Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

DIBaTTITo sulla medievalizzazione. Vorrei prendere in parte, solo in parte, le distanze da questa utilità della medievalità o medievalizzazione. Il medioevo non si era posto il problema di giuridicizzare il potere e noi invece siamo molto orgogliosi di esserci riusciti. In effetti, questo punto indica un carattere importantissimo della giuridicità, che non è necessariamente il solo. Non è sostenibile ritenere che il problema dei caratteri della giuridicità riguardi esclusivamente il modo in cui il diritto è capace di navigare attraverso i mercati, di collegare o separare i mercati. Un quarto elemento è rinvenibile nel fatto che questi Stati di welfare in realtà sono Stati costituzionali e, di conseguenza, introducono nella giuridicità un elemento di aggancio della legittimazione formale alla legittimazione sostanziale; questo aggancio alla legittimazione sostanziale è importante, perché gli Stati costituzionali esprimono una limitazione dell’esercizio del potere, sia in base ai criteri, per così dire, alla Weber, quindi a regole predeterminate di esercizio, sia in base a criteri di contenuto, che orientano la legittimità dell’azione in termini materiali. Credo che questo elemento costituisca un reale mutamento dei caratteri della giuridicità su cui c’è grande discussione in Teoria generale del diritto e in un mio libro piuttosto recente ho faticosamente cercato di dimostrare, in termini accettabili sul piano della Teoria generale del diritto, che l’effettività delle norme di riconoscimento si lega al contenuto. Di conseguenza, l’attenzione si può spostare, ai fini dello studio della globalizzazione, anche su quella che chiamerei, come ormai si usa dire, l’autonomia pubblica. Non credo che la global governance sia il nostro unico possibile destino e per governance intendo qualcosa rispetto a cui non si può intervenire, nel senso che non è esclusivamente la logica del potere puramente regolativo degli equilibri quello che dipinge il nostro orrizzonte; non tanto e non solo perché, come avrebbe detto Habermas, siamo membri di una comunità dei rischi condivisi, per cui possiamo prendere degli impegni planetari; non solo e non tanto perché gli Stati, anche senza disciplinare il mercato mondiale, possono comunque fare parecchio e questi impegni li possono assumere; ma soprattutto perché, dentro questa logica 191

192 DIBaTTITo del rapporto tra diritto e Stato, tra governance e noi cittadini del mondo, c’è il destino del nostro pluralismo, delle nostre scelte etiche, c’è tutta quella parte di ragionamenti, di studio e di lavoro che facciamo sui valori costituzionali e sui diritti umani. Il rule of law non è una risorsa che si può esaurire man mano che il global law sembra marginalizzare lo Stato nazionale; al contrario, mi pare necessario che vi sia una protezione transnazionale del rule of law. Questo è un compito che possiamo attribuire solo agli Stati nazionali ed è un compito di salvaguardia dei caratteri della giuridicità; non è un compito di altra natura, possiamo e dobbiamo attribuirlo agli Stati nazionali. I diritti umani sono il tema costante degli ultimi cinquant’anni, almeno nella Carta dell’ONU. Se vogliamo parlarne seriamente, è evidente che abbiamo bisogno di inquadrarli come un problema di sistema, un problema giuridico-sociale-politico-economico, ma abbiamo anche bisogno della resistenza e dell’autonomia del diritto. Se non ci sono garanzie giuridiche sui caratteri procedurali d’implementazione del diritto, non siamo in grado di parlare seriamente di diritti umani, a meno di non ridurre la questione a global governance come potere regolativo più o meno affidabile alle grandi banche centrali, alle corporation da un lato e, dall’altro, ai filosofi dei diritti umani, cosa che sta accadendo. L’universalità dei diritti umani è affidata ai grandi filosofi dei valori. Questo non è possibile; non possiamo mettere da una parte la tecnocrazia e dall’altra reagire a questa global governance che non ha deontologia e non ha senso, perchè non ha direzionalità. A tale mancanza non si può rispondere con una mera, pura e semplice filosofia dei valori, che si autoespongono razionalmente, perché sono autoevidenti e quindi sono indiscutibili. Questo tipo di accostamento non chiude il problema. Credo che, tutto sommato, rispetto al medioevo ci sia un vantaggio; il medioevo era solo governance senza governamans, noi abbiamo governamans; questo piccolo particolare dovrebbe farci pensare che possiamo utilizzare ciò che i governamans possono darci. Chiudo ricordando un piccolo punto; non credo alla giuridicità senza l’autonomia funzionale propria del diritto e senza che ci siano istituzioni pub-

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sulla medievalizzazione. Vorrei prendere in parte, solo in parte, le<br />

distanze da questa utilità <strong>della</strong> medievalità o medievalizzazione.<br />

Il medioevo non si era posto il problema di giuridicizzare il potere<br />

e noi invece siamo molto orgogliosi di esserci riusciti. In effetti,<br />

questo punto indica un carattere importantissimo <strong>della</strong> giuridicità,<br />

che non è necessariamente il solo. Non è sostenibile ritenere<br />

che il problema dei caratteri <strong>della</strong> giuridicità riguardi esclusivamente<br />

il modo in cui il diritto è capace di navigare attraverso i<br />

mercati, di collegare o separare i mercati.<br />

Un quarto elemento è rinvenibile nel fatto che questi Stati di<br />

welfare in <strong>realtà</strong> sono Stati costituzionali e, di conseguenza, introducono<br />

nella giuridicità un elemento di aggancio <strong>della</strong> legittimazione<br />

formale alla legittimazione sostanziale; questo aggancio<br />

alla legittimazione sostanziale è importante, perché gli Stati costituzionali<br />

esprimono una limitazione dell’esercizio del potere,<br />

sia in base ai criteri, per così dire, alla Weber, quindi a regole<br />

predeterminate di esercizio, sia in base a criteri di contenuto, che<br />

orientano la legittimità dell’azione in termini materiali. Credo<br />

che questo elemento costituisca un reale mutamento dei caratteri<br />

<strong>della</strong> giuridicità su cui c’è grande discussione in Teoria generale<br />

del diritto e in un mio libro piuttosto recente ho faticosamente<br />

cercato di dimostrare, in termini accettabili sul piano <strong>della</strong> Teoria<br />

generale del diritto, che l’effettività delle norme di riconoscimento<br />

si lega al contenuto. Di conseguenza, l’attenzione si può<br />

spostare, ai fini dello studio <strong>della</strong> <strong>globalizzazione</strong>, anche su quella<br />

che chiamerei, come ormai si usa dire, l’autonomia pubblica.<br />

Non credo che la global governance sia il nostro unico possibile<br />

destino e per governance intendo qualcosa rispetto a cui non si<br />

può intervenire, nel senso che non è esclusivamente la logica del<br />

potere puramente regolativo degli equilibri quello che dipinge il<br />

nostro orrizzonte; non tanto e non solo perché, come avrebbe<br />

detto Habermas, siamo membri di una comunità dei rischi condivisi,<br />

per cui possiamo prendere degli impegni planetari; non solo<br />

e non tanto perché gli Stati, anche senza disciplinare il mercato<br />

mondiale, possono comunque fare parecchio e questi impegni li<br />

possono assumere; ma soprattutto perché, dentro questa logica<br />

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