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ATTI II - Area Download - Scuola Normale Superiore

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<strong>Scuola</strong> <strong>Normale</strong> <strong>Superiore</strong> di Pisa Comune di Gibellina<br />

CESDAE<br />

Centro Studi e Documentazione sull’<strong>Area</strong> Elima<br />

- Gibellina -<br />

TERZE<br />

GIORNATE INTERNAZIONALI DI<br />

STUDI SULL’AREA ELIMA<br />

(Gibellina - Erice - Contessa Entellina, 23-26 ottobre 1997)<br />

<strong>ATTI</strong><br />

<strong>II</strong><br />

Pisa - Gibellina 2000


ISBN 88-7642-088-6


ENTELLA: UN’AREA ARTIGIANALE<br />

EXTRAURBANA DI ETÀ TARDOARCAICA<br />

RICCARDO GUGLIELMINO<br />

La necropoli A di Entella occupa un’ampia terrazza naturale<br />

posta sotto la parete meridionale della rocca; le ricerche condottevi<br />

nell’ultimo decennio hanno permesso di verificare che quest’area,<br />

intensamente utilizzata per scopi funerari in età ellenistica<br />

e medievale, in epoca tardoarcaica fu sede di attività artigianali<br />

connesse con la fabbricazione di ceramiche e con la coltivazione<br />

di cave di gesso.<br />

Tra i resti riportati alla luce la prima attività è documentata<br />

da due forni da vasaio, purtroppo rinvenuti in cattivo stato di<br />

conservazione, la seconda da tre piccoli fronti di cava.<br />

Uno dei forni è già stato pubblicato, per cui mi limiterò a<br />

ricordarne le principali caratteristiche costruttive. È un forno a<br />

doppia camera e tiraggio verticale; ha una pianta subcircolare,<br />

irregolarmente ellittica, e misura m 3,40 × 2,70. Si conservano in<br />

parte l’imboccatura, la camera di combustione e due tramezzi in<br />

muratura, paralleli e coassiali con l’ingresso, che dovevano<br />

sorreggere la suola su cui veniva impilato il vasellame nella<br />

sovrastante camera di cottura; quest’ultima, interamente distrutta<br />

da attività umane in epoche posteriori, doveva essere chiusa da<br />

una copertura a forma di cupola 1 . Sia la bocca sia la camera di<br />

combustione erano almeno parzialmente tagliate nella roccia,<br />

con il pavimento interrato rispetto al piano di calpestio antico, un<br />

accorgimento spesso adottato nei forni da vasaio per garantire<br />

una minore dispersione termica.<br />

Questo forno era caratterizzato dall’assenza di un muro<br />

perimetrale nella parte interrata, dove si era semplicemente


702 R. GUGLIELMINO<br />

rivestito il taglio nella roccia con una incamiciatura di argilla<br />

spessa pochi centimetri, di cui rimanevano piccoli lembi caratterizzati<br />

da una superficie semifusa di colore grigio verdastro, con<br />

bolle e crateri prodotti dall’esposizione a forti temperature, che<br />

avevano causato anche la calcinazione superficiale della roccia<br />

sottostante (tav. CXXI, 1).<br />

Del secondo forno si conservava in maniera incompleta la<br />

camera di combustione; si tratta di un altro impianto a doppia<br />

camera e tiraggio verticale, ma con pianta quadrangolare, che<br />

lungo il perimetro esterno misura ca. m 3,5 di larghezza per una<br />

lunghezza conservata di m 3,2 (tav. CXXI, 3; CXX<strong>II</strong>, 1).<br />

Questo forno era stato costruito poche decine di metri a N del<br />

precedente, in una zona dove il terreno presentava un pendio più<br />

acclive; purtroppo non possiamo farci alcuna idea della forma<br />

dell’imboccatura e dell’eventuale presenza di un prefurnio perché<br />

il lato a valle è andato interamente perduto a causa sia<br />

dell’erosione, sia dagli interventi successivi, sia soprattutto degli<br />

scassi operati dai tombaroli; come è noto, infatti, nei decenni<br />

passati tutta l’area necropolica è stata sconvolta da un’intensa ed<br />

assidua attività clandestina.<br />

La camera. di combustione era stata costruita all’interno di<br />

una fossa quadrangolare, scavata in parte nella roccia, in parte nel<br />

banco compatto di gesso ridepositato, e quindi doveva essere<br />

anch’essa interrata per ottenere una migliore coibentazione. In<br />

questo caso alle pareti della fossa erano stati addossati degli<br />

spessi muri perimetrali realizzati con grossi conci parallelepipedi<br />

di gesso abbastanza regolari e pietre più piccole, grezze o<br />

rozzamente accapezzate, che erano legati da sedimenti naturali<br />

gessosi con modesta frazione argillosa. Con gli stessi materiali<br />

era realizzato un tramezzo mediano (tav. CXXI, 2), destinato a<br />

sorreggere la suola, che non si addossava al muro di fondo ma si<br />

fermava ad una distanza di ca. cm 60, forse per permettere una<br />

migliore circolazione dei gas caldi della combustione ed una<br />

cottura più uniforme del vasellame.<br />

Come nell’altro forno sui muri esterni e sul tramezzo era<br />

stato steso uno strato di malta argillosa magra che, cuocendo ed


UN’AREA ARTIGIANALE TARDOARCAICA AD ENTELLA<br />

703<br />

indurendosi col primo fuoco, assicurava una adeguata refrattarietà.<br />

Questa camicia, che ancora si conservava per piccoli tratti (tav.<br />

CXX<strong>II</strong>, 2), veniva applicata con le mani, come si rileva dalle<br />

tracce di solcature superficiali parallele lasciate dalle dita; conteneva<br />

frammenti ceramici, chamotte e molti inclusi vegetali, che<br />

con la cottura creavano vacuoli garantendo una maggiore elasticità<br />

ed una migliore resistenza alle fessurazioni prodotte dalle forti<br />

escursioni termiche anche se, con ogni probabilità, essa doveva<br />

essere frequentemente rinnovata. Il pavimento invece sembra<br />

fosse costituito dalla semplice roccia spianata e livellata senza<br />

alcun rivestimento; in alcuni punti mostrava un diffuso annerimento<br />

per l’esposizione al fuoco ed era ancora coperto da un<br />

sottile straterello di ceneri e carboni.<br />

I lembi superstiti del riempimento originario della camera di<br />

combustione, addossati al muro di fondo sul lato a monte, erano<br />

formati da terra fine e sciolta di un colore rossastro intenso,<br />

apparentemente originata dal disfacimento della camicia; inglobavano<br />

frammenti della camicia stessa, scorie (tav. CXX<strong>II</strong>I, 1),<br />

frammenti e scarti di ceramica indigena acroma o con decorazione<br />

geometrica dipinta (tav. CXX<strong>II</strong>I, 3) e pezzi di grossi mattoni<br />

parallelepipedi (tav. CXX<strong>II</strong>I, 2) e di barre fittili di forma più<br />

irregolare, realizzati con argilla ricca di elementi vegetali, verosimilmente<br />

da riferire alla struttura della suola che separava la<br />

camera di combustione da quella di cottura. In entrambi i forni i<br />

riempimenti delle camere di combustione avevano composizioni<br />

molto simili e contenevano gli stessi materiali, benché nel secondo<br />

manchino gli anelli distanziatori rinvenuti nel primo 2 e compaiano<br />

invece delle piramidette fittili (tav. CXX<strong>II</strong>I, 4), che<br />

probabilmente assolvevano una funzione analoga. Per gli uni e le<br />

altre la consistenza della pasta, durissima e quasi vetrificata,<br />

confermerebbe la molteplicità delle cotture 3 .<br />

Nel forno a pianta quadrangolare è probabile che il muro<br />

assiale mediano reggesse direttamente la griglia formata da<br />

elementi fittili affiancati su cui veniva impilato il vasellame da<br />

cuocere; nessun indizio suggerisce la possibilità di sistemi più<br />

complessi. L’uso di costruire archi multipli trasversali per sorreg-


704 R. GUGLIELMINO<br />

gere il piano forato, attestato ad esempio nei forni rettangolari di<br />

Naxos 4 sembrerebbe riservato agli impianti per la produzione di<br />

tegole, mattoni e terrecotte architettoniche e verosimilmente si<br />

spiega con il maggior peso dei materiali.<br />

Né questo forno né l’altro trovano riscontri puntuali nella<br />

classificazione di N. Cuomo di Caprio, basata sul tipo di sostegno<br />

della suola, nonostante siano riferibili rispettivamente al tipo <strong>II</strong> e<br />

al tipo I 5 ; tra l’altro i forni a pianta quadrangolare sono rari in<br />

quest’epoca, anche in Grecia dove hanno alle spalle una lunga<br />

tradizione, che risale almeno alla media età del bronzo 6 .<br />

Finora nell’area esplorata non sono venuti alla luce altri resti<br />

associabili ai forni, benché sia ragionevole supporre che esistessero<br />

nelle vicinanze strutture e manufatti destinati alla depurazione<br />

dell’argilla, alla foggiatura e all’essiccazione dei vasi, all’immagazzinamento<br />

dei prodotti finiti e all’alloggiamento, almeno<br />

provvisorio, dei ceramisti. L’unica scoperta significativa connessa<br />

con il forno rettangolare è costituita dal rinvenimento del suo<br />

scarico; per questo scopo era stato utilizzato un anfratto naturale<br />

ubicato ca. m 1,5 a monte del muro di fondo della camera di<br />

combustione.<br />

Oltre che per la vicinanza, l’ubicazione dello scarico è<br />

perfettamente plausibile soprattutto se si immagina che si trovasse<br />

sul retro del forno la porta della camera di cottura da cui si<br />

introduceva ed estraeva il materiale. La posizione sembrerebbe<br />

più idonea perché dalla parte opposta i maggiori scarti termici<br />

potevano danneggiare la tamponatura della porta stessa, che<br />

doveva essere realizzata in argilla; questo ovviamente se si<br />

immagina che la copertura della camera di cottura, presumibilmente<br />

a volta, fosse stabile e quindi richiedesse una porta di<br />

carico. Ma anche in caso di volta temporanea, che veniva abbattuta<br />

e ricostruita ad ogni infornata, poteva essere comodo operare<br />

sul lato a monte, su di un piano che si trovava alla stessa altezza<br />

della suola, mentre dal lato a valle si accedeva alla camera di<br />

combustione ad un livello più basso.<br />

Nel riempimento della cavità il potente strato riferibile<br />

all’uso come scarico (tav. CXXIV, 1) era composto da terra


UN’AREA ARTIGIANALE TARDOARCAICA AD ENTELLA<br />

705<br />

fortemente argillosa, una caratteristica assolutamente insolita in<br />

quest’area che potrebbe spiegarsi con il fatto che vi venivano<br />

gettati anche residui dell’argilla cruda utilizzata nella manutenzione<br />

del forno e forse scarti di vasi non cotti, benché questi ultimi<br />

fossero sempre riciclabili. Lo strato conteneva, in misura assai<br />

maggiore, gli stessi materiali rinvenuti nel riempimento della<br />

camera di combustione: scorie ceramiche, scarti semifusi, grumi<br />

di argilla malcotta, frammenti di camicia e di grossi mattoni, ma<br />

soprattutto un’ingente quantità di frammenti di ceramica acroma<br />

ingubbiata o di dipinta con decorazione geometrica.<br />

La sua composizione sembra dimostrare che il forno era<br />

destinato alla produzione esclusiva di queste due classi indigene<br />

che, come già sapevamo, presentano caratteristiche di pasta,<br />

cottura e rivestimento superficiale praticamente identiche e sono<br />

strettamente imparentate anche per quanto riguarda il repertorio<br />

morfologico; di conseguenza suggerisce un alto grado di<br />

specializzazione artigianale.<br />

La pasta di questa ceramica è fine, ben cotta, dura, compatta<br />

ed omogenea; appare più o meno ricca di minutissimi inclusi<br />

brillanti, micacei, talvolta invisibili ad occhio nudo ma sempre<br />

presenti 7 . Il colore varia dall’arancio rosato al rossastro, al<br />

nocciola, e può mantenersi costante in tutto lo spessore o sfumare<br />

verso toni di grigio nel nucleo, con variazioni che sembrerebbero<br />

causate dalle modalità di cottura più che dalle qualità intrinseche<br />

dell’argilla impiegata. L’aggiunta intenzionale di degrassanti si<br />

constata occasionalmente in frammenti pertinenti a vasi di grandi<br />

dimensioni, con spessori delle pareti superiori al centimetro, che<br />

inglobano inclusi litici e chamotte; il loro impiego è verosimilmente<br />

imputabile all’esigenza di rendere meno plastica l’argilla<br />

durante la foggiatura e di ridurre la contrazione di volume durante<br />

l’essiccazione ed i conseguenti rischi di crettature e fessurazioni.<br />

La foggiatura sembra eseguita indistintamente al tornio,<br />

anche se i segni della tornitura spesso non sono rilevabili a causa<br />

del trattamento di lisciatura cui erano sottoposte le superfici<br />

visibili prima dell’applicazione del rivestimento 8 ; le poche, apparenti<br />

eccezioni sono limitate a vasi con pareti molto spesse.


706 R. GUGLIELMINO<br />

L’ingubbiatura è costituita da una pellicola sottile ed uniforme<br />

di argilla finissima, che sembra applicata sia a pennello sia per<br />

immersione a seconda delle necessità 9 . Con la cottura assume<br />

tonalità cromatiche chiare che vanno dall’avorio all’arancio<br />

rosato e diviene opaca, con piccolissime bolle superficiali difficilmente<br />

apprezzabili ad occhio nudo. Nella ceramica dipinta la<br />

vernice è opaca, omogenea, di colore variante dal rosso-arancio<br />

al nerastro in conseguenza della diluizione e delle condizioni di<br />

cottura.<br />

In entrambe le classi le forme aperte sono rappresentate<br />

preminentemente da ciotole e bacili con vasca emisferica che<br />

documentano una gamma piuttosto ampia di tipi e varianti,<br />

definibili in base alle dimensioni, alla profondità della vasca, alla<br />

presenza o meno di una carena e alle differenze nella sagomatura<br />

dell'orlo (tavv. CXXIV, 2-4; CXXV, 1-3; 5); i grandi bacili, che<br />

raggiungono diametri all’orlo superiori ai 50 cm, presentano<br />

negli esemplari privi di decorazione dipinta ampie zone risparmiate<br />

dall’ingubbiatura, soprattutto sulla superficie esterna.<br />

Esclusive della ceramica dipinta appaiono alcune forme con<br />

profilo più articolato, che includono sia vasi di tradizione indigena<br />

come la tazza-attingitoio (tav. CXXV, 4), assolutamente<br />

inconsueta ad Entella 10 , sia altri che imitano fedelmente prodotti<br />

coevi greci e sicelioti, quali i crateri a colonnette (tav. CXXVI, 1-<br />

2) e le kylikes di tipo ionico B 2 (tav. CXXVI, 3-4) 11 .<br />

Le forme chiuse includono anfore e/o idrie (tav. CXXV<strong>II</strong>, 1-<br />

4; 6), oinochoai con bocca trilobata (tav. CXXV<strong>II</strong>, 5), ollette con<br />

corpo sferico o subsferico, presenti sia in versioni acrome sia<br />

dipinte (tav. CXXV<strong>II</strong>I, 1-5). Di queste ultime una, priva di<br />

ingubbiatura, risulta particolarmente interessante; la rozzezza<br />

della fattura e del motivo decorativo, una sorta di scarabocchio,<br />

farebbe pensare all’esercitazione di un apprendista (tav. CXXV<strong>II</strong>I,<br />

3).Tra i frammenti pertinenti a vasi di grosse dimensioni alcuni<br />

sono chiaramente riferibili a pithoi con orlo orizzontale a tesa<br />

(tav. CXXIX, 1), di un tipo finora assente ad Entella, ma attestato<br />

nei centri indigeni di Monte Maranfusa 12 e Monte d’Oro 13 , oltre<br />

che nella necropoli imerese di Pestavecchia 14 .


UN’AREA ARTIGIANALE TARDOARCAICA AD ENTELLA<br />

707<br />

Nella decorazione della ceramica dipinta prevalgono i consueti<br />

ornati geometrici, per lo più semplici linee o bande, spesso<br />

organizzate in composizioni metopali , ma sono attestati anche<br />

motivi non comuni ad Entella, come le raffigurazioni zoomorfe,<br />

gli elementi vegetali stilizzati, i denti di lupo, i cerchi concentrici<br />

tracciati con il compasso 15 e i festoni (tav. CXXIX, 2-4) 16 .<br />

Le caratteristiche tipologiche dei forni da vasaio e l’alta<br />

qualità di questa ceramica, che evidenzia una cottura uniforme,<br />

spinta a temperature elevate, dimostrano che i ceramisti entellini<br />

detenevano in quest’epoca conoscenze tecnologiche avanzate,<br />

non inferiori a quelle degli artigiani sicelioti e punici contemporanei;<br />

purtroppo anche per questo aspetto la scarna documentazione<br />

relativa ai secoli precedenti nella Sicilia occidentale non<br />

consente di valutare appieno il peso del patrimonio indigeno,<br />

che in ogni caso appare prevalente 17 , rispetto alla possibile<br />

adozione di procedimenti, attrezzature ed impianti introdotti dai<br />

coloni.<br />

Alcuni elementi, soprattutto la relativa abbondanza di ossa<br />

animali, indicano che il pozzetto naturale, benché utilizzato<br />

soprattutto come scarico del forno da vasaio, fu usato anche come<br />

semplice immondezzaio, probabilmente dagli stessi artigiani; a<br />

quest’uso sembra da riferire una dozzina di frammenti di ceramica<br />

di tipo greco, presumibilmente importata, che presentano una<br />

pasta ed una vernice con caratteristiche dissimili rispetto al resto<br />

del materiale; essi includono orli di coppe ioniche B1 e B2 e di<br />

kylikes a vernice nera del tipo C, che suggeriscono una datazione<br />

del forno e dei suoi prodotti agli ultimi decenni del VI sec. a. C.<br />

(tav. CXXX, 1-3).<br />

Al di là dell’indicazione cronologica, il dato sembra dimostrare<br />

l’alto grado di diffusione di questi vasi, verosimilmente<br />

importati da qualche centro siceliota; si tratterebbe infatti di<br />

oggetti usati quotidianamente da artigiani che operavano in un<br />

quartiere extraurbano, anche se, ovviamente, non abbiamo nessuna<br />

idea del ruolo e della posizione dei ceramisti nella società<br />

entellina della fine del VI sec. a.C.<br />

In occasione delle precedenti Giornate rilevavo come i


708 R. GUGLIELMINO<br />

prodotti greci e sicelioti importati nell’area elima in quest’epoca<br />

fossero costituiti quasi esclusivamente da vasi potori, legati alla<br />

sfera simposiaca, e mi chiedevo se la loro adozione potesse celare<br />

significati ideologici e culturali che vanno oltre l’acquisizione<br />

formale di gusti e mode greche. Nella medesima occasione<br />

notavo come le tre produzioni indigene finora note (ceramica<br />

acroma ingubbiata, dipinta e incisa/impressa) siano in sostanza<br />

classi da mensa, fatta eccezione per alcune rare forme da dispensa<br />

e magazzino, mentre ci dobbiamo confrontare con un vuoto di<br />

conoscenza pressoché assoluto per quanto riguarda la ceramica<br />

da cucina e da fuoco.<br />

Mi domandavo allora quali fossero le abitudini alimentari<br />

degli Elimi, al di là della possibile predilezione per il panico che<br />

si ricaverebbe della denominazione greca dell’ethnos, e quali<br />

fossero i loro sistemi di cottura. A questo scopo avevo fatto<br />

analizzare una discreta quantità di ossa animali provenienti da<br />

strati arcaici; non mi soffermerò sui risultati di queste analisi,<br />

perché già editi, limitandomi a ricordare che da essi si desume, tra<br />

l’altro, che per l’alimentazione carnea la maggiore risorsa era<br />

costituita dall’allevamento dei bovini e che ad Entella si cacciava<br />

il cervo, dato importante soprattutto per la ricostruzione dell’ecosistema<br />

antico 18 .<br />

Per quanto attiene ai sistemi di cottura la lacuna comincia ora<br />

a colmarsi, ovviamente grazie alle scoperte avvenute anche in<br />

altri centri elimi 19 . Nell’anfratto in esame sono stati rinvenuti<br />

alcuni frammenti, sempre da riferire all’uso dello stesso come<br />

immondezzaio perché mostrano segni evidenti di usura e di<br />

esposizione al fuoco, pertinenti a vasellame da cucina, pentole<br />

con larghe prese rettangolari e tegami profondi con base piana<br />

(tav. CXXX, 4-7), apparentemente foggiati a mano senza l’ausilio<br />

del tornio utilizzando un impasto ricco di inclusi litici e chamotte.<br />

Trovano confronti puntuali in ambito punico, ad es. tra i materiali<br />

rinvenuti nella necropoli della caserma Tuköry a Palermo 20 .<br />

L’esplorazione di quest’area, inoltre, ha consentito di verificare<br />

come in età protoellenistica almeno quattro sepolture entro<br />

fosse terragne, inquadrabili tra la fine del IV e il <strong>II</strong>I sec. a. C.,


UN’AREA ARTIGIANALE TARDOARCAICA AD ENTELLA<br />

709<br />

avessero danneggiato o utilizzato i resti del forno da vasaio in<br />

maniera apparentemente casuale.<br />

Due tombe avevano raggiunto con il fondo della fossa più o<br />

meno la quota del pavimento della camera di combustione,<br />

interamente tagliato nella roccia. La prima, orientata NO-SE,<br />

aveva rotto un tratto del muro perimetrale E; violata dai tombaroli,<br />

conservava soltanto una piccola parte del riempimento, che<br />

conteneva alcuni frammenti di coppi riferibili alla copertura<br />

crollata e le estremità distali degli arti inferiori in connessione di<br />

un individuo adulto. La seconda si era inserita esattamente tra il<br />

muro perimetrale O e il tramezzo mediano utilizzandoli come<br />

pareti; svuotata completamente dei resti scheletrici, conservava<br />

come per miracolo un piccolissimo lembo del riempimento<br />

originario all’estremità N (US 1508), corrispondente alla posizione<br />

del cranio, con tre oggetti del corredo, due lekythoi strigilate<br />

a vernice nera e un alabastron di alabastro (tav. CXXXI, 1-2).<br />

La fossa di una terza sepoltura, più superficiale e recente,<br />

aveva tagliato i livelli superiori del riempimento della camera di<br />

combustione e rotto in parte il muro E ed il tramezzo mediano.<br />

Sconvolta in larga misura dalle buche dei tombaroli da cui era<br />

circondata (tav. CXXXI, 3), la tomba conservava alcuni resti<br />

scheletrici pertinenti ad un individuo adulto deposto in decubito<br />

dorsale (metà ca. del cranio, l’arto superiore destro e parte degli<br />

arti inferiori) e quattro oggetti di corredo: un’anfora greco-italica,<br />

una brocca ed un’olpetta acrome, impilate l’una sull’altra, ed un<br />

unguentario acromo (tav. CXXXI, 4-5).<br />

Una quarta tomba, infine, si era inserita tra lo scarico e il<br />

muro di fondo del forno, utilizzando quest’ultimo come parete<br />

(tav. CXXX<strong>II</strong>, 1). Non raggiunta dai tombaroli ma danneggiata<br />

in parte dal taglio di un pozzetto circolare in cui era alloggiata<br />

un’anfora rodia bollata del fabbricante Epigonos <strong>II</strong> 21 (tav. CXXX<strong>II</strong>,<br />

3), questa sepoltura conservava i resti scheletrici di un individuo<br />

adulto, sempre in decubito dorsale, e vari oggetti di corredo tra cui<br />

un’anforetta a vernice nera sovradipinta (tav. CXXX<strong>II</strong>, 2; 4).<br />

Queste interessanti testimonianze di sovrapposizione, che<br />

vengono ad aggiungersi a quelle dell’altro forno 22 , non sorpren-


710 R. GUGLIELMINO<br />

dono considerata l’ubicazione dell’area; ci troviamo infatti in una<br />

fascia extramurana, probabilmente nelle immediate vicinanze di<br />

una porta e di una via di accesso alla città sul versante S, il cui<br />

percorso dovrebbe essere ricalcato nel tratto terminale dalla<br />

carraia moderna e coincidere anche con la via seguita da Sabatier<br />

per ascendere alla Rocca. Anche ad Entella la dislocazione delle<br />

necropoli e delle aree artigianali destinate alla lavorazione della<br />

ceramica obbedirebbe ad un modello urbanistico assai diffuso nel<br />

mondo antico ed attestato in Sicilia sia nelle colonie greche sia in<br />

quelle puniche.<br />

Quanto alle testimonianze relative alla coltivazione di cave<br />

di gesso nella medesima area in età tardoarcaica, esse consistono<br />

essenzialmente in due tagli a forma di fosse aperte sul lato a valle,<br />

che mostrano sul fondo tenui tracce di canali di escavazione e in<br />

un terzo, piccolo fronte (tav. CXXX<strong>II</strong>I, 1), che è il più interessante<br />

sia perché, in conseguenza di una più breve esposizione agli<br />

agenti atmosferici, mostra segni di lavorazione più freschi ed<br />

evidenti, apparentemente attribuibili ad uno scalpello a punta<br />

piatta (tav. CXXX<strong>II</strong>I, 2), sia perché rivela la sovrapposizione di<br />

due alzate orientate diversamente, forse riferibili a momenti<br />

diversi, sia perché ingloba due blocchi di cui non fu mai completata<br />

l’estrazione.<br />

Si tratta di blocchi parallelepipedi di grandi dimensioni<br />

(lunghi ca. 250 cm, larghi 70 e profondi almeno 40) che sembrerebbero<br />

concepiti per qualche struttura monumentale costruita in<br />

quest’area extraurbana. Il minerale in sé, infatti, non sembra<br />

avere caratteristiche di maggior pregio o migliore lavorabilità<br />

rispetto a quello che veniva estratto sopra la rocca, dove, soprattutto<br />

negli affioramenti posti lungo le fasce marginali, sono<br />

frequenti i tagli di cave antiche 23 .


NOTE<br />

UN’AREA ARTIGIANALE TARDOARCAICA AD ENTELLA<br />

711<br />

1 R. GUGLIELMINO, Entella. Necropoli A: nuovi dati, in «Atti delle<br />

Giornate Internazionali di Studi sull’<strong>Area</strong> Elima, Gibellina 1991», Pisa-<br />

Gibellina 1992, 371-378, 373-376, tav. XLI, 1.<br />

2 Ibid., 375, tav. XLI, 3.<br />

3 Cf. N. CUOMO DI CAPRIO, Proposta di classificazione delle fornaci<br />

per ceramica e laterizi nell’area italiana dalla preistoria a tutta l’epoca<br />

romana, Sibrium, 1971-1972, 371-464, 381.<br />

4 Cf. N. CUOMO DI CAPRIO, Pottery- and Tile-Kilns in South Italy and<br />

Sicily, in A. MCWHIRR (ed.), Roman Brick and Tile. Studies in Manifacture,<br />

Distribution and Use in The Western Empire, Oxford 1979, 72-95, 86; EAD.,<br />

Fornaci e officine da vasaio tardo ellenistiche, Morgantina Studies 3,<br />

Princeton 1992, 73 e bibl. cit.<br />

5 Cf. in particolare CUOMO DI CAPRIO, Proposta... cit., 371-464.<br />

6 Cf. M. SEIFERT, Pottery Kilns in Mainland Greece and on the<br />

Aegean Islands, RdA, 1993, 95-105 e bibl. cit..<br />

7 Per i risultati delle analisi mineralogico-petrografiche condotte su<br />

alcuni campioni di ceramica dipinta da Entella cf. M. GARGINI, La ceramica<br />

indigena a decorazione geometrica dipinta, in G. NENCI (a cura di), Entella<br />

I, Pisa 1995, 111-161, 123, nn. 60-61. La presenza di inclusi micacei<br />

nell’argilla è una caratteristica che sembra accomunare la produzione entellina<br />

con quella del vicino centro di Monte Maranfusa; cf. F. SPATAFORA - A. M. G.<br />

CALASCIBETTA, Monte Maranfusa, un insediamento nella media valle del<br />

Belice, SicA, XIX, 62, 1986, 13-27, 15; F. SPATAFORA - A. FRESINA, Monte<br />

Maranfusa, in AA. VV., Di terra in terra. Nuove scoperte archeologiche<br />

nella provincia di Palermo, Palermo 1993, 3-26, 11.<br />

8 Cf. GARGINI, art. c., 113-114.<br />

9 Ibid., 114. L’uso del pennello risulta evidente nelle forme aperte<br />

in cui fasce ingubbiate si alternano ad altre risparmiate.<br />

10 Per le attestazioni di tazze-attingitoio nella ceramica dipinta della<br />

Sicilia centrale e occidentale ibid.., 117 e bibl. cit. alla n. 27.<br />

11 Per l’imitazione occasionale di altri prodotti coloniali nella ceramica<br />

dipinta di Entella (skyphoi e coppe decorate a filetti) ibid., 114-117. Tra<br />

i centri elimi l’imitazione dei crateri a colonnette è documentata anche a<br />

Monte Iato (H. P. ISLER, Monte Iato: la venticinquesima campagna di scavo,<br />

SicA, XXV<strong>II</strong>I, 87-89, 1995, 19-38, 29-30, fig. 32; ID., Monte Iato: la<br />

ventiseiesima campagna di scavo, SicA, XXIX, 90-92, 1996, 7-30, 22, fig.<br />

37), Monte Maranfusa (SPATAFORA - FRESINA, art. c., 12, 20, nrr. 24-25) e<br />

Monte d’Oro (C. A. DI STEFANO, Insediamenti indigeni ellenizzati in territorio<br />

palermitano, in «Gli Elimi e l’area elima fino all’inizio della I guerra


712 R. GUGLIELMINO<br />

punica. Atti del Seminario di Studi, Palermo-Contessa Entellina 1989», ASS,<br />

S. IV, XIV-XV, 1988-1989, 247-258, 250, figg. 5-6). Crateri di foggia simile<br />

sono comunissimi nella ceramica indigena venuta alla luce nella grande<br />

necropoli tardoarcaica di Valle Oscura a Marianopoli nella Sicilia centrale<br />

(G. FIORENTINI, La necropoli indigena di età greca di Valle Oscura<br />

(Marianopoli), QuadAMess, I, 1985-1986, 31-54, 35-36, 39-41, tavv. XXIX-<br />

XXX<strong>II</strong>I, XXXVI-XXXIX, XL<strong>II</strong>-XL<strong>II</strong>I).<br />

12 SPATAFORA - FRESINA, art. c., 9, fig. 12, 12, 15, nr.1 (pithos<br />

rinvenuto in un contesto abitativo).<br />

13 Cf. DI STEFANO art. c., 249, fig. 3; C. GRECO, Monte d’Oro e la<br />

necropoli in località “Manico di Quarara”, in AA. VV., Di terra in terra.<br />

Nuove scoperte archeologiche nella provincia di Palermo, Palermo 1993,<br />

199-202, 200-201, fig. 5 (pithoi in contesto funerario).<br />

14 S. VASSALLO - E. CRACOLICI - G. PARELLO - M. C. PARELLO, Himera.<br />

Necropoli di Pestavecchia, in AA. VV., Di terra in terra. Nuove scoperte<br />

archeologiche nella provincia di Palermo, Palermo 1993, 89-112, 96, 102,<br />

nr. 115.<br />

15 Cf. GARGINI, art. c., 121, motivo 22. Nell’area elima i cerchi<br />

concentrici, assai più comuni nella ceramica incisa e impressa, sono attestati<br />

su frammenti indigeni dipinti da Erice (A. M. BISI, Erice (Trapani). Saggi alle<br />

fortificazioni puniche, NSA, 1968, 280-292, 281), Montagna dei Cavalli (S.<br />

VASSALLO - L. GANDOLFO - M. R. LA LOMIA, Montagna dei Cavalli, in AA.<br />

VV., Di terra in terra. Nuove scoperte archeologiche nella provincia di<br />

Palermo, Palermo 1993, 117-136, 133-134, nrr. 186, 195), Mura Pregne (C.<br />

A. DI STEFANO, Mura Pregne. Ricerche su un insediamento nel territorio di<br />

Himera, in AA. VV., Secondo Quaderno Imerese, Roma 1982, 175-194, 188,<br />

tav. XLVI: 3. Il motivo, di possibile ispirazione euboica, è più comune nel<br />

territorio tra le valli del Salso e del Platani (Gibil Gabib: D. ADAMESTEANU,<br />

Gibil Gabib, scavi e ricerche archeologiche, NSA, 1958, 387-408, 393, fig.<br />

5), dove si ritiene venga introdotto nel repertorio indigeno nel corso del V<strong>II</strong><br />

sec. a. C. per il tramite della ceramica geloa; cf. L. CAMPISI, La Montagnola<br />

di Marineo. La ceramica indigena a decorazione dipinta, in AA. VV.,<br />

Archeologia e territorio, Palermo 1997, 147-152, 148.<br />

16 Il motivo a festone che decora l’orlo delle oinochoai con bocca<br />

trilobata è attestato anche a Marianopoli (FIORENTINI, art. c., 35-36, tavv.<br />

XXV<strong>II</strong>I-XXIX, XXXVI, XXXV<strong>II</strong>I)<br />

17 Malgrado la povertà di testimonianze, nell’area elima la produzione<br />

di ceramica dipinta con caratteristiche tecniche simili sembrerebbe risalire<br />

almeno all’V<strong>II</strong>I sec. a. C.; cf. A. SCUDERI - S. TUSA - A. VINTALORO, La<br />

preistoria e la protostoria nel Corleonese e nello Iato, Corleone 1997, 50-52;<br />

C. TROMBI, La ceramica indigena dipinta della Sicilia dalla seconda metà del<br />

IX sec. a. C al V sec. a. C., in M. BARRA BAGNASCO - E. DE MIRO - A. PINZONE,


UN’AREA ARTIGIANALE TARDOARCAICA AD ENTELLA<br />

713<br />

(a cura di), «Magna Grecia e Sicilia. Stato degli studi e prospettive di ricerca.<br />

Atti dell’Incontro di Studi, Messina 1996», Soveria Mannelli 1999, 275-293,<br />

289 e bibl. cit.<br />

18 E. BEDINI, Appendice. I reperti faunistici, in R. GUGLIELMINO,<br />

Materiali arcaici e problemi di ellenizzazione ad Entella, in «Atti delle<br />

Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’area Elima, Gibellina 1994»,<br />

Pisa-Gibellina 1997, 923-978, 957-978.<br />

19 Vasellame da fuoco simile a quello di Entella è stato rinvenuto a<br />

Monte Iato (H. P. ISLER, Monte Iato: la ventisettesima campagna di scavo,<br />

SicA, XXX, 93-95, 1997, 26, fig. 16).<br />

20 C. A. DI STEFANO - R. DI SALVO - G. SARÀ, Palermo, in AA. VV.,<br />

Di terra in terra. Nuove scoperte archeologiche nella provincia di Palermo,<br />

Palermo 1993, 255-316, 301, nr. 375.<br />

21 Datata dall’eponimo Sosikles al 175-146 a. C.; B. GAROZZO, Nuovi<br />

bolli anforari dalla Sicilia occidentale (Entella, Segesta, Erice), in «Sicilia<br />

epigraphica. Atti del convegno, Erice 1998», c. s., nr. 1 del catalogo.<br />

22 Supra, n. 1.<br />

23 Anche sul pianoro sommitale le incisioni sono per lo più a forma<br />

di fossa aperta su un lato; cf. I. GENNUSA, Materiali lapidei nelle strutture<br />

archeologiche di Rocca d’Entella, in «Atti delle Seconde Giornate Internazionali<br />

di Studi sull’area Elima, Gibellina 1994», Pisa-Gibellina 1997, 845-<br />

864, 860-862.


1. Entella. Necropoli A. Forno circolare.<br />

Angolo N della camera di combustione<br />

con lembi superstiti del riempimento<br />

originario e della camicia d’argilla, stesa<br />

direttamente sulla roccia.<br />

TAV. CXXI<br />

2. Entella. Necropoli A. Forno quadrangolare.<br />

Tramezzo mediano della camera<br />

di combustione.<br />

3. Entella. Necropoli A. Forno quadrangolare. Veduta dal lato a monte.


TAV. CXX<strong>II</strong><br />

1. Entella. Necropoli A. Forno quadrangolare.<br />

2. Entella. Necropoli A. Forno quadrangolare. Camera di combustione con resti della<br />

camicia d’argilla.


1. Entella. Necropoli A. Forno quadrangolare.<br />

Scoria ceramica dal riempimento<br />

della camera di combustione.<br />

TAV. CXX<strong>II</strong>I<br />

2. Entella. Necropoli A. Forno quadrangolare.<br />

Frammento di grosso mattone dal<br />

riempimento della camera di combustione.<br />

3. Entella. Necropoli A. Forno quadrangolare. Scarti ceramici dal riempimento<br />

della camera di combustione.<br />

4. Entella. Necropoli A. Forno quadrangolare. Piramidette fittili dal<br />

riempimento della camera di combustione.


TAV. CXXIV<br />

1. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Sezione e pianta.<br />

2. Entella. Necropoli A. Scarico del forno<br />

quadrangolare. Frammento di grande<br />

ciotola ingubbiata indigena.<br />

3. Entella. Necropoli A. Scarico del forno<br />

quadrangolare. Frammento di ciotola<br />

dipinta indigena.<br />

4. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammento di bacino<br />

ingubbiato e dipinto indigeno (scala 1:6).


TAV. CXXV<br />

TAV. CXXV<br />

Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammenti di ciotole e bacini<br />

dipinti e ingubbiati indigeni (1-3; 5); frammento di tazza-attingitoio indigena (4) (nrr.<br />

1-2 scala 1:3; nrr. 3-5 scala 1:2).<br />

5<br />

3<br />

1<br />

2<br />

4


TAV. CXXVI<br />

1. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammento di cratere a<br />

colonnette indigeno (scala 1:2).<br />

2. Entella. Necropoli A. Scarico del forno<br />

quadrangolare. Frammenti di crateri<br />

a colonnette indigeni.<br />

3. Entella. Necropoli A. Scarico del forno<br />

quadrangolare. Frammento di kylix<br />

indigena.<br />

4. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammenti di kylikes<br />

indigene (scala 1:3).


TAV. CXXV<strong>II</strong><br />

1 2<br />

3 4<br />

6<br />

1-6. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammenti di anfore / hydriae<br />

indigene (nrr. 1-4; 6) e di oinochoe indigena (nr. 5) (nrr. 5-6 in scala 1:2).<br />

5


TAV. CXXV<strong>II</strong>I<br />

1 2<br />

4 5<br />

1-5. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammenti di olle indigene<br />

(nrr. 2-5 in scala 1:2).<br />

3


TAV. CXXIX<br />

1. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammento di pithos<br />

indigeno (scala 1:3).<br />

3 4<br />

2-4. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammenti di ceramica<br />

dipinta indigena.<br />

2


TAV. CXXX<br />

2 3<br />

1-3. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammenti di kylikes di<br />

tipo ionico (scala 1:2).<br />

4 5<br />

4-7. Entella. Necropoli A. Scarico del forno quadrangolare. Frammenti di vasi da fuoco<br />

indigeni (scala 1:3).<br />

1<br />

6<br />

7


1. Entella. Necropoli A. Corredo di sepoltura<br />

ellenistica entro fossa terragna scavata<br />

nel riempimento della camera di combustione<br />

del forno arcaico.<br />

TAV. CXXXI<br />

2. Entella. Necropoli A. Lekythos a vernice<br />

nera dalla US 1508 (scala 1:2).<br />

3. Entella. Necropoli A. Resti di sepoltura ellenistica entro fossa terragna scavata nel<br />

riempimento della camera di combustione del forno arcaico (T. 129).<br />

4. Entella. Necropoli A. Olpetta acroma dalla<br />

T. 129 (scala 1:3).<br />

5. Entella. Necropoli A. Particolare della T.<br />

129 con parte del cranio del defunto e alcuni<br />

oggetti del corredo.


TAV. CXXX<strong>II</strong><br />

1. Entella. Necropoli A. Sepoltura ellenistica immediatamente a monte del forno<br />

arcaico (T. 146).<br />

2. Entella. Necropoli A. Anforetta a vernice nera sovradipinta dalla T. 146.<br />

3. Entella. Necropoli A. Anforetta a vernice<br />

nera sovradipinta dalla T. 146 (scala 1:3).<br />

4. Entella. Necropoli A. Pozzetto con anfora<br />

rodia a ridosso del forno arcaico.


TAV. CXXX<strong>II</strong>I<br />

1. Entella. Necropoli A. Piccolo fronte di cava di età tardoarcaica.<br />

2. Entella. Necropoli A. Piccolo fronte di cava di età tardoarcaica. Particolare.

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