Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

I CaRaTTERI DELLa gIuRIDICITà NELL’EPoCa DELLa gLoBaLIzzazIoNE vi, come l’esperienza dei citati “Principi dei contratti commerciali internazionali” ha messo in evidenza. L’essenza di questa compilazione sta nell’opera sapiente di coordinamento delle pratiche contrattuali internazionali con i principi generali del diritto universalmente accolti. Alla mediazione politica degli interessi in gioco, che è propria del diritto legislativamente creato dagli Stati, è qui sostituita, proprio come al tempo dell’antica lex mercatoria, la mediazione culturale dei giuristi. È vero sì che la nuova lex mercatoria è diritto unilateralmente creato dalla classe imprenditoriale e che essa ha, per ciò stesso, meritato il giudizio di diritto non democratico, bensì dispotico. Ma è vero anche che essa viene applicata dopo avere ricevuto il filtro culturale di Unidroit, che la rimodella secondo i principi generali del diritto, nella ricerca del giusto punto di equilibrio fra gli opposti interessi in gioco, fra le ragioni dell’impresa e le esigenze di protezione del contraente debole. E basti riferirsi ad alcune figure proprie della nuova lex mercatoria, come la Gross Disparity o come l’Hardship, che realizzano in modo compiuto, all’insegna del principio di buona fede, quella congruità dello scambio contrattuale, o equità del contratto, verso la quale i diritti nazionali tendono in modo ancora incerto e frammentario. Opera di tecnodemocrazia, certo, questa di Unidroit; ma opera di tecnodemocrazia che ben possiamo definire come illuminata, riprendendo quel concetto di «dispotismo illuminato» nel quale mostrarono di credere i philosophes del Settecento. 6. La globalizzazione, del resto, impone un generale arretramento delle istituzioni statuali. L’esempio più vistoso nelle società nazionali è il sopravvento delle autorità tecnocratiche sulle autorità politiche, meglio idonee a dialogare fra loro entro la società globale. Gli uomini più potenti della Terra oggi sono, probabilmente, i governatori delle banche centrali, che nelle rispettive società nazionali (o sovranazionali, come per la banca centrale europea) sono pure tecnocrazie, sprovviste di investitura popolare. Come ne sono sprovvisti i corpi giudiziari, neppure essi elettivi, e tuttavia disposti ad assumere compiti, di adeguamento del diritto ai mutamenti della real- 183

184 fRaNCESCo gaLgaNo tà, che in passato si ritenevano riservati alla sede politica. Anche a questo riguardo si può ripetere che le autorità politiche arretrano di fronte alle autorità tecnocratiche. Particolarmente significativa, su questo terreno, è la proliferazione delle autority indipendenti; come è significativo il già citato Testo unico italiano sull’intermediazione finanziaria, che si limita a fissare i principi generali della materia e, per il resto, rinvia a regolamenti che saranno emanati non già dal governo, secondo l’antica prassi, bensì dalla Banca d’Italia e dalla Consob, cioè da tecnocrazie aperte al circuito delle tendenze dei mercati internazionali. E così la sede politica abdica alla propria funzione di normazione, investendo di questa le autorità tecnocratiche. C’è in ciò il riflesso di una significativa tendenza, che caratterizza il nostro tempo: la società globale porta forse al tramonto della democrazia rappresentativa e all’avvento della tecnodemocrazia. La globalizzazione stessa non è l’esito di un conflitto fra Stati. La realtà contraddice non solo l’arcaica filosofia dell’imperialismo, ma anche la cultura liberal americana della metà del Novecento (alludo a Baran e Sweezy), che attribuiva alle Grandi Potenze la funzione di spianare alle imprese nazionali la strada per la conquista dei mercati mondiali. Gli odierni protagonisti della globalizzazione non sono gli Stati, ma sono le imprese multinazionali. Traggo da The Economist dati quanto mai illuminanti sulle più globalizzanti imprese del nostro tempo: la Shell ha un patrimonio estero pari al 67,8% del totale, e una occupazione estera pari al 77,9%; la Volkswagen ha un patrimonio estero pari all’84,8% ed una occupazione estera pari al 44%; ma la Nestlè è l’impresa più globalizzante, con un patrimonio estero pari all’86,9% ed una occupazione estera pari al 97% 12 . La prima di queste imprese ha capitale olandese, ma la seconda è tedesca e la terza è svizzera. Si può oggi dominare il mercato mondiale senza avere alle spalle una grande potenza militare e neppure una significativa potenza politica. Le multinazionali possono fare a meno dell’una, come dell’altra; hanno in sé stesse la 12 Sono dati Unctad, pubblicati su The Economist del 22 novembre 1997, p. 108.

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tà, che in passato si ritenevano riservati alla sede <strong>politica</strong>. Anche a<br />

questo riguardo si può ripetere che le autorità politiche arretrano<br />

di fronte alle autorità tecnocratiche.<br />

Particolarmente significativa, su questo terreno, è la proliferazione<br />

delle autority indipendenti; come è significativo il già<br />

citato Testo unico italiano sull’intermediazione finanziaria, che<br />

si limita a fissare i principi generali <strong>della</strong> materia e, per il resto,<br />

rinvia a regolamenti che saranno emanati non già dal governo,<br />

secondo l’antica prassi, bensì dalla Banca d’Italia e dalla Consob,<br />

cioè da tecnocrazie aperte al circuito delle tendenze dei mercati<br />

internazionali. E così la sede <strong>politica</strong> abdica alla propria funzione<br />

di normazione, investendo di questa le autorità tecnocratiche.<br />

C’è in ciò il riflesso di una significativa tendenza, che caratterizza<br />

il nostro tempo: la società globale porta forse al tramonto <strong>della</strong><br />

democrazia rappresentativa e all’avvento <strong>della</strong> tecnodemocrazia.<br />

La <strong>globalizzazione</strong> stessa non è l’esito di un conflitto fra Stati.<br />

La <strong>realtà</strong> contraddice non solo l’arcaica filosofia dell’imperialismo,<br />

ma anche la cultura liberal americana <strong>della</strong> metà del Novecento<br />

(alludo a Baran e Sweezy), che attribuiva alle Grandi Potenze<br />

la funzione di spianare alle imprese nazionali la strada per<br />

la conquista dei mercati mondiali. Gli odierni protagonisti <strong>della</strong><br />

<strong>globalizzazione</strong> non sono gli Stati, ma sono le imprese multinazionali.<br />

Traggo da The Economist dati quanto mai illuminanti<br />

sulle più globalizzanti imprese del nostro tempo: la Shell ha un<br />

patrimonio estero pari al 67,8% del totale, e una occupazione<br />

estera pari al 77,9%; la Volkswagen ha un patrimonio estero<br />

pari all’84,8% ed una occupazione estera pari al 44%; ma la Nestlè<br />

è l’impresa più globalizzante, con un patrimonio estero pari<br />

all’86,9% ed una occupazione estera pari al 97% 12 .<br />

La prima di queste imprese ha capitale olandese, ma la seconda<br />

è tedesca e la terza è svizzera. Si può oggi dominare il mercato<br />

mondiale senza avere alle spalle una grande potenza militare e<br />

neppure una significativa potenza <strong>politica</strong>. Le multinazionali possono<br />

fare a meno dell’una, come dell’altra; hanno in sé stesse la<br />

12 Sono dati Unctad, pubblicati su The Economist del 22 novembre 1997, p. 108.

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