Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

DIBaTTITo mine grosso, che costituisce la pòlis, che si contrappone alla pura natura, alla continuità della phỳsis, ma dall’altra parte anche al kràtos indeterminato, incontrollabile degli dei. Nòmos quindi ritaglia un modo di organizzare la vita collettiva che prescinde dal kràtos, anche se ne deve tener conto, e dalla phỳsis, come diretta forma di consenso. Quindi, l’universalità è da circoscrivere nel concetto di Aristotele a questa dimensione del nòmos. Precise conferme di questo genere sono rintracciabili anche nella pratica giudiziale in atto ad Atene, nell’epoca di Aristotele; quella che si presenta come giustizia in senso universale è collegabile a quella che è definita la dìke demósia, noi diremmo di diritto pubblico, ossia quel tipo di giustizia che si manifesta attraverso procedure di carattere accusatorio che richiedevano forme solenni, in particolare la scrittura, la graphè, andava documentata la procedura, l’accusa che avesse a che fare con la dìke demòsia, che riassumeva proprio l’universo di carattere pubblico e si contrapponeva alla dìke ìdia, che è la dìke di diritto privato, la quale invece non prevedeva queste forme solenni ed era semplicemente una citazione a difesa di interessi privati in vista di un guadagno individuale, al fine di riparare o di richiedere il riparo di una colpa individuale, che non vedeva in causa l’universalità della pòlis, ma solo il momento personale, oppure l’interesse individuale. Ci sono molti passi, e alcuni di questi citati anche da Azzoni, che effettivamente riflettono questo tipo di giustizia, non intesa in maniera universale, ma per un guadagno personale. Sono tutte forme di dìke con predicato, quindi il predicato delimita in modo specifico, non è dìke in assoluto. La dikaiosỳne universale vede praticamente l’altro come intero della virtù, vede il cittadino nell’altro, mentre la dikaiosỳne particolare vede l’altro come oggetto o termine di un rapporto di interesse, di guadagno, di vantaggio, di conseguimento, da cui provengono, poi, tutte le altre tipologie di giustizia, ma non c’é il tempo di parlarne, la giustizia distributiva o correttiva, l’atto volontario o involontario, che sono tutte articolazioni, declinazioni della giustizia particolare. C’è poi anche la giustizia naturale politica in cui si muove Aristotele, secondo me, con alcune difficoltà, perché non vuol cadere in una situazione plato- 333

334 DIBaTTITo nica, in una visione al di sopra e al di là delle strutture date. Tale giustizia esce dalla logica strettamente giuridica e si affaccia nella mitologia. Vorrei soffermarmi su questa che si avvicina all’interpretazione, alla parte forse più viva e non solo più suggestiva, della relazione di Azzoni, che chiama in causa le Grazie. Perché ho parlato di mitologia? Perché ci sono le narrazioni, narrate o rappresentate simbolicamente in una collettività, che esprimono stati di coscienza; non sono pure opere poetiche, rappresentano il non detto, il non dicibile in forma logica da parte della collettività; vivono nel profondo delle relazioni umane, delle società dei popoli. E qui c’è spazio per dìke e Aristotele lo ha presente. La cultura greca ha pensato anche a una dìke superiore, metapolitica, per così dire, al di là della pòlis, meta cittadina, che è una divinità di tutte le città, ma di nessuna città al tempo stesso. Non è la dikaiosỳne di cui parla Aristotele nel quinto libro dell’Etica, ma questa è una divinità, è sentita, vissuta, interpretata come divinità, attraverso una visione simbolica che pone infiniti problemi, perché il greco si chiedeva in fondo: dìke da dove viene? E allora c’è la gerarchia tra gli dei, viene da thèmis, dal pensiero di Zeus, quindi era figlia del pensiero di Zeus e si avvicinava al kràtos degli dei, come tale era intoccabile, irraggiungibile, non traducibile in diritto positivo. Ma il greco era anche attento all’altra dimensione, alla dimensione pratica mètis, per esempio; era importante, in fondo, l’adattamento astuto, alle circostanze, che dava luogo ad una giustizia pratica, veicolata attraverso leggi opportune; ma poi aveva tỳke, il caso; poi c’era anànke, il destino; anànke era un altro tipo di giustizia, che legava il momento della phỳsis, perché anànke è fisica in questo senso, al kràtos degli dei. Gli dei avevano i loro problemi con l’anànke, non potevano sottrarsi all’anànke. Tỳke e anànke, che sottostanno a questa dimensione della giustizia, in quanto entrano nel gioco dei comportamenti e degli eventi, hanno a che fare con le Grazie. In questo passaggio si coglie una profonda circolarità che richiama la danza delle Grazie, che si dispiega in un’immagine gentile, dolce, armoniosa, che simboleggia l’equilibrio, la circolarità, la perequazione; ma la perequazione in movimento, in un movimento circolare, come circolare è il ritmo.

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mine grosso, che costituisce la pòlis, che si contrappone alla pura<br />

natura, alla continuità <strong>della</strong> phỳsis, ma dall’altra parte anche al<br />

kràtos indeterminato, incontrollabile degli dei. Nòmos quindi ritaglia<br />

un modo di organizzare la vita collettiva che prescinde dal<br />

kràtos, anche se ne deve tener conto, e dalla phỳsis, come diretta<br />

forma di consenso. Quindi, l’universalità è da circoscrivere nel<br />

concetto di Aristotele a questa dimensione del nòmos. Precise<br />

conferme di questo genere sono rintracciabili anche nella pratica<br />

giudiziale in atto ad Atene, nell’epoca di Aristotele; quella che si<br />

presenta come giustizia in senso universale è collegabile a quella<br />

che è definita la dìke demósia, noi diremmo di diritto pubblico,<br />

ossia quel tipo di giustizia che si manifesta attraverso procedure<br />

di carattere accusatorio che richiedevano forme solenni, in particolare<br />

la scrittura, la graphè, andava documentata la procedura,<br />

l’accusa che avesse a che fare con la dìke demòsia, che riassumeva<br />

proprio l’universo di carattere pubblico e si contrapponeva alla<br />

dìke ìdia, che è la dìke di diritto privato, la quale invece non prevedeva<br />

queste forme solenni ed era semplicemente una citazione<br />

a difesa di interessi privati in vista di un guadagno individuale, al<br />

fine di riparare o di richiedere il riparo di una colpa individuale,<br />

che non vedeva in causa l’universalità <strong>della</strong> pòlis, ma solo il momento<br />

personale, oppure l’interesse individuale. Ci sono molti<br />

passi, e alcuni di questi citati anche da Azzoni, che effettivamente<br />

riflettono questo tipo di giustizia, non intesa in maniera universale,<br />

ma per un guadagno personale. Sono tutte forme di dìke con<br />

predicato, quindi il predicato delimita in modo specifico, non è<br />

dìke in assoluto. La dikaiosỳne universale vede praticamente l’altro<br />

come intero <strong>della</strong> virtù, vede il cittadino nell’altro, mentre la<br />

dikaiosỳne particolare vede l’altro come oggetto o termine di un<br />

rapporto di interesse, di guadagno, di vantaggio, di conseguimento,<br />

da cui provengono, poi, tutte le altre tipologie di giustizia, ma<br />

non c’é il tempo di parlarne, la giustizia distributiva o correttiva,<br />

l’atto volontario o involontario, che sono tutte articolazioni, declinazioni<br />

<strong>della</strong> giustizia particolare. C’è poi anche la giustizia<br />

naturale <strong>politica</strong> in cui si muove Aristotele, secondo me, con alcune<br />

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