CON GLI OCCHI DI VERGA

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<strong>CON</strong> <strong>GLI</strong> <strong>OCCHI</strong> <strong>DI</strong> <strong>VERGA</strong><br />

Riflessioni sul rapporto di Verga con la tradizione letteraria<br />

italiana<br />

Fontana dei Malavoglia, Catania


1. PRESENTAZIONE<br />

Nel nostro lavoro abbiamo voluto mettere a confronto alcuni testi di Verga con testi di altri autori a lui<br />

contemporanei o precedenti da noi affrontati in classe durante l’anno e che egli probabilmente conosceva<br />

bene e nei quali, infatti, sono riscontrabili caratteristiche e tematiche analoghe a quelle presenti nelle opere<br />

di Verga. Questi testi possono essere raccolti e catalogati in quella che abbiamo definito “tradizione<br />

letteraria di Verga”.<br />

La nostra scelta di approfondire questo particolare aspetto è dovuta sicuramente ad un interesse personale<br />

ma in parte anche al metodo di studio che ci è stato proposto in questi anni e che abbiamo trovato molto<br />

utile ed interessante. Studiare un autore a partire dal confronto con quei testi che egli stesso conosceva,<br />

probabilmente apprezzava e trovava interessanti tanto da sceglierli come modello per le propria opere<br />

permette infatti di conoscere meglio l’autore e il messaggio che ci vuole e allo stesso tempo di ripassare e<br />

mantenere sempre freschi argomenti trattati anche parecchio tempo prima ma anche analizzare i progressi e<br />

i cambiamenti che avvengono nel corso della storia della letteratura italiana e creare così un’idea integrale<br />

e continuativa della sua evoluzione.<br />

Il nostro lavoro è partito dall’analisi di alcuni testi di Verga che ci sono stati proposti, abbiamo subito<br />

notato dei chiari riferimenti ad altri scrittori che nel corso dei nostri non ancora quattro anni di studi liceali<br />

abbiamo avuto modo di incontrare. Il confronto si è subito arricchito di nuove idee e nuovi spunti forniti<br />

anche da alcuni lavori svolti in classe quest’anno come quello su Ariosto e il dramma. In particolare<br />

abbiamo deciso di sviluppare tre argomenti significativi nell’opera di Verga e caratteristici della sua<br />

corrente di pensiero che sono il pessimismo e la concezione del dramma, la tecnica dell’impersonalità e<br />

l’importanza del ruolo del narratore e infine l’amore e il sentimento.<br />

Abbiamo ampliato tutti e tre i temi creando un percorso che tenesse conto di tutte le diverse interpretazioni<br />

che sono state date dagli autori che abbiamo fino ad adesso avuto modo di incontrare.<br />

Questo lavoro ci ha permesso di incontrare un autore almeno cronologicamente distante da quelli che<br />

stiamo studiando in questo periodo, essendo noi del quarto anno; ma allo stesso tempo abbiamo verificato<br />

che certi temi sono comunque ricorrenti e questo perché abbiamo capito che ci sono esigenze uguali per<br />

tutti gli uomini, affrontate però da ognuno in modo diverso.<br />

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2. INTRODUZIONE<br />

Verga è considerato il maggior esponente della corrente letteraria del verismo e come tale le sue opere si<br />

prefiggono lo scopo di descrivere la realtà così com’è, senza alterazioni:<br />

“Io te lo ripeterò così come l'ho raccolto pei viottoli dei campi, press'a poco colle medesime<br />

parole semplici e pittoresche della narrazione popolare, e tu veramente preferirai di trovarti<br />

faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro, attraverso la<br />

lente dello scrittore.” (<strong>VERGA</strong>, Dedica a Salvatore Farina, in L'Amante di Gramigna)<br />

simile, del resto, alla realtà effettuale che vuole descrivere Machiavelli:<br />

“Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare<br />

drieto alla verità effettuale della cosa, che alla imaginazione di essa.” (MACHIAVELLI, Il Principe,<br />

XV)<br />

Altre due caratteristiche del verismo fondamentali nell’attività di Verga sono la tecnica dell’impersonalità<br />

e la visione pessimistica della realtà. La prima consiste nel lasciare che sia “il fatto nudo e schietto”, come<br />

dice nell’introduzione a L’amante di Gramigna, il centro della narrazione e non le valutazioni del<br />

narratore:<br />

“La mano dell'artista rimarrà assolutamente invisibile, allora avrà l'impronta dell'avvenimento<br />

reale, l'opera d'arte sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed esser sòrta spontanea, come<br />

un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore, alcuna macchia del<br />

peccato d'origine.” (<strong>VERGA</strong>, Dedica a Salvatore Farina, in L'Amante di Gramigna)<br />

La seconda deriva dall’idea di una legge necessaria, dura e spietata che regola la vita, alla quale non si può<br />

sfuggire ma solo rassegnarsi. Questo pessimismo, privato di qualsiasi speranza, porta facilmente a<br />

situazioni drammatiche.<br />

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3. IL DRAMMA:<br />

“il naufragio della Provvidenza”<br />

“Dramma” deriva dal greco e significa agire. Comunemente però con questo termine si identificano<br />

vicende dolorose o problemi esistenziali, o altri eventi di portata tragica. È un elemento fortemente<br />

presente in tutta l’opera di Verga ed è qui anche maggiormente sottolineato dalla mancanza di speranza.<br />

Questo si vede ad esempio confrontandolo con autori contemporanei come Manzoni nel quale siamo di<br />

fronte ad una particolare forma di “pessimismo cristiano” cioè uno scetticismo che ingloba e comprende la<br />

negatività della storia ma inserendola all’interno del disegno provvidenziale, e affida alla fede il compito di<br />

salvare l’uomo. Verga al contrario si abbandona ad un positivismo che non lascia spazio al trascendentale.<br />

“E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi quando fu lontano, in mezzo alla piazza<br />

scura e deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della<br />

casa del nespolo, mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo<br />

in mezzo al paese. Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni,<br />

perché il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e<br />

di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si<br />

riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un<br />

amico. Allora ‘Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tutto nero, come non gli<br />

bastasse il cuore di staccarsene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della<br />

vigna di massaro Filippo. Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il paese<br />

nero, e ascoltando il mare che gli brontolava lì sotto. E ci stette fin quando cominciarono ad<br />

udirsi certi rumori ch’ei conosceva, e delle voci che si chiamavano dietro gli usci, e sbatter<br />

d’imposte, e dei passi per le strade buie. Sulla riva, in fondo alla piazza, cominciavano a<br />

formicolare dei lumi. Egli levò il capo a guardare i Tre Re che luccicavano, e la Puddara che<br />

annunziava l’alba, come l’aveva vista tante volte. Allora<br />

tornò a chinare il capo sul petto, e a pensare a tutta la sua storia. A poco a poco il mare<br />

cominciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad una ad una nelle vie<br />

scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto c’era il<br />

lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava. – Fra poco lo zio<br />

Santoro aprirà la porta, pensò ‘Ntoni, e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la sua giornata<br />

anche lui. – Tornò a guardare il mare, che s’era fatto amaranto, tutto seminato di barche che<br />

avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua sporta e disse: – Ora è tempo<br />

d’andarmene, perché fra poco comincierà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua<br />

giornata è stato Rocco Spatu.” (<strong>VERGA</strong>, I Malavoglia, cap. 15)<br />

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Il finale di questo romanzo è fortemente drammatico in quanto ‘Ntoni, una volta uscito di prigione, è<br />

costretto ad allontanarsi dalla sua casa e dal suo paese proprio quando ha finalmente preso consapevolezza<br />

del fatto che quello fosse l’unico posto in cui fosse possibile una vita dignitosa; il cane che gli abbaia alle<br />

spalle infatti è segno di come lui sia ormai un estraneo lì. Commovente è anche il dialogo solitario di<br />

‘Ntoni con il mare, quasi personificato. Possiamo in conclusione dire che questo finale rappresenta la<br />

rovina e lo sfascio della famiglia e di tutti i suoi desideri.<br />

“Prima che finisse l'anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse<br />

fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d'adempire quella sua magnanima promessa,<br />

fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non<br />

so quant'altri, dell'uno e dell'altro sesso: e Agnese affaccendata a portarli in qua e in là, l'uno<br />

dopo l'altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de' bacioni, che ci lasciavano il<br />

bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a<br />

leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c'era questa birberia, dovevano almeno profittarne<br />

anche loro. […]<br />

Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché<br />

ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e<br />

che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili<br />

per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così<br />

giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.” (MANZONI, I Promessi<br />

Sposi, cap. 38)<br />

Nella conclusione del romanzo di Manzoni invece vediamo il compimento dei desideri dei protagonisti che<br />

nonostante le difficoltà sfuggono alla disperazione affidandosi completamente alla Provvidenza.<br />

Un altro momento nel quale si vede l’importanza della Provvidenza nel romanzo di Manzoni è quando<br />

Lucia fa il suo voto alla Madonna affidando tutto nelle sue mani.<br />

“L'infelice risvegliata riconobbe la sua prigione: tutte le memorie dell'orribil giornata<br />

trascorsa, tutti i terrori dell'avvenire, l'assalirono in una volta: quella nuova quiete stessa dopo<br />

tante agitazioni, quella specie di riposo, quell'abbandono in cui era lasciata, le facevano un<br />

nuovo spavento: e fu vinta da un tale affanno, che desiderò di morire. Ma in quel momento, si<br />

rammentò che poteva almen pregare, e insieme con quel pensiero, le spuntò in cuore come<br />

un'improvvisa speranza. Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò a dire il rosario; e, di mano<br />

in mano che la preghiera usciva dal suo labbro tremante, il cuore sentiva crescere una fiducia<br />

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indeterminata. Tutt'a un tratto, le passò per la mente un altro pensiero; che la sua orazione<br />

sarebbe stata piú accetta e piú certamente esaudita, quando, nella sua desolazione, facesse<br />

anche qualche offerta. Si ricordò di quello che aveva di piú caro, o che di piú caro aveva avuto;<br />

giacché, in quel momento, l'animo suo non poteva sentire altra affezione che di spavento, né<br />

concepire altro desiderio che della liberazione; se ne ricordò, e risolvette subito di farne un<br />

sacrifizio. S'alzò, e si mise in ginocchio, e tenendo giunte al petto le mani, dalle quali pendeva<br />

la corona, alzò il viso e le pupille al cielo, e disse: "o Vergine santissima! Voi, a cui mi sono<br />

raccomandata tante volte, e che tante volte m'avete consolata! Voi che avete patito tanti dolori,<br />

e siete ora tanto gloriosa, e avete fatti tanti miracoli per i poveri tribolati; aiutatemi! fatemi<br />

uscire da questo pericolo, fatemi tornar salva con mia madre, Madre del Signore; e fo voto a<br />

voi di rimaner vergine; rinunzio per sempre a quel mio poveretto, per non esser mai d'altri che<br />

vostra."<br />

Proferite queste parole, abbassò la testa, e si mise la corona intorno al collo, quasi come un<br />

segno di consacrazione, e una salvaguardia a un tempo, come un'armatura della nuova milizia a<br />

cui s'era ascritta. Rimessasi a sedere in terra, sentì entrar nell'animo una certa tranquillità, una<br />

piú larga fiducia. Le venne in mente quel domattina ripetuto dallo sconosciuto potente, e le<br />

parve di sentire in quella parola una promessa di salvazione. I sensi affaticati da tanta guerra<br />

s'assopirono a poco a poco in quell'acquietamento di pensieri: e finalmente, già vicino a giorno,<br />

col nome della sua protettrice tronco tra le labbra, Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto e<br />

continuo.” (MANZONI, I Promessi Sposi, cap.21)<br />

Questo brano esprime egregiamente la dinamica del Manzoni: egli non elimina il pessimismo e le<br />

situazioni drammatiche ma le affronta con un mezzo che a Verga manca, la Fede. In questo modo, la<br />

fiducia nella Provvidenza di Lucia trova il suo perfetto ribaltamento nel naufragio della Provvidenza ne I<br />

Malavoglia; la speranza che riesce a ridonare serenità e calma a Lucia non è neanche concepita da Verga.<br />

“Si udiva il vento sibilare nella vela della Provvidenza e la fune che suonava come una corda di<br />

chitarra. All'improvviso il vento si mise a fischiare al pari della macchina della ferrovia,<br />

quando esce dal buco del monte, sopra Trezza, e arrivò un'ondata che non si era vista da dove<br />

fosse venuta, la quale fece scricchiolare la Provvidenza come un sacco di noci, e la buttò in<br />

aria. [...] In questo momento s'udì uno schianto: la Provvidenza, che prima si era curvata su di<br />

un fianco, si rilevò come una molla, e per poco non sbalzò tutti in mare; l'antenna insieme alla<br />

vela cadde sulla barca rotta come un filo di paglia. Allora si udì una voce che gridava: - Ahi!<br />

come di uno che stesse per morire. [...] Ad un tratto un colpo di vento la strappò netta e se la<br />

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portò via sibilando. Allora i due fratelli poterono sbrogliare del tutto il troncone dell'antenna e<br />

buttarlo in mare. La barca si raddrizzò, ma padron 'Ntoni non si raddrizzò, lui, e non<br />

rispondeva più a 'Ntoni che lo chiamava. Ora, quando il mare e il vento gridano insieme, non<br />

c'è cosa che faccia più paura del non udirsi rispondere alla voce che chiama.” (<strong>VERGA</strong>, I<br />

Malavoglia, cap. 10)<br />

“– E’ sta meglio di compare Bastianazzo, a quest’ora! ripeteva Rocco Spatu, accendendo la<br />

pipa sull’uscio. E senza pensarci altro mise mano al taschino, e si lasciò andare a fare due<br />

centesimi di limosina.<br />

– Tu ci perdi la tua limosina a ringraziare Dio che sei al sicuro, gli disse Piedipapera; per te<br />

non c’è pericolo che abbi a fare la fine di compare Bastianazzo. Tutti si misero a ridere della<br />

barzelletta, e poi stettero a guardare dall’uscio il mare nero come la sciara, senza dir altro.<br />

– Padron ‘Ntoni è andato tutto il giorno di qua e di là, come avesse il male della tarantola, e lo<br />

speziale gli domandava se faceva la cura del ferro, o andasse a spasso con quel tempaccio, e gli<br />

diceva pure: – Bella Provvidenza, eh! padron ‘Ntoni! Ma lo speziale è protestante ed ebreo,<br />

ognuno lo sapeva. […] Le comari, mentre tornavano dall’osteria coll’orciolino dell’olio, o col<br />

fiaschetto del vino, si fermavano a barattare qualche parola con la Longa senza aver l’aria di<br />

nulla, e qualche amico di suo marito Bastianazzo, compar Cipolla, per esempio, o compare<br />

Mangiacarrubbe, passando dalla sciara per dare un’occhiata verso il mare, e vedere di che<br />

umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a domandare a comare la Longa di<br />

suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa sotto il naso,<br />

o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzioni insolite, li<br />

guardava in faccia sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volessero rubargliela.<br />

Finalmente il più duro o il più compassionevole la prese per un braccio e la condusse a casa.<br />

Ella si lasciava condurre, e badava a ripetere: – Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria! – I<br />

figliuoli la seguivano aggrappandosi alla gonnella, quasi avessero paura che rubassero qualcosa<br />

anche a loro. Mentre passavano dinanzi all’osteria, tutti gli avventori si affacciarono sulla<br />

porta, in mezzo al gran fumo, e tacquero per vederla passare come fosse già una cosa curiosa.<br />

– Requiem eternam, biascicava sottovoce lo zio Santoro, quel povero Bastianazzo mi faceva<br />

sempre la carità, quando padron ‘Ntoni gli lasciava qualche soldo in tasca. La poveretta che<br />

non sapeva di essere vedova, balbettava:<br />

– Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria!<br />

Dinanzi al ballatoio della sua casa c’era un gruppo di vicine che l’aspettavano, e cicalavano a<br />

voce bassa fra di loro. Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le<br />

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vennero incontro, colle mani sul ventre, senza dir nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei<br />

capelli con uno strido disperato e corse a rintanarsi in casa.<br />

– Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica! Più di quarant’onze di lupini!”<br />

(<strong>VERGA</strong>, I Malavoglia, cap. 3)<br />

L'episodio del naufragio della Provvidenza è narrato attraverso la testimonianza degli abitanti del paese. Lo<br />

scatenarsi della tempesta dopo mezzanotte, la furia crescente del vento, il giorno che si fa sempre più nero,<br />

annunciano la disgrazia, e l’inizio di una serie di sventure; la Provvidenza infatti rappresentava uno dei due<br />

capisaldi della famiglia; l’altro, Padron ‘Ntoni, verrà anch’esso a mancare successivamente. Lo stesso<br />

nome della barca viene anche deriso per bocca dello speziale come per risaltare quanto sia illusorio anche<br />

solo pensare che sia possibile l’esistenza di una qualche Provvidenza. I protagonisti sembrano quasi puniti<br />

per aver tentato di migliorare la propria condizione e l’interesse principale è per il valore del carico perduto<br />

che assume addirittura più importanza delle persone stesse; il narratore valuta quindi la realtà in base ad un<br />

criterio materialista, attribuendo l'angoscia di padron 'Ntoni prima alla perdita del carico di lupini e, solo in<br />

seguito, a quella di suo figlio Bastianazzo, capovolgendo cosi l'ordine affettivo dei valori.<br />

Il naufragio della Provvidenza può essere paragonato ad altri famosi naufragi della letteratura:<br />

“Or da fronte or da tergo il vento spira<br />

e questo inanzi, e quello a dietro caccia:<br />

un altro da traverso il legno aggira;<br />

e ciascun pur naufragio gli minaccia.[…]<br />

Tutta sotto acqua va la destra banda,<br />

e sta per riversar di sopra il fondo.[…]<br />

Ruggier che 'l minacciar de la tempesta<br />

temer non vuol, dal fondo al sommo s'alza,<br />

e vede il nudo scoglio non lontano,<br />

ch'egli e i compagni avean fuggito invano.<br />

Spera, per forza di piedi e di braccia<br />

nuotando, di salir sul lito asciutto.”<br />

(ARIOSTO, Orlando Furioso, XLI)<br />

Anche in Ariosto, come in Verga, è presente il dramma. Esso però è qui trattato in maniera completamente<br />

diversa: il tono e i tempi della narrazione rendono difficile coglierne la drammaticità e la mancanza di<br />

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interesse nel ricercare un modo per poter affrontare i drammi, che inevitabilmente esistono ma vengono<br />

concepiti senza stupore, è forse il dramma più grande di quelli raccontati.<br />

“E come quei che con lena affannata<br />

uscito fuor del pelago a la riva<br />

si volge a l'acqua perigliosa e guata,<br />

così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,<br />

si volse a retro a rimirar lo passo<br />

che non lasciò già mai persona viva.”<br />

(DANTE, Inferno, I, 23-27 )<br />

“La smuovono qua e là sul mare i venti;<br />

Ora Noto contro a Bòrea la sospinge,<br />

Ora Èuro la cede a Zèffiro, che la insegue. […]<br />

Tacque, e dall’alto ruinando un’onda<br />

Orribilmente, rigirò la barca. […]<br />

Dargli or non vo’, ché i’ veggio in lontananza<br />

La terra ove promesso mi è lo scampo.<br />

[…]Ulisse allor d’un alto flutto in cima,<br />

Drizzò l’acume dell’intente luci,<br />

Né lontana da sé scorse la terra. […]<br />

Nuotava e d’ambo i piè l’onde percosse,<br />

Acquistar contendea l’opposta riva.”<br />

(OMERO, Odissea, libro V)<br />

L’immagine della navigazione e del naufragio arricchisce la metafora della vita come viaggio: la vita<br />

diventa una navigazione pericolosa, che a volte può concludersi tragicamente.<br />

Il riconoscerci naufraghi, scampati per miracolo alla morte, potrebbe predisporci a vivere con più<br />

saggezza e con più riconoscenza, come Ruggero che, salvatosi al naufragio, decide di convertirsi al<br />

Cristianesimo.<br />

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4. TECNICA DELL’IMPERSONALITÀ<br />

Un altro elemento che differenzia Verga da altri autori da noi studiati durante questi anni è il ruolo del<br />

narratore precedentemente già introdotto. Verga infatti non vuole giudicare né intervenire in alcun modo in<br />

quello che scrive ma vuole che sia il fatto stesso a raccontarsi attraverso le vicende e soprattutto i<br />

personaggi. Allo stesso modo non vuole che il lettore giudichi quello che lui scrive né che si faccia<br />

cogliere da altro che non sia il fatto stesso perché secondo la sua concezione la letteratura è fine a sé stessa.<br />

“ Il racconto è un documento umano... Io te lo ripeterò così come l'ho raccolto pei viottoli dei<br />

campi, press'a poco con le medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare...<br />

senza stare a cercarlo fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore... La mano<br />

dell'artista rimarrà assolutamente invisibile e l'opera d'arte sembrerà essersi fatta da sé.”<br />

(<strong>VERGA</strong>, Dedica a Salvatore Farina, in L'Amante di Gramigna)<br />

“Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un<br />

istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente,<br />

coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe<br />

dovuto essere." (<strong>VERGA</strong>, Prefazione a I Malavoglia)<br />

Ma è veramente possibile che il narratore scompaia del tutto? Che riesca cioè a raccontare qualcosa senza<br />

che il suo pensiero, la sua cultura e la sua tradizione influiscano in alcun modo?<br />

La nostra ipotesi è una risposta negativa perché abbiamo pensato che la tecnica dell’impersonalità ha senso<br />

laddove la realtà stessa sia in sé portatrice di un significato altro ma, dal momento che Verga non ammette<br />

neanche questo, è impossibile che egli riesca a scomparire completamente nei sui scritti. Abbiamo allora<br />

provato a rintracciare in quali brani è possibile individuare una qualche traccia del narratore e ci siamo<br />

accorti di come ciò avvenga sempre nei momenti più tristi e drammatici.<br />

“Menico della Locca, il quale era nella Provvidenza con Bastianazzo, gridava qualche cosa che<br />

il mare si mangiò. – Dice che i denari potete mandarli a sua madre, la Locca, perché suo<br />

fratello è senza lavoro; aggiunse Bastianazzo, e questa fu l’ultima sua parola che si udì.”<br />

(<strong>VERGA</strong>, I Malavoglia, cap.1)<br />

“Così la Longa se lo vide partire sotto l’ombrello, accompagnato da tutto il parentado, saltando<br />

sui ciottoli della stradicciuola ch’era tutta una pozzanghera, e il ragazzo siccome era giudizioso<br />

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quanto il nonno, si rimboccò i calzoni sul ballatoio, sebbene non li avrebbe messi più, ora che<br />

lo vestivano da soldato.<br />

– Questo qui non scriverà per danari, quando sarà laggiù, pensava il vecchio; e se Dio gli dà<br />

giorni lunghi, la tira su un’altra volta la casa del nespolo. Ma Dio non gliene diede giorni<br />

lunghi, appunto perché era fatto di quella pasta; – e quando giunse più tardi la notizia che era<br />

morto, alla Longa le rimase quella spina che l’aveva lasciato partire colla pioggia, e non<br />

l’aveva accompagnato alla stazione.<br />

– Mamma! disse Luca tornando indietro, perché gli piangeva il cuore di lasciarla così zitta zitta<br />

sul ballatoio, come la Madonna addolorata; quando tornerò vi avviserò prima, e così verrete ad<br />

incontrarmi tutti alla stazione. – E quelle parole Maruzza non le dimenticò finché le chiusero<br />

gli occhi; e sino a quel giorno si portò fitta nel cuore quell’altra spina che il suo ragazzo non<br />

assisteva alla festa che si fece quando misero di nuovo in mare la Provvidenza, mentre c’era<br />

tutto il Paese, e Barbara Zuppidda s’era affacciata colla scopa per spazzar via i trucioli.”<br />

(<strong>VERGA</strong>, I Malavoglia, cap.7)<br />

La stessa cosa avviene anche in Omero che interviene nel testo ad interloquire con i suoi personaggi nei<br />

momenti in cui il patos è maggiore ad esempio nella vicenda di Patroclo e Achille:<br />

“Tu, Patroclo, cavaliere, gli rispondesti con un gemito profondo” (OMERO, Iliade XVI)<br />

In dante poi narratore e protagonista coincidono addirittura. E allo stesso modo Manzoni, come anche<br />

Ariosto è narratore onnisciente che ogni tanto interviene nella storia:<br />

“Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che<br />

abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.<br />

La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a<br />

chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non<br />

s'è fatto apposta.” (MANZONI, I Promessi Sposi, cap. 38)<br />

“Ma mi parria, Signor, far troppo fallo,<br />

se, per voler di costor dir, lasciassi<br />

tanto Ruggier nel mar, che v'affogassi.”<br />

(ARIOSTO, Orlando Furioso, canto 41)<br />

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5. L’AMORE<br />

L’ultimo argomento che vogliamo trattare è quello dell’amore; anche qua potremmo rifarci ad una<br />

tradizione letteraria vastissima ma partiamo dal considerare quale sia la concezione verghiana di amore.<br />

Esso è senz’altro, come tutto il resto, pieno di una negatività tremenda. Ne I Malavoglia i matrimoni sono<br />

tutti combinati sulla base di calcoli puramente economici, la donna è vista unicamente come un oggetto di<br />

scambio e i suoi sentimenti non vengono tenuti in nessun conto. Inoltre è raro che i matrimoni abbiano un<br />

esito felice. Uno dei passaggi più commoventi del romanzo è senz’altro il dialogo tra Alfio Mosca e la<br />

Mena che, nonostante si amino da molto tempo, non si possono sposare perché la Mena rifiuta la richiesta<br />

di Alfio dal momento che ha perso tutto; l’amore passa in secondo piano, quello che conta sono gli aspetti<br />

più materiali.<br />

“Giacché tutti si maritavano, Alfio Mosca avrebbe voluto prendersi comare Mena, che nessuno<br />

la voleva più, dacché la casa dei Malavoglia s’era sfasciata, e compar Alfio avrebbe potuto<br />

dirsi un bel partito per lei, col mulo che ci aveva; così la domenica ruminava fra di sé tutte le<br />

ragioni per farsi animo, mentre stava accanto a lei, seduto davanti alla casa, colle spalle al<br />

muro, a sminuzzare gli sterpolini della siepe per ingannare il tempo. Anche lei guardava la<br />

gente che passava, e così facevano festa la domenica: – Se voi mi volete ancora, comare Mena,<br />

disse finalmente, io per me son qua. La povera Mena non si fece neppur rossa, sentendo che<br />

compare Alfio aveva indovinato che ella lo voleva, quando stavano per darla a Brasi Cipolla,<br />

tanto le pareva che quel tempo fosse lontano, ed ella stessa non si sentiva più quella. – Ora<br />

sono vecchia, compare Alfio, rispose, e non mi marito più. – Se voi siete vecchia, anch’io sono<br />

vecchio, ché avevo degli anni più di voi, quando stavamo a chiacchierare dalla finestra, e mi<br />

pare che sia stato ieri, tanto m’è rimasto in cuore. Ma devono esser passati più di otto anni. E<br />

ora quando si sarà maritato vostro fratello Alessi, voi restate in mezzo alla strada. Mena si<br />

strinse nelle spalle, perché era avvezza a fare<br />

la volontà di Dio, come la cugina Anna; e compare Alfio, vedendo così, riprese:<br />

– Allora vuol dire che non mi volete bene, comare Mena, e scusatemi se vi ho detto che vi<br />

avrei sposata. Lo so che voi siete nata meglio di me, e siete figlia di padroni; ma ora non avete<br />

più nulla, e se si marita vostro fratello Alessi, rimarrete in mezzo alla strada. Io ci ho il mulo e<br />

il mio carro, e il pane non ve lo farei mancare giammai, comare Mena. Ora perdonatemi la<br />

libertà!<br />

– Non mi avete offesa, no, compare Alfio; e vi avrei detto di sì anche quando avevamo la<br />

Provvidenza e la casa del nespolo, se i miei parenti avessero voluto, che Dio sa quel che ci<br />

12


avevo in cuore quando ve ne siete andato alla Bicocca col carro dell’asino, e mi pare ancora di<br />

vedere quel lume nella stalla, e voi che mettevate tutta la vostra roba sul carretto, nel cortile; vi<br />

rammentate?<br />

– Sì, che mi rammento! Allora perché non mi dite di sì, ora che non avete più nulla, e ci ho il<br />

mulo invece<br />

dell’asino al carretto, e i vostri parenti non potrebbero dir di no?<br />

– Ora non son più da maritare; tornava a dire Mena col viso basso, e sminuzzando gli sterpolini<br />

della siepe anche lei. Ho 26 anni, ed è passato il tempo di maritarmi.<br />

– No, che non è questo il motivo per cui non volete dirmi di sì! ripeteva compar Alfio col viso<br />

basso come lei. – Il motivo non volete dirmelo! – E così rimanevano in silenzio a sminuzzare<br />

sterpolini senza guardarsi in faccia. Dopo egli si alzava per andarsene, colle spalle grosse e il<br />

mento sul petto. Mena lo accompagnava cogli occhi finché poteva vederlo, e poi guardava al<br />

muro dirimpetto e sospirava.<br />

Come aveva detto Alfio Mosca, Alessi s’era tolta in moglie la Nunziata, e aveva riscattata la<br />

casa del nespolo.<br />

– Io non son da maritare, aveva tornato a dire la Mena; – maritati tu che sei da maritare ancora;<br />

– e così ella era salita nella soffitta della casa del nespolo, come le casseruole vecchie, e s’era<br />

messo il cuore in pace, aspettando i figliuoli della Nunziata per far la mamma. Ci avevano pure<br />

le galline nel pollaio, e il vitello nella stalla, e la legna e il mangime sotto la tettoia, e le reti e<br />

ogni sorta di attrezzi appesi, il tutto come aveva detto padron ‘Ntoni; e la Nunziata aveva<br />

ripiantato nell’orto i broccoli ed i cavoli, con quelle braccia delicate che non si sapeva come ci<br />

fosse passata tanta tela da imbiancare, e come avesse fatti quei marmocchi grassi e rossi che la<br />

Mena si portava in collo pel vicinato, quasi li avesse messi al mondo lei, quando faceva la<br />

mamma. Compare Mosca scrollava il capo, mentre la vedeva passare, e si voltava dall’altra<br />

parte, colle spalle grosse.<br />

– A me non mi avete creduto degno di quest’onore! le disse alfine quando non ne poté più, col<br />

cuore più grosso delle spalle. – Io non ero degno di sentirmi dir di sì!<br />

– No, compar Alfio! – rispose Mena la quale si sentivaspuntare le lagrime. – Per quest’anima<br />

pura che tengo sulle braccia! Non è per questo motivo. Ma io non son più da maritare.<br />

– Perché non siete più da maritare, comare Mena?<br />

– No! no! – ripeteva comare Mena, che quasi piangeva.<br />

– Non me lo fate dire, compar Alfio! Non mi fate parlare! Ora se io mi maritassi, la gente<br />

tornerebbe a parlare di mia sorella Lia, giacché nessuno oserebbe prendersela una Malavoglia,<br />

13


dopo quello che è successo. Voi pel primo ve ne pentireste. Lasciatemi stare, che non sono da<br />

maritare, e mettetevi il cuore in pace.<br />

– Avete ragione, comare Mena! rispose compare Mosca; – a questo non ci avevo mai pensato.<br />

Maledetta la sorte che ha fatto nascere tanti guai! Così compare Alfio si mise il cuore in pace, e<br />

Mena<br />

seguitò a portare in braccio i suoi nipoti, quasi ci avesse il cuore in pace anche lei, e a spazzare<br />

la soffitta, per quando fossero tornati gli altri, che c’erano nati anche loro, – come se fossero<br />

stati in viaggio per tornare! – diceva Piedipapera.” (<strong>VERGA</strong>, I Malavoglia, cap. 15)<br />

Un altro tipo di amore rappresentato spesso da Verga è quello possessivo, irrazionale, volto ad una<br />

soddisfazione dei sensi come quello incarnato brillantemente dalla figura della Lupa.<br />

Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna--e pure non era più giovane<br />

; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così,<br />

e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché<br />

non era sazia giammai--di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare,<br />

sola come una cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si<br />

spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d'occhio, con le sue labbra rosse, e se li<br />

tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati<br />

davanti all'altare di Santa Agrippina. (<strong>VERGA</strong>, La Lupa)<br />

È incredibile come la descrizione di questa donna renda l’idea di un essere quasi animale, lo stesso nome<br />

ce lo ricorda, famelico e impulsivo. L’amore che Verga descrive in questo racconto può essere paragonato<br />

a quello tra Paolo e Francesca, condannati proprio per questo all’Inferno dantesco; infatti sono entrambi<br />

amori che portano alla morte. C’è un altro elemento ricorrente ne I Malavoglia che ci riporta al rapporto tra<br />

amore e morte, il basilico. Il basilico è sì simbolo amoroso ma è anche simbolo nefasto di lutto come ci<br />

viene ricordato anche dalla novella di Boccaccio nella quale Lisabetta da Messina pianta la testa decapitata<br />

del suo amato in una pianta di basilico che cresce grazie alle sue lacrime e alla testa del morto.<br />

“Quivi con questa testa nella sua camera rinchiusasi, sopra essa lungamente e amaramente<br />

pianse, tanto che tutta con le sue lagrime la lavò, mille basci dandole in ogni parte. Poi prese un<br />

grande e un bel testo, di questi ne’ quali si pianta la persa o il basilico, e dentro la vi mise<br />

fasciata in un bel drappo; e poi messavi su la terra, su vi piantò parecchi piedi di bellissimo<br />

bassilico salernetano, e quegli da niuna altra acqua che o rosata o di fior d’aranci o delle sue<br />

14


lagrime non innaffiava giammai. E per usanza aveva preso di sedersi sempre a questo testo<br />

vicina e quello con tutto il suo disidero vagheggiare, sì come quello che il suo Lorenzo teneva<br />

nascoso: e poi che molto vagheggiato l’avea, sopr’esso andatasene cominciava a piagnere, e<br />

per lungo spazio, tanto che tutto il basilico bagnava, piagnea. Il basilico, sì per lo lungo e<br />

continuo studio, sì per la grassezza della terra procedente dalla testa corrotta che dentro v’era,<br />

divenne bellissimo e odorifero molto.” (G. BOCCACCIO, Decameron, giornata IV, novella 5)<br />

“La Barbara perciò aveva mandato in regalo alla Mena il vaso del basilico, tutto ornato di<br />

garofani, e con un bel nastro rosso, che era l’invito di farsi comari.” (G. <strong>VERGA</strong>, I Malavoglia,<br />

cap.9)<br />

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IN<strong>DI</strong>CE<br />

Presentazione ……………………………………………………. Pg. 2<br />

Introduzione ……………………………………………………… Pg. 3<br />

Il dramma ………………………………………………………… Pg. 4<br />

La tecnica dell’impersonalità…………………………………… Pg. 10<br />

L’amore…………………………………………………………… Pg. 12<br />

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