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Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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L’EPoCa DELLa gLoBaLIzzazIoNE<br />

di tutte le coscienze e di tutte le culture verso i vittoriosi modelli<br />

dell’Occidente, ha ballato una sola estate. Un decennio, dal<br />

collasso del socialismo reale, di revival in grande stile di provvidenzialismi<br />

secolarizzati, progressismi a buon mercato, sbornie<br />

ideologiche sul tramonto <strong>della</strong> <strong>politica</strong> o addirittura la «fine <strong>della</strong><br />

storia». Ora sappiamo (lo sanno ormai tutti, dai «no-global» ai<br />

neo-liberisti dotati di ragione) che la <strong>globalizzazione</strong> per sussistere<br />

ha da essere <strong>politica</strong>mente governata, che nessun destino ne<br />

assicura il successo, che nessun nuovo Ordine <strong>della</strong> Terra nascerà<br />

spontaneamente dalla occidentalizzazione planetaria delle forze e<br />

dei sistemi economici. Abbiamo confuso fino a ieri la crescente e<br />

rapida convergenza di questi ultimi con l’idea di <strong>globalizzazione</strong>.<br />

Abbiamo dolorosamente imparato che si tratta di dimensioni ben<br />

distinte. Ma poi? Hic sunt leones. Poiché affermare che la prospettiva<br />

de-politicizzante è stata una cattiva <strong>politica</strong> non significa<br />

costruirne una migliore; riconoscere che la neutralizzazione dei<br />

conflitti «via» tecnico-economica sfocia nella loro moltiplicazione<br />

non comporta sapere come risolverli.<br />

Ancora in negativo, sappiamo che non potremo certo rimettere<br />

al comando la vecchia <strong>politica</strong>, fondata sulla relazione tra<br />

Stati sovrani. L’epoca delle volontà egemoniche contrapposte,<br />

degli «Stati combattenti», si è conclusa. Certo, con l’apparente<br />

vittoria di uno di essi, di uno comunque <strong>della</strong> loro specie – ma<br />

mai come in questo caso il vecchio motto «vae victis» andrebbe<br />

trasformato in quello «vae victoribus». E qui giungiamo al nostro<br />

tema fondamentale: può uno Stato, nei limiti intrinseci <strong>della</strong><br />

sua natura, esercitare un effettivo impero mondiale? O la tragica<br />

stagione imperialistica deve concludersi con il compimento dell’epoca<br />

dell’assoluta sovranità statuale? È concepibile che il mondo<br />

venga «conquistato» da un sistema di poteri assolutamente<br />

de-territorializzato, da una «super-società» dominante le risorse<br />

finanziarie e i mezzi di informazione, e di cui le leadership politiche<br />

nazionali siano sempre più o diretta espressione o variabile<br />

dipendente? E concepibile governare la <strong>globalizzazione</strong> sradicando<br />

ogni differenza di luogo e di cultura o, al più, tollerandola? I<br />

«realisti» rispondono: nessuno immagina che la <strong>globalizzazione</strong><br />

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