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AIC, 1988 - AIC Associazione Italiana Autori della Fotografia ...

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<strong>AIC</strong><br />

Cominciamo con un paradosso.<br />

Da un po' di tempo a questa<br />

parte alcuni sociologhi non<br />

fanno che ripetere che non<br />

siamo più padroni di quanto<br />

dovrebbe appartenerci: la nostra<br />

coscienza.<br />

E per coscienza non intendono<br />

solamente la capacità di<br />

elaborare risposte<br />

intellettualmente adeguate agli<br />

stimoli che provengono<br />

dall'esterno, ma, soprattutto, si<br />

riferiscono ai nostri sentimenti,<br />

ai nostri occhi, alle nostre<br />

orecchie. Al nostro corpo,<br />

insomma, in una parola: al<br />

nostro essere uomini (o donne,<br />

che dir si voglia). Essere<br />

depauperati <strong>della</strong> nostra<br />

individualità e, in misura<br />

maggiore, essere incapaci di<br />

reagire al mondo che ci circonda,<br />

significherebbe essere parvenze<br />

d'uomini, finzioni di attività<br />

umane, maschere che<br />

nascondono le nostre sembianze<br />

perfino a noi stessi perché ormai<br />

non avremmo più bisogno di<br />

essere corpi pensanti o<br />

sofferenti, ma solo oggetti<br />

provvisti di ruoli e funzioni<br />

sistematicamente determinati<br />

non da regole di etica<br />

convivenza, non da richieste di<br />

morale comprensione per i nostri<br />

limiti di esseri umani, ma da una<br />

soglia di pura casualità, di mera<br />

contingenza oltre la quale<br />

sembra impossibile andare e che<br />

appare persino impossibile<br />

criticare.<br />

E mentre l'individuo si<br />

'frantuma' in una pluralità di<br />

mancanze di senso (almeno<br />

apparenti), egli — che poi,<br />

almeno secondo gli studiosi del<br />

caso, saremmo tutti noi uomini<br />

comuni e perciò anche aiuti<br />

operatori, assistenti, operatori<br />

alla macchina, direttori <strong>della</strong><br />

fotografia, temo nessuno escluso<br />

— vivrebbe in una sorta di<br />

angoscia indolore: che senso ha<br />

questa vita? perché vado avanti?<br />

per chi?<br />

L'assenza <strong>della</strong> consapevolezza di<br />

questo dramma sarebbe<br />

addirittura sopportabile — in<br />

fondo, non è il denaro oggi<br />

quello che conta? la qualità<br />

dell'uomo non è quantificabile<br />

grazie al suo conto in banca? e il<br />

successo individuale non è la<br />

nostra maggiore aspirazione? — se<br />

non ci fossero segnali, questi sì<br />

tragici e disperanti, che ce lo<br />

ripropongono quotidianamente:<br />

ad Aquisgrana, qualche tempo<br />

fa, quattro ragazzi si sono<br />

L'IMMAGINE E L'ANGOSCIA<br />

Un dramma del nostro<br />

tempo<br />

suicidati dopo aver lasciato una<br />

nota che pressappoco diceva:<br />

"Senza il successo non vale la<br />

pena di perdere tempo". Vivere<br />

questa vita, avrebbe detto<br />

Godard qualche anno fa-<br />

Di chi, o di che cosa, la<br />

responsabilità di tutto questo?<br />

Uno spettro s'aggira per il<br />

mondo, inafferrabile perché noi<br />

stessi, operatori del settore, in<br />

certi casi lo abbiamo addirittura<br />

mitizzato: la tecnologia, dove per<br />

ricerca tecnologica si intende<br />

un'unione tra scienza e tecnica<br />

tendente alla creazione di un<br />

mondo, per così dire, a scomparti<br />

dove ogni individuo possieda la<br />

propria specializzazione, il<br />

proprio specifico ruolo, e dove<br />

quello stesso individuo sia<br />

obbligato a non porsi troppe<br />

domande del tipo: in che modo<br />

la mia specificità professionale è<br />

collegata alle specificità dei miei<br />

simili? che senso ha la mia<br />

professione? a che e/o a chi<br />

serve? Insomma, al professionista<br />

dell'ultima ora si richiede<br />

esclusivamente che stia al suo<br />

posto, che consideri le proprie<br />

caratteristiche<br />

STEFANO COLETTA<br />

tecnico-professionali come le<br />

uniche che lo qualifichino e non<br />

tanto parte integrante delle<br />

proprie caratteristiche di uomo<br />

nella sua interezza.<br />

Egli diviene così il tecnico di sé<br />

stesso, il tecnico dei propri<br />

sentimenti usufruendo del<br />

proprio cuore e <strong>della</strong> propria<br />

coscienza come un computer<br />

usufruisce dei propri transistor. Il<br />

resto è ridotto al silenzio,<br />

semplicemente non conta. Ciò<br />

che resta sono solamente<br />

abitudini e il vincolo da esse<br />

generato non risiederebbe più<br />

nel vivere insieme, ma 'nella<br />

frequentazione quasi esclusiva<br />

<strong>della</strong> televisione'. Non più<br />

Storia, non più Poesia, non più<br />

Sentimenti, non più Memoria,<br />

ma soltanto, e qui è il paradosso<br />

che ci riguarda da vicino,<br />

immagini... Di ogni tipo, di ogni<br />

colore, siano esse abbaglianti e<br />

sfolgoranti, o tetre e opache, la<br />

maggior parte hanno comunque<br />

l'inquietante caratteristica di<br />

riprodurre incessantemente se<br />

stesse e la propria assoluta<br />

mancanza di senso!<br />

Ed eccoci al lato dolente perché,<br />

59<br />

a questo punto, qualcuno<br />

potrebbe offendersi sentendo<br />

parlar male <strong>della</strong> televisione. Ma,<br />

ahimé, come dice l'uomo saggio<br />

"la realtà è quella che è" e non<br />

si può fare a meno di essere<br />

d'accordo con Alexander Kluge<br />

quando afferma che "si sta<br />

formando un'alleanza tra nuove<br />

tecnologie, censura e trust<br />

industriali, allo scopo di<br />

organizzare una nuova coscienza<br />

in tutti", una nuova coscienza<br />

basata sul concetto di fotografia.<br />

A proposito di televisione e di<br />

cinema si sente direjche la<br />

differenza tra i due mezzi<br />

consisterebbe in una maggiore<br />

dose di spettacolo contenuta nel<br />

secondo. Niente da obiettare, a<br />

condizione che si sia cauti e al<br />

tempo stesso chiari nell'usare la<br />

parola 'spettacolo'.<br />

Perché quando l'immagine<br />

cosiddetta spettacolare diventa<br />

tecnologicamente fine a se stessa<br />

perde la sua ragione estetica e<br />

morale di esistere, diventa, nel<br />

migliore dei casi, e malgrado il<br />

fascino che può esercitare,<br />

incoerente e spesso stupida e<br />

volgare.<br />

L'equivalenza immagine-tecnica<br />

risulta in tal modo pericolosa<br />

proprio perché declassa<br />

l'immagine al servizio di una<br />

tecnologia che ci stupisce e ci<br />

abbaglia come se si trattasse di<br />

un miracolo prodotto da una<br />

novella religione.<br />

L'immagine come specchio <strong>della</strong><br />

nostra vita diventa, da una<br />

parte, una specie di proiezione di<br />

noi stessi in un sogno colorato e<br />

affascinante ma illusorio e<br />

irrealistico, e fin qui niente di<br />

male perché ognuno è 'libero' di<br />

sognare come vuole, ma d'altra<br />

parte genera a livello psicologico<br />

uno strano processo di<br />

sostituzione: il collegamento più<br />

o meno diretto tra essere umano<br />

e mondo naturale si indebolisce;<br />

a una disciplina, per così dire,<br />

sottoposta alle leggi biologiche<br />

dell'individuo si sostituiscono<br />

regole e schemi di<br />

comportamento artificiali, una<br />

sorta di "sistema autonomo<br />

fondato sul collegamento di<br />

scienza, applicazione tecnica e<br />

sfruttamento industriale"<br />

(Barcellona) di cui l'essere<br />

umano non costituirebbe altro<br />

che un numero, una 'audience',<br />

ovviamente quantificabile che,<br />

nel caso più macroscopico delle<br />

televisioni private, diventa una<br />

vera e propria merce, oggetto di<br />

baratto tra la TV e lo sponsor di

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