AIC, 1988 - AIC Associazione Italiana Autori della Fotografia ...
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<strong>AIC</strong><br />
"Cinema è tutto ciò che non si<br />
può raccontare, ma andatelo a<br />
dire a persone come me, voi, gli<br />
altri, deformati da anni di<br />
chiacchiere" (René Clair). Senza<br />
complessi si può riprendere<br />
l'ormai trascorsa, ma non sempre<br />
capita, distinzione tra cinema e<br />
film rDialogo I" di P. P. Pasolini<br />
in "Cinema e Film" n. 1,<br />
1966/67). Il film è una storia, il<br />
cinema è il linguaggio che uso<br />
per raccontare quella storia. Di<br />
film è piena la nostra testa:<br />
ricordi, titoli, manifesti, anche<br />
soltanto desideri. Di cinema sono<br />
vuoti gli schermi cinematografici<br />
che mostrano molto, ma non<br />
dimostrano nulla.<br />
Mi viene in mente un'altra<br />
provocazione suggerita da C.<br />
Metz ("La significazione nel<br />
cinema", Milano 1975): che cosa<br />
sarebbe potuto diventare il<br />
cinema (riproduzione di<br />
immagini in movimento) se non<br />
fosse stato obbligato ad<br />
esprimersi soltanto attraverso i<br />
film?<br />
Mi costringo dentro queste due<br />
domande per cercare di capire,<br />
attraverso l'ambiguità delle<br />
diverse teorie, l'insano errore di<br />
continuare ad amare questa<br />
"donna" (in origine "la film"),<br />
nonostante i suoi vistosi<br />
tradimenti e la mia sempre più<br />
patetica fedeltà.<br />
Il paradosso è il colmo <strong>della</strong><br />
logica ed allora lo uso per<br />
giudicare le teorie e le estetiche<br />
non come destinate ad una<br />
eventuale pratica interpretativa,<br />
ma per giudicarle attraverso lo<br />
stesso oggetto del discorso:<br />
cinema e film. Infatti finché si<br />
"Casablanca" di Arthur Edeson<br />
HMMAGINEDELNOSTROSECOLO 27<br />
Cinema e film<br />
parla di film, tutti hanno<br />
ragione; quando si parla di<br />
cinema, molti spariscono.<br />
E arrivato il momento di<br />
giudicare le teorie con i film e<br />
non i film con le teorie e questo<br />
per tentare una migliore<br />
classificazione di "cinema". Mi<br />
piace ricordare R. Jakobson: "I<br />
teorici... se la prendono perché<br />
l'evoluzione ulteriore del cinema<br />
ha deviato dalle loro formulette.<br />
Invece di riconoscere il "tanto<br />
peggio per la teoria" ripetono il<br />
tradizionale "tanto peggio per i<br />
fatti" ("Decadenza del cinema?"<br />
in "Cinema e Film" n. 2, 1967).<br />
Dire che non esiste la verità,<br />
significa subito che qualcuno<br />
racconta delle bugie. E le bugie<br />
nel cinema si sprecano: autori<br />
scoperti troppo in fretta o<br />
troppo in ritardo e qualcuno<br />
mai. Senza rabbia, ma con bontà<br />
di spettatore fedele, scopro<br />
MARIO GARRIBA<br />
continue verità nascoste<br />
dappertutto, basta essere<br />
consapevoli che ciò che<br />
vediamo, non è la "realtà", ma la<br />
realtà di una scrittura. Nel buio<br />
di una sala cinematografica,<br />
senza occupare nessun posto<br />
particolare, compio un continuo<br />
lavoro di traduzione linguistica.<br />
Ed il mio piacere, prima di<br />
arrivare al mio vissuto balordo,<br />
attraversa svariati piaceri di<br />
competenza.<br />
Il cinema stabilisce con evidenza<br />
questo miracolo: la realtà esiste<br />
soltanto quando è riprodotta.<br />
Guardare (leggere, ascoltare,<br />
parlare, scrivere, ecc...) è un<br />
lavoro linguistico: vuol dire<br />
trovare dei sensi e quindi<br />
nominarli. Lavoro metonimico.<br />
Ma "leggere" una scrittura vuol<br />
dire anche fondarne un'altra.<br />
L'oggetto (il testo) diventa<br />
soggetto (il lettore), ma il<br />
soggetto (lettore) ritorna a sua<br />
volta oggetto (un nuovo testo: il<br />
lettore che ha letto).<br />
Partecipiamo senza volerlo a<br />
delle inevitabili regole<br />
linguistiche. Leggiamo, ma siamo<br />
anche letti.<br />
Si potrebbe dire, inseguendo una<br />
delle tante frasi intuitive di R.<br />
Barthes: "La verità esiste<br />
soltanto nella scrittura"<br />
("Critica e Verità", Torino<br />
1969). Ma allora diventa<br />
clamoroso che una teoria o<br />
qualsiasi ricerca cinematografica<br />
debba partire dallo studio <strong>della</strong><br />
costruzione linguistica del<br />
proprio testo anziché dal senso<br />
finale. Talvolta valgono più<br />
cinque minuti di cinema che un<br />
film. Dove "cinema" sta per<br />
scrittura e "film" per senso<br />
equivoco, aperto a troppi sensi<br />
parziali.<br />
"Bello" o "brutto" diventano<br />
subito termini impropri, legati a<br />
teorie codificate ed assolute che<br />
obbligano ad una visione retorica<br />
del film. Se non si mantiene viva<br />
la distinzione tra scrittura e<br />
storia, si arriva ad una pericolosa<br />
cucina cinematografica in cui la<br />
critica si esercita in stravaganti<br />
ricette estetiche. E i film,<br />
controllati dall'Artusi ("L'arte di<br />
mangiare bene"), diventano di<br />
volta in volta: piccanti, aspri,<br />
dolci, amari, duri, teneri, persino<br />
caramellosi, ecc... E così, quando<br />
si ritorna a cercare il senso<br />
attraverso il linguaggio, si scopre<br />
improvvisamente e con più<br />
attenzione che quel senso nasce<br />
per sbaglio, ma è costruito su un<br />
intero sistema di segni.<br />
Ancora una volta comanda la