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Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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L’EPoCa DELLa gLoBaLIzzazIoNE<br />

distribuzione del potere, nell’articolazione gerarchica dello spazio,<br />

nell’attività legislativa. (A questo proposito, non si presta di solito<br />

sufficiente attenzione a quanto sia forte il presupposto di una governance<br />

mondiale tecnico-amministrativa: appunto quello di un<br />

inesorabile destino di de-politicizzazione). È certo, comunque, che<br />

oltre lo Stato non ci attende lo Stato mondiale, né in forma autoritario-centralistica,<br />

né in forma federale. Lo Stato continuerà ad<br />

essere, finché sarà, un’«energia» territorialmente determinata, per<br />

quanto imperiale possa esserne la <strong>politica</strong>. La sua sovranità non<br />

potrà mai trasformarsi in potenza astratta; essa sarà sempre condizionata<br />

da tradizioni, interessi, linguaggi storicamente concreti.<br />

L’espressione «Stato mondiale» non va evidentemente confusa<br />

con l’idea di uno Stato capace, in determinate circostanze, di svolgere,<br />

unico tra gli Stati, una <strong>politica</strong> su scala davvero planetaria.<br />

Per quanto forte, questo Stato sarà sempre «variabile dipendente»<br />

del sistema che abbiamo descritto. Potrà fare «tutto», ma non l’essenziale:<br />

determinare e guidare un nuovo ordine globale, garantito<br />

da istituzioni globali. Dall’ordine degli Stati, nel loro processo di<br />

crisi, a quello di ordine globale vi è uno iato, un salto. Non lo si<br />

colma fantasticando passerelle, ma «mutando mente», ragionando,<br />

cioè, secondo una prospettiva <strong>politica</strong> altra.<br />

4. L’idea di impero fornisce almeno un’ipotesi di lavoro in<br />

questa ricerca? È l’ipotesi che muoveva Kojève, del tutto diversa<br />

rispetto a quella dello Stato mondiale jüngeriano 34 , anche se<br />

maturata dalle stesse esperienze. Se il destino ci riserva un ordine<br />

globale, esso non sarà statuale, né post-statuale (se non cronologicamente),<br />

né sarà mai l’automatico prodotto dell’affermazione<br />

planetaria delle «leggi di mercato» (questa vecchia utopia «belle<br />

34 E. Jünger, Der Weltstaat, Stuttgart 1980 (ma il saggio risale al 1960), che è<br />

quasi da leggere in «divergente accordo» (per usare il titolo del libretto in cui J. Taubes<br />

raccolse i suoi scritti «ad Carl Schmitt» nel 1987) con l’idea schmittiana dell’ «unità<br />

del mondo» per «grandi spazi», presente già nei suoi scritti degli anni Trenta – alla<br />

quale, di nuovo in «divergente accordo», risponderà appunto A. Kojève nel saggio già<br />

citato: i «grandi spazi» schmittiani sono inficiati alla radice e irrimediabilmente da un<br />

pre-giudizio nazionalista, destinato alla disfatta.<br />

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