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Geocentro Magazine - numero 6 - novembre/dicembre 2009

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16<br />

ANNO I | n. 6 | NOVEMBRE - DICEMBRE <strong>2009</strong><br />

work si realizza quando l’informalità raggiunge livelli tali per<br />

cui ci si dimentica chi ha detto qualcosa o chi ha inventato<br />

qualcosa”. E’ una sorta di ping pong rapido. Contesti nei<br />

quali “non sono mai riuscito distaccare il momento creativo<br />

dell’architetto, da quello dell’ingegnere, del tecnico o<br />

del costruttore. Adesso, c’è un grande nuovo tema che ti<br />

costringe a lavorare insieme per cui il team work è diventato<br />

fondamentale. E’ il tema della sostenibilità, l’energia e il<br />

rapporto con l’ambiente e con il contesto dell’edificio”.<br />

“La Menil Collection a Huston è stato il primo caso in cui<br />

abbiamo lavorato sulla luce naturale che arriva su tutto l’edificio.<br />

Qui – ricorda Piano – veniva ancora Reyner Banham, un<br />

critico di architettura straordinario che scrisse ‘The architecture<br />

of well-tempered environment’, un libro sull’architettura della<br />

cose impalpabili. E questa è un’architettura fatta di luce, di<br />

trasparenza, di leggerezza: la luce di questo museo diventò un<br />

elemento importante del nostro lavoro”.<br />

"Parco della Musica" Auditorium, Roma<br />

L’aeroporto Kansai di Osaka. L’avventura e il lavorare con<br />

le persone<br />

“Questo è un lavoro di cui vado molto fiero e del quale<br />

parlo perché ha una dimensione completamente diversa.<br />

Quando costruimmo l’aeroporto era il più grande del<br />

mondo”. Un’opera realizzata su un’isola che prima non<br />

c’era. “Quando, prima di partire coi lavori, dissi che volevo<br />

andare sul luogo del cantiere - ricorda Piano - i giapponesi<br />

non capivano e non sapevano come spiegarmi che non<br />

c’era. Che non c’era niente. Noi, ovviamente, lo sapevamo<br />

e andammo lo stesso. Prendemmo la barca, ancorammo in<br />

mezzo al mare e ci mettemmo ad ascoltare. L’arte dell’ascolto<br />

di cui parlavo prima rispetto alle persone, esiste anche nei<br />

confronti dei luoghi. Perché i luoghi parlano, hanno storia.<br />

Anche se ci si trova in mezzo al mare”.<br />

Fare architettura significa lavorare con molte persone. “Ad<br />

un certo punto, in questo progetto, abbiamo lavorato con<br />

10.000 operai, un esercito. C’erano in campo due grandi<br />

imprese giapponesi ciascuna delle quali cominciò a lavorare<br />

da un estremo opposto con l’obiettivo di trovarsi al centro<br />

dopo un anno e mezzo. Ricordo che pensai, fra me e me,<br />

non ci riusciranno mai. E loro, invece, prima mi dissero<br />

il giorno preciso in cui l’avrebbero fatto. Poi lo fecero,<br />

trovandosi esattamente dove avevano detto”.<br />

“Si trattava di persone straordinarie e orgogliosissime.<br />

Ogni giorno lasciavano il cantiere, come se si aspettassero<br />

il terremoto. E nonostante in 38 mesi di cantiere abbiamo<br />

avuto ben 36 terremoti nessuno si è fatto male”. E tutto<br />

questo, aggiunge Piano, è significativo non perché è<br />

architettura, ma perché è “fare architettura”.<br />

L’auditorium di Roma. Quando la forma parte dal suono<br />

Dal Giappone a Roma, un salto geografico, a significare<br />

ancora una volta che “questo continuo spostarsi, muoversi<br />

per la terra, dà l’idea di come l’architettura sia un mestiere di<br />

avventura. Un mestiere in cui continui ad incrociare il tuo<br />

destino con persone che hanno dentro un’energia”. A Roma,<br />

ricorda Piano, “il rapporto con i musicisti come Claudio<br />

Abbado, Maurizio Pollini e tanti altri è stato straordinario”.<br />

Anche per affrontare uno fra gli aspetti determinanti del<br />

progetto, la scelta dell’acustica. “Guardate questa sala per<br />

2.780 persone. E’ una cassa armonica di legno e questi pezzi<br />

di legno sono tutti scolpiti. Qui si è partiti dal suono per<br />

dare forma all’involucro che lo accoglie”.<br />

La chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo e il rapporto<br />

con i materiali<br />

Un cantiere di pietra. “Un materiale straordinario.<br />

Una volta si scalpellava, adesso ci sono macchine digitali<br />

che la tagliano in modo preciso e ti consentono da fare cose<br />

eccezionali”. D’altra parte “l’architettura è fatta di materiali<br />

e il lavoro fatto sui materiali è molto importante perché<br />

il legno, la ceramica, la terra cotta, la pietra, sono antichi,<br />

quanto la Terra e vanno reinventati”.<br />

Berlino, Potsdamer Platz, 1991. Di fronte alla forza dei luoghi<br />

“Il luogo dove abbiamo costruito, Potsdamer Platz, era<br />

diventato un vuoto quando, nel ’61, con l’inizio della<br />

guerra fredda e la costruzione del muro venne fatta tabula<br />

rasa. Era vuoto e spaventoso, perché un luogo di grande<br />

sofferenza, che avrebbe potuto dire tante cose, era, invece,<br />

pieno solo di fantasmi”.<br />

Mancavano, rileva Renzo Piano, quelle “tracce del passato, che<br />

normalmente usi come fortunata presenza, che ti guidano,<br />

ti danno delle linee, una disciplina e sono importanti perché<br />

a quelle ti agganci per non restare completamente aperto”.<br />

Un foglio bianco fa paura. E a Potsdamer Platz c’era, al<br />

tempo stesso, “un foglio bianco, perché tutto era sparito”, ma<br />

anche e soprattutto, “un foglio intriso di dolore, di tensione.<br />

Un progetto molto drammatico”. Ed emblematico, visto<br />

che dei 5.000 operai impegnati sul cantiere solo 500 erano<br />

tedeschi e come fece notare a Piano l’amico e scrittore Mario<br />

Vargas Llosa, che all’epoca abitava a Berlino, “il luogo<br />

Moreno Maggi - Rpbw, Renzo Piano Building Workshop

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