Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

Agata Amato DIBaTTITo Delle osservazioni rapidissime. Oggi è emerso in tutte le relazioni che c’è questo disagio, ne parlava anche Cubeddu, della scienza giuridica e delle teorie politiche nell’epoca della globalizzazione. In realtà, penso che sia soprattutto un problema di linguaggio; il linguaggio giuridico-politico non è all’altezza delle sfide e delle aspettative contemporanee, che sono un portato sempre della globalizzazione e anche della virtualizzazione. Ieri si è parlato della virtualizzazione dell’economia, della virtualizzazione dei testi, oggi si è accennato alla virtualizzazione dei corpi, pensiamo alle ricostruzioni di Heim sullo spazio cibernetico come luogo del platonismo realizzato. Finalmente il cibernauta si libera della prigione del corpo. Virtualizzazione e globalizzazione entrambe accumunate dal fatto che non c’è confine, non c’è qualche cosa che delimita; la virtualizzazione, forse, ancor di più perché, come ricostruisce Levy, fluidifica immediatamente ogni differenza appena costituita, fluidifica, aumenta naturalmente i gradi di libertà e fa, ovviamente, del vuoto, che scava l’elemento motore, l’elemento chiave del tutto. Forse, però, è mancato in questi giorni un’attenzione verso la caratteristica prima della globalizzazione, che è la generalizzazione della categoria dello straniero. Nella globalizzazione si assiste a questa estraneità universale; è stata ripresa attraverso il richiamo alla modernità riflessiva di Beck, c’è il fuori dal C di Michel Serres. Ieri si parlava di comunità settoriali, proprio la presenza di comunità settoriali fa perdere di senso quella prima normatività condivisa dai partecipanti alla rete. Forse, però, il termine comunità è improprio, potremmo parlare non più di comunità, ma, come usa dire Bauman, semplicemente di folle residuali nella rete, oppure di tribù rudimentali e monotematiche che stanno attorno ad un argomento come se fosse un nuovo totem. È un problema di linguaggio naturalmente, perché non si tratta più, in questo caso, del linguaggio degli algoritmi, dei diagrammi di flusso e così via, della teoria della complessità computazionale. Si tratta, invece, di un linguaggio che adesso deve essere adeguato a folle 271

272 DIBaTTITo residuali e a tribù postmoderne; quindi, di un linguaggio che deve per forza di cose veicolare un’informazione anch’essa residuale e rudimentale. Noi, invece, tanto la scienza giuridica, quanto la teoria politica, siamo abituati a parlare a partire dal legame che c’è tra forma giuridica e individuo, spazio politico dell’azione comune e, forse, questo è un po’ anche il problema. Francesco Mercadante Devo dire che mi ha molto appassionato la relazione di Ferrara; gli ho sentito dire: esiste un embrione di opinione pubblica mondiale. Chiederei al prof. Ferrara se è solo un embrione, perché quanto ad opinione pubblica in ciò che essa ha di espressivo, mi ricollego alla sua splendida analisi dell’11 settembre, finalmente con i mezzi di comunicazione di massa mi sembra che essa non potrebbe essere più compiuta. Quindi, mi interessava molto quel terzo paragrafo, che leggerò negli atti, su questa umanità come regolativa o come universale concreto, che mette davvero in imbarazzo. Da questo punto di vista, tenderei a prendere un po’ alla rovescia quello che lui ha detto a proposito di un governo come quello attuale degli Stati Uniti a cui è stato conferito un mandato, cosa senza precedenti, forse anche in regimi assolutistici, di individuare il nemico, ma il nemico è la nube tossica, con relativa geo-politica. Il nemico non è l’hostis; ecco perché tutte le polemologie sono andate in fallimento, tranne quella di André Glucksmann. La guerra in Afganistan, chiamata guerra per ragioni tecniche, non è una guerra; l’opinione pubblica mondiale, se mi è consentito, ha operato come umanità, perché nell’11 settembre c’è il crimen laesae humanitatis, colpita lì, reagisce il risentimento giuridico e – capisco il tuo disagio, caro Francesco De Sanctis – umanitario. Non abbiamo un altro termine, potremmo avere quello cosmopolitico, per il quale certamente opterei, ma è anch’esso inefficace; comunque, non c’è il minimo dubbio che dobbiamo a questo decennio che si chiude tutta una serie intensissima di riflessioni sulla pace perpetua, che non è stata affatto

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residuali e a tribù postmoderne; quindi, di un linguaggio che deve<br />

per forza di cose veicolare un’informazione anch’essa residuale<br />

e rudimentale. Noi, invece, tanto la scienza giuridica, quanto la<br />

teoria <strong>politica</strong>, siamo abituati a parlare a partire dal legame che<br />

c’è tra forma giuridica e individuo, spazio politico dell’azione comune<br />

e, forse, questo è un po’ anche il problema.<br />

Francesco Mercadante<br />

Devo dire che mi ha molto appassionato la relazione di Ferrara;<br />

gli ho sentito dire: esiste un embrione di opinione pubblica<br />

mondiale. Chiederei al prof. Ferrara se è solo un embrione, perché<br />

quanto ad opinione pubblica in ciò che essa ha di espressivo,<br />

mi ricollego alla sua splendida analisi dell’11 settembre, finalmente<br />

con i mezzi di comunicazione di massa mi sembra che essa<br />

non potrebbe essere più compiuta. Quindi, mi interessava molto<br />

quel terzo paragrafo, che leggerò negli atti, su questa umanità<br />

come regolativa o come universale concreto, che mette davvero<br />

in imbarazzo. Da questo punto di vista, tenderei a prendere un<br />

po’ alla rovescia quello che lui ha detto a proposito di un governo<br />

come quello attuale degli Stati Uniti a cui è stato conferito un<br />

mandato, cosa senza precedenti, forse anche in regimi assolutistici,<br />

di individuare il nemico, ma il nemico è la nube tossica, con<br />

relativa geo-<strong>politica</strong>. Il nemico non è l’hostis; ecco perché tutte le<br />

polemologie sono andate in fallimento, tranne quella di André<br />

Glucksmann. La guerra in Afganistan, chiamata guerra per ragioni<br />

tecniche, non è una guerra; l’opinione pubblica mondiale,<br />

se mi è consentito, ha operato come umanità, perché nell’11 settembre<br />

c’è il crimen laesae humanitatis, colpita lì, reagisce il risentimento<br />

giuridico e – capisco il tuo disagio, caro Francesco De<br />

Sanctis – umanitario. Non abbiamo un altro termine, potremmo<br />

avere quello cosmopolitico, per il quale certamente opterei, ma<br />

è anch’esso inefficace; comunque, non c’è il minimo dubbio che<br />

dobbiamo a questo decennio che si chiude tutta una serie intensissima<br />

di riflessioni sulla pace perpetua, che non è stata affatto

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