Diritto, politica e realtà sociale nell'epoca della globalizzazione

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03.06.2013 Views

DIBaTTITo normativa transnazionali piuttosto che internazionali; si pensi, ovviamente, alle regole prodotte dalle istituzioni transnazionali, anche se il più delle volte scaturite da accordi multilaterali internazionali oppure all’azione anche precettiva delle istituzioni nate dal movimentismo, Green Peace, o dal volontariato internazionale Medecins sans frontières, o ancora da tante altre realtà transnazionali delle quali sono cariche le cronache quotidiane sul divenire dei fatti umani planetari. Infine, da osservare, direi con un ruolo importante nell’economia espositiva del libro della Ferrarese, anche tutto quel complesso di regole che scaturiscono dai nuovi contratti, oppure dagli arbitrati, dall’attività dei pratici del diritto; complesso di regole, sulle quali la Ferrarese è tornata anche questa mattina parlando di lex mercatoria e, a questo proposito, vorrei incidentalmente fare due piccole chiose. La prima è questa: secondo me non è convincente questa inclinazione a ravvisare nella lex mercatoria del secolo XXI una sorta di riedizione della lex mercatoria medievale. Ho la sensazione che ci sia una differenza fondamentale che è questa: nella civiltà comunale italiana i mercanti costruivano regole al servizio sì dei propri interessi, ma proprio nel momento stesso in cui costruivano una società politica nella quale quelle regole si applicavano. Non a caso noi commercialisti, quando andiamo a pescare l’immagine remota delle figure giuridiche con le quali ci confrontiamo oggi, prima di tutto andiamo a vedere gli statuti dei Comuni, prima ancora quelli delle Corporazioni. Oggi non è così, manca la costituzione di una società politica corrispondente alla società dei mercanti; quindi, non so quanto il paragone tra la lex mercatoria di allora e quella di oggi abbia conoscitivamente qualche valenza. Seconda chiosa: l’attenzione di grandi law firms ai dialetti giuridici – qui parla l’avvocato -; a questo riguardo la mia esperienza è esattamente contraria in quanto, soprattutto i grandi studi americani, esportano modelli contrattuali che sono pensati senza tener conto della realtà locale nella quale i contratti esportati dovranno applicarsi. Credo che Natalino Irti sarà d’accordo con me se gli dico, da avvocato ad avvocato, che è semplicemente demenziale fare quello che fanno 125

126 DIBaTTITo gli americani, cioè imporre a soggetti, persone o più spesso imprese continentali di sottoscrivere contratti dettagliati come sono i contratti della tradizione anglosassone. L’eccesso di dettaglio è soltanto la premessa per l’esplosione di un contenzioso che, infatti, puntualmente si verifica e dà abbondantemente pasto a noi avvocati. Questo vuol dire, nella prospettiva di cui si diceva, non tener conto del dialetto giuridico, cioè non tener conto del fatto che un disciplinare contrattuale, che nel sistema di Common law deve essere dettagliato, deve essere, invece, estremamente sintetico in un sistema di diritto scritto. L’ultimo punto nel quale ho tentato di compendiare il libro di Maria Rosaria Ferrarese è questo: il diritto è più al servizio di un negoziato permanente tra gli attori dell’economia, magari per ridurne, predisponendo delle regole residuali, i costi di negoziato – transaction costs, come si dice bene in inglese, ma male in italiano –, che non una istituzione che serve ad aggiudicare autoritativamente beni a questo o a quell’attore. Il diritto è in funzione di una riduzione dei costi o di un incremento delle economie di negoziatori permanenti e non già la voce del sovrano che aggiudica beni. Questo processo, secondo la mia lettura della Ferrarese, esibisce una crisi della concezione continentale del diritto e cioè delle regole autoritarie, scritte, l’applicazione delle quali è legittimata dal rispetto della retorica e comporta una mondializzazione della concezione anglosassone, regole ricavate dalla generalizzazione di regole di giudizio orali, l’applicazione delle quali è legittimata non già dal rispetto della retorica, ma dal rispetto della razionalità economica. Direi che la grossa contrapposizione è proprio questa: il giurista continentale va alla ricerca di una legittimazione retorica della decisione, mentre il giurista anglosassone, oggi più di ieri, va alla ricerca di una legittimazione in termini di razionalità economica. Essendo questo il modo in cui ho concepito il libro che ho letto, direi che l’atteggiamento dell’autrice è sostanzialmente di ottimismo, atteggiamento che ho visto confermato anche oggi e che, se mi passa una congettura, che mi guardo bene dal tentare di provare, scaturisce anche da una forte simpatia per la cultura

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normativa transnazionali piuttosto che internazionali; si pensi,<br />

ovviamente, alle regole prodotte dalle istituzioni transnazionali,<br />

anche se il più delle volte scaturite da accordi multilaterali internazionali<br />

oppure all’azione anche precettiva delle istituzioni<br />

nate dal movimentismo, Green Peace, o dal volontariato internazionale<br />

Medecins sans frontières, o ancora da tante altre <strong>realtà</strong><br />

transnazionali delle quali sono cariche le cronache quotidiane sul<br />

divenire dei fatti umani planetari.<br />

Infine, da osservare, direi con un ruolo importante nell’economia<br />

espositiva del libro <strong>della</strong> Ferrarese, anche tutto quel complesso<br />

di regole che scaturiscono dai nuovi contratti, oppure dagli<br />

arbitrati, dall’attività dei pratici del diritto; complesso di regole,<br />

sulle quali la Ferrarese è tornata anche questa mattina parlando<br />

di lex mercatoria e, a questo proposito, vorrei incidentalmente<br />

fare due piccole chiose. La prima è questa: secondo me non è<br />

convincente questa inclinazione a ravvisare nella lex mercatoria<br />

del secolo XXI una sorta di riedizione <strong>della</strong> lex mercatoria medievale.<br />

Ho la sensazione che ci sia una differenza fondamentale che<br />

è questa: nella civiltà comunale italiana i mercanti costruivano<br />

regole al servizio sì dei propri interessi, ma proprio nel momento<br />

stesso in cui costruivano una società <strong>politica</strong> nella quale quelle<br />

regole si applicavano. Non a caso noi commercialisti, quando<br />

andiamo a pescare l’immagine remota delle figure giuridiche con<br />

le quali ci confrontiamo oggi, prima di tutto andiamo a vedere<br />

gli statuti dei Comuni, prima ancora quelli delle Corporazioni.<br />

Oggi non è così, manca la costituzione di una società <strong>politica</strong><br />

corrispondente alla società dei mercanti; quindi, non so quanto<br />

il paragone tra la lex mercatoria di allora e quella di oggi abbia<br />

conoscitivamente qualche valenza. Seconda chiosa: l’attenzione<br />

di grandi law firms ai dialetti giuridici – qui parla l’avvocato -;<br />

a questo riguardo la mia esperienza è esattamente contraria in<br />

quanto, soprattutto i grandi studi americani, esportano modelli<br />

contrattuali che sono pensati senza tener conto <strong>della</strong> <strong>realtà</strong> locale<br />

nella quale i contratti esportati dovranno applicarsi. Credo che<br />

Natalino Irti sarà d’accordo con me se gli dico, da avvocato ad<br />

avvocato, che è semplicemente demenziale fare quello che fanno<br />

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