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Diego Novelli Dopo circa quarant'anni, ricordo ancora la ... - ARPnet

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<strong>Diego</strong> <strong>Novelli</strong><br />

<strong>Dopo</strong> <strong>circa</strong> quarant’anni, <strong>ricordo</strong> <strong>ancora</strong> <strong>la</strong> durissima polemica che esplose in città e in Consiglio<br />

Comunale per <strong>la</strong> costruzione delle case di via Artom, erano state costruite per sanare una situazione<br />

abitativa alquanto drammatica.<br />

In quel periodo avevamo a Torino una specie di bidonville lungo il fiume Po e le casermette in<br />

Borgo San Paolo abitate per lo più da emigranti provenienti dal sud, dal veneto e dagli istriani, gli<br />

italiani profughi da quelle terre. I baraccati vivevano in casupole di cartone e <strong>la</strong>miere, che<br />

ricordavano le fave<strong>la</strong>s dell’America meridionale. Si trovavano sul<strong>la</strong> sponda sinistra del fiume Po e<br />

furono demolite in occasione del centenario dell’Unità d’Italia e del<strong>la</strong> creazione di Italia 61. Il<br />

Pa<strong>la</strong>zzo a Ve<strong>la</strong> era già presente, fu costruito il pa<strong>la</strong>zzo Nervi e, proprio dove c’erano le baracche<br />

nel<strong>la</strong> parte degradante verso il fiume, venne costruito il Vil<strong>la</strong>ggio delle Regioni 196: un’oasi verde<br />

con nel mezzo dei bassi fabbricati molto eleganti, che ospitavano le mostre delle singole regioni<br />

d’Italia.<br />

Un aneddoto curioso fu che nel corso dell’organizzazione degli eventi celebrativi, gli organizzatori,<br />

alquanto sprovveduti, scoprirono che all’interno dell’area c’era già il pa<strong>la</strong>zzo Ve<strong>la</strong>, costruito in<br />

precedenza per ospitare il salone del<strong>la</strong> moda. Si decise di utilizzarlo altrimenti sarebbe rimasto<br />

vuoto nel cuore dell’area. Achille Mario Dogliotti, un gran chirurgo di fama, Presidente del<br />

Comitato Torino 61, trasformato poi in Italia 61, stabilì su proposta di Pinin Farina che all’interno<br />

del pa<strong>la</strong>zzo si doveva organizzare <strong>la</strong> mostra Stile e Costume, nel frattempo si par<strong>la</strong>va anche di<br />

bonificare <strong>la</strong> sponda del fiume Po.<br />

In quel tempo il vescovo ausiliario di Torino, Mons. Tinivel<strong>la</strong>, andò a visitare le casermette di<br />

Borgo San Paolo e quel giorno ero con lui, in veste di cronista dell’Unità. In quegli anni, infatti,<br />

oltre a fare il Consigliere Comunale per il PCI, ero capo del<strong>la</strong> redazione piemontese del giornale.<br />

Avevo già visitato tante volte le casermette, per fare articoli di denuncia sul<strong>la</strong> situazione abitativa e<br />

quelle di Borgo San Paolo non erano le sole, ve n’erano in via Verdi, in via del<strong>la</strong> Brocca, in via<br />

Taggia, in strada Altessano e altre <strong>ancora</strong>, ma allora L’Unità veniva letta da pochi e il giornale<br />

d’opinione torinese rimaneva La Stampa, che naturalmente nascondeva quello che noi<br />

denunciavamo.<br />

Mons. Tinivel<strong>la</strong>, che sicuramente non era un gran progressista, fece una forte denuncia che apparve<br />

anche su La Stampa e La Gazzetta del Popolo sul<strong>la</strong> situazione scandalosa in cui vivevano gli<br />

abitanti delle casermette. A questo punto, in fretta e furia, <strong>la</strong> Giunta Municipale decise il<br />

trasferimento nelle case di via Artom, trasferimento che con il mio gruppo criticammo in Consiglio<br />

Comunale, perché con quell’azione <strong>la</strong> Giunta prese <strong>la</strong> decisione di spostare <strong>la</strong> bidonville da una


situazione orizzontale in una verticale, quel<strong>la</strong> scelta era contro tutti i principi del<strong>la</strong> sociologia<br />

urbana. La Giunta ci rispose che avrebbe in qualche modo sopperito a quel<strong>la</strong> situazione<br />

d’emergenza con <strong>la</strong> realizzazione dei servizi; occorre ricordare che nel<strong>la</strong> zona di via Artom non vi<br />

erano infrastrutture di base: le strade, le fognature, l’illuminazione. La gente venne accampata nei<br />

pa<strong>la</strong>zzi prefabbricati realizzati in fretta e furia, vi furono addirittura situazioni di rifiuto ad accettare<br />

il trasferimento, i bambini erano stati abituati a vivere in libertà, a fare i propri bisogni all’aperto,<br />

ora si trovavano prigionieri all’interno dei pa<strong>la</strong>zzi. Vi fu a tal proposito anche una trasmissione<br />

televisiva, una delle prime accompagnate da dibattito, che fece vedere come alcune famiglie, che<br />

non avevano mai visto o usato <strong>la</strong> vasca da bagno, questa venne smurata e collocata sul balcone per<br />

piantarvi il prezzemolo.<br />

Il trasferimento dalle casermette in via Artom venne effettuato con una tipica azione militare, di<br />

mattino presto le casermette vennero circondate dal<strong>la</strong> polizia e fatte sgomberare, a mano a mano che<br />

si sgombrava, si demolivano le pareti interne per non far entrare altre persone.<br />

Ricordiamoci che in quegli anni <strong>la</strong> spinta verso Torino era fortissima, arrivavano dalle dieciquindici<br />

mi<strong>la</strong> unità di immigrati al mese, erano gli anni del raddoppio dello stabilimento di<br />

Mirafiori e <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> Fiat a Rivalta.<br />

Alcune famiglie di via Artom, non avevano mai abitato in condominio e non erano preparate a<br />

questa nuova vita di convivenza, le case erano dotate di canne di caduta per i rifiuti domestici, ma<br />

non venivano usate, i rifiuti erano gettati in strada. Dai balconi, molti tolsero gli infissi, furono<br />

bruciati nelle stufe per riscaldarsi o per far da mangiare.<br />

Questa gente è vero che viveva a Torino ma ai margini, in piccoli spicchi di città con un loro<br />

mondo, con <strong>la</strong> loro povertà, e iso<strong>la</strong>ti dal resto del<strong>la</strong> città.<br />

La critica più forte che noi volgemmo al<strong>la</strong> Giunta Comunale fu di aver fatto un’operazione militare<br />

che andava a concentrare in un punto solo centinaia di casi sociali, per fare in fretta avevano fatto<br />

ricorso ad una tipologia abitativa che mostrò subito gravi inconvenienti come <strong>la</strong> condensa, i<br />

pavimenti in linoleum che si staccavano, blocchi d’impianti dei servizi igienici e sanitari che non<br />

funzionavano, ed altri <strong>ancora</strong>. Fu proprio su questi problemi che si fondarono i primi comitati<br />

spontanei di lotta; tra i promotori delle case di via Artom vi era un nostro compagno, un operaio,<br />

che aveva perso un occhio sul <strong>la</strong>voro: si chiamava Scali. In città, soprattutto nei quartieri popo<strong>la</strong>ri i<br />

comitati si costituirono spontaneamente e promossi da elementi appartenenti al PCI, per <strong>la</strong> maggior<br />

parte meridionali, che avevano fatto esperienze di lotte bracciantili nel Sud.<br />

Il Comitato inquilini di via Artom ruotava attorno al<strong>la</strong> figura di Scali, era una persona straordinaria,<br />

seguita, dal<strong>la</strong> gente. Comparve anche nel film di Ettore Sco<strong>la</strong> Trevico-Torino.


A quel tempo mi <strong>ricordo</strong> che il Comitato era molto attivo e <strong>la</strong>vorava in stretto contatto con <strong>la</strong><br />

Parrocchia di San Remigio e in partico<strong>la</strong>re con un prete che si chiamava don Andrea.<br />

Il PCI, sensibile alle istanze che venivano avanzate dai comitati nei vari quartieri, organizzò una<br />

commissione federale, che si occupava dei quartieri. Poi venne il ‘68 e il ‘69 e con essi si formarono<br />

i primi gruppi del<strong>la</strong> contestazione a sinistra del PCI.<br />

Quando nel 1975 divenni Sindaco, il problema del<strong>la</strong> casa esplose con ancor più virulenza, erano gli<br />

anni delle occupazioni abusive promosse e condotte dai gruppi del<strong>la</strong> sinistra extrapar<strong>la</strong>mentare.<br />

L’impegno mio e del<strong>la</strong> Giunta, su via Artom, fu sempre costante, non ci stancammo mai. È vera <strong>la</strong><br />

storia, che <strong>ancora</strong> oggi si ricorda, che io e Dolino (l’allora Assessore all’Istruzione) a chi rompeva i<br />

vetri delle scuole, dei <strong>la</strong>mpioni del<strong>la</strong> luce o altre forme di vandalismo, rispondevamo “voi rompete e<br />

noi li rimettiamo”. Non ci stancammo mai.<br />

Il vandalismo era specchio di situazioni difficili: famiglie composte da 12-13 persone che vivevano<br />

in due o tre stanze, figli che nel frattempo si erano sposati e convivevano con il vecchio nucleo<br />

famigliare perché non trovavano casa, parenti che provenivano dal Sud in cerca di <strong>la</strong>voro che<br />

venivano ospitati; alcune famiglie si trovavano in situazioni invivibili. Con una certa frequenza<br />

andai a visitare il quartiere, per rendermi conto di persona, e scoprii un dato impressionante:<br />

bambine dall’età di 13-15 anni in stato interessante. Vivere in promiscuità facilitava questo<br />

fenomeno, quindi, cercammo di operare su via Artom su vari livelli, innanzitutto alleggerendo i<br />

nuclei famigliari.<br />

Decidemmo, quindi, di sistemare le giovani coppie in nuovi appartamenti, che a mano a mano si<br />

rendevano disponibili. L’altro livello di intervento fu quello di far pulizia, nel vero senso del<strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong>, iniziando dalle cantine, in queste e nelle aree esterne circostanti i pa<strong>la</strong>zzi, vi erano montagne<br />

di rifiuti d’ogni genere. Istituimmo una sottosezione dei vigili urbani, che giravano per il quartiere<br />

per far fronte al fiorente contrabbando, in quel periodo il fenomeno del<strong>la</strong> droga non esisteva <strong>ancora</strong>.<br />

Realizzammo il Centro d’Incontro e aiutammo gli abitanti a costituire due circoli ricreativi sul<strong>la</strong><br />

grande area dell’ex campo volo Gino Lisa. Insomma, facilitammo <strong>la</strong> costituzione di centri<br />

aggregativi e iniziammo a col<strong>la</strong>borare con <strong>la</strong> Parrocchia di San Remigio con l’Estate Ragazzi.<br />

La nostra politica mirava a facilitare il più possibile <strong>la</strong> partecipazione e l’aggregazione sociale.<br />

L’Estate Ragazzi fu una nostra grande invenzione, l’obiettivo principale era quello di togliere dal<strong>la</strong><br />

strada i ragazzi, dopo si sarebbero avviate le azioni educative. I due terzi dell’Estate Ragazzi<br />

l’organizzavamo con gli oratori e questo venne vissuto come un grande scandalo da alcuni nostri<br />

compagni di partito un po’ settari.


Per togliere i ragazzi dal<strong>la</strong> strada avevamo anche inventato i <strong>la</strong>boratori di quartiere; all’interno di<br />

capannoni gli anziani, i nonni, che avevano delle capacità manuali (come fare i cesti o <strong>la</strong>vorare il<br />

ferro) insegnavano ai ragazzi a fare questi <strong>la</strong>vori, come un gioco, si intrattenevano così i ragazzi,<br />

dandogli anche un piccolo stipendio, l’argent des poches, e mettendoli nel<strong>la</strong> condizione di non<br />

richiedere soldi ai propri genitori. Da una parte si alleggeriva il bi<strong>la</strong>ncio famigliare, dall’altra i<br />

ragazzi non dovevano inventarsi il modo di procacciarsi i soldi con espedienti e furtarelli. Era un<br />

programma collegato anche con il Ferrante Aporti, il carcere minorile.<br />

Il Ferrante Aporti lo trasformammo da una scuo<strong>la</strong> superiore di delinquenza, qual era, in una scuo<strong>la</strong><br />

di formazione professionale, con vari <strong>la</strong>boratori: ceramica, falegnameria, tessitura, panificazione, su<br />

quest’ultimo, <strong>ricordo</strong>, che venivano a turno gratuitamente dei panettieri ad insegnare a fare il pane.<br />

Alcuni di questi <strong>la</strong>boratori furono istituiti presso <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> Cairoli, perché <strong>la</strong> zona di via Artom era<br />

tra quelle più a rischio.<br />

Un altro grande problema del<strong>la</strong> zona era quello dei conflitti tra gli abitanti delle Case Fiat e quelli<br />

delle case popo<strong>la</strong>ri di via Artom. Quelli delle Case Fiat si consideravano inseriti nel tessuto<br />

cittadino, gli altri no, era l’inizio di quel<strong>la</strong> che definirei guerra tra poveri, che poi ha avuto le<br />

espressioni più esasperate due anni fa a Santa Rita, quando alcuni abitanti si opposero all’asilo<br />

notturno per i barboni. Allora c’era il nostro partito, il PCI, il sindacato e <strong>la</strong> chiesa che erano molto<br />

impegnati sul fronte dell’integrazione sociale, soprattutto <strong>la</strong> chiesa di padre Pellegrino, aveva messo<br />

in campo uno spiegamento di forze eccezionale, i preti delle singole parrocchie erano fortemente<br />

impegnati, <strong>ricordo</strong> don Canavesio di corso Cincinnato, don Gallo e don Fredo Oliviero di corso<br />

Taranto, don Andrea in via Artom e tanti altri.<br />

La frattura che avvenne in quel<strong>la</strong> zona fu il frutto dell’incontro di persone appartenenti a due flussi<br />

migratori ben distinti, quel<strong>la</strong> era una periferia definirei contadina, anche se operaia. Avevano quasi<br />

tutti l’orto, <strong>la</strong> sera quando tornavano a casa andavano con le <strong>la</strong>tte a bagnare l’orto che avevano<br />

recintato, buona parte di questi operai aveva origini contadine e facevano parte di un tessuto sociale<br />

e umano diverso da quello degli anni successivi, erano, per usare un espressione un po’ forte, gli zii<br />

Tom, erano quelli che avevano accettato l’integrazione, anzi, come diceva Pasolini, addirittura<br />

l’omologazione. Era gente tranquil<strong>la</strong>, <strong>la</strong>boriosa, che andava d’accordo con il padrone, che non<br />

sapeva di avere dei diritti, che preferiva il quieto vivere e a cui <strong>la</strong> Fiat aveva dato una casa. Era stata<br />

messa in atto un’azione di manipo<strong>la</strong>zione di sottocultura tendente a contenere qualsiasi spinta,<br />

qualsiasi motivo di cambiamento, occasioni di rottura, di rivendicazioni, diritti. Erano persone che<br />

appartenevano all’ondata migratoria del secondo dopoguerra, degli anni ‘50, gli zii Tom, o per dir<strong>la</strong>


citando Malcom X, i neri che si stiravano i capelli per assomigliare ai bianchi, impararono subito il<br />

dialetto e a mimetizzarsi nel tessuto piemontese.<br />

L’ondata successiva, quel<strong>la</strong> degli anni ‘60, era completamente diversa, era costituita da persone<br />

arrabbiate, che non si adattavano, forse perché erano quelli che avevano resistito di più nei loro<br />

paesi d’origine e si portavano dietro <strong>la</strong> rabbia per averlo <strong>la</strong>sciato, per non aver trovato lì un <strong>la</strong>voro.<br />

L’impegno per affrontare i problemi dei quartieri e soprattutto quelli di periferia nacque da una<br />

scelta politica ben precisa, ci trovammo in partico<strong>la</strong>re tre emergenze: Le Vallette, Falchera e<br />

appunto via Artom. Vennero date deleghe partico<strong>la</strong>ri a tre Assessori comunali, in aggiunta alle<br />

deleghe specifiche di settore, riconoscendogli <strong>la</strong> responsabilità di seguire quasi quotidianamente <strong>la</strong><br />

vita di questi quartieri, ed ogni loro iniziativa doveva essere portata a termine. Fu, se non sbaglio,<br />

all’inizio del 1980 che si cominciò a par<strong>la</strong>re di “Progetto Artom” pensando al<strong>la</strong> possibilità di<br />

migliorare <strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> vita in quel quartiere e riprogettarlo, ma non fu possibile continuare, ci<br />

mandarono via, fummo cacciati dal governo del<strong>la</strong> città anche per queste ragioni. Mi <strong>ricordo</strong> che un<br />

grande manifesto fatto affiggere dai nostri oppositori diceva: “C’è troppo Comune nel<strong>la</strong> nostra<br />

vita”, a parer loro il comune si intrometteva troppo nel<strong>la</strong> vita famigliare.<br />

Quando andammo al governo del<strong>la</strong> città, facemmo una “scelta di c<strong>la</strong>sse” stando accanto al<strong>la</strong> fascia<br />

sociale che aveva sofferto di più lo sviluppo caotico di Torino, che patì sacrifici immensi, mai<br />

risarcibili economicamente. Perché i sacrifici che ha pagato <strong>la</strong> gente allora sono pari ai sacrifici che<br />

adesso paga un magrebino, lontano da casa, che fa i <strong>la</strong>vori più umili se è fortunato, vivendo nel<strong>la</strong><br />

sporcizia, in uno stato di povertà assoluta. Non dimentichiamo che nelle soffitte del centro storico di<br />

allora, gli immigrati affittavano i letti ad ora, il centro era il loro punto di riferimento, si diceva: “a<br />

Napoli hanno i bassi, noi abbiamo gli alti”, cioè le soffitte.<br />

Sono state generazioni che hanno pagato un prezzo altissimo, era duro l’inserimento nel<strong>la</strong> città,<br />

molti torinesi erano razzisti, affiggevano cartelli con su scritto “non si affitta a meridionali”, ma<br />

c’erano anche delle forze culturali, sociali, politiche e religiose che operavano per una crescita<br />

civile di tutta <strong>la</strong> città. Rappresentavano gli anticorpi nei confronti del virus del razzismo,<br />

dell’intolleranza.<br />

Il ruolo del<strong>la</strong> chiesa è stato fondamentale. Con <strong>la</strong> denuncia sul problema del<strong>la</strong> casa, che fece tanto<br />

c<strong>la</strong>more, il vescovo, padre Pellegrino prendeva posizione contro il governo locale a conduzione<br />

democristiana. L’allora Sindaco Porcel<strong>la</strong>na lo visse come un attacco personale, ma non si trattava di<br />

un attacco gratuito. Cercava di sensibilizzare il governo cittadino a prendere provvedimenti<br />

sull’emergenza abitativa, e in partico<strong>la</strong>re, a cancel<strong>la</strong>re per sempre <strong>la</strong> vergogna dei ghetti.


Oggi, dopo tanti anni da quando <strong>la</strong>sciai il governo del<strong>la</strong> città, si ritorna a par<strong>la</strong>re di progetto di<br />

riqualificazione del<strong>la</strong> zona Artom. Mi auguro che si realizzi e che migliori <strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> vita di<br />

tutti i cittadini residenti.

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