VeneziaMusica 46 per web - Euterpe Venezia
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Anno IX - maggio / giugno 2012 - n. <strong>46</strong> - bimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. <strong>46</strong>) art. 1, comma 1, DCB PD - ISSN 1971-8241<br />
Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
La «Carmen» di Bizet torna alla Fenice<br />
In co<strong>per</strong>tina:<br />
Carmen di Georges Bizet secondo Calixto Bieito.<br />
Teatro Massimo di Palermo, novembre 2011<br />
(foto di Franco Lannino / Teatro Massimo).<br />
Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong>,<br />
il laboratorio di Marco Martinelli con tre scuole<br />
della provincia approdato al Teatro Aurora di Marghera<br />
e al Teatro Goldoni di <strong>Venezia</strong> tra la fine di marzo<br />
e l’inizio di aprile (foto di Mariano Beltrame).<br />
Il dossier sulla critica è dedicato a Franco Quadri<br />
Si ringraziano tutti coloro<br />
che hanno gentilmente risposto<br />
la critica oggi<br />
(parte terza)<br />
Questo numero è stato realizzato grazie alla<br />
collaborazione di Lorenzo Bianconi, Enrico Girardi,<br />
Umberto Galimberti, Silvia Carrer, Francesca Gennari,<br />
Stefania Stara, Valeria Regazzoni, Renato Palazzi,<br />
Maria Grazia Gregori, Anna Bandettini,<br />
Elisa Guzzo Vaccarino, Francesca Pedroni,<br />
Manuela Pivato, Maryon Pessina, Gianni De Luigi,<br />
Emanuela Caldirola, Floriana Tessitore,<br />
Andrea Grandese, Elena Casadoro, Alessandra Canella,<br />
Roberta Martarello, Adriana Vianello,<br />
Andrea De Marchi, Andreina Forieri, Andrea Benesso<br />
<strong><strong>Venezia</strong>Musica</strong> e dintorni<br />
Anno IX – n. <strong>46</strong> – maggio / giugno 2012<br />
Reg. Tribunale di <strong>Venezia</strong> n. 1496 del 19 / 10 / 2004<br />
Reg. ROC n. 12236 del 30 / 10 / 2004<br />
ISSN 1971-8241<br />
Direttore editoriale: Giuliano Segre<br />
Assistente del Direttore editoriale: Giuliano Gargano<br />
Direttore responsabile: Leonardo Mello<br />
Caporedattore: Ilaria Pellanda<br />
Art director: Luca Colferai<br />
Redazione: Enrico Bettinello, Vitale Fano,<br />
Tommaso Gastaldi, Andrea Oddone Martin,<br />
Letizia Michielon, Veniero Rizzardi, Mirko Schipilliti<br />
Segreteria di redazione: Erica Molin e Antonietta Giorni<br />
Redazione e uffici: Dorsoduro 3488/U – 30123 <strong>Venezia</strong><br />
tel. 041 2201932; 041 2201937 – fax 041 2201939<br />
e-mail: l.mello@euterpevenezia.it<br />
i.pellanda@euterpevenezia.it<br />
<strong>web</strong>: www.euterpevenezia.it<br />
<strong><strong>Venezia</strong>Musica</strong> e dintorni è stata fondata<br />
da Luciano Pasotto nel 2004<br />
Comitato dei Garanti: Emilio Melli (coordinatore),<br />
Laura Barbiani, Cesare De Michelis, Mario Messinis,<br />
Ignazio Musu, Giampaolo Vianello<br />
Editore: <strong>Euterpe</strong> <strong>Venezia</strong> s.r.l.<br />
<strong>Euterpe</strong> <strong>Venezia</strong> è una società strumentale<br />
della Fondazione di <strong>Venezia</strong> che si occupa dello studio, della<br />
produzione e della gestione di processi e interventi formativi,<br />
di ricerca e di presenza nel campo delle arti<br />
e dei beni e delle attività culturali, principalmente riferite<br />
alle attività e alle installazioni dello spettacolo dal vivo<br />
e alle discipline a esse correlate<br />
Presidente: Gianpaolo Fortunati<br />
Amministratore delegato: Giovanni Dell’Olivo<br />
Consiglieri: Mariano Beltrame, Eugenio Pino<br />
La Fondazione di <strong>Venezia</strong> è presieduta da Giuliano Segre<br />
Consiglio generale: Giorgio Baldo, Franco Bassanini,<br />
Vasco Boatto, Francesca Bortolotto Possati,<br />
Riccardo Calimani, Carlo Carraro,<br />
Anna Laura Geschmay Mevorach,<br />
Gianni Mion, Cesare Mirabelli, Giorgio Piazza,<br />
Amerigo Restucci, Franco Reviglio, Giovanni Toniolo<br />
Stampa: Tipografia Crivellari 1918<br />
Via Trieste 1, Silea (Tv)<br />
Raccolta pubblicitaria:<br />
Luciana Cicogna<br />
347 6176193 – lucianacicogna@libero.it<br />
Nicoletta Echer<br />
348 3945295 – nicoletta.echer@fast<strong>web</strong>net.it<br />
Tiratura: 3000 copie<br />
Uscita bimestrale
Editoriale<br />
Non poteva mancare, in un’inchiesta<br />
dedicata al ruolo e alla funzione della critica al<br />
giorno d’oggi, il parere dei mezzi d’informazione<br />
che dovrebbero ospitarla. Ecco dunque che,<br />
dopo artisti e critici, abbiamo voluto sentire ora cosa pensassero<br />
i responsabili delle pagine culturali dei giornali nazionali,<br />
oltre, naturalmente, a quelli locali legati al nostro territorio.<br />
Al proposito abbiamo confezionato e inviato a ciascuno<br />
di loro un breve questionario, che si ritrova riprodotto<br />
all’interno della sezione speciale. Rispetto alle due puntate<br />
precedenti, questa volta è stato un po’ più difficile inter-<br />
cettare opinioni e riflessioni, pur raccogliendone comunque<br />
un discreto numero. Ma una certa afasia da parte dei giornali<br />
non fa che confermare l’idea, <strong>per</strong>altro ben messa in evidenza<br />
nei mesi scorsi, che la critica, e quella teatrale e musicale<br />
in particolare, stia soffrendo un <strong>per</strong>iodo di crisi profonda,<br />
e stia allo stesso tempo cercando vie nuove <strong>per</strong> ritornare a<br />
essere determinante all’interno della comunicazione culturale.<br />
La nostra ricognizione, <strong>per</strong> problemi di spazio, si è concentrata<br />
quasi esclusivamente sulla carta stampata, ma sarebbe<br />
bello, in futuro, prendere in considerazione anche mass<br />
media di più vasto impatto, come le radio, le televisioni e soprattutto<br />
il <strong>web</strong>, secondo alcuni l’unica nuova frontiera possibile.<br />
Dopo il terzo passaggio, il nostro viaggio dentro questo<br />
tema – cruciale <strong>per</strong> l’arte tutta e ancor maggiormente <strong>per</strong><br />
Eliott Erwitt, Parigi, 1989 © Elliott Erwitt/Contrasto.<br />
di Leonardo Mello<br />
quella «dal vivo» – si va concludendo: con il prossimo numero,<br />
come già annunciato, interpelleremo direttamente il<br />
pubblico, che della recensione – così come, ovviamente, di<br />
ogni singola manifestazione spettacolare – è il destinatario<br />
ultimo e necessario.<br />
Il Focus di a<strong>per</strong>tura, rispetto al solito, può risultare un po’<br />
inconsueto. Ma dato l’instancabile e appassionato lavoro di<br />
Marco Martinelli con due scuole della nostra provincia, che<br />
ha dato luogo alla straordinaria es<strong>per</strong>ienza di Eresia della felicità<br />
– approdata sui palcoscenici dell’Aurora e del Goldoni<br />
tra la fine di marzo e gli inizi di aprile – abbiamo deciso<br />
di incentrare lo spazio di approfondimento iniziale su questo<br />
progetto, gestito dal Teatro delle Albe e promosso e organizzato<br />
da Giovani a Teatro. Una sessantina di ragazzi, <strong>per</strong><br />
lo più adolescenti, hanno invaso il proscenio, «riscrivendo»<br />
con il loro proprio linguaggio Mistero buffo di Vladimir Ma-<br />
jakovskij, e infondendo in tutti gli spettatori un’ins<strong>per</strong>ata e<br />
salutare dose di energia. Questo è stato possibile solo grazie<br />
alla bravura e alla passione del regista ravennate, che con altre<br />
due guide della sua «non scuola» è riuscito a condurre<br />
questi giovanissimi in un’impresa temeraria e meravigliosa,<br />
che abbiamo deciso di raccontare facendo parlare protagonisti<br />
e osservatori. Del resto, questo <strong>per</strong>corso magmatico alla<br />
sco<strong>per</strong>ta del teatro e delle sue infinite potenzialità bene si<br />
coniuga con la vocazione formativa che da sempre contraddistingue<br />
la nostra rivista e tutte le attività destinate alla scena<br />
ideate e prodotte dalla Fondazione di <strong>Venezia</strong>.<br />
Per il resto, questo quarantaseiesimo numero si presenta<br />
quanto mai articolato e, s<strong>per</strong>iamo, appetibile al palato dei<br />
nostri variegati lettori, che vanno dai giovani appassionati<br />
di teatro ai musicofili di tutte le età, dai cultori dell’arte agli<br />
specialisti del settore. Buona lettura. ◼<br />
3
4<br />
sommario<br />
3 Editoriale<br />
7 Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
7 Arte e cultura come es<strong>per</strong>ienze umane<br />
di Cristina Palumbo<br />
8 Principi immutati in contesti variabili<br />
Marco Martinelli parla di «non scuola» e dell’es<strong>per</strong>ienza veneziana<br />
a cura di Leonardo Mello<br />
10 Giocare insieme<br />
di Roberto Magnani<br />
11 Frammenti su «Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong>»<br />
di Laura Redaelli<br />
12 Majakovskij, un poeta giovane che scrive <strong>per</strong> i giovani<br />
di Fausto Malcovati<br />
14 Un esplodere di energie fantastiche<br />
di Renato Palazzi<br />
15 Un dispositivo teatrale «eretico» e universale<br />
di Fernando Marchiori<br />
16 Racconti «eretici»<br />
18 Per una Carmen teatrale<br />
Alla Fenice l’o<strong>per</strong>a secondo Calixto Bieito<br />
di Emilio Sala<br />
21 Le iniziative del Circolo La Fenice intorno alla «Carmen»<br />
Parla il Presidente Jérôme-François Zieseniss<br />
a cura di Leonardo Mello<br />
22 Pietro De Maria torna a Bach<br />
di Vitale Fano<br />
23 Diego Matheuz sul podio <strong>per</strong> Webern<br />
di Mirko Schipilliti<br />
24 Omer Meir Wellber dirige Schubert e Beethoven<br />
di Andrea Oddone Martin<br />
25 Il nuovo festival del Centro <strong>per</strong> la Musica Barocca<br />
di Alberto Castelli<br />
26 Tra Padova e Rovigo le voci di «Musikè»<br />
di Angela Forin<br />
27 Le «Sacre Armonie» dei Monaci tibetani<br />
di Angela Forin<br />
27 Tiziano Scarpa e i Virtuosi Italiani sulle tracce di Vivaldi<br />
di Anna Barina<br />
28 Monteverdi ritrovato...<br />
di Luigi Collarile<br />
29 ... e restituito in suono<br />
di Paolo Da Col<br />
30 José Maurício Nunes García, compositore geniale ed europeo<br />
di Claudio Scimone<br />
focus on<br />
o<strong>per</strong>a<br />
classica<br />
7-17<br />
La grande avventura di<br />
«Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong>»<br />
raccontata da protagonisti<br />
e osservatori<br />
18-21<br />
La «Carmen» di Bizet<br />
secondo Calixto Bieito<br />
è di scena alla Fenice<br />
28-29<br />
25
31 A Giovanni Morelli l’omaggio di Frederic Rzewski<br />
di Paolo Pinamonti<br />
32 L’Archivio Fano <strong>per</strong> Giovanni Morelli<br />
di Ilaria Pellanda<br />
33 «Impara l’Arte» omaggia John Cage<br />
di Alberto Castelli<br />
33 Le «Sette canzoni» di Gian Francesco Malipiero<br />
di Ilaria Pellanda<br />
contemporanea<br />
34 La Giorgio Cini tra daoismo rituale e teatro delle ombre<br />
di Ilaria Pellanda<br />
la critica oggi (parte terza)<br />
35 Verso la fine dell’inchiesta<br />
di Leonardo Mello<br />
35 La parola ai giornali<br />
dossier a cura di Leonardo Mello e Ilaria Pellanda<br />
Interventi di Gregorio Botta («la Repubblica») – Paolo Coltro («Il Mattino di<br />
Padova») – Angiola Codacci-Pisanelli («L’Espresso») – Chiara Di Clemente<br />
(«Quotidiano Nazionale») – Adriano Favaro («Il Gazzettino») – Gianmaurizio<br />
Foderaro («Rai Radio Uno») – Giorgio Malavasi («Gente Veneta») – Pierluigi<br />
Panza («Corriere della Sera») – Luigi Rancilio («Avvenire») – Stefano Salis («Il Sole<br />
24ore») – Piero Santonastaso («Il Messaggero») – Andrea Scarpa («Vanity Fair»)<br />
– Raffaella Silipo («La Stampa») – Alessandro Zangrando («Corriere Veneto»)<br />
41 Dalla cultura alla chiacchiera<br />
di Gianandrea Piccioli<br />
43 Lo scandalo «culturale» di Marilyn Manson<br />
a cura di John Vignola<br />
44 Bruce Springsteen a Trieste in un «Wrecking Ball Tour»<br />
di Tommaso Gastaldi<br />
45 Il «Black Album» dei Metallica compie vent’anni<br />
di Guido Michelone<br />
<strong>46</strong> La nuova «Ventura» di Manu Chao<br />
di Tommaso Gastaldi<br />
47 I Cranberries sbarcano all’Hydrogen Festival<br />
di Giuliano Gargano<br />
48 «Noi anderemo a Roma…»: il re<strong>per</strong>torio socialista<br />
di Gualtiero Bertelli<br />
50 Red Canzian, da bassista a scrittore<br />
a cura di Leonardo Mello<br />
51 Nel tunnel di «Hamlice», verso l’impossibile<br />
di Massimo Marino<br />
52 Zanzotto secondo Il Gran Teatrino «La Fede delle Femmine»<br />
Alla Cini le marionette di Margot Galante Garrone<br />
di Maria Ida Biggi<br />
l’altra musica<br />
54 Le «Costellazioni» del Groggia<br />
di Ilaria Pellanda<br />
55 Centorizzonti 2012<br />
52<br />
di Ilaria Pellanda<br />
prosa<br />
35-42<br />
Rispondono i responsabili<br />
delle pagine culturali<br />
dei giornali<br />
43<br />
31<br />
la critica oggi<br />
(parte terza)<br />
48<br />
sommario 5
6<br />
sommario<br />
56 Il Teatro Stabile del Veneto festeggia i 20 anni con le scuole<br />
a cura di Leonardo Mello<br />
57 L’oro di Klimt<br />
di Eugenio Bernardi<br />
60 Elliott Erwitt, la fotografia<br />
Ai Tre Oci la «Personal Best»<br />
di Enzo Di Martino<br />
62 Il Quaderno di Canaletto<br />
di Eva Rico<br />
63 Al Museo del Paesaggio è di scena «Terra Madre»<br />
di Giorgio Baldo<br />
64 Elettroniche «Visioni del suono» in mostra a Padova<br />
di Ilaria Pellanda<br />
65 Mario Deluigi alla Bugno Art Gallery<br />
di Leonardo Mello<br />
65 Al Guggenheim un a<strong>per</strong>itivo «a regola d’arte»<br />
di Ilaria Pellanda<br />
66 Paolo Baratta: «La Biennale sarà fucina di nuovi talenti»<br />
a cura di Leonardo Mello<br />
68 Due riviste di Giovanni Morelli<br />
di Veniero Rizzardi<br />
69 Gianmario Borio dirige l’Istituto <strong>per</strong> la Musica della Cini<br />
a cura di Letizia Michielon<br />
70 Giò Alajmo: Mario Messinis, uno sguardo trasversale<br />
a cura di Leonardo Mello<br />
71 Il provetto stregone<br />
Mario Bortolotto e le vie della musicologia<br />
un progetto a cura di Jacopo Pellegrini<br />
72 Itinerari nella musica: Mario Bortolotto tra storia e critica<br />
di Mario Messinis<br />
74 Was ist… Mario?<br />
di Guido Zaccagnini<br />
76 Le recensioni<br />
di Giuseppina La Face Bianconi<br />
77 Renato Principe racconta Ludwig Schuncke<br />
di Leonardo Mello<br />
77 La musica nell’Italia di oggi<br />
di Ilaria Pellanda<br />
78 Un omaggio ai 65 anni di Siro Ferrone<br />
di Leonardo Mello<br />
78 L’«Antologia» di Gualtiero Bertelli<br />
di Leonardo Mello<br />
arte<br />
in vetrina<br />
carta canta – libri / dischi<br />
56<br />
Lo Stabile del Veneto<br />
celebra i vent’anni<br />
con un gioco a squadre<br />
dedicato alle scuole<br />
79 La «Nuova Storia del jazz» di Alyn Shipton<br />
di Giampiero Cane 71-75<br />
66<br />
57<br />
Paolo Baratta<br />
illustra<br />
i nuovi orientamenti<br />
della Biennale
Eresia della felicità<br />
a <strong>Venezia</strong><br />
Trattandosi di un’es<strong>per</strong>ienza straordinaria,<br />
sia nel processo di costruzione che negli esiti finali,<br />
nel caso di Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong> piuttosto<br />
che ricorrere a un intervento istituzionale preferisco<br />
far parlare uno dei ragazzi del liceo Marco Polo coinvolti<br />
nel progetto, Lorenzo Maracuja Croce, attraverso una lettera<br />
che ci ha scritto qualche giorno fa, alla fine dell’avventura<br />
della «non scuola».<br />
Gianpaolo Fortunati<br />
Segretario Generale Fondazione di <strong>Venezia</strong><br />
ringraziare tutti, dal primo<br />
all’ultimo: da Fagio alla Beppa, dalla Fon-<br />
«Voglio<br />
dazione di <strong>Venezia</strong> al Teatro delle Albe, dagli<br />
amici che mi hanno lanciato in aria a mia<br />
mamma che mi è stata vicino, dai compagni eretici ai produttori<br />
delle nostre bluse gialle, insomma, tutti quelli che conosco<br />
e non conosco e che, con il loro aiuto anche piccolo, hanno<br />
fatto in modo che Eresia della felicità sia diventata<br />
ciò che è stata, e vi assicuro che è stata tanto.<br />
Per me è stata tantissimo. Ma tantissimo è sminuente:<br />
è stata il nirvana della mia gioia, il tripudio<br />
della mia emozione e, so di non essere originale<br />
dicendolo ma non c’è definizione migliore,<br />
è stata l’eresia della mia felicità!<br />
Mi ha fatto ridere, mi ha fatto sognare, mi ha<br />
fatto gridare, mi ha fatto gioire, mi ha fatto cantare,<br />
alle volte mi ha fatto incazzare e mi ha fatto<br />
<strong>per</strong>fino piangere.<br />
Ha letteralmente scosso la mia anima, mi ha<br />
cambiato, ha cambiato il mio modo di vedere il<br />
teatro e di vedere le <strong>per</strong>sone che mi stanno intorno<br />
e di vedere la vita.<br />
Ma, sebbene questa es<strong>per</strong>ienza sia riuscita a fare<br />
tutto ciò, in fondo non è stata nulla più che un<br />
seme di una pianta, o meglio... non è stata nulla<br />
più che un virus di una malattia, una malattia<br />
di cui ci siamo magnificamente ammalati, una<br />
malattia chiamata teatro e dalla quale io non voglio più guarire,<br />
anzi, voglio diventarne un contagiatore. Grazie.»<br />
Lorenzo Maracuja Croce<br />
Arte e cultura come<br />
es<strong>per</strong>ienze umane<br />
di Cristina Palumbo<br />
Conosco lo straordinario cammino della<br />
«non scuola» da molto tempo. Quando cinque<br />
anni fa proposi alla Fondazione di <strong>Venezia</strong> di avviare<br />
la sezione Es<strong>per</strong>ienze come sviluppo del suo<br />
progetto Giovani a Teatro, pensando a come far vivere l’es<strong>per</strong>ienza<br />
del teatro a un folto gruppo di adolescenti del territorio,<br />
fu il primo dei progetti che mi venne in mente.<br />
L’anno scorso, durante l’edizione delle Es<strong>per</strong>ienze intitolata<br />
«Il male», il Teatro delle Albe mi raccontò la magnifica decisione<br />
di radunare le tribù di tutte le «non scuole» in vita, più<br />
di duecento ragazzi dall’Africa al Brasile, da Mazara del Vallo<br />
a Conegliano Veneto. Con la s<strong>per</strong>anza di poter intrapren-<br />
dere nel 2012 una «non scuola» a nordest, nel febbraio del<br />
2011 invitammo Marco Martinelli e le sue guide a raccontare<br />
a insegnanti e o<strong>per</strong>atori del nostro territorio di che si trattasse.<br />
Poi noi del gruppo teatro della Fondazione di <strong>Venezia</strong> in<br />
luglio eravamo allo Sferisterio di Santarcangelo di Romagna<br />
<strong>per</strong> assistere al lavoro teatrale e poetico di duecento adolescenti<br />
provenienti da tutto il mondo. Erano tanti, ma erano contemporaneamente<br />
ognuno, e questo rafforzò ulteriormente<br />
la convinzione della necessità di portare quest’es<strong>per</strong>ienza proprio<br />
a <strong>Venezia</strong>, che è una e molte, che è isola e terraferma, che<br />
è centro storico unico al mondo e <strong>per</strong>iferia indistinta. Dove le<br />
differenze faticano a essere risorse. Dove i giovanissimi spesso<br />
si confondono con lo sfondo. Dove l’abbandono scolastico<br />
è molto alto e l’integrazione sociale difficile.<br />
Con Giovani a Teatro in questi anni abbiamo cercato di sviluppare<br />
sorgenti di conoscenza e di attrazione <strong>per</strong> le arti vive<br />
contemporanee. Oggi abbiamo più di 5000 under 30 iscritti<br />
attivi, 750 insegnanti e ben 1070 famiglie, tutti coinvolti nelle<br />
nostre attività. Ma solo con il progetto «Non Scuola <strong>Venezia</strong>»<br />
abbiamo stabilito un rapporto tra pari con altre competenze<br />
che si occupano di adolescenti, insegnanti, presidi ed<br />
educatori dei servizi sociali, lavorando con un’unica filosofia<br />
<strong>per</strong> <strong>per</strong>seguire la crescita delle <strong>per</strong>sone coinvolte attraverso la<br />
creatività e la disciplina di un <strong>per</strong>corso artistico.<br />
Eresia della Felicità a <strong>Venezia</strong> nasce dal cammino concreto<br />
di Marco Martinelli, del Teatro delle Albe e degli o<strong>per</strong>atori di<br />
Giovani a Teatro con sessanta adolescenti provenienti da una<br />
scuola professionale di <strong>per</strong>iferia, da una scuola media di Marghera<br />
e da un antico liceo classico del centro di <strong>Venezia</strong>. Ragazzi<br />
di almeno una decina di nazionalità diverse che hanno<br />
imparato a sentire e a «essere umani», e sono stati capaci di<br />
accettare le paure, di inventare imparare scrivere creare confrontandosi<br />
con la poesia di un altro grande adolescente, Vladimir<br />
Majakovskij. Hanno sco<strong>per</strong>to che l’arte è professionale,<br />
che l’es<strong>per</strong>ienza è valore. Hanno capito che «non sono attori,<br />
ma adolescenti», come essi stessi affermano, ma che proprio<br />
<strong>per</strong> questo possono riscrivere Mistero buffo raccontando<br />
il proprio paesaggio umano.<br />
E noi? Noi abbiamo compreso che possiamo immaginare<br />
e contribuire alla società del futuro solo coinvolgendo tutte<br />
le generazioni nell’incontro con la cultura e con l’arte intese<br />
come es<strong>per</strong>ienza umana, e che si può fare produzione culturale<br />
costruendo team con coloro che dedicano la propria vita<br />
professionale al benessere degli altri. E che così facendo i teatri<br />
tornano piazze, agorà, e si riempiono all’inverosimile della<br />
«gente» che scopre, come mai avrebbe immaginato, di essere<br />
comunità festosa. ◼<br />
focus on — Le Es<strong>per</strong>ienze di Giovani a Teatro 7
8<br />
focus on — Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
Principi immutati<br />
in contesti variabili<br />
Marco Martinelli<br />
parla di «non scuola»<br />
e dell’es<strong>per</strong>ienza veneziana<br />
a cura di Leonardo Mello<br />
Si è da poco concluso il <strong>per</strong>corso che la «non scuola»<br />
del Teatro delle Albe ha condotto tra <strong>Venezia</strong>, Asseggiano<br />
e Marghera, coinvolgendo una sessantina<br />
di adolescenti. Il progetto – inserito all’interno delle<br />
Es<strong>per</strong>ienze di Giovani a Teatro – ha dato luogo a due straordinari<br />
momenti spettacolari, uno al Teatro Aurora, l’altro<br />
al Goldoni, dove il gruppo ha riscritto e interpretato Mistero<br />
buffo di Vladimir Majakovskij. A Marco Martinelli, che ha<br />
ideato e guidato il lungo <strong>per</strong>corso di Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong>,<br />
chiediamo, <strong>per</strong> cominciare, quali sono stati gli elementi<br />
peculiari di questa avventura, anche rispetto ai tanti interventi<br />
realizzati un po’ in tutto il mondo.<br />
La «non scuola» non è un format, <strong>per</strong>ciò ogni es<strong>per</strong>ienza<br />
è diversa e irripetibile. I ragazzi con i quali ci troviamo a o<strong>per</strong>are<br />
sono sempre differenti, e quindi ogni volta anche <strong>per</strong> noi<br />
è una nuova sco<strong>per</strong>ta. E deve esserlo, se no cadremmo inesorabilmente<br />
nella routine. Allo stesso tempo <strong>per</strong>ò ci sono dei<br />
principi che interagiscono di volta in volta con ambienti e habitat<br />
differenti. Molti mi dicevano che sarebbe stato difficile<br />
trasferire a Nordest, pur nelle ovvie differenze, quanto avevamo<br />
realizzato a Scampia e a Napoli, dove potevamo contare<br />
sulla proverbiale esuberanza partenopea, <strong>per</strong>ché che in<br />
queste zone settentrionali i ragazzi erano molto più chiusi e<br />
serrati in se stessi. Ebbene, questo è il primo luogo comune<br />
che sono felice di poter smentire, <strong>per</strong>ché è bastato veramente<br />
pochissimo <strong>per</strong> farli esplodere tutti, e non solo quelli già di<br />
loro turbolenti e pieni di mondo da tirar fuori – gli studenti<br />
di Asseggiano – ma anche quelli del Marco Polo. Ancora una<br />
volta ho avuto la conferma che i contesti possono essere diversi<br />
ma la fame di vita e il bisogno di parlare e di essere ascol-<br />
tati – cosa che agli adolescenti capita assai di rado nella vita<br />
– trova nella «non scuola» il suo territorio ideale, dove tutti<br />
coloro che partecipano riescono a esprimersi e a tirare fuori<br />
ricchezza. In realtà va sottolineato il fatto che abbiamo lavorato<br />
con due Venezie diverse, da una parte un liceo famoso,<br />
che sta nel cuore della città storica, e dall’altra un istituto<br />
tecnico di <strong>per</strong>iferia, in cui la stragrande maggioranza dei<br />
partecipanti erano stranieri, e tutti di etnie diverse: una brasiliana,<br />
un nigeriano, una moldava, una russa e via dicendo.<br />
Questa è stata una novità anche <strong>per</strong> noi: a Mazara del Vallo<br />
più di metà del gruppo era tunisina, a Lamezia Terme si dividevano<br />
a metà tra rom e lamezini. Ma una compresenza così<br />
diversificata di lingue e di etnie ci era capitata solo a Santarcangelo<br />
nel primo progetto di Eresia della felicità. In quel caso<br />
<strong>per</strong>ò si trattava di una scelta ponderata e consapevole, <strong>per</strong>ché<br />
avevamo deciso di chiamare a raccolta da tutto il mondo<br />
le varie tribù di «non scuola». Almeno nei primi mesi, la<br />
differenza tra la compagnia multinazionale di Asseggiano e<br />
il gruppo tutto italiano del Marco Polo è stato il dato più evidente<br />
sul quale lavorare. Tra l’altro avevamo scelto un testo<br />
che ci <strong>per</strong>metteva di andare incontro a queste differenze: nel<br />
Mistero buffo di Majakovskij il gruppo di scampati al diluvio<br />
riunisce un cinese, un inglese,un francese, un russo, quindi<br />
esponenti di lingue e culture diverse.<br />
A questo proposito ho notato una cosa. Gli studenti dell’Istituto<br />
tecnico «Edison-Volta», ad Asseggiano, sono stranieri in<br />
una <strong>per</strong>centuale del trenta <strong>per</strong> cento circa. Ma questa <strong>per</strong>centuale<br />
cresce moltissimo nel gruppo che avete coinvolto nel progetto<br />
di Eresia. Come te lo spieghi?<br />
Credo che i ragazzi stranieri – o i nuovi italiani, <strong>per</strong>ché alcuni<br />
sono nati qui – abbiano un forte bisogno di trovare un<br />
«luogo» in cui esprimersi con piena dignità. Già dai primi<br />
incontri, quando probabilmente era più la curiosità che un<br />
reale interesse ad attirarli, penso abbiano <strong>per</strong>cepito che la<br />
«non scuola» è certo una situazione di lavoro creativo e teatrale,<br />
ma è anche un’es<strong>per</strong>ienza in cui il teatro attiva la digni-<br />
Sopra, Marco Martinelli;<br />
a fronte e nelle altre pagine della sezione focus on<br />
alcuni momenti di Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
(tutte le foto, salvo diversa indicazione, sono di Mariano Beltrame).
tà e il rispetto assoluto della <strong>per</strong>sona. Probabilmente hanno<br />
avvertito che non volevamo strumentalizzarli, ma che al contrario<br />
erano loro il nostro tesoro da far luccicare. Forse <strong>per</strong><br />
questo sono rimasti. All’inizio ne abbiamo radunati quaranta,<br />
metà stranieri, metà italiani, ma già dalle prime fasi a ritirarsi<br />
sono stati soprattutto i secondi.<br />
Quest’anno festeggiate vent’anni di «non scuola»: in questo<br />
lungo <strong>per</strong>iodo avete modificato il metodo di approccio con<br />
i ragazzi?<br />
Abbiamo imparato strada facendo, <strong>per</strong>ché quando abbiamo<br />
iniziato, a Ravenna, non avevamo elaborato alcun programma<br />
astratto e definito a tavolino. Abbiamo cominciato<br />
a praticare il teatro con gli adolescenti, e nel giro di quattro,<br />
cinque anni la «non scuola» ha preso forma e si sono delineati<br />
quei principi cui accennavo prima, che poi io ed Ermanna<br />
(Montanari, ndr.) abbiamo fissato nel «Noboalfabeto».<br />
È attorno a essi che il lavoro di questi vent’anni ha sempre<br />
ruotato, a Scampia come a Chicago, nel profondo Senegal o<br />
nel Nordest, cioè in situazioni molto diverse tra loro. Tutto<br />
parte dall’ascolto radicale dell’adolescente come re del palcoscenico.<br />
Non come giovane attore, ma come colui che scopre<br />
il potere esplosivo, dionisiaco del teatro. Questi principi<br />
non sono mai cambiati, nonostante in vent’anni la società<br />
italiana e il mondo stesso siano profondamente mutati. Ma<br />
questi cambiamenti nella «non scuola» non li abbiamo <strong>per</strong>cepiti<br />
poi così tanto. Abbiamo invece avvertito che esitono<br />
aspetti atemporali e immutabili tipici di quell’epoca della vita,<br />
strampalata e un po’ sghemba ma anche d’oro, che è l’adolescenza.<br />
E su questi ci siamo concentrati.<br />
Dato il tipo di approccio che vi caratterizza, è ipotizzabile,<br />
<strong>per</strong> esempio <strong>per</strong> il gruppo veneziano che ha appena terminato<br />
il <strong>per</strong>corso, la possibilità di una tournée?<br />
No, lo spirito della «non scuola» è incompatibile con l’idea<br />
di tournée. Potremmo al limite prevedere una tappa in<br />
più, come abbiamo fatto con i ragazzi napoletani portandoli<br />
a Roma, all’Argentina. O come con quelli di Lamezia Terme,<br />
che si sono esibiti al Valle. Un evento unico realizzato<br />
fuori dalla propria città può essere un’es<strong>per</strong>ienza arricchente.<br />
Ma si tratterebbe di una terza «prima», come «prime» del<br />
resto sono state le puntate all’Aurora e al Goldoni. La tournée<br />
prevede tutt’altro tipo di meccanismi, cui la «non scuo-<br />
la» non può rispondere. Bisognerebbe avere una tenuta artistica<br />
maggiore e cominciare a considerare i ragazzi degli attori,<br />
cosa che invece non sono. Noi riusciamo ad arrivare agli<br />
esiti finali grazie all’esplosione di creatività che caratterizza<br />
gli ultimi segmenti del <strong>per</strong>corso, cui il teatro fa da detonatore.<br />
Ripetere in serie lo spettacolo non rientra nei nostri obiettivi,<br />
anzi si discosta molto dall’idea complessiva che porta<br />
avanti la «non scuola».<br />
Un elemento molto potente dell’Eresia veneziana è stato certo<br />
la presenza di una ventina di bambini delle scuole medie, messi<br />
insieme ai loro compagni più grandi. La loro partecipazione<br />
era prevista sin dall’inizio?<br />
In effetti sì, almeno da quando abbiamo deciso di riprendere<br />
il Majakovskij di Santarcangelo. Sentivamo di non poter<br />
rinunciare al coro finale con le liriche del poeta (che è l’unica<br />
parte già strutturata, mentre il resto è tutto nato all’interno<br />
del progetto veneziano). Certi versi detti dai più piccoli<br />
in quell’occasione erano così forti che <strong>per</strong> me erano inimmaginabile<br />
sentirli recitare da ragazzi più grandi. Quindi l’idea<br />
che ci fossero dei bambini delle medie esisteva già. Poi,<br />
quando siamo entrati in contatto con la prima B di Marghera<br />
e con questi quindici splendidi piccolissimi, mi è venuta<br />
l’idea di non limitarmi ad affidare loro soltanto le poesie ma<br />
di farne la cerniera di tutto lo spettacolo. Così sono diventati<br />
le didascalie viventi delle varie scene, e una di esse, quella del<br />
paradiso, costruita tre giorni prima del debutto di Marghera,<br />
l’ho creata dal nulla a partire da Martina, quello strepitoso<br />
angioletto della geometria che ha anche inventato molte<br />
delle battute che dice.<br />
Nel lungo <strong>per</strong>iodo di preparazione ti hanno accompagnato<br />
altre due guide, Roberto Magnani e Laura Redaelli. Come vi<br />
suddividete i compiti?<br />
Non ci sono particolari suddivisioni. Io tengo la barra della<br />
navigazione, ma è sempre un lavoro fatto insieme. E questo<br />
è un tratto distintivo della «non scuola». Le guide normalmente<br />
sono due o, come in questo caso, dove i ragazzi erano<br />
tanti, tre. È un lavoro costante, dove ci si scambiano in continuazione<br />
le idee. Come collettivo è il frutto finale di ogni<br />
es<strong>per</strong>ienza di «non scuola», così è collettivo il modo delle<br />
guide di relazionarsi tra loro. ◼<br />
focus on — Le Es<strong>per</strong>ienze di Giovani a Teatro 9
10<br />
focus on — Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
Giocare insieme<br />
di Roberto Magnani<br />
Pubblichiamo gli interventi di Roberto Magnani<br />
e Laura Redaelli, le due guide della «non scuola»<br />
che hanno affiancato Marco Martinelli nell’es<strong>per</strong>ienza<br />
veneziana.<br />
«Il cammino dall’idea all’o<strong>per</strong>a si fa in ginocchio» mi ripete<br />
Marco da oltre dieci anni, e le ginocchia noi ce le siamo<br />
sbucciate in questo <strong>per</strong>corso, proprio come i ragazzini<br />
che giocano a calcio nei campetti di <strong>per</strong>iferia, o in strada, o<br />
nei campielli come a <strong>Venezia</strong> se ne vedono ancora. Stanno lì<br />
a giocare, felici, finché non sono completamente esausti, finché<br />
non c’è più luce <strong>per</strong> distinguere il pallone, solo <strong>per</strong> la felicità<br />
di giocare insieme.<br />
Le immagini che ora mi appaiono non sono quelle della festa<br />
finale, del Teatro Goldoni tutto esaurito, delle urla e degli<br />
abbracci del Teatro Aurora.<br />
Mi viene in mente il primo incontro nella biblioteca dell’Istituto<br />
Edison-Volta di Asseggiano. La prima volta che ce la<br />
fecero vedere ci parve subito <strong>per</strong>fetta. Una grande aula delle<br />
dimensioni giuste <strong>per</strong> contenere un gruppo di venticinque<br />
scalmanati. Completamente dentro la poetica «non scuo-<br />
la»: Gli adolescenti a confronto con La Biblioteca!<br />
Il rito era ogni lunedì lo stesso: si arrivava in aula, si tiravano<br />
su le pesantissime tapparelle <strong>per</strong> avere più luce a disposizione<br />
oltre ai freddi neon mal funzionanti della sala, e poi si<br />
spingevano i banchi da lettura contro i muri, <strong>per</strong> liberare lo<br />
spazio che sarebbe servito ai ragazzi <strong>per</strong> stare in cerchio, <strong>per</strong><br />
camminare avanti e indietro, <strong>per</strong> saltare sul posto, <strong>per</strong> gridare<br />
il loro nome. All’inizio non capivano, qualcuno diceva:<br />
ma questo non è teatro! Eppure loro non erano mai stati<br />
a teatro…<br />
In effetti, i primi «esercizi» sono tutto fuorché l’idea noiosa<br />
che si ha del teatro: dare le parti e recitare a memoria. Si<br />
tratta di giochi che si fanno durante i primi incontri <strong>per</strong> arrivare<br />
a costruire insieme ai ragazzi uno spazio di libertà in<br />
cui non c’è giudizio, ma sono anche le tecniche <strong>per</strong> svezzare<br />
dei giovani puledri imbizzarriti e <strong>per</strong> farli cavalcare in spazi<br />
più grandi.<br />
Ogni lunedì preparavamo il campo da gioco e alla fine delle<br />
due ore si rimetteva tutto in ordine come prima del nostro<br />
arrivo. All’ultimo incontro che abbiamo tenuto nella biblioteca<br />
del Volta prima di trasferirci all’Aurora, al nostro arrivo<br />
abbiamo trovato l’aula già pronta. Ci avevano pensato i ragazzi<br />
che morivano dalla voglia di iniziare a giocare.<br />
Al Liceo Marco Polo cercavamo uno spazio adatto <strong>per</strong> provare.<br />
Le aule? troppo piccole. L’atrio al piano terra? Poca intimità.<br />
Il piano nobile allora? Il piano nobile è un elemento<br />
tradizionale e tipico dei palazzi nobiliari urbani del medioevo.<br />
Quello del Liceo Marco Polo ha un grande e magnifico<br />
pavimento in marmo, un patrimonio architettonico, un<br />
miracolo di ingegneria antisismica! Il piano nobile flette ad<br />
ogni passo, ondeggia terribilmente se ci sono più di tre <strong>per</strong>sone<br />
che ci camminano sopra con passo spedito.<br />
All’inizio il preside non capiva: «Ma non dovete fare teatro?<br />
Si tratterà di mettersi a sedere e leggere qualche battuta.<br />
No?». Hai voglia a spiegargli che il nostro era un laboratorio<br />
che prevedeva corse, rotolamenti <strong>per</strong> terra, salti ripetuti e<br />
grida a tutto spiano.<br />
Cosi è partito un lungo <strong>per</strong>egrinare. Dall’atrio ci siamo<br />
spostati una prima volta <strong>per</strong>ché i componenti del coro della<br />
scuola, che provavano in un’aula vicina, dicevano che a causa<br />
delle nostre grida non riuscivano a sentire le loro voci. Da<br />
lì ci siamo spostati di sopra, nel piano nobile appunto, ma era<br />
come mettere a repentaglio la vita dei ragazzi, la nostra, e la<br />
stabilità dell’intero palazzo. Poi è arrivato un<br />
<strong>per</strong>iodo in cui non facevamo altro che spostarci<br />
da un’aula all’altra, a volte <strong>per</strong>ché davamo fastidio<br />
a qualche lezione pomeridiana, altre volte<br />
<strong>per</strong>ché le classi erano occupate da ricevimenti<br />
di genitori o ripetizioni di spagnolo. Sembrava<br />
un problema irrisolvibile. Io invece pensavo<br />
dentro di me: che bello! Siamo clandestini<br />
e mal sopportati. Siamo lo straniero. Siamo la<br />
«non scuola». Ormai i ragazzi erano talmente<br />
presi dal gioco che avrebbero provato ovunque,<br />
anche in strada se necessario. Poi, nell’ultimo<br />
<strong>per</strong>iodo, abbiamo trovato un’aula tutta <strong>per</strong><br />
noi. Ogni martedì <strong>per</strong>ò arrivava un momento<br />
all’interno delle prove in cui dovevamo costruire<br />
la caduta all’inferno. Era una simulazione<br />
di un lungo salto nel vuoto, muovendo all’impazzata<br />
gambe e braccia, proprio come cavalli<br />
imbizzarriti. Questo movimento moltiplicato<br />
<strong>per</strong> venticinque aveva l’effetto di far crollare<br />
stucchi e calcinacci del soffitto dell’aula esattamente<br />
sotto di noi, sulla testa di un impiegato<br />
del Liceo che puntualmente bussava alla nostra<br />
porta <strong>per</strong> chiederci di interrom<strong>per</strong>e qualsiasi<br />
cosa noi stessimo facendo! La scena si è ripetuta assolutamente<br />
identica almeno cinque volte, tanto che a un certo<br />
punto abbiamo pensato di inserirla nello spettacolo finale.<br />
Una volta giunti al Cinema Aurora, quando i due gruppi si<br />
sono finalmente incontrati e a loro si sono aggiunti i bambini<br />
della scuola media di Marghera, è stata come una bellissima e<br />
intensa cavalcata di due settimane vissuta fianco a fianco, dove<br />
ognuno ha <strong>per</strong>corso il proprio cammino verso lo spettacolo<br />
finale, verso la nostra eresia di felicità.<br />
Una felicità fatta di mille risate, di pianti preziosi, di urla<br />
disumane, e dei volti dei sessanta ragazzi che con noi hanno<br />
cavalcato, e che si sono sbucciati le ginocchia in questo lungo<br />
cammino fatto insieme. ◼<br />
Roberto Magnani e (alla pagina a fronte) Laura Redaelli<br />
al lavoro con i ragazzi di Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
(foto di Marco Zanin).
Frammenti su<br />
«Eresia della felicità<br />
a <strong>Venezia</strong>»<br />
di Laura Redaelli<br />
Scrivo mentre a Ravenna siamo nell’occhio del<br />
ciclone. Come ogni primavera da ormai vent’anni, il<br />
Teatro Rasi risuona <strong>per</strong> circa quindici giorni delle voci,<br />
dei canti, delle corse, dei salti, delle grida di quel coro<br />
scatenato e festante che sono gli adolescenti della città.<br />
Siamo nel pieno del festival della «non scuola», ogni sera alle<br />
otto le porte del teatro si spalancano sulle note di una fanfara<br />
suonata da un giovane trombettista in giacca rossa, il pubblico<br />
si accalca, e comincia la festa.<br />
La «non scuola» è nata qui, a Ravenna, e ha camminato poi<br />
in diverse parti dell’Italia e del mondo, ogni volta chiamata a<br />
seminare i suoi principi «asinini» e a contagiare altri cori, a<br />
far cantare altre voci di altre città.<br />
Quest’anno è approdata <strong>per</strong> la prima volta a <strong>Venezia</strong>.<br />
A ottobre, Marco e Roberto e io abbiamo cominciato il nostro<br />
viaggio verso la laguna.<br />
Ogni lunedì mattina <strong>per</strong> cinque mesi abbiamo preso il treno<br />
<strong>per</strong> andare a incontrare i cinquanta adolescenti dell’Istituto<br />
Edison-Volta di Asseggiano e del Liceo Marco Polo di <strong>Venezia</strong>,<br />
cui si sono aggiunti nella fase finale del lavoro tredici bambini<br />
della scuola media Einaudi di Marghera.<br />
Il viaggio in treno <strong>per</strong> andare a fare la «non scuola» era una<br />
cosa nuova <strong>per</strong> me che avevo sempre fatto la guida a Ravenna,<br />
un tempo prezioso di confronto con Marco e Roberto, uno<br />
spazio di riflessione e lavoro.<br />
Quando siamo arrivati la prima volta ad Asseggiano il mio<br />
cuore ha tremato.<br />
Il cuore mi trema sempre quando incontro i ragazzi <strong>per</strong> la<br />
prima volta, è il momento in cui ci si mette in cerchio, quel cerchio<br />
da cui idealmente poi non si uscirà più fino alla fine del<br />
cammino, ci si guarda in faccia, ci si annusa, noi «stranieri»<br />
venuti a «fare teatro», e quaranta e più occhi affamati e curiosi<br />
che ti si piantano addosso.<br />
È un tremare che dentro ha una bellezza che non sono capace<br />
di spiegare con le parole, ed è una bellezza che si ripete<br />
uguale tutte le volte e in tutti i luoghi, non importa se Ravenna<br />
o Santarcangelo o <strong>Venezia</strong>, non importa se un Istituto tecnico<br />
o un Liceo.<br />
E infatti il mio cuore ha tremato anche al Marco Polo, quando<br />
siamo andati il giorno dopo a incontrare l’altro gruppo di<br />
ragazzi.<br />
Ad Asseggiano abbiamo fatto i nostri incontri sempre nella<br />
Biblioteca della scuola.<br />
Al Liceo Marco Polo, invece, ogni volta dovevamo cambiare<br />
aula. Facevamo troppo rumore, ci dicevano, «non si può saltare,<br />
cadono gli stucchi», «il pavimento non può reggere la<br />
corsa impazzita di venticinque ragazzi!».<br />
Tremava il piano nobile, dondolavano i lampadari di<br />
cristallo.<br />
E noi ogni volta ci siamo spostati, abbiamo trovato il nostro<br />
luogo, e così facendo alla fine abbiamo utilizzato e invaso l’intero<br />
edificio scolastico con i nostri canti, le nostre grida, il nostro<br />
correre e saltare!<br />
Arrivare e accendere le luci, spostare le sedie e i banchi, attaccare<br />
lo stereo, preparare il campo di gioco insomma, sono tutte<br />
cose che fanno un rumore che <strong>per</strong> me è uno dei rumori della<br />
«non scuola», e anche questo si ripete uguale in ogni luogo,<br />
sono i banchi su cui poco prima gli studenti erano seduti e<br />
che ora vengono trascinati via, ai lati della stanza, sono le sedie<br />
che vengono spostate, ed è un rumore che se chiudo gli occhi<br />
e ci penso assomiglia <strong>per</strong> me a una specie di canto d’inizio di<br />
ogni incontro di ogni «non scuola».<br />
Poi comincia quello che è il canto vero e proprio, e che nel nostro<br />
caso è l’ottava toscana.<br />
Partendo dall’ottava, con i ragazzi si comincia a giocare, prima<br />
ognuno dice il proprio nome, poi nel cerchio ognuno prova<br />
a raccontare qualcosa stando dentro a un ritmo e alla melodia.<br />
Sull’ottava toscana le Albe ci hanno messo le parole del Boiardo,<br />
«Tutte le cose sotto della luna/l’alta ricchezza e i regni<br />
della terra/son sottoposti a voglia di Fortuna/lei la porta apre<br />
d’improvviso e serra./E quando più par bianca divien bruna/ma<br />
più se mostra al caso della guerra/instabile, voltante,<br />
roinosa/e più fallace che alcuna altra cosa».<br />
A me piace molto questa cosa dell’ottava toscana, mi piace<br />
<strong>per</strong>ché ci sono non so quanti ragazzi che hanno fatto la «non<br />
scuola» in tutti questi anni che hanno imparato questo canto<br />
e se lo portano dentro, generazioni intere di «non-scuolini»<br />
che senza conoscersi tra loro e abitando in luoghi diversi cantano<br />
«tutte le cose sotto della luna».<br />
A un certo punto del nostro <strong>per</strong>egrinare, mentre già la struttura<br />
dello spettacolo cominciava a prendere forma, siamo andati<br />
a incontrare i bambini della scuola media di Marghera.<br />
Siamo entrati in classe una mattina pensando che avremmo<br />
raccontato loro quello che stavamo facendo e avremmo poi dato<br />
alcune liriche di Majakovskij ai tredici che avevano deciso<br />
di cavalcare con noi in questa avventura. Ma dopo pochi minuti<br />
il clima era già incandescente, non si riusciva a tenerli nei<br />
banchi, non vedevano l’ora di cominciare, abbiamo distribuito<br />
i fogli con i versi, e le loro voci, i loro occhi, i corpi vivi che vibravano,<br />
l’energia che ne usciva e che ci investiva, tutto era già<br />
<strong>per</strong>fetto, la grazia che esplodeva tra i banchi di scuola!<br />
Poi c’è stato il momento in cui tutti ci siamo ritrovati in<br />
teatro.<br />
Siamo usciti dalle nostre aule e ci siamo incontrati, Asseggiano<br />
e <strong>Venezia</strong> e i bambini di Marghera, in un Teatro Aurora<br />
che ha accolto quel respiro atteso da mesi, che si è fatto casa<br />
e zattera, tutti e sessanta con gli stivali dell’acqua alta e le magliette<br />
gialle a provare sul palco, a correre e sudare finalmente<br />
insieme, a gridare e sussurrare, ad attraversare Majakovskij<br />
con tante lingue diverse, a dirci senza bisogno di parole la nostra<br />
felicità vera, eretica, possibile.<br />
Questa sera alle otto nel vialetto del Teatro Rasi di Ravenna<br />
suonerà la Fanfara della «non scuola», e dopo lo spettacolo<br />
tutto si riempirà di voci, risate, cuori che pulsano, mani che<br />
si cercano, tutto sarà grido di gioia, di pianto, di commozione,<br />
la stessa festa che si è respirata all’Aurora di Marghera e al<br />
Goldoni di <strong>Venezia</strong>.<br />
È il coro immenso della «non scuola», con tutte le sue tribù. ◼<br />
focus on — Le Es<strong>per</strong>ienze di Giovani a Teatro 11
12<br />
focus on — Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
Majakovskij,<br />
un poeta giovane<br />
che scrive <strong>per</strong> i giovani<br />
di Fausto Malcovati<br />
un poeta. E <strong>per</strong> questo sono interessante.<br />
E di questo scrivo».<br />
«Sono<br />
Duecento ragazzi che urlano versi di uno dei<br />
più grandi poeti del Novecento, e si divertono<br />
come matti. Di solito, non solo con Leopardi o Manzoni,<br />
ma anche con Montale o Ungaretti sbadigliano e si stiracchiano<br />
annoiati. Di chi il merito? Di quel magnifico mago,<br />
di quell’impareggiabile Pros<strong>per</strong>o, di quello straordinario inventore<br />
di favole di nome Marco Martinelli? Non solo. Merito<br />
anche di Majakovskij. Che è un poeta singolare, anomalo,<br />
imprevedibile, contestatore di tutto, innovatore in tutto,<br />
intollerante di regole e di maestri, impulsivo, irruente, appas-<br />
sionato, genuino, viscerale, esorbitante, smodato, insolente,<br />
chiassoso, a volte burlone, spassoso, bizzarro, strambo, a volte<br />
malinconico, scontento, inquieto, angosciato. Un grande<br />
poeta rimasto sempre adolescente e dunque adattissimo <strong>per</strong><br />
adolescenti, come lui sfacciati e vulnerabili, sguaiati e insicuri,<br />
fragorosi e introversi.<br />
Un ragazzo turbolento<br />
Basta dare un’occhiata alla sua biografia. Un’infanzia inizialmente<br />
idillica. Nasce a Bagdadi, in Georgia, figlio di un<br />
ispettore forestale. È il 1893. Natura, animali, aria libera,<br />
«Carretti di uva. La pigiavano. Io la mangiavo. Loro la bevevano.<br />
Oltre il fossato foreste e sciacalli. Sopra le foreste monti».<br />
Scuola? Poca: «l’aritmetica mi sembrava inverosimile.<br />
Bisognava contare mele e <strong>per</strong>e e distribuirle ai ragazzi. Ma io<br />
ne avevo sempre ricevute e date senza contarle». Legge molto,<br />
sdraiato sotto un albero, con accanto i suoi cani: il primo<br />
libro, un raccontino da quattro soldi, «<strong>per</strong> fortuna il secon-<br />
do fu il Don Chisciotte. Quello sì era un libro! Mi feci una<br />
spada di legno, una corazza e menai colpi su tutto ciò che mi<br />
stava intorno». E guarda il cielo: «la sera – ricorda la sorella<br />
– steso con la schiena <strong>per</strong> terra, esaminava le stelle, studiando<br />
le costellazioni su una carta trovata in un giornale». S’iscrive<br />
al ginnasio: è bravo, tutti dieci. Ma arriva il 1905: Majakovskij<br />
ha dodici anni. Scio<strong>per</strong>i, volantini, parole d’ordine,<br />
slogan in versi. «Era la rivoluzione. Era la poesia. Poesia<br />
e rivoluzione si associarono nella mia testa. Smisi di studiare.<br />
Piovvero le insufficienze. Passai in quarta solo <strong>per</strong>ché<br />
mi avevano spaccato la testa con un sasso durante una rissa.<br />
Ci furono manifestazioni e comizi. Andai anch’io. Stupendo.<br />
Percezioni pittoriche: in nero gli anarchici, in rosso i rivoluzionari,<br />
in azzurro i liberali». Majakovskij è anche un<br />
artista: la sua passione <strong>per</strong> la pittura matura mescolandosi<br />
ai cortei. Diventa anche lui rivoluzionario: s’informa, anche<br />
se molte cose non le capisce, ruba i fucili al padre <strong>per</strong> portarli<br />
al comitato. Nell’ottobre del 1905 le scuole chiudono, viene<br />
proclamato lo stato d’assedio. Il dodicenne è <strong>per</strong> le strade,<br />
partecipa a ogni manifestazione. Nel 1906 muore il padre:<br />
«si punse un dito: setticemia. Da allora odio gli spilli».<br />
Comincia la povertà: «in casa non c’erano soldi, fui costretto<br />
a fare incisioni, a dipingere uova di Pasqua. Le vendevo a<br />
una bottega, dieci-quindici copeche al pezzo». Poco interesse<br />
<strong>per</strong> la letteratura: ma <strong>per</strong> il marxismo sì. «Nessuna o<strong>per</strong>a<br />
d’arte mi appassionava quanto la Prefazione di Marx». Si<br />
iscrive al partito bolscevico, lascia il ginnasio e comincia una<br />
vera attività di propaganda. «Andai tra fornai, calzolai, tipografi».<br />
Subito il primo arresto: la polizia gli trova addosso<br />
settanta proclami e altrettanti giornaletti rivoluzionari.<br />
«Inghiottii un taccuino con indirizzi, rilegatura compresa».<br />
A quindici anni è in galera. Rilasciato dietro cauzione,<br />
viene arrestato di nuovo pochi mesi dopo. Questa volta undici<br />
mesi di carcere. Legge come un pazzo tutto ciò che gli<br />
capita, classici e contemporanei, Tolstoj, Byron, Shakespeare,<br />
Belyj, Balmont. Esce e si pone la domanda: che fare? «Se<br />
rimango nel partito devo fare il clandestino. Prospettiva: redigere<br />
<strong>per</strong> tutta la vita manifestini, esporre idee prese da libri<br />
giusti ma non inventati da me. La rivoluzione non esige
forse che io frequenti una scuola seria? Interruppi il lavoro di<br />
partito. Mi misi a studiare». Anche se la polizia non lo <strong>per</strong>de<br />
di vista, Majakovskij entra nell’Istituto di Pittura, Scultura<br />
e Architettura. Ha diciotto anni: l’età dei ragazzi di Martinelli.<br />
Comincia la sua storia di artista e poeta, che conosciamo.<br />
A scoprire la sua vena poetica è un compagno di corso,<br />
Burljuk. «Di giorno mi venne fuori una poesia. Meglio, dei<br />
frammenti. Mediocri. Notte. Li lessi a Burljuk. Soggiunsi:<br />
sono di un amico. Lui si fermò. Mi diede un’occhiata. Ruggì:<br />
“Ma questi li hai scritti tu! Sei un poeta geniale!” L’uso<br />
di quell’aggettivo grandioso e immeritato mi rallegrò. Sprofondai<br />
tutto nei versi. Quella notte, in modo assolutamente<br />
inatteso, diventai poeta».<br />
Bluse gialle e calzoni neri<br />
«Mi cucirò calzoni neri / col velluto della mia voce / e una<br />
blusa gialla con tre metri di tramonto». La poesia giovanile<br />
di Majakovskij, scritta alla stessa età dei ragazzi di Martinelli,<br />
è immediata e inattesa, è spontanea e sconcertante:<br />
in bocca ai diciottenni di oggi sembra trovare il tono giusto,<br />
acquista l’entusiasmo, la violenza, la fantasia, la stravaganza<br />
che sulla pagina qualche volta non ha. Gridati da duecento<br />
Vladimir Majakovskij.<br />
voci acerbe e stentoree, i versi sembrano ancora più intensi e<br />
ispirati «Ascoltate! / Se le stelle si accendono / vuol dire che<br />
qualcuno ne ha bisogno? Significa che qualcuno vuole che ci<br />
siano?». Il mondo poetico di Majakovskij è magnificamente<br />
immaginifico, così come lo sono certe assurde battute degli<br />
adolescenti di oggi, basta leggere l’elenco dei <strong>per</strong>sonaggi<br />
del suo primo lavoro teatrale, Vladimir Majakovskij tragedia,<br />
scritto a vent’anni: Il vecchio coi gatti neri secchi con parecchie<br />
migliaia di anni, L’uomo senza un occhio e senza una<br />
gamba, L’uomo con due baci, La donna con una lacrimona e<br />
via. Anche il suo primo poema, La nuvola con le braghe, scritto<br />
a ventidue anni, ha la stessa sfrenata inventiva, la stessa arroganza,<br />
la stessa insofferenza: «Il vostro pensiero, / che nel<br />
cervello rammollito fantastica, / come un grasso leccapiedi<br />
sopra un unto sofà, / stuzzicherò<br />
sullo straccio sanguinante<br />
del cuore; / mordace<br />
e sfrontato, lo schernirò<br />
fino alla noia! / Nell’anima<br />
non ho un capello bianco,<br />
/ e nemmeno senile tenerezza!<br />
/ Tutto il mondo<br />
rintrona con la forza della<br />
mia voce: / cammino, bello<br />
/ con i miei ventidue anni».<br />
Prepotenti e impetuosi,<br />
scattanti e sfrenati, i versi<br />
di Majakovskij, quando un<br />
manipolo di ragazzi se ne<br />
impossessa, possono diventare<br />
gioco, lotta, sfida ma<br />
anche inquietudine, malinconia,<br />
sofferenza. Quello<br />
che ci vuole a diciott’anni:<br />
dire ad alta voce che il<br />
mondo dei grandi è una noia<br />
e va cambiato, che la vita<br />
è allegra e fare i compiti una<br />
palla mai vista, che la fantasia<br />
può tutto e non bisogna<br />
deprimersi. «Ci sarà la luna.<br />
/ Ce ne sta / già un po’. /<br />
È Dio, probabilmente, / che<br />
con un meraviglioso / cucchiaio<br />
d’argento / rimesta<br />
la zuppa di pesce delle stelle».<br />
Dio e la zuppa di stelle:<br />
la lingua di Majakovskij<br />
non è mai astratta, procede<br />
a scatti, esplode in metafore<br />
mozzafiato, si burla della<br />
logica, affonda nella vita<br />
di tutti i giorni, vuole contemporaneità<br />
a tutti i costi,<br />
chiede di essere sempre rinnovata,<br />
e fa bene chi inventa<br />
un modo di riscrivere Majakovskij<br />
<strong>per</strong> il ventunesimo secolo. I diciottenne di Martinelli<br />
lo hanno fatto splendidamente: hanno capito che la poesia<br />
è anche divertimento, energia, invenzione, hanno imparato<br />
a far propria l’impazienza, la vitalità, l’impeto di un loro coetaneo<br />
nato e vissuto cent’anni fa, come loro pronto a gridare<br />
a piena voce no! di fronte a un mondo che opprime e spegne,<br />
che detta regole e pone divieti. Finalmente Majakovskij<br />
è tornato <strong>per</strong> un attimo, a Santarcangelo e a Marghera, a essere<br />
quello che avrebbe sempre voluto: un poeta giovane che<br />
scrive <strong>per</strong> i giovani. ◼<br />
focus on — Le Es<strong>per</strong>ienze di Giovani a Teatro 13
14<br />
focus on — Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
Un esplodere<br />
di energie fantastiche<br />
di Renato Palazzi<br />
Un’eloquente testimonianza degli spostamenti,<br />
delle mutazioni che sono in atto nel<br />
teatro italiano del nostro tempo ci viene offerta<br />
dal singolare caso di Marco Martinelli e delle<br />
sue es<strong>per</strong>ienze di «non scuola», un fenomeno che sembra<br />
scontato ma che scontato non è affatto, e che anzi suggerisce<br />
alcuni spunti di riflessione. Martinelli, lo sappiamo, è un<br />
regista importante, uno dei più importanti della nostra scena.<br />
Da anni allestisce spettacoli di alto livello con un’ottima<br />
compagnia come quella del Teatro delle Albe, con un’attrice<br />
straordinaria come Ermanna Montanari: eppure lui sembra<br />
sempre più identificarsi con questi grandi laboratori che<br />
va tenendo con adolescenti di tutto il mondo.<br />
Non voglio dire, con questo, che in essi Marco dia il meglio<br />
di sé, <strong>per</strong>ché sarebbe ingeneroso rispetto al resto della sua attività<br />
creativa: ma certo è lì che esprime un’autentica statu-<br />
ra di maestro, un’immediata capacità di trasformare l’azione<br />
pedagogica in risultato artistico. Ed è lì che lascia un segno<br />
molto forte e <strong>per</strong>sonale, l’impronta di un metodo d’intervento<br />
davvero unico: non a caso Eresia della felicità, il ciclo<br />
di lavoro sulle poesie di Majakovskij tenuto l’estate scorsa<br />
a Santarcangelo con duecento ragazzi di varie lingue e nazionalità,<br />
è stato fra gli avvenimenti più emozionanti dell’intero<br />
festival. Non a caso questo effetto trascinante si è ripetuto<br />
nella tappa veneziana del progetto.<br />
Vedere Martinelli all’o<strong>per</strong>a in simili circostanze è di <strong>per</strong> sé<br />
uno spettacolo: non ho mai incontrato nessuno capace come<br />
lui di trasmettere fisicamente la propria energia e una determinazione<br />
quasi primordiale a tutti quelli che gli stanno intorno.<br />
Sembra uno sciamano capace di scatenare oscure forze<br />
collettive, che tuttavia lui controlla e riesce, chissà come, a<br />
indirizzare verso un esito stabilito. Nella sua misteriosa empatia<br />
col gruppo al quale si rivolge, lo plasma e lo modella a<br />
propria immagine. Trova sempre le parole <strong>per</strong> convincerlo<br />
che ogni volto è distinguibile nella massa, che ogni individualità<br />
è valorizzata – e non annullata – dal coro. Fa sentire<br />
ciascuno come parte di un unico organismo.<br />
È chiaro che <strong>per</strong> lui l’evento scenico non è una forma chiusa,<br />
ma un esplodere di energie fantastiche finalizzato all’acquisizione<br />
di una disciplina, di una diversa facoltà di agire<br />
gli uni con gli altri e di o<strong>per</strong>are tutti insieme fianco a fianco,<br />
che è il solo vero obiettivo della «non scuola»: ma tutto questo<br />
evidentemente non ha nulla a che fare con la didattica o<br />
con la cosiddetta animazione, tutto questo non appartiene al<br />
mero passaggio di un sa<strong>per</strong>e, ma a una radicata filosofia del<br />
teatro come spontaneità incanalata, condotta a un severo<br />
ordine etico ed estetico: e infatti gli autori affrontati, da Jarry<br />
ad Aristofane al giovane Majakovskij, sembrano gli ideali<br />
compagni di viaggio in un <strong>per</strong>corso del genere.<br />
Ma, di fatto, questa sua scelta di dividersi idealmente tra il<br />
palco e l’arena, tra gli interpreti professionisti e i ragazzi scatenati<br />
trascende a mio avviso la prospettiva soggettiva di un<br />
artista, e diventa l’emblema di un teatro che non vuole o non<br />
può più stare nella propria pelle. L’osservazione non suoni limitante:<br />
ma mi pare che questa sia l’ennesima riprova di una<br />
fase storica in cui si tende sempre più a su<strong>per</strong>are la mera logica<br />
della rappresentazione, della regia come raffinato teorema<br />
critico e criptico, <strong>per</strong> cercare delle più acri contaminazioni<br />
con le correnti sotterranee della società, coi suoi umori, con<br />
le sue tensioni<br />
quotidiane.<br />
Non è solo<br />
questione di<br />
carcerati, di disabili<br />
psichici,<br />
di emarginati,<br />
di ghetti, di <strong>per</strong>iferie:<br />
è che il<br />
teatro, oggi, va<br />
sempre più rinunciando<br />
agli<br />
apparati esteriori,<br />
agli artifici<br />
della finzione,<br />
alle macchinerie,<br />
agli orpelli.<br />
Non intende<br />
più essere<br />
un esercizio<br />
di stile, una puraincarnazione<br />
del bello, ma<br />
cerca una necessità,<br />
cerca una legittimazione al proprio esistere in altre direzioni<br />
meno legate alle apparenze e più immerse nella concretezza<br />
delle cose. Tenta di sostituire gli spalti di Elsinore coi<br />
capannoni dell’Ikea. Esce da stesso, non <strong>per</strong> negarsi ma <strong>per</strong><br />
trovare nuova linfa nel contatto con le pulsioni e le contraddizioni<br />
del reale: o si cala totalmente nella complessità della<br />
vita o non ha senso.<br />
È questo che Martinelli ci comunica con l’Eresia della felicità<br />
a <strong>Venezia</strong>: è inutile provare a fare di Majakovskij ciò che<br />
Majakoskij non può più essere. Se oggi vuoi misurarti col suo<br />
Mistero buffo, non puoi ingessarlo con scene e costumi, non<br />
puoi ingabbiarlo in un allestimento compiuto. Puoi soltanto<br />
far sì che venga smembrato e assimilato dagli allievi delle<br />
scuole di Marghera, <strong>per</strong>ché è l’unico modo in cui il poeta<br />
della rivoluzione torni a essere vivo e attuale. Devi riportarlo<br />
alla sua sfrontatezza originaria, fuori da schemi e convenzioni:<br />
e infatti, sia a <strong>Venezia</strong> che a Santarcangelo, a dargli le voci<br />
più grintose e <strong>per</strong>entorie erano delle bimbette piccole, dall’aspetto<br />
ingannevolmente fragile e acerbo, ma di fatto le meno<br />
frenate da pudori o esitazioni. ◼
Un dispositivo teatrale<br />
«eretico» e universale<br />
di Fernando Marchiori<br />
Quando, <strong>per</strong> spiegare l’essenza pedagogica<br />
della sua «non scuola», Marco Martinelli parla<br />
della necessità che il maestro si faccia discepolo<br />
e ricorda le parole di Kierkegaard – «L’insegnamento<br />
comincia quando tu, maestro, impari<br />
dal discepolo, quando ti trasferisci in ciò che ha compreso,<br />
e nel mondo in cui ha compreso» —, sembra ravvivare,<br />
incrociandole, due direttrici culturali oggi più citate che praticate.<br />
Da una parte la tradizione educativa della relazione e<br />
della coo<strong>per</strong>azione – da Freinet a Capitini, da Malaguzzi a<br />
Lodi – che ha motivato l’o<strong>per</strong>are nella scuola di generazioni<br />
di insegnanti e che andrebbe rimessa criticamente in circolo<br />
nel nostro spaesato sistema scolastico. Dall’altra la pratica<br />
teatrale che si fa ascolto e liberazione del potenziale attorale<br />
come una «seconda nascita», <strong>per</strong> citare Grotowski, condivisa<br />
da attore e regista. La messa a fuoco della questione pedagogica,<br />
vero<br />
motivo politico<br />
sotteso a tutta<br />
la lunga es<strong>per</strong>ienzainternazionale<br />
della<br />
«non scuola»<br />
promossa dalle<br />
Albe di Ravenna,<br />
avviene<br />
proprio attraverso<br />
l’offerta<br />
(e dunque anche<br />
la verifica<br />
sul campo) di<br />
un dispositivo<br />
teatrale «eretico»<br />
e universale<br />
a un flusso di<br />
energie incontenibili<br />
in qualsivogliaortodossia.<br />
Il dispositivo<br />
è quello<br />
del gioco, dell<br />
’«a morevole<br />
massacro della<br />
tradizione»,<br />
della «resurrezione dei testi» dopo averli fatti a pezzi; le<br />
energie sono quelle degli adolescenti, con la loro passione e la<br />
loro insoddisfazione, la loro voglia di divertirsi e la loro radicalità.<br />
La differente provenienza socio-culturale dei partecipanti<br />
è un ulteriore elemento propulsore di tensioni e attrazioni<br />
contrastanti. A <strong>Venezia</strong>, dove la «non scuola» ha o<strong>per</strong>ato<br />
<strong>per</strong> sei mesi (dall’ottobre 2011 allo scorso marzo), sono<br />
stati coinvolti studenti di un istituto tecnico-professionale<br />
della <strong>per</strong>iferia e un liceo classico del centro storico. Che<br />
vuol dire, in una realtà metropolitana sui generis come quella<br />
veneziana, mettere in gioco anche gli attriti tra terraferma<br />
e città lagunare, tra quartieri popolari a forte immigrazione<br />
e urbanità più o meno borghese. Delimitato in tal modo<br />
lo spazio degli scontri e degli incontri, il lavoro procede delicatamente<br />
nella creazione di una drammaturgia che strutturi,<br />
senza soffocarli, quei puri moti fisici che scaturiscono<br />
dall’improvvisazione. Ad accogliere poi i sentimenti, riconoscendoli<br />
come impulsi teatrali, intervengono, dove serve,<br />
gli innesti testuali d’autore. Come l’estate scorsa al festival di<br />
Santarcangelo, <strong>per</strong> l’«affresco "non scuola"» intitolato Eresia<br />
della felicità a <strong>Venezia</strong> Martinelli ha usato il pigmento<br />
letterario di Majakovskij, lavorando questa volta sul Mistero<br />
buffo. Lo schema è semplice e consente di dividere in due<br />
grandi gruppi i ragazzi, tutti con la maglietta gialla e gli stivali<br />
di gomma, e di farli agire in dialoghi plastici e in movimenti<br />
di massa. Dopo un diluvio, i pochi su<strong>per</strong>stiti raggiungono<br />
l’unico punto asciutto, nel quale i «puri» (aristocratici<br />
e alto-borghesi) e gli «impuri» (i lavoratori) interrompono<br />
i dissidi di classe <strong>per</strong> costruire un’arca che attraverserà l’inferno<br />
e il paradiso, approdando infine alla società del futuro.<br />
Ma naturalmente i «puri» smarriscono la strada, mentre<br />
gli «impuri» giungono all’utopia comunista. Ci vuole tutto<br />
il coraggio di Martinelli <strong>per</strong> mettersi a lavorare <strong>per</strong> mesi con<br />
dei ragazzi su una commedia che finisce con l’inno trionfale<br />
della rivoluzione proletaria. Ma qui viene il bello. Rimossa<br />
la coda ideologica, l’unica così storicamente connotata da risultare<br />
anacronistica, il regista (ma a monte c’è l’intuizione<br />
di Ermanna Montanari) ha rianimato il corpo ancora pulsante<br />
del Mistero buffo con una conclusione sorprendente e a<br />
tratti <strong>per</strong>sino commovente <strong>per</strong> il pubblico che affollava il teatro<br />
Aurora di Marghera e il teatro Goldoni nel centro storico<br />
<strong>per</strong> i due appuntamenti di presentazione degli esiti del laboratorio.<br />
I ragazzi, che prima avevano travolto il palcoscenico<br />
fino a esondare in platea, si sono raccolti nelle file ordinate<br />
di un coro che ha declamato le poesie giovanili di Majakovskij.<br />
Cantati, gridati, ripetuti – raffiche di bellezza capaci<br />
di spezzare il ghiaccio della disillusione – i versi dell’adolescente<br />
ribelle hanno ravvivato la fiamma dell’insoddisfazione,<br />
della sfida, dello slancio a cambiare il mondo: «Ascoltate!/Se<br />
accendono le stelle/significa che qualcuno ne ha bisogno/significa<br />
che qualcuno vuole che ci siano/significa che<br />
qualcuno chiama <strong>per</strong>le/questi piccoli sputi». ◼<br />
focus on — Le Es<strong>per</strong>ienze di Giovani a Teatro 15
16<br />
focus on — Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
Racconti «eretici»<br />
In queste due pagine sono riunite le testimonianze di alcuni<br />
tra i ragazzi coinvolti nell’avventura di Eresia della<br />
felicità a <strong>Venezia</strong>. Il testo che segue è stato scritto da una<br />
studentessa del Marco Polo di <strong>Venezia</strong>, mentre le dichiarazioni<br />
della pagina a fronte sono degli allievi dell’Istituto Volta<br />
di Asseggiano.<br />
Maria Elisabetta Fabris<br />
«Ti interesserebbe fare un’es<strong>per</strong>ienza teatrale?» ha chiesto<br />
una nostra compagna quando ha sco<strong>per</strong>to che c’era la possibilità<br />
di partecipare a questa attività. E alcuni di noi hanno<br />
detto che sì, certo, erano interessati. Da quel giorno è iniziata<br />
<strong>per</strong> tutti un’avventura bellissima, e già dal primo incontro ci<br />
siamo resi conto che stavamo iniziando qualcosa di speciale.<br />
A scuola ci si conosce un po’ tutti, è vero, ma quel primo martedì<br />
ci siamo presentati in venti o trenta, nessuno in grande<br />
confidenza con gli altri, e dopo dieci minuti ci siamo ritrovati<br />
a fare le boccacce in faccia agli altri e ad esercitare la voce<br />
con una canzone che ci sembrava difficilissima!<br />
Piano piano (ma neanche troppo piano, in cinque mesi!)<br />
abbiamo creato un vero e proprio spettacolo. Marco, Roberto<br />
e Laura, le nostre adorate guide, ci hanno fatto fare di tutto:<br />
improvvisare una scenetta in mezz’ora, fare i versi degli<br />
animali, insultarci a comando e ridere e piangere e tante altre<br />
cose, hanno cancellato ogni traccia di imbarazzo dai nostri<br />
volti man mano che ci incontravamo <strong>per</strong> le prove, e più<br />
tempo passava più ci divertivamo, e più ci rendevamo conto<br />
che non era semplicemente un gioco, o qualcosa da fare al pomeriggio<br />
al posto di studiare, ma che stavamo impegnandoci<br />
in qualcosa di grande, che ci avrebbe cambiati tutti. Poi, magicamente,<br />
lo spettacolo vero e proprio ha cominciato ad acquisire<br />
la sua forma: «dividetevi in due gruppi, chi vuole fare<br />
il nobile vada da un lato, chi vuole fare il povero vada dall’altro!»,<br />
questa è la frase che ha dato in via alla nostra fantasia e<br />
al nostro lavoro sull’o<strong>per</strong>a di Majakovskij, Mistero Buffo. La<br />
cosa più entusiasmante è stata, secondo me, poter inventare<br />
e avere delle <strong>per</strong>sone pronte ad ascoltare le tue idee, ad aiutarti<br />
nel comprendere quali sono le cose migliori da fare senza<br />
mai importi una loro decisione. Quello che abbiamo portato<br />
sulla scena è una creatura che ha solo lo scheletro dato<br />
da Majakovskij, ma tutto il resto l’abbiamo inventato noi assieme<br />
a Marco, Roberto e Laura. Ognuno ha dato il suo contributo,<br />
e nello spettacolo, a guardar bene, emerge il carattere<br />
di ognuno di noi!<br />
Importantissima <strong>per</strong> noi è stata l’unione con i ragazzi del<br />
Volta, <strong>per</strong>chè conoscere delle altre <strong>per</strong>sone e lavorare insieme<br />
a loro ci ha spinti a dare il massimo, a non voler mollare<br />
<strong>per</strong>chè nessuno voleva assolutamente rovinare il lavoro degli<br />
altri. E poi con loro è nata davvero un’amicizia, conoscerli è<br />
stato l’ennesimo regalo che quest’es<strong>per</strong>ienza ci ha fatto. Da<br />
quando abbiamo cominciato a lavorare anche con loro, una<br />
nuova ventata di allegria è entrata nei nostri pomeriggi di<br />
prove al Teatro Aurora di Marghera.<br />
Il giorno del debutto merita di essere raccontato: durante<br />
le prove del pomeriggio il clima era decisamente diverso, lo<br />
spensierato divertimento cedeva<br />
sotto i colpi dell’agitazione<br />
e nessuno riusciva a stare<br />
fermo, tutti si stavano impegnando<br />
come non mai nel<br />
dare la giusta intonazione, il<br />
giusto ritmo alle proprie battute,<br />
tutti si rendevano conto<br />
insomma che si era in tanti,<br />
ma che ciascuno aveva una responsabilità<br />
enorme nei confronti<br />
degli altri. Le mezz’ore<br />
scorrevano veloci e a un tratto<br />
mancavano pochi minuti, e<br />
nonostante gli abbracci e i riti<br />
e gli incoraggiamenti tutti<br />
si muovevano nervosi. Nell’istante<br />
prima di entrare in scena<br />
la tensione ci aveva quasi<br />
divorati del tutto, ma poi abbiamo<br />
messo piede nel teatro,<br />
e a quel punto non ci si poteva<br />
più tirare indietro. E al Teatro<br />
Goldoni, anche se era la<br />
seconda rappresentazione, gli<br />
istanti prima di entrare in scena<br />
sono stati tutt’altro che rilassati,<br />
ma entrambe le volte<br />
abbiamo dato il massimo sul palco, e questo grazie all’impegno<br />
di tutti noi e delle nostre fantastiche guide!<br />
Ora che tutto questo è finito, nessuno riesce a togliersi dalla<br />
testa i cinque mesi passati insieme, nessuno immagina di<br />
abbandonare il teatro, nessuno vuole che quest’amicizia tra<br />
Marco Polo e Volta si spenga. Quello che ci è rimasto dentro<br />
è la forza di ciò che abbiamo fatto insieme, la consapevolezza<br />
che il merito è stato di tutti. Ci mancano tantissimo Marco,<br />
Roberto e Laura e troveremo mille modi <strong>per</strong> seguirli nel loro<br />
lavoro e <strong>per</strong> imparare ancora tanto da loro. E quella canzone<br />
che ci sembrava così difficile, quella con cui riscaldavamo<br />
la voce, ora la cantiamo con un tocco di nostalgia nel cuore.<br />
Jennifer Bernardini<br />
«Nel gruppo creato non c’era invidia né malignità, si era instaurata<br />
prima di tutto una vera amicizia tra noi ragazzi e co-
loro che ci hanno aiutato a creare lo spettacolo. La cosa più<br />
bella era il senso di quella rappresentazione: non esistono distinzioni<br />
dovute al ceto sociale, <strong>per</strong>ché alla fine siamo tutti<br />
fatti allo stesso modo. Noi ne eravamo la prova vivente: pur<br />
provenendo da un liceo classico a da una scuola professionale<br />
e <strong>per</strong>sino da una scuola media, tra noi non c’era nessuna differenza,<br />
eravamo tutti ragazzi con la voglia di realizzare un<br />
unico grande spettacolo, l’eresia della felicità!»<br />
Vayit Durak<br />
«Inizialmente avevo intenzione di partecipare ad un solo incontro,<br />
giusto <strong>per</strong> provare. Appena ho saputo che noi stessi<br />
eravamo protagonisti, creatori delle battute da recitare sul<br />
palcoscenico, ho invece deciso di frequentare assiduamente<br />
il progetto “non scuola”. Anche se battute e scene erano decise<br />
da noi, c’è sempre stato il “tocco magico” di Marco Martinelli<br />
e della sua équipe. Il giorno dello spettacolo, il guardare<br />
da dietro le quinte faceva venire ansia, paura, e sentimenti<br />
strani che non avevo mai provato. Lo spettacolo è stato splendido.<br />
Recitando volevo far vedere<br />
agli spettatori chi sono io<br />
veramente, mi sono reso conto<br />
che fare teatro è divertente<br />
e non me lo aspettavo <strong>per</strong>ché<br />
le rare volte che ci ero stato mi<br />
ero annoiato a morte.»<br />
Andrei Pasecinic<br />
«Ho apprezzato moltissimo<br />
l’es<strong>per</strong>ienza che ci ha regalato<br />
Marco, avere il coraggio di salire<br />
sul palcoscenico, di regalare<br />
emozioni agli spettatori,<br />
di diventare protagonisti della<br />
propria vita…»<br />
Dan Iachimovschi<br />
«Inizialmente non ero interessato<br />
e me ne sono andato<br />
dopo mezz’ora di incontro.<br />
Più avanti ho deciso di partecipare<br />
in quanto c’erano i miei<br />
amici e dentro di me comunque<br />
bolliva una forte curiosità; così mentre fuori scendeva<br />
una “pioggerellina sottile, sottile” che rendeva la nostra attenzione<br />
massima, sono rimasto affascinato da quel modo<br />
unico di fare teatro. A poco a poco la distanza che si <strong>per</strong>cepiva<br />
con gli studenti del liceo Marco Polo diventava sempre<br />
più piccola. Ci sentivamo degli “Eretici” con grande rispetto<br />
dell’individualità propria e altrui, condividendo nei nostri<br />
cuori la fatica di accettare le scelte degli altri. Eravamo tutti<br />
uguali nel sentirci non più solo studenti presi e lasciati al<br />
suono della campanella, ma dei veri protagonisti esaltati dalla<br />
potenza delle nostre battute. La sera del debutto dopo riti<br />
propiziatori e canti presi dall’Orlando innamorato, sulle note<br />
dell’Internazionale in fila come soldati salivamo sul palco<br />
fissando il pubblico che catturava la nostra infinita energia.<br />
Alla fine dello spettacolo, ognuno di noi aveva un grazie<br />
dipinto sul proprio volto. Gli ioni positivi li <strong>per</strong>cepivi nell’aria<br />
e portavano felicità, benessere psicologico e armonia. Ho<br />
appreso una nuova coscienza di me e degli altri, il rispetto at-<br />
traverso l’es<strong>per</strong>ienza vissuta, interiorizzata dentro di me. Noi<br />
siamo gli “eretici” di un mondo nuovo, libero e cristallino.<br />
“C’è forse qualcuno qui che non è contento di gridare Majakovskij<br />
bravo, Majakovskij bellissimo”?»<br />
Kevin Saitovski<br />
«Eravamo tutti diversi eppure tutti uguali nell’esserci sentiti<br />
non più solo studenti, ma protagonisti. Questo progetto<br />
è stato <strong>per</strong> me non solo una bella es<strong>per</strong>ienza da condividere<br />
con gli amici, ma anche una formazione alla convivenza e alla<br />
collaborazione tra <strong>per</strong>sone diverse.»<br />
Jiko Bhuiyan<br />
«Personalmente lo scopo della mia partecipazione al progetto<br />
era ottenere crediti formativi. Quando <strong>per</strong>ò ho iniziato<br />
quest’es<strong>per</strong>ienza è cambiato tutto: “non era il solito teatro”.<br />
Abbiamo deciso di rappresentare il pensiero del giova-<br />
ne Majakovskij che è quello di “cambiare, rinnovare e sentirsi<br />
liberi”, e noi ci siamo sentiti liberi. Noi, eretici della felicità,<br />
lo abbiamo fatto. “Ascoltate! Se si accendono le stelle<br />
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno, vuol dire che qualcuno<br />
vuole che ci siano…”: questa poesia, dello stesso Majakovskij,<br />
mi ha trasmesso un’emozione e una tale vitalità che<br />
quando ero sul palcoscenico chiudevo gli occhi. Abbiamo<br />
chiuso lo spettacolo con il “Ballo di San Vito”, e lo abbiamo<br />
fatto <strong>per</strong>ché l’uomo ha una cosa chiamata “ego”, e io penso<br />
che questa sia la malattia più <strong>per</strong>icolosa che lo affligge. Noi<br />
abbiamo tentato di metterlo da parte, facendo capire al pubblico<br />
che tutto è possibile. Non credevo di essere in grado di<br />
trasmettere emozioni così forti e non riesco ancora a crederci.<br />
Il giorno dopo ho realizzato che tutto era finito, mi veniva<br />
da piangere, ma “io non voglio darvi l’addio, solo dirvi arrivederci<br />
ragazzi!”.» ◼<br />
focus on — Le Es<strong>per</strong>ienze di Giovani a Teatro 17
80<br />
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Anno IX - maggio / giugno 2012 - n. <strong>46</strong> - bimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. <strong>46</strong>) art. 1, comma 1, DCB PD - ISSN 1971-8241<br />
Eresia della felicità a <strong>Venezia</strong><br />
La «Carmen» di Bizet torna alla Fenice<br />
la critica oggi<br />
(parte terza)<br />
• Giorgio Baldo (p. 63) – Direttore del Museo<br />
del Paesaggio di Torre di Mosto<br />
• Anna Barina (p. 27) – Musicologa<br />
•Eugenio Bernardi (pp. 57-59) – già Ordinario<br />
di Letteratura Tedesca all’Università Ca’<br />
Foscari di <strong>Venezia</strong><br />
• Gualtiero Bertelli (pp. 48-49) – Cantautore<br />
• Maria Ida Biggi (pp. 52-53) – Direttore del<br />
Centro Studi <strong>per</strong> la Ricerca Documentale sul<br />
Teatro e il Melodramma europeo<br />
• Giampiero Cane (p. 79) – Critico musicale<br />
• Alberto Castelli (p. 25 e p. 33) – Musicologo<br />
• Luigi Collarile (p. 28) – Université de<br />
Fribourg<br />
• Paolo Da Col (p. 29) – Conservatorio di<br />
Musica «Giuseppe Tartini» di Trieste<br />
• Enzo Di Martino (pp. 60-61) – Critico d’arte<br />
• Vitale Fano (p. 22) – Musicologo (Università<br />
di Padova)<br />
• Angela Forin (p. 26 e p. 27) – Musicologa<br />
• Giuliano Gargano (p. 47) – Giornalista<br />
Anno IX - marzo / aprile 2012 - n. 45 - bimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. <strong>46</strong>) art. 1, comma 1, DCB PD - ISSN 1971-8241<br />
la critica oggi<br />
(parte seconda)<br />
Anno IX - gennaio / febbraio 2012 - n. 44 - bimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. <strong>46</strong>) art. 1, comma 1, DCB PD - ISSN 1971-8241<br />
la «lou salomé»<br />
di giuseppe sinopoli<br />
gli artisti<br />
e la critica<br />
Le collaborazioni di questo numero<br />
• Tommaso Gastaldi (p. 44 e p. <strong>46</strong>) –<br />
Giornalista freelance<br />
• Giuseppina La Face Bianconi (p. 76) –<br />
Università di Bologna<br />
• Roberto Magnani (p. 10) – Attore e guida<br />
della «non scuola» del Teatro delle Albe<br />
• Fausto Malcovati (pp. 12-13) – Università di<br />
Milano<br />
• Fernando Marchiori (p. 15) – Scrittore –<br />
Critico teatrale<br />
• Massimo Marino (p. 51) – Critico teatrale<br />
• Andrea Oddone Martin (p. 24) – Critico<br />
musicale<br />
• Mario Messinis (pp. 72-73) – Critico musicale<br />
• Guido Michelone (p. 45) –Università<br />
Cattolica del Sacro Cuore di Milano –<br />
Conservatorio di Musica «Antonio Vivaldi»<br />
di Alessandria – Critico musicale<br />
• Letizia Michielon (p. 69) – Musicista –<br />
Critico musicale<br />
• Renato Palazzi (p. 14) – Critico teatrale<br />
Anno VIII - novembre / dicembre 2011 - n. 43 - bimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. <strong>46</strong>) art. 1, comma 1, DCB PD - ISSN 1971-8241<br />
Anno VIII - settembre / ottobre 2011 - n. 42 - bimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. <strong>46</strong>) art. 1, comma 1, DCB PD - ISSN 1971-8241<br />
• Cristina Palumbo (p. 7) – ideazione e<br />
coordinamento <strong>per</strong>forming arts <strong>Euterpe</strong><br />
<strong>Venezia</strong>-Fondazione di <strong>Venezia</strong> – curatrice<br />
programmi artistici Echidna / Paesaggio<br />
Culturale<br />
• Jacopo Pellegrini (p. 71) – Critico musicale<br />
• Gianandrea Piccioli (pp. 41-42) – Consulente<br />
editoriale<br />
• Paolo Pinamonti (p. 31) – Università Ca’<br />
Foscari di <strong>Venezia</strong><br />
• Laura Redaelli (p. 11) – Attrice e guida della<br />
«non scuola» del Teatro delle Albe<br />
• Eva Rico (p. 62) – Storica dell’arte<br />
• Veniero Rizzardi (p. 68) – Musicologo<br />
• Emilio Sala (pp. 18-19) – Università di Milano<br />
• Claudio Scimone (p. 30) – Direttore<br />
d’orchestra<br />
• Mirko Schipilliti (p. 23) – Musicista – Critico<br />
musicale<br />
• John Vignola (p. 43) – Critico musicale<br />
• Guido Zaccagnini (pp. 74-75) –<br />
Conservatorio di Perugia<br />
Anno VIII - luglio / agosto 2011 - n. 41 - bimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. <strong>46</strong>) art. 1, comma 1, DCB PD - ISSN 1971-8241