Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

L’EPoCa DELLa gLoBaLIzzazIoNE universale (se per impero si intende ciò che abbiamo visto) esprime, invece, soltanto l’ideologia della de-politicizzazione nella sua quintessenza: la risoluzione del conflitto in una societas di tutte le nazioni. Ma il mondo può diventare un sistema, o forse lo è già – certo, mai sarà una società. Realisticamente, perciò, il problema di istituzioni politiche globali può essere oggi affrontato soltanto nella dimensione di grandi spazi trans-nazionali. Globale in chiave astrattamente universalistica può significare soltanto l’affermazione di logiche tecnico-amministrative inter-dipendenti ai poteri economico-finanziari, affrancate da ogni problema di legittimazione politica. Le grandi forme imperiali hanno, d’altronde, sempre mantenuto chiarissimo il senso del proprio limite, anche al culmine delle proprie pretese «universali». Imperium sine fine indica il tempo, la vita di Roma, e convive con la consapevolezza e la cura per il suo limes. Roma non vorrà mai ripetere il sogno di Alessandro. Ancora più immanente il limite nell’idea medievale di impero. Essa matura per contraddizione tra duo ministeria, tra fides religiosa e fides all’imperatore. Mentre Bisanzio insegue per tutta la sua storia il fine del superamento di tale tensione, l’impero cristiano vive di essa, dell’impossibile equilibrio tra le autorità che si ritengono legittimate ad operare la translatio imperii a Graecis in Germanos. Ed è quanto mai significativo che in tale lotta sia l’autorità politica a far leva sul riconoscimento della forza delle diverse nationes. L’impero cristiano, potremmo dire un po’ anacronisticamente, non si batte contro la loro autonomia, ma per impedirne la metamorfosi in Stati. La Chiesa, invece, nello stesso momento in cui contrasta ogni tentativo di «Chiesa territoriale», e si manifesta nella sua essenza universalistica, coglie in ogni processo di smembramento dell’organismo imperiale un’occasione di rafforzamento della propria autonomia e autorità. La paradossalità di tale situazione preserva da ogni soluzione «assolutistica», sia in senso cesaro-papista che in quello di impero politico universale. 49

50 MaSSIMo CaCCIaRI 5. In questo contesto assume ancora tutta la sua importanza ragionare intorno alla «metafora romana» 35 , combinando, se possibile, memoria, realismo e immaginazione. Per tutta la sua storia Roma 36 si mantiene fedele ad un’idea di città come energia, forza creatrice (civitas augescens), qualcosa di metafisicamente opposto allo stesso termine di stato. Anche l’orbis imperiale non avrebbe fondamento senza la memoria viva di tale origine (origo: potissima pars!): l’individualità dell’urbe. Questa città non è la pòlis ellenistica, che anche nei suoi momenti più «cosmopoliti» non riesce a superare l’idea delle proprie radici etnico-razziali e a dar vita con le altre ad associazioni stabili. Roma è ab origine asylum di assolutamente distinti e si regge sulla capacità di rinnovare la concordia tra le genti e i gruppi che la abitano. Il concetto tutto politico di cittadinanza ne domina la storia. Così l’orbis, sul modello dell’urbe, viene inteso come pluralità di civitates, nationes, gentes, riconosciute nella loro individualità, nella concretezza delle proprie tradizioni, e federate nello stesso comune romano secondo diverse, specifiche modalità 37 . Questo sforzo di assimilazione e integrazione «federalistica» fallisce 38 ? Roma communis patria è anche ideologia? Ciò non toglie sia vissuta anche come idea regolativa politicamente efficace, senza cui non sarebbe spiegabile il processo di allargamento della cittadinanza, l’assenza di ogni forma di vera e propria religione di Stato, ma neppure la tecnica amministrativa che per secoli regge l’impero, dove le diverse città continuavano a godere di larghissima autonomia per tutte le questioni interne. Certo, Roma «si convince» anche di essere predestinata ad ordinare il mondo («debellare superbos») e che la sua guerra è perciò giusta (anche 35 Che io sappia, a prender sul serio la «metafora romana», al di là di alcuni tra i più intelligenti e innovativi romanisti di professione (come P. Catalano e la sua «scuola»), vi è stato di recente soltanto R. Brague, Il futuro dell’Occidente, Milano, 1998. 36 Rinvio per questa parte alle indicazioni bibliografiche contenute nel mio già citato Digressioni su Impero e tre Rome. 37 È A. Toynbee nel suo Hellenism (1959) che insiste particolarmente su queste caratteristiche della «polis» romana. 38 Sembra affermarlo S. Mazzarino nel suo La fine del mondo antico, Milano, 1988.

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universale (se per impero si intende ciò che abbiamo visto) esprime,<br />

invece, soltanto l’ideologia <strong>della</strong> de-politicizzazione nella sua<br />

quintessenza: la risoluzione del conflitto in una societas di tutte<br />

le nazioni. Ma il mondo può diventare un sistema, o forse lo è<br />

già – certo, mai sarà una società. Realisticamente, perciò, il problema<br />

di istituzioni politiche globali può essere oggi affrontato<br />

soltanto nella dimensione di grandi spazi trans-nazionali. Globale<br />

in chiave astrattamente universalistica può significare soltanto<br />

l’affermazione di logiche tecnico-amministrative inter-dipendenti<br />

ai poteri economico-finanziari, affrancate da ogni problema di<br />

legittimazione <strong>politica</strong>.<br />

Le grandi forme imperiali hanno, d’altronde, sempre mantenuto<br />

chiarissimo il senso del proprio limite, anche al culmine<br />

delle proprie pretese «universali». Imperium sine fine indica il<br />

tempo, la vita di Roma, e convive con la consapevolezza e la<br />

cura per il suo limes. Roma non vorrà mai ripetere il sogno di<br />

Alessandro. Ancora più immanente il limite nell’idea medievale<br />

di impero. Essa matura per contraddizione tra duo ministeria,<br />

tra fides religiosa e fides all’imperatore. Mentre Bisanzio insegue<br />

per tutta la sua storia il fine del superamento di tale tensione,<br />

l’impero cristiano vive di essa, dell’impossibile equilibrio tra le<br />

autorità che si ritengono legittimate ad operare la translatio imperii<br />

a Graecis in Germanos. Ed è quanto mai significativo che<br />

in tale lotta sia l’autorità <strong>politica</strong> a far leva sul riconoscimento<br />

<strong>della</strong> forza delle diverse nationes. L’impero cristiano, potremmo<br />

dire un po’ anacronisticamente, non si batte contro la loro autonomia,<br />

ma per impedirne la metamorfosi in Stati. La Chiesa,<br />

invece, nello stesso momento in cui contrasta ogni tentativo di<br />

«Chiesa territoriale», e si manifesta nella sua essenza universalistica,<br />

coglie in ogni processo di smembramento dell’organismo<br />

imperiale un’occasione di rafforzamento <strong>della</strong> propria autonomia<br />

e autorità. La paradossalità di tale situazione preserva da ogni soluzione<br />

«assolutistica», sia in senso cesaro-papista che in quello<br />

di impero politico universale.<br />

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