Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

L’EPoCa DELLa gLoBaLIzzazIoNE «Impero» rimanda prepotentemente all’idea romana di impero. Ma che cosa di quell’idea si intende veramente enfatizzare, ritenere come fondante? Oppure: che cosa di quell’idea ci appare antagonistico rispetto alle attuali tendenze «imperiali»? Che cosa pensiamo di noi stessi, quale nostra mitologia andiamo creando, parlando oggi di impero, in analogia con ciò che i romani «generazione dopo generazione pensarono di se stessi»? 3 Mai il passato è morto – come mostrano appunto questi termini che siamo costretti a continuare ad usare; sempre «lottiamo» con esso 4 per cercare di afferrare il carattere della nostra epoca. Tanto più sarà decisivo oggi «lottare» con quel passato che ha contrassegnato la nostra civiltà, che continua a vivere nella nostra idea di diritto, che si è indistricabilmente connesso alla stessa cristianità. Il nostro tempo sembra marciare in una direzione; sia il termine greco hegemonía, sia il suo corrispondente latino, imperium, riflettono tale tendenza. Hegemòn è il capo, il principe, in quanto «marcia avanti», guida e guidando «spiega» la rotta, istituisce la via. Poiché sa preparare la via, la guida, il capo detiene effettiva egemonia. E gli sarà perciò anche lecito spingere avanti i suoi, incalzarli affinché procedano nella direzione che egli ha preparato. Non vi è imperator se non per la capacità di in-parare un futuro e di costringere quasi il suo «seguito» a realizzarlo (secondo l’etimologia semitica proposta da Semerano: in-duper-ator, dove duper si accosterebbe a dabar = parola che esorta, comanda) 5 . La situazione attuale sarebbe quella di una hegemonía che ha riassorbito in sé qualsiasi figura di hegemòn o imperator – esattamente quella di una Egemonia della Parola, dell’impero di un impersonale Dabar, che risuona nella forma di un Comandamento inviolabile, pena l’esser cacciati dall’Ecumene dei «diritti umani». Ma sia nel termine greco sia in quello latino il riferimento ad un luogo, ad una «capitale» dell’egemonia rimane imprescindibile, e 3 A. Momigliano, Storia e storiografia antica, Bologna, 1987, p. 201. 4 Ibid. 5 G. Semerano, Le origini della cultura europea, vol. II, parte II, Firenze, 1994, p. 433. 19

20 MaSSIMo CaCCIaRI così quello ad una Persona che la incarni, o ad un capo politico, formato tuttavia da persone, ad un «principe collettivo», chiaramente rappresentabile. E questo non sembra il nostro caso, a meno di non ridurre immediatamente il «complesso» della globalizzazione all’equivalenza impero = USA (e ad interpretare la potenza americana come statal-imperialistica, nel senso tradizionale). Inoltre, nell’accezione romana di imperium-imperator permane un qualche senso di straordinarietà, che bene si esprime almeno in due loci classici: nel primo, imperator è proprio il «condottiero», e la sua «parte» viene chiaramente distinta da quella del «legatus», di colui al quale è stata affidata una determinata funzione, che è tenuto ad «obbedire» ad un servizio (non sono «legati», non sono nostri «delegati» amministratori e parlamentari?): «Aliae sunt legati partes atque imperatoris, alter omnia agere ad praescriptum, alter libere ad summam rerum consulere debet» (Cesare, Bellum Civile III, 51). L’imperator deve deliberare, decidere sull’insieme; il legatus attenersi a ciò che è Stato deciso, alla Norma, al praescriptum, realizzarlo o vigilare affinché lo sia. Dunque, in qualche modo, l’imperator appare chiaramente superiore alla Norma, poiché la produce, considerando l’insieme della situazione (insieme che sfugge per principio allo sguardo del semplice legatus); ed è quanto si esprime nel secondo locus: ogni volta che la potestas s’accresce, diminuisce il potere delle leggi; non si deve ricorrere all’impero (nec utendum imperio) quando si può agire per mezzo delle leggi (Tacito, Annales III,59) – dunque, si danno situazioni in cui è inevitabile sovvertire le norme giuridiche acquisite, in cui il principe che «amministra» la legge deve lasciare il posto all’imperator, a colui che detiene l’imperium per «dettare» nuove vie. L’imperator è potestas costituente e dunque non agisce secondo le norme date, ma prepara quelle nuove. Egli opera necessariamente attraverso «luogotenenti»; la sua volontà non puo realizzarsi immediatamente. I due ambiti sono inscindibili e tuttavia assolutamente distinti. Ebbene, quest’idea dell’imperium non contrasta con la situazione attuale, in cui l’impero sembra manifestarsi come l’astratto dominio di Norme assolutamente razionali, di un Lógos onnipervadente, escludente per principio l’irrompere dell’Eccezio-

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MaSSIMo CaCCIaRI<br />

così quello ad una Persona che la incarni, o ad un capo politico,<br />

formato tuttavia da persone, ad un «principe collettivo», chiaramente<br />

rappresentabile. E questo non sembra il nostro caso, a<br />

meno di non ridurre immediatamente il «complesso» <strong>della</strong> <strong>globalizzazione</strong><br />

all’equivalenza impero = USA (e ad interpretare la potenza<br />

americana come statal-imperialistica, nel senso tradizionale).<br />

Inoltre, nell’accezione romana di imperium-imperator permane<br />

un qualche senso di straordinarietà, che bene si esprime almeno in<br />

due loci classici: nel primo, imperator è proprio il «condottiero», e<br />

la sua «parte» viene chiaramente distinta da quella del «legatus»,<br />

di colui al quale è stata affidata una determinata funzione, che è<br />

tenuto ad «obbedire» ad un servizio (non sono «legati», non sono<br />

nostri «delegati» amministratori e parlamentari?): «Aliae sunt legati<br />

partes atque imperatoris, alter omnia agere ad praescriptum,<br />

alter libere ad summam rerum consulere debet» (Cesare, Bellum<br />

Civile III, 51). L’imperator deve deliberare, decidere sull’insieme;<br />

il legatus attenersi a ciò che è Stato deciso, alla Norma, al praescriptum,<br />

realizzarlo o vigilare affinché lo sia. Dunque, in qualche<br />

modo, l’imperator appare chiaramente superiore alla Norma, poiché<br />

la produce, considerando l’insieme <strong>della</strong> situazione (insieme<br />

che sfugge per principio allo sguardo del semplice legatus); ed è<br />

quanto si esprime nel secondo locus: ogni volta che la potestas<br />

s’accresce, diminuisce il potere delle leggi; non si deve ricorrere<br />

all’impero (nec utendum imperio) quando si può agire per mezzo<br />

delle leggi (Tacito, Annales III,59) – dunque, si danno situazioni<br />

in cui è inevitabile sovvertire le norme giuridiche acquisite, in cui<br />

il principe che «amministra» la legge deve lasciare il posto all’imperator,<br />

a colui che detiene l’imperium per «dettare» nuove vie.<br />

L’imperator è potestas costituente e dunque non agisce secondo le<br />

norme date, ma prepara quelle nuove. Egli opera necessariamente<br />

attraverso «luogotenenti»; la sua volontà non puo realizzarsi<br />

immediatamente. I due ambiti sono inscindibili e tuttavia assolutamente<br />

distinti. Ebbene, quest’idea dell’imperium non contrasta<br />

con la situazione attuale, in cui l’impero sembra manifestarsi come<br />

l’astratto dominio di Norme assolutamente razionali, di un Lógos<br />

onnipervadente, escludente per principio l’irrompere dell’Eccezio-

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