<strong>AIC</strong> Cineoperatori italiani nella seconda guerra mondiale % FRANCO COCCHI
<strong>AIC</strong> Allo scoppio <strong>della</strong> seconda guerra mondiale tutte le case produttrici di cinegiornali nei diversi paesi in conflitto ebbero la quasi totalità dei cineoperatori richiamati alle armi. Inoltre, si trovarono ancora una volta a dover sottoporre ogni filmato al controllo <strong>della</strong> censura militare. Tutte le nazioni, comunque, si organizzarono per sviluppare la propaganda attraverso l'informazione cinematografica. Si può affermare che mai, prima di allora, la documentazione filmica <strong>della</strong> guerra era stata così massiccia e totale, e aveva avuto un pubblico così ampio, tanto da investire i cinque continenti. Verrà superata soltanto dalle riprese filmate <strong>della</strong> guerra in Vietnam. Ma, qui, c'era già il mezzo televisivo che ampliava l'informazione per immagini. Le due parti in conflitto: la Germania (e le nazioni che, via via, venivano occupate), l'Italia e il Giappone da una parte e, dall'altra, l'Inghilterra, gli Stati Uniti (e paesi alleati) e l'Unione Sovietica, si erano impegnate in uno sforzo gigantesco per fornire una documentazione cinematografica delle vittorie proprie e delle sconfitte del nemico, che lasciava abbastanza attoniti gli spettatori delle sale cinematografiche di fronte a tali esibizioni di propaganda. Eppure, le riprese (non il montaggio e il commento parlato) erano state realmente filmate dai cineoperatori inviati al fronte. E, non di rado, il coraggio e il professionismo di questi uomini, di tutte le nazioni: i tedeschi delle "P.K." come gli americani delle "Signal Corps", i francesi del S.C.P.A. come i sovietici, gli italiani dei Servizi Cinematografici come gli inglesi dell'A.F.P.U., i giapponesi come i polacchi, gli estoni, ecc., si era concluso con la morte o con ferite gravi. Comunque, con risultati di vera informazione (poi, molto spesso, tagliati dalla censura militare, o ambiguamente artefatti nel montaggio) su ciò che stava accadendo al fronte, da entrambe le parti. In Italia, quei cineoperatori richiamati alle armi, che avevano lavorato per l'Istituto Nazionale LUCE, vennero aggregati alle Sezioni Cinematografiche dell'Esercito — dipendenti dallo Stato Maggiore —, al Centro Fotocinematografico dell'Aeronautica e al Centro Cinematografico <strong>della</strong> Marina. Di quest'ultimo, dal 1941, era capo del servizio il regista Francesco De Robertis; all'Aeronautica il direttore era Vittorio Mussolini (figlio del Duce), e il Centro dipendeva direttamente dal Ministero in collegamento con le centrali <strong>della</strong> propaganda (Minculpop, Istituto LUCE e Ministero degli Esteri). Tutto il materiale girato sui vari fronti terrestri, in mare e in cielo, dopo essere stato selezionato, veniva inviato all'Istituto LUCE per lo sviluppo Fronte Libico 1937 - Ripresa con una "Debrie" a involucro di legno e la stampa. Infine, attraverso un severo controllo di censura militare, l'Istituto poteva disporre del materiale da usare per il cinegiornale bisettimanale Giornale LUCE, o impiegarlo per realizzare dei documentari. Subiva quindi il vaglio politico, il montaggio e la sonorizzazione con l'aggiunta del testo letto dallo speaker (ricordiamo la voce di Guido Notari). Il Giornale LUCE era l'unico cinegiornale italiano durante il periodo fascista — perciò, anche durante la seconda guerra mondiale —. Tuttavia, l'ultima parola per considerarlo proiettabile al pubblico spettava a Mussolini. Ogni numero era visionato personalmente da lui, e spesso bisognava tagliare delle immagini o intere scene, perché ritenute poco adatte alla propaganda del regime o alla persona del Duce. Continuò a controllarlo anche nel periodo <strong>della</strong> Repubblica di Salò — dopo che il LUCE si era trasferito a Venezia, nel novembre 1943 —. L'ultimo numero del Giornale LUCE uscì il 18 marzo 1945. E stato rilevato che nel cinegiornale italiano i servizi dalla Jugoslavia, Albania e Grecia apparivano raramente, anche se, ad esempio, l'Istituto aveva una sede a Tirana, e si serviva di un corrispondente jugoslavo, l'operatore Metod Badjura, che realizzava filmati in Slovenia. Inoltre, il LUCE utilizzava dei servizi girati da operatori delle "P.K." (Propaganda Kompanie) tedesche. È vero che, prima <strong>della</strong> guerra appaiono dei servizi dall'Albania: nel maggio del 1937 sulla visita a Tirana di Ciano e l'incontro con re Zog I, nel gennaio 1938 sulle nozze dello stesso re, nell'aprile 1939 sull'assemblea costituente di Tirana che vota il passaggio <strong>della</strong> corona dell'Albania a Vittorio Emanuele III, ma poi non dedicherà più molto spazio a tale nazione, ancorché incorporata nell'Italia. Altrettanto, ma ben più strano atteggiamento, si verificherà durante la seconda guerra mondiale nella Campagna di Jugoslavia e di Grecia (terminate entrambe con la sconfitta italiana e il massiccio intervento tedesco). Domenico Paolella gira nel 1940, per la INCOM, il documentario "Un giorno a Lubiana"; il cineoperatore viene inviato in Montenegro per un servizio; Massimo Sallusti va in Grecia e rientra dopo la ritirata dal Kalibaki e dal Kalamas; appaiono anche alcuni filmati dalla Slovenia, dove operano le milizie <strong>della</strong> Repubblica Sociale. Non molto di più. Resta un dubbio: quanto <strong>della</strong> pellicola girata venne poi utilizzata per il cinegiornale? Un accenno alla situazione del materiale sensibile porta a constatare come la pellicola adoperata fosse per la maggior parte di produzione <strong>della</strong> casa italiana Ferrania, la "Ferrania Panerò C 6" (La "C 7" giungerà solo nel 1949). Venivano però usate, nei limiti <strong>della</strong> disponibilità dell'Istituto LUCE, anche le pellicole tedesche "Agfa Superpan" e la belga "Gevaert". I mezzi tecnici di ripresa, di costruzione italiana, in dotazione ai cineoperatori, erano i seguenti: "AVIA" 35 mm. — progettata da Donelli e Orlandi, e costruita dalla Cinemeccanica di Milano —, a motore, con un obiettivo e magazzino da 120 m., era utilizzata prevalentemente dalla Aeronautica e dalla Marina; sempre fabbricata dalla Cinemeccanica, la "REPORTER", con motore, torretta con quattro obiettivi e magazzini da 120 m., da usare su cavalletto; la "NOVADO" - progettata e costruita da Donelli —, con torretta a tre obiettivi, magazzino da 120 m., da usare a spalla; la "BENEDETTI" - ideata e costruita da Vittorio Benedetti, un tecnico dell'Istituto LUCE —, piccola cinepresa con un obiettivo, carica a molla e bobine da 25 m. I cineoperatori italiani avevano anche cineprese straniere: dalla "KINAMO" <strong>della</strong> Zeiss alla "EYEMO" <strong>della</strong> Bell «Si Howell, dalla tedesca "ASKANIA" a spalla a qualche "AKELEY" americana, sino alla "ARRIFLEX" <strong>della</strong> Arnold e Richter quando finalmente giunse anche in Italia, e grazie alla quale le riprese risentirono un netto miglioramento. Fra gli operatori militarizzati che seguirono varie fasi <strong>della</strong> guerra sui diversi fronti c'erano i vecchi cinereporter e i giovani. Nominarli tutti è difficile — anche perché ne è complicato il reperimento negli archivi del
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