Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

I DIRITTI uMaNI NELLa gLoBaLIzzazIoNE 355 e comune, frutto della rapidità delle informazioni e comunicazioni che possono darsi in tempo reale, come si usa dire oggi, tra soggetti che risiedono in luoghi tra loro anche lontanissimi. Globalizzazione e non solo deterritorializzazione dell’identità e delle relazioni umane, ma anche defisicizzazione di queste, come ha scritto Domenico Farias, che preferisce parlare di mondializzazione; si tratta di un gigantesco processo di ridefinizione dei rapporti tra l’umanità e il territorio, più radicalmente, dei rapporti tra l’umanità e il mondo fisico di cui il territorio, nel senso comune del termine, è solo una piccola sezione. Il mio punto di partenza è ciò che chiamo la situazione normativa esistenziale o individuale, questa è data innanzitutto dal fatto che noi non sappiamo ciò che si debba fare. Mi spiego meglio. Una caratteristica antropologica dell’essere umano è quella di essere, per così dire, gettato nel mondo senza avere previamente ricevuto determinazioni istintuali univoche, tali da coprire l’intero spazio della sua esistenza. In molti casi non sappiamo alla lettera cosa dobbiamo fare; ogni piccola erba, ogni scarabeo, la formica, l’ape dorata, tutte le creature, conoscono in modo stupefacente la loro via, dice Dostojevskij; tutte, tranne l’uomo. Certo possiamo basarci, per ottenere un’indicazione, una direttiva, sui nostri bisogni, sulle nostre preferenze, laddove ci consideriamo esseri sociali, sulla tradizione e le norme del gruppo in cui ci troviamo ad operare; ma perché dovremmo poi seguire i nostri istinti, le nostre preferenze oppure le tradizioni e norme sociali? Ciò che dobbiamo fare non è ciò che possiamo fare. Lo spettro amplissimo di possibilità che si spalanca dinanzi a noi ci obbliga ad una scelta. Abbiamo bisogno di calpestare una sorta di luogo archimedico dell’obbligo, di sentire un terreno fertile sotto i piedi, di trovare insomma un limite che non si possa oltrepassare semplicemente spostandone i confini, come avviene nel caso dei vincoli naturali che possiamo modificare, oppure, come si dà nel caso delle tradizioni, delle norme sociali che risultano sempre mutevoli e relative, a causa della loro contingenza storica e della loro ambiguità semantica. Un vincolo naturale può essere spostato, mercé il progresso della scienza e della tecnica; oppure mediante

356 MaSSIMo La ToRRE queste, aggirato, come l’impossibilità naturale di volare per gli esseri umani, alla quale si rimedia con l’utilizzo di macchine a bella posta disegnate. D’altra parte perché dovremmo rispettare una tradizione che prima, in un tempo più o meno remoto, tale non era e che anche oggi in altri luoghi e contesti è sconosciuta o controversa o condannata? Per dover fare qualcosa, è necessario che ci si possa imbattere in un limite che, per così dire, ci parli, che non sia soggetto interamente alla nostra interpretazione, soprattutto alla nostra capacità di manipolazione tecnica della natura, che non sia altresì dipendente, in maniera diretta, dalla contingenza di luoghi, di tempi e di gusti. Ma dove e come trovare un simile limite? Orbene la mia tesi è che un tale limite ci sia offerto dall’altro essere umano, da un qualunque altro essere umano. Ciò per una ragione molto semplice, che l’altro può parlarci e fissarci negli occhi, rivolgendo a noi il suo viso che riconosciamo, a dispetto di ogni differenza, simile al nostro, egli può dirci, apertis verbis, dov’è che si trova il limite della nostra condotta. Assumo dunque che il concetto di obbligo sia fondamentale per l’orientamento della condotta umana e che l’obbligo rimandi alla nozione di limite. A mio avviso l’unico limite vero ed inequivoco alla condotta umana, risulta essere l’altro essere umano, o meglio, la parola di questo. Pertanto, se vogliamo sapere cosa dobbiamo fare, conoscere cioè i nostri obblighi, per poter meglio orientarci nell’ambiente in cui viviamo, dobbiamo far parlare l’altro, coloro che sono investiti, nei loro interessi, dalla nostra condotta. A questo punto, grazie al requisito di sentire gli altri, usciamo dalla situazione normativa soggettiva e ci introduciamo nella situazione normativa intersoggettiva. Dal momento che il lamento, l’urlo, la smorfia di piacere o di dolore, può ancora essere ambigua o equivoca, è necessario, per avere maggiori e migliori ragguagli su ciò che si deve fare, affidarsi allo strumento della parola e così entrare in una situazione discorsiva. In questa prospettiva, la dignità umana si delinea, ad un tempo, come status di ascrizione di potere e come condizione che restringe e limita le scelte. Le ascrizioni di potere rispetto all’altro, che può avanzare

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queste, aggirato, come l’impossibilità naturale di volare per gli esseri<br />

umani, alla quale si rimedia con l’utilizzo di macchine a bella<br />

posta disegnate. D’altra parte perché dovremmo rispettare una<br />

tradizione che prima, in un tempo più o meno remoto, tale non<br />

era e che anche oggi in altri luoghi e contesti è sconosciuta o controversa<br />

o condannata? Per dover fare qualcosa, è necessario che<br />

ci si possa imbattere in un limite che, per così dire, ci parli, che<br />

non sia soggetto interamente alla nostra interpretazione, soprattutto<br />

alla nostra capacità di manipolazione tecnica <strong>della</strong> natura,<br />

che non sia altresì dipendente, in maniera diretta, dalla contingenza<br />

di luoghi, di tempi e di gusti. Ma dove e come trovare un<br />

simile limite? Orbene la mia tesi è che un tale limite ci sia offerto<br />

dall’altro essere umano, da un qualunque altro essere umano. Ciò<br />

per una ragione molto semplice, che l’altro può parlarci e fissarci<br />

negli occhi, rivolgendo a noi il suo viso che riconosciamo, a dispetto<br />

di ogni differenza, simile al nostro, egli può dirci, apertis<br />

verbis, dov’è che si trova il limite <strong>della</strong> nostra condotta.<br />

Assumo dunque che il concetto di obbligo sia fondamentale<br />

per l’orientamento <strong>della</strong> condotta umana e che l’obbligo rimandi<br />

alla nozione di limite. A mio avviso l’unico limite vero ed inequivoco<br />

alla condotta umana, risulta essere l’altro essere umano, o<br />

meglio, la parola di questo. Pertanto, se vogliamo sapere cosa<br />

dobbiamo fare, conoscere cioè i nostri obblighi, per poter meglio<br />

orientarci nell’ambiente in cui viviamo, dobbiamo far parlare<br />

l’altro, coloro che sono investiti, nei loro interessi, dalla nostra<br />

condotta.<br />

A questo punto, grazie al requisito di sentire gli altri, usciamo<br />

dalla situazione normativa soggettiva e ci introduciamo nella situazione<br />

normativa intersoggettiva. Dal momento che il lamento,<br />

l’urlo, la smorfia di piacere o di dolore, può ancora essere<br />

ambigua o equivoca, è necessario, per avere maggiori e migliori<br />

ragguagli su ciò che si deve fare, affidarsi allo strumento <strong>della</strong><br />

parola e così entrare in una situazione discorsiva. In questa prospettiva,<br />

la dignità umana si delinea, ad un tempo, come status<br />

di ascrizione di potere e come condizione che restringe e limita le<br />

scelte. Le ascrizioni di potere rispetto all’altro, che può avanzare

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