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Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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DIBaTTITo<br />

Certo, è da vedere che cosa possono essere queste leggi. Se è vero<br />

che la giustizia è una forma, in fondo, di giudizio e poi è una conformità<br />

alle leggi, la giustizia non è pensabile come universalità<br />

astratta. Non c’è una struttura neanche trascendentale, un a priori<br />

in base al quale individuare, nelle applicazioni, la concretezza. Non<br />

è un principio superiore e contingente e non lo è neanche nell’ottica<br />

dell’interpretazione di Tommaso. In Tommaso c’è la presenza<br />

dell’intelletto attivo, che in Aristotele non c’è, ma sostanzialmente,<br />

senza approfondire il discorso, in Tommaso c’è il principio per modus<br />

deductionis o per modus determinationis, che sono i due criteri<br />

validi per tradurre una universalità in una concretezza. Questo non<br />

è possibile nella visione <strong>della</strong> giustizia, se la giustizia è questa ricerca<br />

fra giusto e ingiusto e obbedienza alle leggi.<br />

La giustizia non è parte <strong>della</strong> virtù, afferma Aristotele, ma è<br />

tutta la virtù, la virtù perfetta, la definisce allòtria, perché è quella<br />

virtù che tiene conto <strong>della</strong> presenza degli altri; non è una virtù<br />

separata, a se stante, perché regola tutti comportamenti. Ma<br />

perché è tale? Questa è la nostra domanda. È tale perché costituisce<br />

sostanzialmente la completa integrazione al corpo comune,<br />

la completa integrazione alla pòlis, al bene comune. Questa<br />

è l’universalità, che non è l’universalità astratta in assoluto, ma è<br />

l’universalità del corpo organizzato <strong>della</strong> pòlis, è il nòmos <strong>della</strong><br />

città, è la conformità al nòmos <strong>della</strong> città. Infatti Aristotele parla<br />

di dikaiosỳne e non di dìke; dìke è qualcosa di molto più esteso ed<br />

astratto e divinizzato. Dikaiosỳne in fondo è la giustizia operante,<br />

applicabile. Come mai Aristotele, pure essendo stato maestro di<br />

Alessandro Magno, non ha mai pensato a un’idea di cosmòpolis,<br />

cioè a un idea di <strong>realtà</strong> che trascende l’universo <strong>della</strong> pòlis. Alessandro<br />

Magno invece era proprio un personaggio che, in un certo<br />

senso, è stato di gran lunga, se non l’autore, certamente l’espressione<br />

di una situazione di cosmòpolis. Aristotele di questo non si<br />

è mai accorto e ha concentrato tutta l’attenzione sul nòmos <strong>della</strong><br />

città. Che cos’è sostanzialmente il nòmos <strong>della</strong> città? La forte<br />

contrapposizione da una parte la phỳsis e dall’altra il kràtos, cioè,<br />

il nòmos <strong>della</strong> città è l’individuazione di un insieme di criteri, di<br />

regole, di modi di vita, di organizzazione etica, per usare un ter-

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