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Fig. 119 A e B. La Latitudine (figura a sinistra) e Longitudine (figura a destra) di un punto c, visualizzate separatamente. a b 214 Polo Nord La longitudine di un punto (cfr. Fig. 119B) è parimenti la distanza angolare, misurata allo stesso modo ma sul parallelo che passa per il punto di cui si vuol conoscere il valore: di conseguenza essa non può essere che Est od Ovest, a seconda che quel punto si trovi ad oriente o ad occidente del meridiano, assunto per convenzione come fondamentale, di Greenwich (nota località presso Londra: cfr. Fig. 120). Poiché nella interpretazione e nell’uso applicativo che si può fare delle nostre tavolette può interessare il valore longitudinale di un punto misurato sul meridiano centrale dello Stato Italiano (Monte Mario), a questo valore si può arrivare con un semplice calcolo di aggiunta o sottrazione di circa 12 gradi (tanto è la distanza angolare di Monte Mario da Greenwich), a seconda che il punto considerato si trovi ad est o ad ovest del nostro meridiano nazionale. Fig. 120. Il meridiano fondamentale di Greenwich (noto come “Meridiano Ø”) in un’immagine satellitare. Fonte: Google Earth 2010 C Polo Sud Meridiano fondamentale Longitudine Passando dalla carta al terreno, è possibile calcolare la latitudine del punto in cui ci si trova semplicemente calcolando l’altezza (ossia l’inclinazione) della Stella polare (o della Croce del Sud per gli abitanti dell’emisfero australe) sul piano dell’orizzonte, cioè l’angolo formato da quest’ultimo (che corrisponde grosso modo al piano di calpestio) e dal segmento intercorrente tra la nostra visuale e la Stella polare: vi è un semplice e noto teorema a dimostrare la validità di questo metodo pratico. C
Essendo la Terra un corpo tridimensionale, esiste una terza coordinata di un punto, l’altitudine, che in teoria è la distanza di quel punto dal centro del pianeta, ma in pratica viene calcolata in rapporto al livello medio del mare e si può anche chiamare quota. La conoscenza della posizione non deve essere disgiunta dall’osservazione dei caratteri formali e tecnici della rappresentazione, stabilendo se ci si trova dinanzi a un foglio, un quadrante, una tavoletta o a una carta topografica speciale, acquisendo il valore dell’equidistanza delle curve di livello, l’uso di sfumo e colori ed altri aspetti editoriali e costruttivi. Entrando nei contenuti della carta, conviene partire dagli aspetti morfologici del paesaggio, cercando di misurare a occhio la superficie occupata da montagne e quella occupata da colline e pianure (una misurazione precisa può farsi col sistema dei quadratini o utilizzando un planimetro), onde comprendere l’altitudine media e la distribuzione nello spazio di queste varie forme del terreno (singoli rilievi isolati, pochi rilievi uniformi a catena o dorsale, loro pendenza variabile a seconda dei versanti o della dislocazione dei vari blocchi, presenza di vette eminenti o parti cacuminali arrotondate o ad altopiano, altre caratteristiche di dettaglio, come doline, circhi glaciali, ecc.). Si vedrà che l’orografia si combina indissolubilmente con le zone piane (alluvionali, penepianate, di emersione, bonificate o meno in tempi recenti), in un reciproco condizionamento che può dare origine a valli allungate o conche di diversa forma e più o meno lontane dal mare. Anche la vegetazione naturale, più o meno presente, si può spiegare con l’esposizione dei versanti (quelli esposti a nord hanno in genere una più ricca copertura forestale rispetto ai versanti opposti) e soprattutto con le vicende storiche del territorio (disboscamento secolare, rimboschimento, ecc.). Per i rilievi prossimi al mare si noteranno forme particolari: promontori, scalini degradanti verso la costa, cioè terrazze marine, isolette formate dai detriti strappati dalle acque ai fianchi dei rilievi, foci a delta o a estuario (queste ultime, non presenti in Italia, si associano in genere a installazioni portuali), e via dicendo. Siamo così spontaneamente introdotti nei fatti idrografici, che si connettono alle forme e alla natura del terreno (i corsi dei fiumi si direzionano lungo le valli che hanno scavate, il disegno morfologico è l’altra faccia dello scavo di affluenti o subaffluenti rientranti nel bacino del corso principale). Forme, distribuzione e pendenze dei rilievi si comprendono meglio se rapportate all’andamento dei corsi d’acqua, che possono essere perpendicolarmente o radialmente contrapposti quando discendono da uno spartiacque centrale, possono scorrere parallelamente alla direzione delle dorsali, possono cerchiarle anularmente e così via. Perfino la natura del terreno può dedursi dalle forme di erosione o dalla presenza diffusa o assenza di eventuali sorgenti, il che denota rispettivamente la permeabilità della roccia o la sua impermeabilità, cui spesso si associa la presenza di frane e smottamenti dei versanti, riconoscibili o dai simboli cartografici (nella zona di distacco dai versanti e/o nella zona di accumulo più a valle) o da particolari toponimi. Anche le – o i – conoidi di deiezione sono forme particolari di accumulo di detriti nei punti di passaggio tra il monte e il piano, quindi sono il risultato del rapporto terra/acque, e possono avere notevoli ripercussioni antropiche nella presenza di sedi e nello sfruttamento agricolo. Forti pendenze sono state in certi casi sfruttate per l’impianto di centrali idroelettriche, visibili per il simbolo delle costruzioni e delle condotte forzate. Altre volte i fiumi, in presenza di terreni permeabili come il calcare, possono scomparire in inghiottitoi sotterranei e riapparire più a valle, come accade al Timavo e al nostro Bussento. L’idrografia continentale si manifesta anche sotto forma di ghiacciai e più spesso di laghi, di cui si può in tavoletta osservare il perimetro e la sua forma di costa, la profondità, eventuali utilizzazioni economiche (pesca, idroelettricità) o turistico-sportivo-ricreative, oltre naturalmente alla sua tipologia (di scavo glaciale, intermorenico, craterico, retrodunale costiero, artificiale per sbarramento, ecc.). Si è già accennato alla vegetazione naturale e ai fattori naturali e antropici della sua eventuale densità o rarefazione. Da essa bisognerà tener distinte le coltivazioni, che sono frutto dell’intervento umano, ma di entrambe sarà utile osservare la distribuzione planimetrica e altimetrica, in relazione alla presenza di dimore stabili, di centri abitati, di strutture e infrastrutture legate anche ad opere di bonifica e di riforma agraria, insomma a un complesso di fattori storici, che possono aver favorito o inibito certi tipi colturali. Le varie specie vegetali (endemiche o coltivate) indicate nella didascalia di una tavoletta non esauriscono certo tutta la complessa e innovativa gamma presente negli attuali quadri colturali e vegetazionali (si pensi all’agricoltura in serra, a quella biologica, ai prodotti geneticamente modificati), per i quali bisognerebbe far ricorso a carte tematiche (della utilizzazione del suolo, ad esempio). Tuttavia, una idea del tipo di agricoltura o di altre attività primarie (come l’allevamento, desumibile da sedi temporanee collegate da tratturi, dalle zone a pascolo o a prato, a seconda del tipo brado o stanziale o intermedio o transumante) si ricava dall’osservazione dei simboli 215
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