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Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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MaSSIMo CaCCIaRI<br />

ché non è pianta che sorga da una terra e da un sangue, poiché,<br />

in questo senso, non ha radice, la civitas romana è destinata ab<br />

origine a crescere sempre. Nulla può«immobilizzarla». Poiché la<br />

sua origine (potissima pars!) esclude ogni idea di «purezza», essa<br />

potrà comprendere in sé, assimilare-trasformare in sé, ogni popolo<br />

e ogni terra, essere Ecumene, essere Orbis, diventare per tutti<br />

Asylum.<br />

Crescere è trasformarsi. Crescere sempre implica il sapersi trasformare<br />

in relazione alle novità che si presentano, all’occasione<br />

che si manifesta. Ma non l’adattarsi ad esse, poiché allora non<br />

sarebbe la civitas che cresce, grazie alla sua capacità di assimilare<br />

e integrare, ma novità ed occasioni a dominarla. Trasformarsi significa<br />

perciò rinnovarsi. L’eternità di Roma non esprime statica<br />

capacità di durata, ma la dura fatica per il suo perenne rinnovarsi.<br />

Renovatio esige la civitas augescens. L’idea di impero si regge<br />

sullo sforzo di restare se stessi non malgrado, ma grazie al rinnovarsi<br />

eterno. Nessun novum dovrà perciò esser visto pregiudizialmente<br />

come alienum, ma, anzi, come energia potenzialmente<br />

positiva per la crescita <strong>della</strong> potenza <strong>della</strong> civitas. Ma anche dal<br />

più mortale nemico la civitas romana sa ereditare, come insegna<br />

Toynbee nel suo grande libro su Annibale.<br />

Allo stesso modo, come nessun «confine» di stirpe o di sangue<br />

può bloccare l’impero <strong>della</strong> civitas romana, così nessuna specifica<br />

forma religiosa potrà esprimerne l’essenza. Religio civilis significa<br />

che tutti i cives, dalla cui concordia la civitas trae origine e<br />

su cui si fonda, debbono riconoscersi appunto come membri di<br />

tale comunità, appartenere al suo destino, affermare la potenza<br />

di Roma come il proprio bene supremo; ma in nessun modo<br />

è possibile equipararla ad una forma di «religione di Stato». Il<br />

«culto» per Roma garantisce il pieno diritto ad ogni altra forma<br />

di culto e religione 12 . Di più, accanto ai propri dèi i romani, lo<br />

ricorda Minucio Felice, hanno sempre venerato anche «numina<br />

victa»; esecrabile peccato di superbia equiparare la vittoria su un<br />

12 R. Turcan, «Lois romaines, dieux étrangers et religion d’Etat», in Da Roma alla<br />

Terza Roma, XI Seminario internazionale di studi storici, Roma, 1991.

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