Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

DIBaTTITo 265 uomo; anzi è il rapporto uomo-merci che disciplina la relazione uomo-altri uomini. Nel dire questo, certo compare una precisa antropologia, anzi compaiono due antropologie giuridiche, che sono due antropologie generali, ma sono anche due antropologie filosofiche, che, forse, per pudore o, come avrebbe detto Spada, per vergogna mediatica, non sono state granché qui enunciate. Le due antropologie, riprendendole con Marconi, sono queste: una vede la misura unica nel rapporto uomo-merci; l’altra, invece, vede la misura del rapporto uomo-merci nella qualità della relazione tra gli uomini e vede che la qualità della relazione tra gli uomini è la disciplina degli scambi, la disciplina del commercio, è il limite giuridico a un funzionalismo solo commerciale. Come ho detto, questo due antropologie sono state nell’aria, ma non sono state enunciate; però ci sono lo stesso e, forse, non sono discusse nella proposta di Galgano dello shopping giuridico, perché l’unica ragione giuridica, che mi pare di poter cogliere nella proposta di Galgano, è quella del fondamentalismo funzionale del commercio. Galgano ha fatto un esempio, lo riprendo per porre le cose nel concreto immediato, ha fatto un rinvio alla disciplina degli appalti, dicendo che, forse, può essere giovevole servirsi delle normative italiane, pare che siano le migliori in termini di appalti. Quindi accade che altri, di altri paesi, di altri luoghi nei rapporti internazionali, possano prendere, come dice Irti, nel mercato dei diritti, possano usare le norme che meglio giovano al loro perseguire dei fini. Il risultato, però, in tutto questo è il mettere in concreto un’antropologia; Galgano, forse, non la vede, chiedo a Marconi se lui la vede, l’antropologia è quella dell’esclusione, la disciplina degli appalti secondo le normative italiane, forse, può funzionare bene, ma può produrre una quantità di esclusi dall’accesso al lavoro, può produrre, come si dice abitualmente, disoccupazione, senza lavoro, senza diritti al lavoro. Dunque, un’antropologia giuridica c’è, quella dell’indifferenza, l’antropologia dell’avere contingente, che esclude l’esistere; è l’antropologia che impone ad alcuni la condizione dell’essere senza diritto, è l’antropologia di una ragione solo funzionale. Allora chiedo a Marconi e a Cubeddu, lo avrei chiesto anche a Galgano, ma si è

266 DIBaTTITo assentato: la ragione giuridica può essere soltanto una ragione funzionale? Ho un presagio nella risposta che mi avrebbe potuto dare Galgano, che ha detto che oggi avrebbe detto di sì ai Crocifissi nelle aule di insegnamento, nei luoghi pubblici; prima, invece, avrebbe detto di no. Ma la ragione del dire di sì oggi è solo una ragione funzionale, dunque è un modello che si riferisce ad una antropologia per intero costruita sul funzionalismo; di Luhmann non se ne vuole parlare, ma mi pare che continui ad essere assai presente: il diritto è solo uno strumento immunitario di chi in quel momento è più forte. Francesco Viola Il mio intervento sarà breve perché si rivolge alla relazione di Alessandro Ferrara e riguarda un punto in particolare, cioè la sua critica della tesi di Rawls relativamente alla dichiarazione universale dei diritti. La distinzione tra diritti di serie A e diritti di serie B è una cosa di cui già mi sono occupato in un articolo e avevo già notato che questa disparità è molto più grave di quello che sembri. Uno dei diritti che considero assolutamente importanti, pari a quello di libertà, è quello di associazione; ora, non solo il diritto al lavoro, alla equa retribuzione, ma addirittura il diritto di associazione viene considerato dal Rawls un diritto di secondo grado, rispetto a quel nucleo essenziale. Quello che non mi convince è la critica che Alessandro Ferrara fa a questa ripartizione di Rawls, una critica incentrata fondamentalmente sull’idea che in questo modo la morale prevale sulla politica. Mi chiedo se, quando si affermano dei diritti, questi che cosa sono se non un mettere dei limiti morali alla politica. L’idea stessa dei diritti non implica un certo primato della morale sulla politica almeno in certi settori? Altrimenti, distruggiamo l’idea stessa dei diritti; se subordiniamo i diritti alle scelte politiche, sia a livello nazionale, che a livello internazionale, se noi subordiniamo la carta futura dei diritti al consenso di questi popoli forniti di culture diverse, di ideologie diverse, allora noi abbiamo distrutto fondamentalmen-

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assentato: la ragione giuridica può essere soltanto una ragione<br />

funzionale? Ho un presagio nella risposta che mi avrebbe potuto<br />

dare Galgano, che ha detto che oggi avrebbe detto di sì ai Crocifissi<br />

nelle aule di insegnamento, nei luoghi pubblici; prima, invece,<br />

avrebbe detto di no. Ma la ragione del dire di sì oggi è solo<br />

una ragione funzionale, dunque è un modello che si riferisce ad<br />

una antropologia per intero costruita sul funzionalismo; di Luhmann<br />

non se ne vuole parlare, ma mi pare che continui ad essere<br />

assai presente: il diritto è solo uno strumento immunitario di chi<br />

in quel momento è più forte.<br />

Francesco Viola<br />

Il mio intervento sarà breve perché si rivolge alla relazione di<br />

Alessandro Ferrara e riguarda un punto in particolare, cioè la sua<br />

critica <strong>della</strong> tesi di Rawls relativamente alla dichiarazione universale<br />

dei diritti. La distinzione tra diritti di serie A e diritti di serie<br />

B è una cosa di cui già mi sono occupato in un articolo e avevo<br />

già notato che questa disparità è molto più grave di quello che<br />

sembri. Uno dei diritti che considero assolutamente importanti,<br />

pari a quello di libertà, è quello di associazione; ora, non solo il<br />

diritto al lavoro, alla equa retribuzione, ma addirittura il diritto<br />

di associazione viene considerato dal Rawls un diritto di secondo<br />

grado, rispetto a quel nucleo essenziale. Quello che non mi convince<br />

è la critica che Alessandro Ferrara fa a questa ripartizione<br />

di Rawls, una critica incentrata fondamentalmente sull’idea che<br />

in questo modo la morale prevale sulla <strong>politica</strong>. Mi chiedo se,<br />

quando si affermano dei diritti, questi che cosa sono se non un<br />

mettere dei limiti morali alla <strong>politica</strong>. L’idea stessa dei diritti non<br />

implica un certo primato <strong>della</strong> morale sulla <strong>politica</strong> almeno in<br />

certi settori? Altrimenti, distruggiamo l’idea stessa dei diritti; se<br />

subordiniamo i diritti alle scelte politiche, sia a livello nazionale,<br />

che a livello internazionale, se noi subordiniamo la carta futura<br />

dei diritti al consenso di questi popoli forniti di culture diverse, di<br />

ideologie diverse, allora noi abbiamo distrutto fondamentalmen-

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