Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

DIBaTTITo 277 na, Costituzione della repubblica democratica socialista egiziana, antimperialista, etc., dove si dice che la donna gode della pienezza dei diritti, può lavorare, etc., compatibilmente con il ruolo che alla donna attribuisce il Corano e in quel compatibilmente c’è la fregatura, perché gli hai negato tutto. Il modello dei paesi islamici è sempre questo e, quindi, l’integralismo è di diritto pubblico. Pattaro, infine, non si è riferito a me, ma ha detto una cosa sulla quale voglio concludere. Questi nuovi ordinamenti della globalizzazione sono efficaci nei confronti dei potenti? È il grande interrogativo e il potente che si rifiuta di ottemperare che fine fa? Io dico che nel disordine degli ordinamenti arbitrali della globalizzazione assistiamo ad una forte efficacia e a un fortissimo potere deterrente nei confronti dei potenti. Pensate soltanto alla Nestlè che rinuncia ad un prodotto che doveva vendere in tutto il mondo per la protesta di un Presidente di regione, non di sinistra, il Presidente della Regione Liguria che protesta per il pesto alla genovese e la Nestlè, prima di ogni ricorso, dà il contrordine. Il governo americano vuole mettere l’embargo all’acciaio, in 20 giorni ritira l’embargo, è un fortissimo potere deterrente al punto che, io penso, in questo grande disordine della globalizzazione dobbiamo trarre dei modelli di modifica degli ordinamenti interni. Vorrei un ordinamento civile italiano, che fosse celere ed efficace come i lodi arbitrali dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: decidono in 25 giorni, hanno poteri diversi, non sgarri e la sanzione è pesantissima. Allora cominciamo a ripensare anche il diritto interno su questo modello, però, avendo l’astuzia di concepire questo disordine, questa rinuncia a tanti principi. Alessandro Ferrara Ringrazio tutti coloro che mi hanno posto tantissime domande e già mi scuso con loro per l’incompletezza inevitabile della risposta; vado con cinque, sei pillole. Comincio naturalmente con Raimondo Cubeddu, con cui la tenzone continua sempre. Sulla democrazia cosmopolitica devo sottolineare che, in realtà, il sen-

278 DIBaTTITo so di quello che cercavo di dire era una presa di distanza dall’utopismo della democrazia cosmopolitica, la quale presuppone che si possa rifare su scala globale quel processo che si è fatto su scala nazionale, di costituzione di un corpo politico, in cui una testa è un voto; si vota e si costituisce un governo. Questa è un’idea da cui, secondo me, va presa distanza perché è non solo pericolosa politicamente, ma è un’idea etnocentrica, perché generalizza un’idea di individualità e di eguaglianza che appartiene soltanto a una tradizione tra le tante. La risposta, però, va data alla domanda relativa a quale forma di ordine globale pensare e allora noi abbiamo un continuum, ai cui estremi ci sta l’idea di uno stato di natura (per cui lo Stato di diritto è solo nazionale; tra gli Stati vige l’assenza di norma, tranne patti reciproci, che si stringono fino a quando non vengono sciolti) e ci sta l’idea di un compiuto Stato di diritto, in cui tutte le relazioni sono normate. Dove ci collochiamo tra questi estremi? Se ho colto bene, il tuo suggerimento consiste nell’idea del riconoscimento reciproco e quindi di una struttura fondamentalmente pattizia dell’assetto delle relazioni internazionali. Credo che questo sia ancora insufficiente, nel senso che a questa dimensione pattizia di riconoscimento reciproco manca un criterio di generalità: sarebbe sotto i rapporti di forza, sarebbe una specie di fotografia della legge del più forte; non sarebbe una legge, ma una norma ancora troppo sul versante dello stato di natura. La proposta che viene da autori come Rawls è una proposta di una giuridificazione di queste relazioni che non metta capo a uno Stato, a un governo mondiale, che si concentri invece su un nucleo essenziale di diritti. Un’osservazione sulla tesi che l’unica cosa che abbiamo esportato è il mercato. Trovo questa formulazione ambigua; che cosa intendiamo per mercato? Comportamento economico, immagino; ma se intendiamo comportamento economico, in un senso minimale di scambio, non voglio dire baratto, scambio di merci contro denaro, questo è sempre esistito in tutti i tempi, non è certo un’esportazione dell’occidente. Se col termine “mercato” intendiamo un certo atteggiamento razionale di utilizzo della ri-

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so di quello che cercavo di dire era una presa di distanza dall’utopismo<br />

<strong>della</strong> democrazia cosmo<strong>politica</strong>, la quale presuppone che<br />

si possa rifare su scala globale quel processo che si è fatto su scala<br />

nazionale, di costituzione di un corpo politico, in cui una testa è<br />

un voto; si vota e si costituisce un governo. Questa è un’idea da<br />

cui, secondo me, va presa distanza perché è non solo pericolosa<br />

<strong>politica</strong>mente, ma è un’idea etnocentrica, perché generalizza<br />

un’idea di individualità e di eguaglianza che appartiene soltanto<br />

a una tradizione tra le tante.<br />

La risposta, però, va data alla domanda relativa a quale forma<br />

di ordine globale pensare e allora noi abbiamo un continuum,<br />

ai cui estremi ci sta l’idea di uno stato di natura (per cui lo Stato<br />

di diritto è solo nazionale; tra gli Stati vige l’assenza di norma,<br />

tranne patti reciproci, che si stringono fino a quando non vengono<br />

sciolti) e ci sta l’idea di un compiuto Stato di diritto, in cui<br />

tutte le relazioni sono normate. Dove ci collochiamo tra questi<br />

estremi? Se ho colto bene, il tuo suggerimento consiste nell’idea<br />

del riconoscimento reciproco e quindi di una struttura fondamentalmente<br />

pattizia dell’assetto delle relazioni internazionali. Credo<br />

che questo sia ancora insufficiente, nel senso che a questa dimensione<br />

pattizia di riconoscimento reciproco manca un criterio di<br />

generalità: sarebbe sotto i rapporti di forza, sarebbe una specie di<br />

fotografia <strong>della</strong> legge del più forte; non sarebbe una legge, ma una<br />

norma ancora troppo sul versante dello stato di natura.<br />

La proposta che viene da autori come Rawls è una proposta<br />

di una giuridificazione di queste relazioni che non metta capo a<br />

uno Stato, a un governo mondiale, che si concentri invece su un<br />

nucleo essenziale di diritti.<br />

Un’osservazione sulla tesi che l’unica cosa che abbiamo esportato<br />

è il mercato. Trovo questa formulazione ambigua; che cosa<br />

intendiamo per mercato? Comportamento economico, immagino;<br />

ma se intendiamo comportamento economico, in un senso<br />

minimale di scambio, non voglio dire baratto, scambio di merci<br />

contro denaro, questo è sempre esistito in tutti i tempi, non è<br />

certo un’esportazione dell’occidente. Se col termine “mercato”<br />

intendiamo un certo atteggiamento razionale di utilizzo <strong>della</strong> ri-

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