stregoneria e naturalmente l'evoluzione della scienza e della filosofia.<br />

L'opus alchemicum per ottenere la pietra filosofale avveniva mediante sette procedimenti, divisi<br />

in quattro operazioni, Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e Sublimazione, e tre fasi,<br />

Soluzione, Coagulazione ed Unione.<br />

Attraverso queste operazioni la "materia prima", mescolata con lo zolfo ed il mercurio e scaldata<br />

nella fornace (atanor), si trasformerebbe gradualmente, passando attraverso vari stadi,<br />

contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione.<br />

<strong>Il</strong> numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è<br />

legato al significato magico dei numeri.<br />

I tre stadi fondamentali sono:<br />

* Nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;<br />

* Albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;<br />

* Rubedo o opera al rosso, che rappresenta lo stadio finale.<br />

<strong>Il</strong> concetto di sulphur et mercurius<br />

Si tratta, letteralmente, di "zolfo e mercurio", cioè, nel linguaggio simbolico dell'alchimia, di due<br />

essenze primordiali visti nel quadro di un sistema dualistico che ritiene qualsiasi materiale come<br />

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miscela di questi due componenti, vale a dire di un elemento "in combustione" (zolfo) e di uno<br />

"volatile" (mercurio), dotati di gradi diversi di purezza e in un diverso rapporto di mescolanza tra<br />

loro. Da Paracelso (1493-1541) venne poi aggiunto un terzo elemento, il sal (il sale), che doveva<br />

costituire la tangibilità: quando il legno è in combustione, la fiamma prende origine dal sulphur,<br />

il mercurius trapassa in evaporazione, mentre il sal ne è la cenere residua.<br />

Simboli alchemici<br />

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L'universo alchemico è pervaso di simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, permeano le<br />

varie operazioni e gli ingredienti costitutivi del processo per ottenere la pietra filosofale.<br />

Così per esempio l'oro e l'argento acquisiscono nell'iconografia alchemica i tratti simbolici del<br />

Sole e della Luna, della luce e delle tenebre e del principio maschile e femminile, che si uniscono<br />

nella coniunctio oppositorum della Grande Opera.<br />

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Simboli astrologici<br />

Gli elementi cosmici avevano grande importanza non solo per la loro influenza sui processi<br />

alchemici, ma anche per il parallelismo che li legava agli elementi naturali, in base alla credenza<br />

che "ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto".<br />

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Tradizionalmente, ognuno dei sette corpi celesti del sistema solare conosciuti dagli antichi era<br />

associato con un determinato metallo<br />

La lista del dominio dei corpi celesti sui metalli è la seguente:<br />

* <strong>Il</strong> Sole governa l'Oro<br />

* La Luna è connessa con l'Argento<br />

* Mercurio, Mercurio<br />

* Venere, Rame<br />

* Marte, Ferro<br />

* Giove, Stagno<br />

* Saturno, Piombo<br />

Sia i metalli che i corpi celesti erano in relazione con l'anatomia umana e le sette viscere<br />

dell'uomo.<br />

Simboli animali<br />

Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale compaiono spesso figure<br />

animali e fantastiche. I tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la<br />

nigredo, l'albedo e la rubedo erano rispettivamente simboleggiati dal corvo, dal cigno e dalla<br />

fenice.<br />

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Quest'ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio del "nulla<br />

si crea e nulla si distrugge", tema centrale della speculazione alchimistica.<br />

Inoltre, era sempre la fenice a deporre l'uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore<br />

in cui era posta la sostanza da trasformare.<br />

Anche il serpente ouroboros, che si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere<br />

alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità del tempo e del "Uno il Tutto" ("En to Pan").<br />

Storia<br />

L'alchimia abbraccia alcune tradizioni filosofiche che si sono propagate per quattro millenni e tre<br />

continenti, e la loro generale inclinazione per un linguaggio criptico e simbolico rende difficile<br />

tracciare le loro mutue influenze e relazioni.<br />

Si possono distinguere almeno due grandi canali, che sembrano essere in gran parte<br />

indipendenti, almeno nelle tappe più remote: l'alchimia orientale, attiva in Cina e nella zona<br />

della sua influenza culturale, e l'alchimia occidentale, il cui centro nei millenni è slittato tra<br />

Egitto, Grecia, Roma, il mondo islamico ed alla fine l'Europa. L'alchimia cinese fu strettamente<br />

connessa al Taoismo, mentre quella occidentale sviluppò un proprio sistema filosofico, connesso<br />

solo superficialmente con le maggiori religioni occidentali. Se queste due tipologie abbiano avuto<br />

una comune origine e fino a che punto si siano influenzate l'una con l'altra è tuttora oggetto di<br />

questione.<br />

Alchimia cinese<br />

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Mentre quella occidentale fu più concentrata sulla trasmutazione dei metalli, l'alchimia cinese<br />

ebbe una maggiore connessione con la medicina.<br />

La pietra filosofale degli alchimisti europei può essere comparata con l'elisir dell'immortalità<br />

cercato dagli alchimisti cinesi.<br />

Comunque, da un punto di vista ermetico, questi due interessi non erano separati e la pietra dei<br />

filosofi era spesso equiparata all'elisir di lunga vita.<br />

La Cina appare il centro di una tradizione alchemica molto antica, risalente forse al IV-III secolo<br />

a.C., ma documentata con sicurezza per la prima volta nel Ts'an T'ung Ch'i, scritto verso il 142<br />

a.C. da Wei Po-Yang, sotto forma di commentario all'I-Ching, Libro delle Mutazioni.<br />

In questa opera, classico del Canone taoista, l'autore afferma che i contenuti del Libro delle<br />

Mutazioni, delle dottrine taoiste e dei procedimenti alchemici siano variazioni di un'unica<br />

materia sotto il travestimento di nomi diversi.<br />

Egli fonda il processo alchimistico sulle dottrine dei cinque elementi (acqua, fuoco, legno, oro e<br />

terra) e dei due contrari (yin e yang): di questi due, il primo è associato alla luna ed il secondo al<br />

sole, e dalla loro dinamica si originano gli elementi.<br />

Ogni elemento combinato con yang differirebbe da quello combinato con yin, nel senso che il<br />

primo è attivo e maschile, il secondo passivo e femminile.<br />

<strong>Il</strong> testo, di non facile interpretazione, per le sue interferenze con dottrine cosmologiche e<br />

magiche, presenta una concezione evolutiva dei metalli e il loro trasferimento su piani non<br />

sperimentali, ora psichici, ora cosmici.<br />

Nel IV secolo l'alchimia ha un nuovo grande maestro in Ko Hung, detto Pao-p'u-tzu, che<br />

aggiunge alle tecniche indicate alcuni particolari metodi taoisti destinati alla conquista<br />

dell'immortalità.<br />

Questo fu l'avvio per una sempre più stretta connessione con forme taoiste di medicina<br />

tradizionale cinese ed una ricca fioritura di opere fino al XIII secolo.<br />

Le scuole di alchimia cinese, pur avendo come obiettivo comune la ricerca dell'immortalità, si<br />

differenziavano per i metodi di ricerca:<br />

* Gli alchimisti della scuola esterna si occupavano prevalentemente della ricerca dell'elisir di<br />

lunga vita attraverso la produzione di rimedi, elisir e pillole dell'immortalità, le cui componenti<br />

erano in gran parte sostanze vegetali e in misura minore sostanze animali e minerali.<br />

* Gli alchimisti della scuola interna, invece, ricercavano l'immortalità attraverso l'utilizzo di<br />

pratiche fisiche e mentali che provocassero una trasmutazione del corpo, consentendo al<br />

praticante di vivere indefinitamente.<br />

<strong>Il</strong> corpo stesso del praticante veniva concepito come un laboratorio alchemico e l'elisir di lunga<br />

vita scaturiva teoricamente dalla distillazione di sostanze corporee, prodotte attraverso l'utilizzo<br />

delle funzioni vitali (respirazione, circolazione, funzionamento endocrino, etc..) che venivano<br />

guidate dall'alchimista.<br />

La medicina tradizionale cinese ha ereditato dall'alchimia esterna le basi di farmacologia<br />

tradizionale e dall'alchimia interna la parte relativa al qi gong ed alle ginnastiche mediche. In<br />

queste discipline ancor oggi molti dei termini utilizzati sono di chiara derivazione alchemica.<br />

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Alchimia indiana<br />

Le caratteristiche e la storia della alchimia Indiana sono poco conosciute in Occidente.<br />

Un alchimista che visse in Persia nell'XI secolo chiamato al-Biruni ha scritto che gli Indù<br />

avevano una scienza simile all'alchimia, che è chiamata rasayana (che significa via del succo (o<br />

essenza)), indicando con essa l'uso di una medicina che allontana la vecchiaia. Probabilmente in<br />

una fase pre-yogica e pre-tantrica l'immortalità e la felicità sarebbero state ricercate in una<br />

pozione di origine vegetale e non metallica.<br />

<strong>Il</strong> padre dell'alchimia indiana è considerato Nagarjuna, figura semileggendaria, ritenuto l'autore<br />

di alcuni testi alchemici quali il trattato di magia Kaksaputa Tantra, quello sul mercurio<br />

Rasendramangalam e il Susruta Samhita.<br />

<strong>Il</strong> migliore esempio di un testo basato su questa scienza è il Vaishashik Darshana di Kanad<br />

(vissuto intorno al 600), che descrisse una teoria atomica circa un secolo prima di Democrito.<br />

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Alchimia nell'antico Egitto<br />

Gli alchimisti occidentali generalmente fanno risalire l'origine della loro arte all'antico Egitto.<br />

Metallurgia e misticismo erano inesorabilmente legati insieme nel mondo antico, in cui una cosa<br />

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come la trasformazione dell'oro grezzo in un metallo scintillante doveva sembrare un atto<br />

governato da regole misteriose.<br />

La città di Alessandria in Egitto fu un centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria<br />

preminenza fino al declino della cultura egiziana antica. Sfortunatamente non esistono<br />

documenti originali egizi sull'alchimia. Questi scritti, qualora fossero esistiti, andarono perduti<br />

nell'incendio della Biblioteca di Alessandria, nel 391. L'alchimia egiziana è per lo più conosciuta<br />

attraverso le opere di antichi filosofi greci, sopravvissute solamente in traduzioni islamiche.<br />

Ermete Trismegisto<br />

La leggenda vuole che il fondatore dell'alchimia egiziana fu il dio Thot, chiamato Hermes-Thoth<br />

o Hermes il tre volte grande (Ermes Trismegisto) dai Greci. Secondo la leggenda il dio avrebbe<br />

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scritto i quarantadue libri della conoscenza, che avrebbero coperto tutti i campi dello scibile, fra<br />

cui anche l'alchimia. <strong>Il</strong> simbolo di Ermes era il caduceo, che divenne uno dei principali simboli<br />

alchemici. La Tavola di Smeraldo di Hermes Trismegistus, che è nota solamente attraverso<br />

traduzioni greche ed arabe, è generalmente considerata la base per la pratica e la filosofia<br />

alchemica occidentale.<br />

Alchimia greco-alessandrina<br />

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Le dottrine alchimistiche della scuola greca passarono attraverso tre fasi evolutive: l'alchimia<br />

come tecnica, cioè l'arte prechimica degli artigiani egizi, l'alchimia come filosofia ed infine quella<br />

religiosa. I Greci si appropriarono delle dottrine ermetiche degli Egiziani, mescolandole,<br />

nell'ambiente sincretistico della cultura alessandrina, con le filosofie del Pitagorismo e della<br />

scuola ionica e successivamente dello Gnosticismo. La filosofia pitagorica consiste<br />

essenzialmente nella credenza che i numeri governino l'universo e che siano l'essenza di tutte le<br />

cose, dal suono alle forme.<br />

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<strong>Il</strong> pensiero della scuola ionica era basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i<br />

fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti principali furono Talete ed Anassimandro, fu<br />

poi sviluppata da Platone ed Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte integrante<br />

dell'alchimia. Si delinea, come base della nuova scienza, la nozione di una materia prima che<br />

forma l'universo, e che può essere spiegata solamente attraverso attente esplorazioni filosofiche.<br />

Un concetto molto importante, introdotto in quel tempo da Empedocle, è che tutte le cose<br />

nell'universo erano formate solamente da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. A questi<br />

elementi Aristotele aggiunge l'etere, la materia di cui sono formati i cieli e che viene denominata<br />

quintessenza. La terza fase si differenzia dalla precedente di speculazione filosofica per le<br />

caratteristiche di una religione esoterica, per l'abbondanza di rituali misteriosi e per il<br />

linguaggio. Nei primi secoli dell'età imperiale, in età ellenistica, si sviluppò una letteratura di<br />

carattere filosofico-soteriologico-religiosa, di vario carattere, accomunata dalla pretesa<br />

rivelazione da parte del dio Thot-Ermete, da cui il nome di letteratura ermetica. <strong>Il</strong> supporto<br />

dottrinale di questa letteratura è una forma di metafisica che si rifà al Neoplatonismo ed al<br />

Neopitagorismo. Nel II secolo sarebbero stati scritti anche gli Oracoli caldaici, dei quali sono<br />

pervenuti solo frammenti, che presentano molte analogie con gli scritti ermetici. In questo<br />

momento storico, quindi, si sarebbe operata una fusione tra il patrimonio filosofico greco e la<br />

gnosi ermetica, nella quale la grande opera assume connotati di tecnica tesa alla realizzazione in<br />

senso interiore e cosmico.<br />

Alchimia nel mondo islamico<br />

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La distruzione del Serapeo e della Biblioteca di Alessandria segnò la fine del centro culturale<br />

greco, spostando il processo dello sviluppo alchemico verso il Vicino Oriente. L'alchimia islamica<br />

è molto meglio conosciuta perché meglio documentata e molti dei testi antichi giunti sino a noi si<br />

sono preservati come traduzioni islamiche.<br />

Alchimisti islamici come al-Razī (in latino Rasis o Rhazes) diedero un contributo fondamentale<br />

alle scoperte chimiche, come la tecnica della distillazione, e ai loro esperimenti si devono l'acido<br />

muriatico (l'antico nome dell'acido cloridrico), l'acido solforico e l'acido nitrico, oltre alla soda (alnatrun)<br />

e potassio (al-qali), da cui derivano i nomi internazionali di sodio e potassio, Natrium e<br />

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Kalium. L'apporto di nomenclatura alchimistica a tutta la posteriore cultura occidentale è di<br />

origine araba: termini arabi sono infatti alchimia, atanor (fornace), azoth (forma corrotta da alzawq,<br />

'mercurio'), alcool (da al-kohl, 'antimonio'), elisir (da al-iksīr, "pietra" filosofale) e<br />

alambicco. La scoperta che l'acqua regia, un composto di acido nitrico e muriatico, potesse<br />

dissolvere il metallo nobile - l'oro - accese l'immaginazione degli alchimisti per il millennio a<br />

venire.<br />

I filosofi islamici diedero anche grandi contributi all'ermetismo alchemico. Al riguardo la più<br />

grande e influente figura è probabilmente Jabir ibn Hayyan (in arabo نﺎــــــﻳﺣ نـــــﺑإ رﺑﺎــــــﺟ,<br />

il<br />

Geber o Geberus dei Latini). Questo importante alchimista, nato agli inizi dell'VIII secolo, fu il<br />

primo, a quanto sembra, ad aver analizzato gli elementi secondo le quattro qualità base di caldo,<br />

freddo, secco e umido. Jābir ipotizzò che, siccome in ogni metallo due di queste qualità erano<br />

interne e due esterne, mescolando le qualità di un metallo, si sarebbe ottenuto un altro metallo.<br />

La grande serie di scritti che gli vengono attribuiti esercitò una enorme influenza sulle correnti<br />

alchimistiche europee.<br />

Alchimia nell'Europa medievale<br />

Dopo essere caduta alquanto in disuso durante l'alto Medioevo, l'Occidente riprende contatto con<br />

la tradizione alchemica greca attraverso gli Arabi. L'incontro tra la cultura alchemica araba ed il<br />

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mondo latino avviene per la prima volta in Spagna, probabilmente ad opera di Gerberto di<br />

Aurillac, che più tardi divenne Papa Silvestro II, (morto nel 1003). Nel XII secolo va ricordata la<br />

figura del più importante dei traduttori di opere arabe, Gerardo da Cremona, che interpretò<br />

Averroè, tradusse l'Almagesto, e forse alcune opere di Razes e Geberus.<br />

<strong>Il</strong> rientro vero e proprio dell'alchimia in Europa viene in genere fatto risalire al 1144, quando<br />

Roberto di Chester tradusse dall'arabo il Liber de compositione alchimiae, un libro dai forti<br />

connotati iniziatici, mistici e esoterici, nel quale un saggio, Morieno, erede del sapere di Ermete<br />

Trismegisto, insegna al Re Calid.<br />

<strong>Il</strong> materiale alchimistico dei testi arabi verrà rielaborato durante tutto il XIII secolo. Alberto<br />

Magno (1193-1280) affronta la tematica alchemica nel De mirabilibus mundi e nel Liber de<br />

Alchemia di incerta attribuzione.<br />

A Tommaso d'Aquino (1225-1274) vengono attribuiti alcuni opuscoli alchemici, nei quali è<br />

dichiarata la possibilità della produzione dell'oro e dell'argento.<br />

<strong>Il</strong> primo vero alchimista dell'Europa medievale deve essere considerato Roger Bacon (1241-1294)<br />

un Francescano che esplorò i campi dell'ottica e della linguistica oltre agli studi alchemici.<br />

Le sue opere, il Breve Breviarium, il Tractatus trium verborum e lo Speculum Alchimiae, oltre ai<br />

numerosi pseudo-epigrafi a lui attribuiti, furono utilizzate dagli alchimisti dal XV al XIX secolo.<br />

Alla fine del XIII secolo l'alchimia si sviluppò in un sistema strutturato di credenze, grazie anche<br />

all'opera di Arnaldo da Villanova (ca. 1240-ca. 1312), con il suo Rosarium Philosophorum, e<br />

soprattutto con Raimondo Lullo (1235-1315), che divenne presto una leggenda per la sua<br />

presunta abilità alchemica.<br />

Nel XIV secolo l'alchimia ebbe una flessione a causa dell'editto di Papa Giovanni XXII, che<br />

vietava la pratica alchemica, fatto che scoraggiò gli alchimisti appartenenti alla Chiesa dal<br />

continuare gli esperimenti.<br />

Misteriosi simboli alchemici incisi sulla tomba di Nicholas Flamel (1330-1419) a Parigi<br />

L'alchimia fu comunque tenuta viva da uomini come Nicholas Flamel, il quale è degno di nota<br />

solamente perché fu uno dei pochi alchimisti a scrivere in questi tempi travagliati. Flamel visse<br />

dal 1330 al 1419 e sarebbe servito da archetipo per la fase successiva della pratica alchemica.<br />

<strong>Il</strong> suo unico interesse per l'alchimia ruotava intorno alla ricerca della pietra filosofale; in anni di<br />

paziente lavoro riuscì a tradurre il mitico Libro di Abramo l'ebreo, che avrebbe acquistato nel<br />

1357, e che gli avrebbe rivelato i segreti per la costruzione della pietra dei filosofi.<br />

Nell'alto Medioevo gli alchimisti si concentrarono nella ricerca dell'elisir della giovinezza e della<br />

pietra filosofale, credendo che fossero entità separate.<br />

In quel periodo molti di loro interpretavano la purificazione dell'anima in connessione con la<br />

trasmutazione del piombo in oro (nella quale credevano che il mercurio giocasse un ruolo<br />

cruciale).<br />

Questi individui erano visti come maghi e incantatori da molti, e furono spesso perseguitati per<br />

le loro pratiche.<br />

Si diceva tra l'altro che l'alchimia fosse un'arte praticata soprattutto dai Templari, i quali<br />

avrebbero accumulato enormi ricchezze tramite questa prodigiosa disciplina.<br />

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Alchimia nel Rinascimento e nell'età moderna<br />

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Nel contesto delle idee del Cinquecento è impossibile delimitare una disciplina scientifica<br />

dall'altra, come anche tracciare molte linee di separazione tra il complesso delle scienze da un<br />

lato e la riflessione speculativa e magico-astrologica dall'altro.<br />

In questo periodo magia e medicina, alchimia e scienze naturali e addirittura astrologia e<br />

astronomia operano in una sorta di simbiosi, legate le une alle altre in modo spesso inestricabile.<br />

Agli inizi del XVI secolo uno dei maggiori interpreti di questo coacervo di discipline scientifiche<br />

fu il medico, astrologo, filosofo e alchimista Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, 1486-<br />

1535.<br />

Costui credeva di essere un mago e di essere capace di evocare gli spiriti. La sua influenza fu di<br />

modesta entità, ma come Flamel, produsse opere, fra le quali il De occulta philosophia, alle quali<br />

fecero riferimento tutti gli alchimisti posteriori.<br />

Ancora come Flamel fece molto per cambiare l'alchimia da una filosofia mistica ad una magia<br />

occultista.<br />

Inoltre mantenne vive le filosofie degli antichi alchimisti, che includevano scienza sperimentale,<br />

numerologia, ecc., aggiungendovi la teoria magica, che rinforzava l'idea di alchimia come<br />

credenza occultista.<br />

<strong>Il</strong> nome più importante di questo periodo è, senza dubbio, Paracelso, (Theophrastus Bombastus<br />

von Hohenheim, 1493-1541), il quale diede una nuova forma all'alchimia, spazzando via un certo<br />

occultismo che si era accumulato negli anni e promuovendo l'utilizzo di osservazioni empiriche<br />

ed esperimenti tesi a comprendere il corpo umano.<br />

Rigettò le tradizioni gnostiche e le teorie magiche, pur mantenendo molto delle filosofie<br />

ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche.<br />

Per Paracelso l'alchimia era la scienza della trasformazione dei metalli reperibili in natura per<br />

produrre composti utili per l'umanità.<br />

La iatrochimica di Paracelso era basata sulla teoria che il corpo umano fosse un sistema chimico<br />

nel quale giocano un ruolo fondamentale i due tradizionali principi degli alchimisti, e cioè lo zolfo<br />

ed il mercurio, ai quali lo scienziato ne aggiunse un terzo: il sale.<br />

Paracelso era convinto che l'origine delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi<br />

principi chimici e non dalla disarmonia degli umori, come pensavano i galenici.<br />

Quindi, secondo lui, la salute poteva essere ristabilita utilizzando rimedi di natura minerale e<br />

non di natura organica.<br />

Anche molti artisti, come per esempio il Parmigianino, e persino personalità politiche del periodo<br />

si interessarono all'alchimia.<br />

Tra questi: Caterina Sforza e suo nipote Cosimo I de' Medici, che nel suo Studiolo di Palazzo<br />

Vecchio fece dipingere allegorie alchimistiche da Giovanni Stradano.<br />

In Inghilterra, l'alchimia nel XVI secolo è spesso associata al dottor John Dee (1527-1608),<br />

meglio conosciuto per il suo ruolo di astrologo, crittografo ed in generale "consulente scientifico"<br />

della regina Elisabetta I d'Inghilterra.<br />

Dee si interessò anche di alchimia tanto da scrivere un libro sull'argomento (Monas<br />

Hieroglyphica, 1564) influenzato dalla Cabala.<br />

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<strong>Il</strong> declino dell'alchimia occidentale<br />

<strong>Il</strong> declino dell'alchimia in Occidente fu causato dalla nascita della scienza moderna con i suoi<br />

richiami a rigorose sperimentazioni scientifiche.<br />

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Nel XVII secolo Robert Boyle (1627-1691) diede l'avvio al metodo scientifico nelle investigazioni<br />

chimiche, alla base di un nuovo approccio alla comprensione della trasformazione della materia,<br />

che di fatto rivelò la futilità delle ricerche alchemiche della pietra filosofale.<br />

Anche gli enormi passi avanti compiuti dalla medicina nel periodo seguente la iatrochimica di<br />

Paracelso, supportati dagli sviluppi paralleli della chimica organica, diedero un duro colpo alle<br />

speranze dell'alchimia di reperire elisir miracolosi, mostrando l'inefficacia se non la tossicità dei<br />

suoi rimedi.<br />

Ridotta ad arcano sistema filosofico, scarsamente connesso al mondo materiale, l'Ars magna subì<br />

il fato comune di altre discipline esoteriche quali l'astrologia e la cabala; esclusa dagli studi<br />

universitari e ostracizzata dagli scienziati, si cominciò a guardare ad essa come all'epitome della<br />

superstizione.<br />

A livello popolare, tuttavia, l'alchimista era ancora considerato come il depositario di grandi<br />

saperi arcani. Facendo leva sulla credulità popolare, molti imbroglioni si attribuirono titoli di<br />

guaritore e per dimostrare effettive capacità produssero manuali manoscritti che imitavano, nel<br />

gergo e nelle illustrazioni, i trattati di famosi autori alchemici (in tal modo, nacquero anche i<br />

cosidetti "erbari dei falsi alchimisti" che solo di recente hanno iniziato ad essere analizzati in<br />

modo attento dagli studiosi).<br />

Dopo aver goduto per più di duemila anni di un grande prestigio intellettuale e materiale,<br />

l'alchimia uscì in tal modo dal pensiero occidentale, salvo ricomparire nelle opere di studiosi a<br />

cavallo tra scienza, filosofia ed esoterismo, quali lo psicanalista Carl Gustav Jung e il pensatore<br />

Julius Evola.<br />

Influenza culturale<br />

Nella psicoanalisi<br />

<strong>Il</strong> simbolismo alchemico è stato occasionalmente utilizzato nel XX secolo dagli psicanalisti, il<br />

primo dei quali, Carl Jung, ha riesaminato la teoria ed il simbolismo alchemico ed ha iniziato a<br />

mettere in luce il significato intrinseco del lavoro alchemico come ricerca spirituale.<br />

L'esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra alchimia ed inconscio si trova<br />

in varie sue opere che abbracciano un arco di tempo che va dai primi anni 1940 a praticamente<br />

fino alla sua morte avvenuta nel 1961:<br />

* Psicologia e alchimia (1944)<br />

* Psicologia del transfert (1946) dove prendendo in esame il "Rosarium Philosophorum"<br />

alchemico esamina i parallelismi, quadro per quadro, tra il processo di trasformazione<br />

psicoanalitico e gli stadi del processo di trasformazione alchemico.<br />

* Saggi sull'alchimia (1948)<br />

* Mysterium Coniunctionis (1956).<br />

La tesi dello psicanalista svizzero consiste nell'identificazione delle analogie esistenti tra i<br />

processi alchemici e quelli legati alla sfera dell'immaginazione ed in particolare a quella onirica.<br />

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Secondo Jung, le fasi attraverso le quali avverrebbe l'opus alchemicum avrebbero una<br />

corrispondenza nel processo di individuazione, inteso come consapevolezza della propria<br />

individualità e scoperta dell'essere interiore. Mentre l'alchimia non sarebbe altro che la<br />

proiezione (psicologia) nel mondo materiale degli archetipi dell'inconscio collettivo, il<br />

procedimento per ottenere la pietra filosofale rappresenterebbe l'itinerario psichico che conduce<br />

alla coscienza di sé ed alla liberazione dell'io dai conflitti interiori.<br />

Nella narrativa<br />

* Molti autori hanno bersagliato gli alchimisti con critiche ed attacchi satirici. <strong>Il</strong> più famoso di<br />

questi è la commedia The Alchemist di Ben Jonson.<br />

* Nella seconda parte del Faust, Johann Wolfgang von Goethe descrive il servitore di Faust,<br />

Wagner, che utilizza procedimenti alchemici per creare un homunculus.<br />

* Marguerite Yourcenar, nel suo romanzo L'opera al nero (1968), racconta la storia della vita<br />

dell'alchimista Zenone. Dal libro è stato tratto nel 1987 l'omonimo film, diretto da André<br />

Delvaux e interpretato da Gian <strong>Maria</strong> Volontè.<br />

* Nel romanzo Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez è presente un alchimista<br />

chiamato Melquíades.<br />

* Le vie ed i metodi dell'alchimia sono essenziali nel romanzo L'alchimista di Paulo Coelho.<br />

* L'alchimia è uno dei temi presenti nel romanzo <strong>Il</strong> pendolo di Foucault di Umberto Eco, in<br />

particolare in relazione con l'esoterismo.<br />

* Daniele Trucco, CEFA (2003) in cui parte della narrazione si svolge a Bourges, nel palazzo<br />

Jacques Coeur.<br />

* Nel romanzo per ragazzi Harry Potter e la pietra filosofale di J. K. Rowling, questa pietra<br />

poteva mutare ogni metallo in oro puro e creare un "Elisir di lunga vita" che permetteva al<br />

bevitore di vivere per sempre. Nel romanzo la pietra è stata creata da Nicholas Flamel.<br />

* In un altro romanzo per ragazzi (La bambina della Sesta Luna), la protagonista, Nina de Nobili<br />

è un'alchimista bambina.<br />

* L'alchimia e la pietra filosofale sono un tema centrale dell'anime e dell'omonimo manga<br />

Fullmetal Alchemist di Hiromu Arakawa.<br />

* L'alchimia è il tema principale della serie Golden Sun<br />

Nella critica d'arte<br />

Alcuni studiosi hanno iniziato a reinterpretare le grandi opere dell'Arte Rinascimentale alla luce<br />

del simbolismo alchemico, rintracciando nelle allegorie, nelle metafore e negli emblemi realizzati<br />

da Simone Martini, Botticelli, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Durer, Bosh, Brueghel,<br />

Caravaggio e Velazquez un filo di continuità con il pensiero alchemico. Tali studi sono riportati<br />

sui: Quaderni dell'Arte Alchemica.<br />

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Claudio<br />

Spero che questo documento vi piaccia, se lo desiderate consultata i miei siti Web:<br />

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http://www.bantan-sensitivo.com/ http://www.cartomante-bantan.com/ troverete altri importanti<br />

documenti del settore riguardante antichi studiosi dell’Occulto<br />

Buon lavoro a tutti<br />

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