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Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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DIBaTTITo<br />

paura inoltre, e lo Hobbes tucidideo ce lo ha insegnato in maniera<br />

ineludibile, è passione <strong>politica</strong> per eccellenza. È proprio come<br />

paura dell’altro, inteso quale limite esiziale alla propria vita; ma<br />

l’altro, difficile da decifrare senza la ricerca e la decisione di una<br />

ratio comune, si annida prima ancora che all’esterno, ossia nel<br />

mondo relazionale <strong>della</strong> parola, dentro l’uomo stesso, armato di<br />

un linguaggio prelinguistico e oscuro, che, dall’oracolo di Delfi<br />

in poi, prescrive come norma fondamentale di una vita buona,<br />

la conoscenza di sé. Il venire a capo del proprio daimon, come<br />

quell’irripetibile virtualità di destino che ospitiamo come nemico<br />

potenziale. Ospite e hostis hanno una radice comune. Dunque, il<br />

primo limite a noi siamo noi stessi, la nostra intima natura o, se<br />

si vuole, la nostra immediatezza. La dialettica servo-padrone segnala<br />

una lotta al cospetto <strong>della</strong> morte per il riconoscimento che<br />

avviene dentro e fuori la soggettività contemporaneamente. Se<br />

ciò è vero, l’uomo che si pone spontaneamente in ascolto dell’altro<br />

è un uomo che, pacificato o represso nel proprio sé, è gia disposto<br />

al benevolo riconoscimento dell’altro come partner di una<br />

situazione discorsiva, che sconta immediatamente l’eguaglianza e<br />

la parità dei parlanti, solo perché rientranti nella categoria decisa<br />

e non sempre inclusiva dell’interlocutore affidabile. Ma questo è<br />

solo l’uomo buono razionale <strong>della</strong> morale moderna, l’uomo che<br />

finge la rimozione <strong>della</strong> dei notes diventando razionalmente prevedibile;<br />

ma è anche caratteristico <strong>della</strong> modernità che tra l’uomo<br />

buono <strong>della</strong> morale e l’uomo in predicato del diritto e <strong>della</strong> <strong>politica</strong><br />

non c’è più coniugazione possibile. Il diritto e la sua esigenza<br />

di positività, nel moderno, sconta appieno la colpa dell’impossibilità<br />

storica del bene; i principi razionali di libertà e uguaglianza,<br />

senza l’ordine del diritto, nella <strong>realtà</strong> degli uomini concreti, disancorati<br />

da ogni ordine gerarchico tradizionale, non sono altro che<br />

motivi di conflitto, tanto radicale da mettere in pericolo la vita<br />

stessa. Con questo, naturalmente, non voglio dire che la morale<br />

e il diritto, nella modernità, si presentino come estranei l’uno all’altra;<br />

essi restano certamente imparentati, non soltanto perché<br />

sono entrambi dei sistemi normativi che spesso condividono il<br />

contenuto di molte norme, ma perché tra loro c’è somiglianza

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