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Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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DIBaTTITo<br />

è una cultura sacrale, né sacerdotale, è una cultura terribilmente<br />

conflittuale, in cui nulla è dato e preordinato. Non c’è una giustizia<br />

rivelata che viene ritualizzata dai comportamenti collettivi; va<br />

cercata proprio attraverso l’assenza e la percezione dell’assenza di<br />

un ordine dato; quindi, l’esperienza è la non giustizia, l’esperienza<br />

è l’ingiusto. Ho la sensazione che Aristotele imposta proprio il suo<br />

problema a partire dalla concretezza dell’esperienza dell’ingiusto,<br />

non dalla formulazione di una definizione dell’ingiusto. L’ingiustizia<br />

non è l’opposto <strong>della</strong> giustizia; questa immediatezza non è<br />

possibile e non è possibile anche per ragioni logiche, nel senso<br />

che, il termine negativo, la non giustizia o l’assenza di giustizia o<br />

ciò che è ingiusto, apparterrebbe a quelle che Aristotele definisce<br />

ònoma aòriston, cioé un nome incapace di dare una definizione,<br />

indeterminato, ciò che indica un qualcosa di anonimo. L’esempio<br />

che porta Aristotele costantemente è il non uomo, se si afferma il<br />

non uomo, où ànthropos, non è che io ricavo direttamente, per<br />

opposto, l’uomo. Che cos’é il non uomo? Può essere una pietra,<br />

un cavallo, una gallina. Quindi, il termine negativo non è in grado,<br />

attraverso argomentazioni, di proporre il positivo. Questo<br />

concetto è presente ampiamente nel Sofista di Platone, dove Platone<br />

afferma che ogni non essere non è in grado di dirmi il suo<br />

contrario, ma solo il diverso; cioè, di fronte a una non definizione<br />

o negazione di un oggetto, si possono ricavare solo delle diversità;<br />

mi dice semplicemente che un non essere indica qualcosa di diverso<br />

da quell’essere che viene predicato.<br />

Il senso di questo discorso è che non è possibile ricavare da<br />

Aristotele una vera e propria definizione di giustizia e questo fa<br />

parte <strong>della</strong> tensione verso qualcosa che, sostanzialmente, non è del<br />

tutto definibile. Ci sono due affermazioni base che possono orientare<br />

e sulle quali mi pare costruito tutto il quinto libro dell’Etica<br />

di Aristotele, due affermazioni, posso citare Menghi, molari, nel<br />

senso che la giustizia è una forma di giudizio, è il discernimento<br />

tra il giusto e l’ingiusto; è discernimento, è criterio, quindi non è<br />

che sia data di per sé in universale.<br />

Un’altra definizione è la giustizia come obbedienza alle leggi,<br />

sostanzialmente uniformità, conformità alle leggi, giustizia legale.<br />

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