Risoluzione per inadempimento - Università Cattolica del Sacro Cuore

Risoluzione per inadempimento - Università Cattolica del Sacro Cuore Risoluzione per inadempimento - Università Cattolica del Sacro Cuore

milano.unicatt.it
from milano.unicatt.it More from this publisher

<strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong><br />

MATERIALI<br />

GENNAIO 2012<br />

1


Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile<br />

ESTREMI<br />

Autorità: Cassazione civile sez. un.<br />

Data: 30 ottobre 2001<br />

Numero: n. 13533<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Inadempimento in genere<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Inadempimento responsabilita' <strong>del</strong> debitore<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - <strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> in genere<br />

Obbligazioni e contratti - Inadempimento - Responsabilità <strong>del</strong> debitore - Onere <strong>del</strong>la prova -<br />

Ripartizione tra il soggetto attivo ed il soggetto passivo <strong>del</strong> rapporto obbligatorio - Criteri -<br />

Mera allegazione <strong>del</strong>la circostanza <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> da parte <strong>del</strong> creditore istante <strong>per</strong><br />

l'adempimento, la risoluzione, il risarcimento - Sufficienza - Applicabilità <strong>del</strong> principio anche<br />

all'ipotesi di exceptio inadimpleti contractus e di inesatto adempimento - Sussistenza.<br />

INTESTAZIONE<br />

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE<br />

SEZIONI UNITE CIVILI<br />

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:<br />

Dott. Andrea VELA Primo - Presidente -<br />

Dott. Francesco AMIRANTE - Presidente di sezione -<br />

Dott. Alfio FINOCCHIARO - Presidente di sezione -<br />

Dott. Giovanni PRESTIPINO - Consigliere -<br />

Dott. Paolo VITTORIA - Consigliere -<br />

Dott. Antonino ELEFANTE - Consigliere -<br />

Dott. Alessandro CRISCUOLO - Consigliere -<br />

Dott. Roberto PREDEN - Rel. Consigliere -<br />

Dott. Stefanomaria EVANGELISTA - Consigliere -<br />

ha pronunciato la seguente<br />

SENTENZA<br />

sul ricorso proposto da:<br />

GALLO LUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO<br />

66, presso lo studio <strong>del</strong>l'avvocato ARCIERI NICOLA, che lo rappresenta<br />

e difende, giusta <strong>del</strong>ega a margine <strong>del</strong> ricorso;<br />

- ricorrente -<br />

contro<br />

ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA CENTRO CULTURALE LATINO AMERICANO "EL<br />

CHARANGO", DAGOBERTO ROLLA;<br />

- intimati -<br />

avverso la sentenza n. 1255-96 <strong>del</strong>la Corte d'Appello di ROMA,<br />

depositata il 03-04-96; udita la relazione <strong>del</strong>la causa svolta nella<br />

pubblica udienza <strong>del</strong> 06-04-01 dal Consigliere Dott. Roberto PREDEN;<br />

udito l'Avvocato Nicola ARCIERI;<br />

udito il P.M. in <strong>per</strong>sona <strong>del</strong> Sostituto Procuratore Generale Dott.<br />

Domenico IANNELLI che ha concluso <strong>per</strong> l'accoglimento <strong>del</strong> primo motivo<br />

<strong>del</strong> ricorso e rinvio ad altra Sezione semplice <strong>per</strong> l'ulteriore corso.<br />

FATTO<br />

Svolgimento <strong>del</strong> processo<br />

Con atto notificato il 16.5.1991, Luigi Gallo conveniva davanti al Tribunale di Roma il Centro Culturale<br />

Latino Americano El Charango in <strong>per</strong>sona <strong>del</strong> legale rappresentante Dagoberto Rolla, e quest'ultimo in<br />

proprio, <strong>per</strong> sentirli condannare all'adempimento <strong>del</strong>l'obbligazione, assunta con scrittura <strong>del</strong> 26.1.1989,<br />

avente ad oggetto l'insonorizzazione <strong>del</strong>la parete divisoria tra l'albergo gestito dall'attore e la sede<br />

<strong>del</strong>l'associazione entro il 15.8.1989, con previsione di una penale di L. 100.000 <strong>per</strong> ogni giorno di<br />

ritardo.<br />

2


I convenuti resistevano, deducendo che l'associazione aveva cessato l'attività.<br />

L'attore, modificando la domanda, chiedeva la condanna <strong>del</strong>la convenuta al pagamento <strong>del</strong>la penale.<br />

Il tribunale, con sentenza <strong>del</strong>l'1.10.1993, condannava il Centro Culturale ed il Rolla al pagamento <strong>del</strong>la<br />

somma di L. 14.800.000 ed al rimborso <strong>del</strong>le spese.<br />

Avverso la sentenza proponevano appello i soccombenti, chiedendone la riforma.<br />

Resisteva il Gallo.<br />

La Corte d'appello di Roma, con sentenza <strong>del</strong> 3.4.1996, accoglieva l'appello; rigettava la domanda;<br />

condannava il Gallo al pagamento <strong>del</strong>le spese <strong>del</strong> doppio grado.<br />

Considerava:<br />

- che correttamente il tribunale aveva qualificato come "penale" la clausola, inserita nella scrittura <strong>del</strong><br />

26.1.1989, recante la predeterminazione <strong>del</strong> danno conseguente all'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'obbligazione di<br />

insonorizzare i locali nella misura di L. 100.000 giornaliere;<br />

- che, <strong>per</strong>altro, il tribunale aveva errato nel fare applicazione dei principi che regolano l'onere <strong>del</strong>la<br />

prova, atteso che la clausola penale ha soltanto la funzione di predeterminare l'entità <strong>del</strong> danno, in caso<br />

di <strong>inadempimento</strong>, ma non sottrae il soggetto che la invoca all'onere di fornire la prova<br />

<strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong>;<br />

- che erroneamente, quindi, il tribunale aveva fondato l'accoglimento <strong>del</strong>la domanda di risarcimento<br />

sulla mancata prova <strong>del</strong>l'adempimento entro il termine pattuito da parte dei convenuti, poiché, a fronte<br />

<strong>del</strong>la contestazione <strong>del</strong>la controparte, gravava sull'attore l'onere di dimostrare sia il mancato<br />

adempimento entro il termine pattuito, sia il <strong>per</strong>iodo di protrazione <strong>del</strong> medesimo;<br />

- che, in mancanza <strong>del</strong>l'assolvimento <strong>del</strong> detto onere probatorio, la domanda doveva essere rigettata.<br />

Avverso la sentenza il Gallo ha proposto ricorso <strong>per</strong> cassazione, affidato a tre motivi.<br />

Non hanno svolto difese gli intimati.<br />

Il ricorso è stato assegnato alla terza sezione civile, che, con ordinanza <strong>del</strong> 29.4.1998, ha rimesso gli<br />

atti al Primo Presidente <strong>per</strong> l'eventuale assegnazione <strong>del</strong> ricorso alle Sezioni unite. Ha considerato la<br />

terza sezione:<br />

- che oggetto <strong>del</strong> giudizio è la richiesta di pagamento di una somma a titolo di risarcimento <strong>del</strong> danno<br />

conseguente ad <strong>inadempimento</strong> contrattuale;<br />

- che il ricorso ripropone la questione se sia il creditore agente, che lamenta la violazione <strong>del</strong> suo diritto,<br />

ad essere gravato <strong>del</strong>l'onere di dimostrare il mancato o inesatto adempimento <strong>del</strong>l'obbligazione, quale<br />

fondamento <strong>del</strong>l'azione di esatto adempimento, di risoluzione o di risarcimento <strong>del</strong> danno, ovvero se<br />

incomba al debitore resistente, che eccepisca l'estinzione <strong>del</strong>l'obbligazione <strong>per</strong> adempimento, la prova<br />

<strong>del</strong>l'avvenuto compimento <strong>del</strong>l'attività solutoria;<br />

- che sulla questione esiste contrasto nella giurisprudenza <strong>del</strong>la Corte di cassazione, tra due indirizzi:<br />

uno, maggioritario, che diversifica il regime probatorio secondo che il creditore agisca <strong>per</strong><br />

l'adempimento, nel qual caso si ritiene sufficiente che l'attore fornisca la prova <strong>del</strong> titolo che costituisce<br />

la fonte <strong>del</strong> diritto vantato, ovvero <strong>per</strong> la risoluzione, nel qual caso si ritiene che il creditore debba<br />

provare, oltre al titolo, anche l'<strong>inadempimento</strong>, integrante anch'esso fatto costitutivo <strong>del</strong>la pretesa; ed<br />

un altro orientamento, minoritario, che tende ad unificare il regime probatorio gravante sul creditore,<br />

senza distinguere tra le ipotesi in cui agisca <strong>per</strong> l'adempimento, <strong>per</strong> la risoluzione o <strong>per</strong> il risarcimento<br />

<strong>del</strong> danno, ritenendo in ogni caso sufficiente la prova <strong>del</strong> titolo che costituisce la fonte <strong>del</strong>l'obbligazione<br />

che si assume inadempiuta, spettando al debitore provare il fatto estintivo <strong>del</strong>l'avvenuto adempimento.<br />

Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni unite <strong>per</strong> la composizione <strong>del</strong> contrasto.<br />

DIRITTO<br />

Motivi <strong>del</strong>la decisione<br />

1. Il denunciato contrasto riguarda la posizione <strong>del</strong> creditore e <strong>del</strong> debitore, in tema di onere <strong>del</strong>la<br />

prova, a norma <strong>del</strong>l'art. 2697 c.c., relativamente ai rimedi offerti al creditore dall'art. 1453 c.c., nel<br />

caso di <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong> debitore nei contratti a prestazioni corrispettive.<br />

È opportuno richiamare il dato normativo di riferimento.<br />

Recita l'art. 1218 c.c.:<br />

"Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento <strong>del</strong> danno, se<br />

non prova che l'<strong>inadempimento</strong> o il ritardo è stato determinato da impossibilità <strong>del</strong>la prestazione<br />

derivante da causa a lui non imputabile." Dispone l'art. 1453 c.c.:<br />

"Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni,<br />

l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione <strong>del</strong> contratto, salvo, in ogni caso, il<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno." "La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato<br />

promosso <strong>per</strong> ottenere l'adempimento, ma non può più chiedersi l'adempimento quando è stata<br />

domandata la risoluzione." "Dalla data <strong>del</strong>la domanda di risoluzione l'inadempiente non può più<br />

adempiere la propria obbligazione." A sua volta, la disciplina generale <strong>del</strong>l'onere <strong>del</strong>la prova è dettata<br />

dall'art. 2697 c.c., secondo il quale:<br />

"Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento." "Chi<br />

eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i<br />

fatti su cui l'eccezione si fonda." Il contrasto si pone nei seguenti termini. 1.1. Un primo orientamento,<br />

3


maggioritario, sostiene che il regime probatorio è diverso secondo che il creditore richieda<br />

l'adempimento ovvero la risoluzione.<br />

Si afferma che, in materia di obbligazioni contrattuali, l'onere <strong>del</strong>la prova <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> incombe<br />

al creditore, che è tenuto a dimostrarlo, oltre al contenuto <strong>del</strong>la prestazione stessa, mentre il debitore,<br />

solo dopo tale prova, è tenuto a giustificare l'<strong>inadempimento</strong> che il creditore gli attribuisce. Infatti, ai<br />

fini <strong>del</strong>la ripartizione di detto onere, si deve avere riguardo all'oggetto specifico <strong>del</strong>la domanda, talché,<br />

a differenza <strong>del</strong> caso in cui si chieda l'esecuzione <strong>del</strong> contratto e l'adempimento <strong>del</strong>le relative<br />

obbligazioni, ove è sufficiente che l'attore provi il titolo che costituisce la fonte <strong>del</strong> diritto vantato, e cioè<br />

l'esistenza <strong>del</strong> contratto, e, quindi, <strong>del</strong>l'obbligo che si assume inadempiuto, nell'ipotesi in cui si domandi<br />

invece la risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'obbligazione, l'attore è tenuto a provare<br />

anche il fatto che legittima la risoluzione, ossia l'<strong>inadempimento</strong> e le circostanze inerenti, in funzione<br />

<strong>del</strong>le quali esso assume giuridica rilevanza, spettando al convenuto l'onere probatorio di essere immune<br />

da colpa, solo quando l'attore abbia provato il fatto costitutivo <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> (sent. n. 2024-68; n.<br />

1234-70; n. 2151-75; n. 5166-81; n. 3838-82; n. 8336-90; n. 11115-90; n. 13757-92; n. 1119-93; n.<br />

10014-94; n. 4285-94; n. 7863-95; n. 8435-96; n. 124-97). 1.1.1. La tesi trova sostegno nei seguenti<br />

argomenti.<br />

Viene valorizzata la distinzione tra i rimedi congiuntamente previsti dall'art. 1453 c.c., rilevando che si<br />

tratta di azioni con le quali vengono proposte domande con diverso oggetto (adempimento, risoluzione,<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno).<br />

Si osserva che nella azione di adempimento il fatto costituivo è il titolo, costituente la fonte negoziale o<br />

legale <strong>del</strong> diritto di credito, sicché la prova che il creditore deve fornire, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2697, comma<br />

1, deve avere ad oggetto soltanto tale elemento. Al contrario, nella azione di risoluzione, la domanda si<br />

fonda su due elementi: il titolo, fonte convenzionale o legale <strong>del</strong>l'obbligazione, e l'<strong>inadempimento</strong><br />

<strong>del</strong>l'obbligo, sicché la prova richiesta al creditore deve riguardarli entrambi, trattandosi di fatti<br />

costituitivi <strong>del</strong> diritto fatto valere, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2697, comma 1.<br />

Si ritiene irrilevante che l'<strong>inadempimento</strong>, elevato ad oggetto <strong>del</strong>l'onere probatorio, sia un fatto<br />

negativo, opponendosi che, <strong>per</strong> costante giurisprudenza, anche i fatti negativi possono essere provati<br />

fornendo prova dei fatti positivi contrari (in tal senso: sent. n. 3644-82; n. 13872-91; n. 12746-92; n.<br />

5744-93). 1.1.2. L'orientamento maggioritario trova riscontro anche in una parte <strong>del</strong>la dottrina, nella<br />

quale si rinvengono analoghe argomentazioni. 1.2. Il contrapposto indirizzo, minoritario, tende invece a<br />

ricondurre ad unità il regime probatorio da applicare in riferimento a tutte le azioni previste dall'art.<br />

1453 c.c., e cioè all'azione di adempimento, di risoluzione e di risarcimento <strong>del</strong> danno da<br />

<strong>inadempimento</strong> richiesto in via autonoma (facoltà pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di<br />

questa S.C.: sent. n. 3911-68; n. 3678-71; n. 1530-88).<br />

Si è affermato che l'azione di risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> prevista dall'art. 1453 c.c. e quelle di<br />

adempimento e di risarcimento dei danni previste anch'esse da detta norma hanno in comune il titolo<br />

ed il vincolo contrattuale di cui si deduce la violazione ad o<strong>per</strong>a <strong>del</strong>l'altro contraente, sicché alla parte<br />

che le propone non può addossarsi altro onere, a norma <strong>del</strong>l'art. 2697 c.c., che di provare l'esistenza di<br />

quel titolo e, quindi, l'insorgenza di obbligazioni ad esso connesse, incombendo alla controparte, invece,<br />

l'onere <strong>del</strong>la prova di avere adempiuto (sent. n. 10446194).<br />

Altre decisioni hanno ribadito che il meccanismo di ripartizione <strong>del</strong>l'onere <strong>del</strong>la prova ai sensi <strong>del</strong>l'art.<br />

2697 c.c. in materia di responsabilità contrattuale è identico, sia che il creditore agisca <strong>per</strong><br />

l'adempimento <strong>del</strong>l'obbligazione, sia che domandi il risarcimento <strong>per</strong> l'<strong>inadempimento</strong> contrattuale; in<br />

entrambi i casi il creditore dovrà provare i fatti costitutivi <strong>del</strong>la pretesa, cioè l'esistenza <strong>del</strong>la fonte<br />

negoziale o legale <strong>del</strong> credito e, se previsto, il termine di scadenza, e non anche l'<strong>inadempimento</strong>,<br />

mentre il debitore dovrà eccepire e dimostrare il fatto estintivo <strong>del</strong>l'adempimento (sent. n. 973-96; n.<br />

3232-98; n. 11629-99). 1.2.1. La tesi trova sostegno nei seguenti argomenti.<br />

Dall'art. 2697 c.c., che richiede all'attore la prova <strong>del</strong> diritto fatto valere ed al convenuto la prova <strong>del</strong>la<br />

modificazione o <strong>del</strong> l'estinzione <strong>del</strong> diritto stesso, si desume il principio <strong>del</strong>la presunzione di <strong>per</strong>sistenza<br />

<strong>del</strong> diritto. Ed il principio - pacificamente applicabile all'ipotesi <strong>del</strong>la domanda di adempimento, in<br />

relazione alla quale il creditore deve provare l'esistenza <strong>del</strong>la fonte negoziale o legale <strong>del</strong> credito e, se<br />

previsto, <strong>del</strong> termine di scadenza, in quanto si tratta di fatti costitutivi <strong>del</strong> diritto di credito, ma non<br />

l'<strong>inadempimento</strong>, giacchè è il debitore a dover provare l'adempimento, fatto estintivo <strong>del</strong>l'obbligazione -<br />

, deve trovare applicazione anche alle ipotesi in cui il creditore agisca <strong>per</strong> la risoluzione o <strong>per</strong> il<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno da <strong>inadempimento</strong> richiesto in via autonoma (sent. n. 973-96; n. 3232-98; n.<br />

11629-99).<br />

Siffatta estensione trova giustificazione nella considerazione che, dovendo le norme essere interpretate<br />

secondo un criterio di ragionevolezza, appare irrazionale che di fronte ad una identica situazione<br />

probatoria <strong>del</strong>la ragione <strong>del</strong> credito, e cioè <strong>del</strong>l'esistenza <strong>del</strong>l'obbligazione contrattuale e <strong>del</strong> diritto ad<br />

ottenerne l'adempimento, vi sia una diversa disciplina <strong>del</strong>l'onere probatorio, solo <strong>per</strong>ché il creditore<br />

sceglie di chiedere (la risoluzione o) il risarcimento in denaro <strong>del</strong> danno determinato dall'<strong>inadempimento</strong><br />

in luogo <strong>del</strong>l'adempimento, se ancora possibile, o <strong>del</strong> risarcimento in forma specifica (sent. n. 973-96).<br />

L'esenzione <strong>del</strong> creditore dall'onere di provare il fatto negativo <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> in tutte le ipotesi di<br />

cui all'art. 1453 c.c. (e non soltanto nel caso di domanda di adempimento), con correlativo spostamento<br />

sul debitore convenuto <strong>del</strong>l'onere di fornire la prova <strong>del</strong> fatto positivo <strong>del</strong>l'avvenuto adempimento, è<br />

4


conforme al principio di riferibilità o di vicinanza <strong>del</strong>la prova. In virtù di tale principio, che muove dalla<br />

considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insu<strong>per</strong>abili, se dovesse dimostrare di<br />

non aver ricevuto la prestazione, l'onere <strong>del</strong>la prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto,<br />

<strong>del</strong>la possibilità <strong>per</strong> l'uno o <strong>per</strong> l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive<br />

sfere di azione. Ed appare coerente alla regola dettata dall'art. 2697 c.c., che distingue tra fatti<br />

costitutivi e fatti estintivi, ritenere che la prova <strong>del</strong>l'adempimento, fatto estintivo <strong>del</strong> diritto azionato dal<br />

creditore, spetti al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva<br />

<strong>del</strong>l'adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione (sent. n. 973-96; n. 3232-98; n.<br />

11629-99). 1.2.2. L'orientamento minoritario riceve l'approvazione di larga parte <strong>del</strong>la dottrina, che<br />

svolge analoghe argomentazioni. 2. Il contrasto va composto aderendo all'indirizzo minoritario. 2.1. Per<br />

quanto concerne la disciplina <strong>del</strong>l'onere <strong>del</strong>la prova, va ricordato che l'art. 1312 <strong>del</strong> codice civile <strong>del</strong><br />

1865 disponeva che:<br />

"Chi domanda l'esecuzione di un'obbligazione deve provarla e chi pretende essere liberato deve dal<br />

canto suo provare il pagamento o il fatto che ha prodotto l'estinzione <strong>del</strong>l'obbligazione." Veniva quindi<br />

regolata specificamente la sola ipotesi <strong>del</strong>l'onere probatorio in relazione alla domanda di adempimento.<br />

L'art. 2697 <strong>del</strong> codice civile vigente ha invece dettato una disciplina generale in tema di riparto<br />

<strong>del</strong>l'onere <strong>del</strong>la prova, senza riferimento a specifici tipi di domande.<br />

La formulazione generale <strong>del</strong> principio è quindi di ostacolo alla formulazione di temi fissi di prova. Ed<br />

occorre considerare che, al fine in esame, assume certamente rilevanza il ruolo assunto dalla parte nel<br />

processo.<br />

Tuttavia, con riferimento ai tre rimedi congiuntamente previsti dall'art. 1453 c.c. appare opportuno<br />

individuare un criterio di massima caratterizzato, nel maggior grado possibile, da omogeneità.<br />

L'eccesso di distinzioni di tipo concettuale e formale è sicuramente fonte di difficoltà <strong>per</strong> gli o<strong>per</strong>atori<br />

pratici <strong>del</strong> diritto, le cui esigenze di certezza meritano di essere tenute nella dovuta considerazione. 2.2.<br />

Ritengono queste Sezioni unite di prestare adesione all'indirizzo minoritario, <strong>del</strong> quale condividono le<br />

principali argomentazioni. 2.2.1. Il principio <strong>del</strong>la presunzione di <strong>per</strong>sistenza <strong>del</strong> diritto, desumibile<br />

dall'art. 2697, in virtù <strong>del</strong> quale, una volta provata dal creditore l'esistenza di un diritto destinato ad<br />

essere soddisfatto entro un certo termine grava sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza <strong>del</strong> fatto<br />

estintivo, costituito dall'adempimento, deve ritenersi o<strong>per</strong>ante non solo nel caso in cui il creditore agisca<br />

<strong>per</strong> l'adempimento, nel quale caso deve soltanto provare il titolo contrattuale o legale <strong>del</strong> suo diritto,<br />

ma anche nel caso in cui, sul comune presupposto <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte, agisca <strong>per</strong> la<br />

risoluzione o <strong>per</strong> il risarcimento <strong>del</strong> danno. 2.2.2. La ravvisata omogeneità <strong>del</strong> regime <strong>del</strong>l'onere <strong>del</strong>la<br />

prova <strong>per</strong> le tre azioni previste dall'art. 1453 c.c. consegue infatti ad una interpretazione <strong>del</strong>le norme<br />

che vengono in gioco nella specie (l'art. 1453 in relazione agli artt. 1218 e 2697 c.c.) secondo un<br />

criterio di ragionevolezza.<br />

La domanda di adempimento, la domanda di risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> e la domanda autonoma di<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno da <strong>inadempimento</strong> si collegano tutte al medesimo presupposto, costituito<br />

dall'<strong>inadempimento</strong>. Servono tutte a far statuire che il debitore non ha adempiuto: le ulteriori pronunce<br />

sono consequenziali a questa, che rimane eguale a se stessa quali che siano i corollari che ne trae<br />

l'attore.<br />

Le azioni di adempimento e di risoluzione sono poste dall'art. 1453 sullo stesso piano, tanto è vero che<br />

il creditore ha facoltà di scelta tra l'una o l'altra azione. Non è ragionevole attribuire diversa rilevanza al<br />

fatto <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> a seconda <strong>del</strong> tipo di azione che viene in concreto esercitata. Se la parte che<br />

agisce <strong>per</strong> l'adempimento può limitarsi (come è incontroverso) ad allegare (senza onere di provarlo)<br />

che adempimento non vi è stato, eguale onere limitato alla allegazione va riconosciuto sussistente nel<br />

caso in cui invece <strong>del</strong>l'adempimento la parte richieda, postulando pur sempre che adempimento non vi<br />

è stato, la risoluzione o il risarcimento <strong>del</strong> danno.<br />

D'altra parte, va anche rilevato che l'art. 1453, comma 2, che consente di sostituire in giudizio alla<br />

domanda di adempimento la domanda di risoluzione (art. 1453, comma 2) ha riconnesso l'uno e l'altro<br />

diritto ad un'unica fattispecie, e non ha condizionato il mutamento <strong>del</strong>la domanda all'accollo di un nuovo<br />

onere probatorio. 2.2.3. L'identità <strong>del</strong> regime probatorio, <strong>per</strong> i tre rimedi previsti dall'art. 1453, merita<br />

di essere affermata anche <strong>per</strong> palesi esigenze di ordine pratico.<br />

La difficoltà <strong>per</strong> il creditore di fornire la prova di non aver ricevuto la prestazione, e cioè di fornire la<br />

prova di un fatto negativo (salvo che si tratti di <strong>inadempimento</strong> di obbligazioni negative), è su<strong>per</strong>ata dai<br />

sostenitori <strong>del</strong>l'orientamento maggioritario con l'affermazione che nel vigente ordinamento non vige la<br />

regola secondo la quale "negativa non sunt probanda", ma o<strong>per</strong>a il principio secondo cui la prova dei<br />

fatti negativi può essere data mediante la prova dei fatti positivi contrari.<br />

Si tratta tuttavia di una tecnica probatoria non agevolmente praticabile: il creditore che deduce di non<br />

essere stato pagato avrà serie difficoltà ad individuare, come oggetto di prova, fatti positivi contrari<br />

idonei a dimostrare tale fatto negativo; al contrario, la prova <strong>del</strong>l'adempimento, ove sia avvenuto, sarà<br />

estremamente agevole <strong>per</strong> il debitore, che di regola sarà in possesso di una quietanza (al rilascio <strong>del</strong>la<br />

quale ha diritto: art. 1199 c.c.) o di altro documento relativo al mezzo di pagamento utilizzato.<br />

Si rivela quindi conforme all'esigenza di non rendere eccessivamente difficile l'esercizio <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong><br />

creditore a reagire all'<strong>inadempimento</strong>, senza <strong>per</strong>altro penalizzare il diritto di difesa <strong>del</strong> debitore<br />

adempiente, fare applicazione <strong>del</strong> principio di riferibilità o di vicinanza <strong>del</strong>la prova, ponendo in ogni caso<br />

5


l'onere <strong>del</strong>la prova a carico <strong>del</strong> soggetto nella cui sfera si è prodotto l'<strong>inadempimento</strong>, e che è quindi in<br />

possesso degli elementi utili <strong>per</strong> paralizzare la pretesa <strong>del</strong> creditore, sia questa diretta all'adempimento,<br />

alla risoluzione o al risarcimento <strong>del</strong> danno, fornendo la prova <strong>del</strong> fatto estintivo <strong>del</strong> diritto azionato,<br />

costituito dall'adempimento. 2.2.4. In conclusione, deve affermarsi che il creditore, sia che agisca <strong>per</strong><br />

l'adempimento, <strong>per</strong> la risoluzione o <strong>per</strong> il risarcimento <strong>del</strong> danno, deve dare la prova <strong>del</strong>la fonte<br />

negoziale o legale <strong>del</strong> suo diritto e, se previsto, <strong>del</strong> termine di scadenza, mentre può limitarsi ad<br />

allegare l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova <strong>del</strong> fatto<br />

estintivo <strong>del</strong> diritto, costituito dall'avvenuto adempimento. 3. Eguale criterio di riparto <strong>del</strong>l'onere <strong>del</strong>la<br />

prova deve ritenersi applicabile nel caso in cui il debitore, convenuto <strong>per</strong> l'adempimento, la risoluzione o<br />

il risarcimento <strong>del</strong> danno da <strong>inadempimento</strong>, si avvalga <strong>del</strong>l'eccezione di <strong>inadempimento</strong> di cui all'art.<br />

1460 c.c. <strong>per</strong> paralizzare la pretesa <strong>del</strong>l'attore.<br />

In tale eventualità i ruoli saranno invertiti.<br />

Chi formula l'eccezione può limitarsi ad allegare l'altrui <strong>inadempimento</strong>: sarà la controparte a dover<br />

neutralizzare l'eccezione, dimostrando il proprio adempimento o la non ancora intervenuta scadenza<br />

<strong>del</strong>l'obbligazione a suo carico (in tal senso: sent. n. 3099-87; n. 13445-92; n. 3232-98). 4. Anche<br />

secondo i fautori <strong>del</strong>la tesi che esenta il creditore dall'onere di provare l'<strong>inadempimento</strong>, qualora<br />

richieda la risoluzione o il risarcimento <strong>del</strong> danno in via autonoma, e pongono a carico <strong>del</strong> debitore, in<br />

entrambi i casi, l'onere di provare l'adempimento come fatto estintivo <strong>del</strong> diritto azionato (alla stessa<br />

stregua di quanto avviene nel caso di proposizione <strong>del</strong>la domanda di adempimento), la regola non vale<br />

qualora sia dedotto, a fondamento <strong>del</strong>la domanda di risoluzione o di risarcimento <strong>del</strong> danno, un inesatto<br />

adempimento: in tale ipotesi affermano che il creditore non può limitarsi ad allegare l'inesatto<br />

adempimento, ma ne deve fornire la prova (in tal senso, tra le decisioni che accolgono l'orientamento<br />

minoritario, v. sent. n. 11629-99).<br />

In dottrina si rileva che, in tale eventualità, il creditore ammette l'avvenuto adempimento, ma lamenta<br />

vizi, difetti o difformità <strong>del</strong>la prestazione eseguita rispetto a quella dovuta, dei quali deve dare la prova.<br />

4.1. La tesi non merita adesione.<br />

Le richiamate esigenze di omogeneità <strong>del</strong> regime probatorio inducono ad estendere anche all'ipotesi<br />

<strong>del</strong>l'inesatto adempimento il principio <strong>del</strong>la sufficienza <strong>del</strong>l'allegazione <strong>del</strong>l'inesattezza <strong>del</strong>l'adempimento<br />

(<strong>per</strong> violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero <strong>per</strong> mancata osservanza<br />

<strong>del</strong>l'obbligo di diligenza, o <strong>per</strong> difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando anche in tale<br />

eventualità sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento.<br />

Appare artificiosa la ricostruzione <strong>del</strong>la vicenda secondo la quale il creditore che lamenta un<br />

<strong>inadempimento</strong> inesatto manifesterebbe, <strong>per</strong> implicito, la volontà di ammettere l'avvenuto<br />

adempimento. In realtà, il creditore esprime una ben precisa ed unica doglianza, incentrata sulla non<br />

conformità <strong>del</strong> comportamento <strong>del</strong> debitore al programma negoziale, ed in ragione di questa richiede<br />

tutela, domandando l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento.<br />

D'altra parte, la diversa consistenza <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> totale e <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> inesatto non può<br />

giustificare il diverso regime probatorio. In entrambi i casi il creditore deduce che l'altro contraente non<br />

è stato fe<strong>del</strong>e al contratto. Non è ragionevole ritenere sufficiente l'allegazione <strong>per</strong> l'<strong>inadempimento</strong><br />

totale (massima espressione di infe<strong>del</strong>tà al contratto) e pretendere dal creditore la prova <strong>del</strong> fatto<br />

negativo <strong>del</strong>l'inesattezza, se è dedotto soltanto un <strong>inadempimento</strong> inesatto o parziale (più ridotta<br />

manifestazione di infe<strong>del</strong>tà al contratto). In entrambi i casi la pretesa <strong>del</strong> creditore si fonda sulla<br />

allegazione di un <strong>inadempimento</strong> alla quale il debitore dovrà contrapporre la prova <strong>del</strong> fatto estintivo<br />

costituito dall'esatto adempimento. 5. Una eccezione all'affermato principio va invece ravvisata nel caso<br />

di <strong>inadempimento</strong> di obbligazioni negative.<br />

Ove sia dedotta la violazione di una obbligazione di non fare, la prova <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> è sempre a<br />

carico <strong>del</strong> creditore, anche nel caso in cui agisca <strong>per</strong> l'adempimento. 5.1. Il diverso regime è giustificato<br />

dalle seguenti considerazioni.<br />

Ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1222 c.c., ogni fatto compiuto in violazione di obbligazioni di non fare costituisce di <strong>per</strong><br />

sè <strong>inadempimento</strong>.<br />

L'<strong>inadempimento</strong> di siffatte obbligazioni integra un fatto positivo e non già un fatto negativo come<br />

avviene <strong>per</strong> le obbligazioni di dare o di fare.<br />

Comune presupposto dei rimedi previsti dall'art. 1453 c.c. è quindi un <strong>inadempimento</strong> costituito da un<br />

fatto positivo (l'esecuzione di una costruzione, lo svolgimento di una attività).<br />

Non o<strong>per</strong>a quindi, qualora il creditore agisca <strong>per</strong> l'adempimento, richiedendo l'eliminazione <strong>del</strong>le<br />

modificazioni <strong>del</strong>la realtà materiale poste in essere in violazione <strong>del</strong>l'obbligo di non fare, ovvero la<br />

risoluzione o il risarcimento, nel caso di violazioni con effetti irreversibili, il principio <strong>del</strong>la <strong>per</strong>sistenza<br />

<strong>del</strong> diritto insoddisfatto, <strong>per</strong>ché nel caso di obbligazioni negative il diritto nasce soddisfatto e ciò che<br />

viene in considerazione è la sua successiva violazione, nè sussistono le esigenze pratiche determinate<br />

dalla difficoltà di fornire la prova di fatti negativi sulle quali si fonda il principio di riferibilità <strong>del</strong>la prova,<br />

dal momento che l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'obbligazione negativa ha natura di fatto positivo. 6. Tanto<br />

premesso, può ora procedersi all'esame <strong>del</strong> ricorso. 6.1. Con i tre motivi, tra loro intimamente connessi,<br />

denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1321, 1382, 2697 c.c., in relazione all'art.<br />

360, n. 3, c.p.c., e difetto di motivazione, il ricorrente addebita alla corte d'appello di aver<br />

erroneamente posto a carico <strong>del</strong> creditore, che agiva <strong>per</strong> ottenere il risarcimento <strong>del</strong> danno da<br />

6


<strong>inadempimento</strong> contrattuale (danno di consistenza preventivamente determinata mediante clausola<br />

penale), l'onere di fornire la prova <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong>; sostiene, invocando l'orientamento minoritario,<br />

che era onere <strong>del</strong> debitore dimostrare di avere adempiuto. 6.2. Il ricorso è fondato.<br />

La sentenza impugnata è in contraddizione con il principio accolto da queste Sezioni unite in sede di<br />

composizione <strong>del</strong> contrasto e va <strong>per</strong>tanto cassata.<br />

La causa va rinviata ad altra sezione <strong>del</strong>la Corte d'appello di Roma, che si atterrà al suenunciato<br />

principio. 7. Sussistono giusti motivi, da ravvisare nella sussistenza <strong>del</strong> contrasto di giurisprudenza ora<br />

composto, <strong>per</strong> compensare tra le parti le spese <strong>del</strong> giudizio di cassazione.<br />

P.Q.M.<br />

p.q.m.<br />

La Corte accoglie il ricorso; cassa e rinvia ad altra sezione <strong>del</strong>la Corte d'appello di Roma; compensa le<br />

spese <strong>del</strong> giudizio di cassazione.<br />

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio <strong>del</strong>le Sezioni unite civili <strong>del</strong>la Corte suprema di<br />

cassazione, il 6.4.2001.<br />

Cassazione civile sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533<br />

Utente: UNIV.CATTOLICA DEL SACRO CUORE univc90<br />

Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A.<br />

Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile<br />

ESTREMI<br />

Autorità: Cassazione civile sez. un.<br />

Data: 14 gennaio 2009<br />

Numero: n. 553<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - <strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> - in genere<br />

PROCEDIMENTO CIVILE - Domanda giudiziale - interpretazione<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Caparra<br />

Obbligazioni e contratti - Caparra - Confirmatoria - Inadempimento - Rimedi a disposizione<br />

<strong>del</strong>la parte non inadempiente - <strong>Risoluzione</strong> e risarcimento <strong>del</strong> danno - Recesso e ritenzione<br />

<strong>del</strong>la caparra - Incompatibilità - Fondamento - Conseguenze - Modificazione <strong>del</strong>la domanda in<br />

appello - Inammissibilità<br />

Obbligazioni e contratti - Caparra - Caparra confirmatoria - Recesso <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> -<br />

Ritenzione <strong>del</strong>la caparra - Risarcimento <strong>del</strong> danno - Cumulo - Esclusione - Alternatività dei<br />

due rimedi - Impossibilità di trasformazione <strong>del</strong>l'azione di risoluzione in azione di recesso<br />

con ritenzione <strong>del</strong>la caparra.<br />

INTESTAZIONE<br />

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE<br />

SEZIONI UNITE CIVILI<br />

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:<br />

Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -<br />

Dott. ELEFANTE Antonino - Pres. di sezione -<br />

Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -<br />

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - Consigliere -<br />

Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere -<br />

Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere -<br />

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -<br />

7


Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere -<br />

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere -<br />

ha pronunciato la seguente:<br />

sentenza<br />

sul ricorso 23695-2002 proposto da:<br />

D.E., L.N., elettivamente domiciliati in<br />

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio <strong>del</strong>l'avvocato<br />

MASTRACOLA ANTONELLA, rappresentati e difesi dall'avvocato MANCUSO<br />

DOMENICO, giusta <strong>del</strong>ega a margine <strong>del</strong> ricorso;<br />

- ricorrenti -<br />

contro<br />

N.R., N.G., N.A., elettivamente<br />

domiciliati in ROMA, VIA DARDANELLI 37, presso lo studio<br />

<strong>del</strong>l'avvocato MASULLO GIUSEPPE MARIA, rappresentati e difesi<br />

dall'avvocato DE SENA RAFFAELE, giusta <strong>del</strong>ega a margine <strong>del</strong><br />

controricorso;<br />

- controricorrenti -<br />

avverso la sentenza n. 1953/2001 <strong>del</strong>la CORTE D'APPELLO di NAPOLI,<br />

depositata il 28/06/2001;<br />

udita la relazione <strong>del</strong>la causa svolta nella pubblica udienza <strong>del</strong><br />

23/09/2008 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;<br />

udito l'Avvocato Domenico MANCUSO;<br />

udito il P.M. in <strong>per</strong>sona <strong>del</strong> Sostituto Procuratore Generale Dott.<br />

CICCOLO PASQUALE PAOLO MARIA, che ha concluso <strong>per</strong> il rigetto <strong>del</strong><br />

ricorso.<br />

FATTO<br />

IN FATTO<br />

N.R., N.G. e N.A., nel convenire in giudizio dinanzi al tribunale di Nola i coniugi D.E. e L.N., esposero, in<br />

qualità di promissari acquirenti di un immobile di proprietà di questi ultimi:<br />

- di avergli corrisposto, contestualmente alla stipula <strong>del</strong> preliminare di vendita, dapprima la somma di L.<br />

65 milioni a titolo di caparra confirmatoria, poi quella di L. 85 milioni quale ulteriore acconto sul prezzo<br />

residuo;<br />

- di essersi obbligati a pagare tale prezzo entro il 31 gennaio 1996;<br />

- di avere, <strong>per</strong>altro, consegnato ai promittenti venditori, a garanzia di tale adempimento, in luogo <strong>del</strong><br />

denaro, alcuni effetti cambiari.<br />

Tanto premesso, i N. chiesero la risoluzione <strong>del</strong> preliminare <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>le controparti - che<br />

non avevano accettato i titoli cambiari in locum pecuniae - e la loro condanna alla restituzione <strong>del</strong>la<br />

complessiva somma di L. 178 milioni.<br />

I coniugi L., nel costituirsi, chiesero a loro volta il rigetto <strong>del</strong>la domanda risolutorio/risarcitoria sì come<br />

introdotta dagli attori, instando, in via riconvenzionale, <strong>per</strong> la declaratoria di risoluzione <strong>del</strong> preliminare<br />

<strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> dei N. - inottem<strong>per</strong>anti ad una diffida a comparire dinanzi al notaio <strong>per</strong> la stipula <strong>del</strong><br />

contratto definitivo -, con conseguente "ritenzione <strong>del</strong>la caparra e risarcimento <strong>del</strong> danno in misura da<br />

determinarsi da parte <strong>del</strong> tribunale".<br />

Il giudice di primo grado respinse la domanda principale e, in parziale accoglimento di quella<br />

riconvenzionale, dichiarò risolto il preliminare <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> degli attori, condannando <strong>per</strong>altro i<br />

convenuti in riconvenzione alla restituzione <strong>del</strong>la somma di L. 65 milioni ricevuta a titolo di caparra, <strong>per</strong><br />

mancata prova <strong>del</strong> danno lamentato da costoro.<br />

La sentenza fu impugnata da entrambe le parti dinanzi alla corte di appello di Napoli, alla quale i<br />

promissari acquirenti chiesero che fossero loro riconosciuti e corrisposti gli interessi sulla somma<br />

versata a titolo di caparra (<strong>del</strong>la quale era stata disposta la restituzione in primo grado), mentre i<br />

promittenti venditori avrebbero invocato, <strong>per</strong> la prima volta in quel grado di giudizio, la facoltà di<br />

esercitare il recesso dal contratto - sì come riconosciutagli, in qualità di parte non inadempiente,<br />

dall'art. 1385 c.c.-, con conseguente ritenzione <strong>del</strong>la caparra (in particolare, si legge nella sentenza di<br />

appello che, "con il primo motivo di gravame, i promittenti venditori deducono di sostituire alla<br />

domanda riconvenzionale di risoluzione <strong>del</strong> preliminare di vendita e di risarcimento dei danni, spiegata<br />

in primo grado, quella di recesso <strong>del</strong> contratto con ritenzione <strong>del</strong>la caparra": così <strong>del</strong>imitato il thema<br />

decidendum in quel grado di giudizio, <strong>per</strong> pacifica ammissione <strong>del</strong>la stessa parte appellante, non residua<br />

in questa sede alcuna ulteriore questione circa la reale portata <strong>del</strong>la domanda spiegata in primo grado,<br />

con la quale, secondo la ricostruzione <strong>del</strong>l'intera vicenda processuale sì come o<strong>per</strong>ata dallo stesso<br />

giudice di appello, i promittenti venditori avevano in realtà chiesto, con formula dalla portata più ampia,<br />

8


"la risoluzione <strong>del</strong> preliminare <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>, con conseguente ritenzione <strong>del</strong>la caparra e condanna<br />

al risarcimento dei danni").<br />

La corte partenopea, nell'accogliere in parte qua il gravame dei promissari acquirenti, condannò i<br />

coniugi L. a corrispondere gli interessi legali sulla somma di L. 65 milioni e a restituire l'ulteriore somma<br />

di L. 85 milioni ricevuta a titolo di acconto.<br />

Osservò il giudice territoriale, <strong>per</strong> quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità, che il motivo<br />

di appello con il quale i promittenti venditori avevano dedotto di voler sostituire alla iniziale domanda<br />

riconvenzionale di risoluzione contrattuale <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte e di risarcimento dei<br />

danni quella di recesso dal contratto e di ritenzione <strong>del</strong>la caparra non poteva trovare ingresso in sede di<br />

appello, attesone l'irredimibile carattere di novità.<br />

La sentenza <strong>del</strong>la corte partenopea è stata impugnata da D. E. e L.N. con ricorso <strong>per</strong> cassazione<br />

sorretto da un unico, complesso motivo di gravame.<br />

Resistono con controricorso N.R., N.G. e N. A..<br />

L'esame <strong>del</strong> ricorso è stato rimesso a queste sezioni unite dal Primo Presidente a seguito di ordinanza<br />

interlocutoria n. 4442 <strong>del</strong> 28.2.2006, con la quale la seconda sezione <strong>del</strong>la corte ha ravvisato e<br />

segnalato l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza sulla questione se, con riferimento ad un<br />

preliminare di vendita in relazione al quale il promissario acquirente abbia corrisposto al promittente<br />

venditore una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, il venditore convenuto dall'acquirente<br />

<strong>per</strong> la risoluzione <strong>del</strong> contratto sul presupposto di un preteso suo <strong>inadempimento</strong> possa chiedere, in via<br />

riconvenzionale, in primo grado, la risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'acquirente e il<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno, e in appello - dopo che il primo giudice abbia accolto la (sola) riconvenzionale di<br />

risoluzione, rigettando quella di risarcimento <strong>per</strong> mancanza di prova <strong>del</strong> danno - il recesso dal contratto<br />

ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1385 c.c., comma 2, e la (conseguente) ritenzione <strong>del</strong>la caparra.<br />

DIRITTO<br />

IN DIRITTO<br />

Con l'unico motivo di ricorso, la difesa dei coniugi L. denuncia violazione e falsa applicazione di norme di<br />

diritto (artt. 183 e 345 c.p.c., art. 1385 c.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi<br />

<strong>del</strong>la controversia.<br />

Si sostiene, nell'illustrazione <strong>del</strong> motivo, che la sostituzione, in sede di appello, <strong>del</strong>la originaria domanda<br />

di risoluzione contrattuale <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> con quella di recesso ex art. 1385 c.c. non integrerebbe<br />

affatto gli estremi <strong>del</strong>lo ius novorum (vietato), ma andrebbe, di converso, configurata come esercizio di<br />

una <strong>per</strong>durante (quanto legittima) facoltà <strong>del</strong> richiedente, in guisa di istanza processuale soltanto<br />

ridotta rispetto alla già proposta risoluzione, nell'ambito <strong>del</strong>la medesima dimensione risarcitoria <strong>del</strong>la<br />

domanda, in conseguenza <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> di controparte.<br />

Come si è già avuto modo di accennare nel corso <strong>del</strong>l'esposizione dei fatti di causa, la questione <strong>del</strong><br />

coordinamento dei due rimedi risarcitori alternativamente riconosciuti dall'art. 1385 c.c. - quanto, cioè,<br />

alla facoltà, <strong>per</strong> la parte adempiente che abbia agito <strong>per</strong> la risoluzione <strong>del</strong> contratto (art. 1385 c.c.,<br />

comma 3) e <strong>per</strong> la condanna <strong>del</strong>la parte inadempiente al risarcimento <strong>del</strong> danno ex art. 1453 c.c., di<br />

sostituire tali richieste, in appello, con una domanda di recesso dal contratto e di ritenzione <strong>del</strong>la<br />

caparra o <strong>del</strong> suo doppio (art. 1385 c.c., comma 2) - è stata più volte affrontata da questa corte di<br />

legittimità, e diacronicamente risolta, in modo non uniforme, secondo <strong>per</strong>corsi argomentativi diversi e<br />

sovente contrastanti.<br />

1. - La giurisprudenza di legittimità sulla fungibilità dei due rimedi "caducatori" degli effetti <strong>del</strong><br />

contratto.<br />

L'analisi <strong>del</strong>le più significative pronunce di questa corte regolatrice può utilmente dipanarsi attraverso<br />

tre diversi livelli di analisi:<br />

il primo che parta dalla ricognizione dei profili di uniformità rilevabili in tutte le sentenze che abbiano<br />

affrontato ex professo il tema dei rapporti tra domanda di risoluzione e di recesso;<br />

il secondo che esamini i contenuti e le motivazioni <strong>del</strong>le pronunce favorevoli alla sostituzione <strong>del</strong>la prima<br />

domanda con la seconda;<br />

il terzo volto all'analisi <strong>del</strong>le speculari posizioni assunte da quella giurisprudenza più rigorosamente<br />

predicativa <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la infungibilità tra le due istanze, benchè funzionali entrambe alla<br />

caducazione degli effetti <strong>del</strong> contratto.<br />

1.1. I profili di omogeneità rilevabili nelle diverse pronunce <strong>del</strong>la giurisprudenza di legittimità.<br />

Indiscusse, nella giurisprudenza di questa corte, risultano, nel tempo, le affermazioni secondo cui:<br />

- I due rimedi disciplinati, rispettivamente, dall'art. 1385 c.c., commi 2 e 3 a favore <strong>del</strong>la parte non<br />

inadempiente nell'ipotesi di <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte hanno carattere distinto e non cumulabile;<br />

- L'<strong>inadempimento</strong> si identifica in ogni caso con quello che dà luogo alla risoluzione, di cui il giudice è<br />

tenuto comunque a sindacarne gravità e imputabilità (Cass. 2032/1993; 398/1989; 4451/1985);<br />

- La parte non inadempiente che abbia esercitato il potere di recesso riconosciutole dalla legge è<br />

legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata:<br />

la caparra confirmatoria assume, in tal caso, la funzione di liquidazione convenzionale e anticipata <strong>del</strong><br />

danno da <strong>inadempimento</strong>.<br />

9


Qualora, invece, detta parte abbia preferito domandare la risoluzione (o l'esecuzione <strong>del</strong> contratto), il<br />

diritto al risarcimento <strong>del</strong> danno, che rimane regolato dalle norme generali, postula che il pregiudizio<br />

subito sia provato nell'an e nel quantum, con conseguente possibilità di rigetto <strong>del</strong>la relativa domanda<br />

in ipotesi di mancato raggiungimento <strong>del</strong>la prova (Cass. 7180/1997; 4465/1997);<br />

- La parte che ha ricevuto la caparra, se destinataria di una richiesta di restituzione ex art. 1385 c.c.,<br />

comma 2, sul presupposto <strong>del</strong> suo <strong>inadempimento</strong>, può limitarsi ad eccepire l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'altra<br />

parte, senza bisogno di proporre domanda riconvenzionale di risarcimento <strong>del</strong> danno, essendo questa<br />

una facoltà ulteriore, riconosciutale dal terzo comma <strong>del</strong>lo stesso articolo (Cass. 4777/2005;<br />

11684/1993);<br />

- Introdotta la domanda di risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> e di risarcimento dei danni, non è applicabile<br />

la disciplina <strong>del</strong>la caparra di cui al secondo comma <strong>del</strong>l'art. 1385 c.c. (Cass. 13828/2000; 8881/2000;<br />

8630/1998; 3602/1983); è illegittima la condanna <strong>del</strong>la parte inadempiente a restituire il doppio <strong>del</strong>la<br />

caparra ricevuta, stante la non cumulabilità dei due rimedi (Cass. 18850 <strong>del</strong> 2004); è necessaria la<br />

prova <strong>del</strong> danno secondo le regole generali (Cass. 17923/2007; 1301/2003; 849/2002; 4465/1997);<br />

- Mancando la prova <strong>del</strong> danno, se inadempiente è l'accipiens, la restituzione <strong>del</strong>la caparra è un effetto<br />

<strong>del</strong>la risoluzione come conseguenza <strong>del</strong> venir meno <strong>del</strong>la causa che aveva determinato la<br />

corresponsione (Cass. 8630 <strong>del</strong> 1998); l'obbligo di restituzione <strong>del</strong>la somma ricevuta, privo di funzione<br />

risarcitoria, rimane soggetto al principio nominalistico (Cass. 5007/1993; 2032/1993; 944/1992); se<br />

l'accipiens è adempiente, viceversa, la caparra svolge funzione di garanzia <strong>del</strong>l'obbligazione di<br />

risarcimento (funzione che si esplica nell'esercizio <strong>del</strong> diritto - da parte di chi l'abbia ricevuta e abbia<br />

titolo risarcitorio - a ritenere l'importo fino alla liquidazione <strong>del</strong> danno), conserva tale funzione sino alla<br />

conclusione <strong>del</strong> procedimento <strong>per</strong> la liquidazione dei danni derivanti dall'avvenuta risoluzione, non trova<br />

giustificazione la richiesta di restituzione sino alla definizione di tale procedimento (Cass. 5846/2006),<br />

con conseguente compensazione con il credito risarcitorio.<br />

1.2. - Le pronunce favorevoli alla sostituzione <strong>del</strong>la domanda di risoluzione con quella di recesso.<br />

Secondo parte <strong>del</strong>la giurisprudenza di questa corte, la parte non inadempiente che, ricevuta una somma<br />

di denaro a titolo di caparra confirmatoria, abbia purtuttavia agito <strong>per</strong> la risoluzione (o esecuzione) <strong>del</strong><br />

contratto e <strong>per</strong> la condanna al risarcimento <strong>del</strong> danno ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1453 c.c., potrebbe<br />

legittimamente sostituire a tali istanze, in grado di appello, quelle di recesso dal contratto e di<br />

ritenzione <strong>del</strong>la caparra a norma <strong>del</strong>l'art. 1385 c.c., comma 2.<br />

Tale richiesta non integrerebbe, difatti, gli estremi <strong>del</strong>la domanda nuova vietata dall'art. 345 c.p.c.,<br />

configurandosi piuttosto, rispetto alla domanda originaria, come esercizio di una <strong>per</strong>durante facoltà (e<br />

come più ridotta istanza) rispetto alla risoluzione, in una parallela orbita risarcitoria che ruota pur<br />

sempre intorno all'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'altra parte (Cass. n. 3331 <strong>del</strong> 1959; n. 2380 <strong>del</strong> 1975; n. 1391<br />

<strong>del</strong> 1986; n. 1213 <strong>del</strong> 1989; n.7644 <strong>del</strong> 1994; n. 186 <strong>del</strong> 1999; n. 1160 <strong>del</strong> 1996; n. 11760 <strong>del</strong> 2000;<br />

n. 849 <strong>del</strong> 2002, sia pur in obiter).<br />

A fondamento di tale convincimento, si è di volta in volta sostenuto:<br />

- che la domanda di recesso è anch'essa basata sulla declaratoria di <strong>inadempimento</strong> e tende, sia pure<br />

con particolari modalità, allo scioglimento <strong>del</strong> contratto;<br />

- che la domanda di ritenzione <strong>del</strong>la caparra (ovvero di pagamento <strong>del</strong> suo doppio), dal suo canto, è pur<br />

sempre una domanda di risarcimento, non incidendo sulla sua natura e funzione la peculiare forma di<br />

indennizzo preventivamente concordato;<br />

- che "domanda nuova" è solo quella che importa la trasformazione oggettiva <strong>del</strong>le domande originarie,<br />

la modifica <strong>del</strong> fatto costitutivo <strong>del</strong> diritto vantato, l'alterazione dei presupposti oggetti vi e soggettivi<br />

<strong>del</strong>l'azione, sì da determinare uno spostamento dei termini <strong>del</strong>la controversia su un piano diverso e più<br />

ampio, ovvero, sotto il profilo <strong>del</strong> petitum, quella che non abbia la possibilità di assorbire il contenuto<br />

<strong>del</strong>la domanda originaria e non escluda <strong>per</strong>tanto la riproponibilità di quest'ultima dopo la decisione <strong>del</strong><br />

giudice;<br />

- che, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1453 c.c., comma 2, si deve ritenere virtualmente compresa nella domanda di<br />

esecuzione quella di risoluzione, mentre la domanda di recesso o di ritenzione, pur costituendo, sul<br />

piano processuale, una domanda più limitata rispetto a quella di risoluzione, discende ugualmente dalla<br />

declaratoria di <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'altra parte secondo i principi generali sull'importanza e<br />

sull'imputabilità <strong>del</strong> medesimo, e importa l'assorbimento, sotto questo riguardo, <strong>del</strong> contenuto <strong>del</strong>la<br />

domanda originaria di adempimento (e poi di risoluzione) sì da renderne giuridicamente impossibile la<br />

riproposizione.<br />

Peraltro, la domanda di ritenzione <strong>del</strong>la caparra è pur sempre una domanda di risarcimento dei danni,<br />

che non muta nella sua essenza e funzione sol <strong>per</strong>chè assume la configurazione <strong>del</strong>l'indennizzo<br />

preventivo, e può rappresentare <strong>per</strong> la parte una limitazione <strong>del</strong>la reintegrazione patrimoniale oppure<br />

anche un vantaggio maggiore di quello che si sarebbe conseguito con i modi ordinari;<br />

- che, in definitiva, la domanda di recesso dal contratto costituisce una domanda più limitata rispetto a<br />

quella di risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>, poichè, in quanto ricompresa nell'unico fatto costitutivo <strong>del</strong><br />

diritto vantato, non altera i presupposti oggettivi e soggettivi <strong>del</strong>l'azione e non sposta la controversia su<br />

un piano diverso, tanto da introdurre nel processo un nuovo tema di indagine.<br />

Va ancora ricordato come, di recente, con la pronuncia di cui a Cass. n. 11356 <strong>del</strong> 2006 - che contiene<br />

una sintesi dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in subiecta materia - questa corte<br />

10


abbia avuto modo di riaffermare il principio <strong>del</strong>la fungibilità <strong>del</strong>le domande di risoluzione e di recesso,<br />

attribuendo poi alla caparra confirmatoria (<strong>del</strong> tutto condivisibilmente) natura composita, funzione<br />

eclettica, effetti diacronici.<br />

1.3. - Le pronunce contrarie alla ammissibilità <strong>del</strong>la sostituzione <strong>del</strong>la domanda di risoluzione con quella<br />

di recesso.<br />

Secondo altra parte <strong>del</strong>la giurisprudenza di legittimità, la domanda di risoluzione <strong>del</strong> contratto e di<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno e quella di recesso dal contratto medesimo con incameramento <strong>del</strong>la caparra<br />

avrebbero, in linee generali, oggetto diverso, nonchè differente causa petendi.<br />

Ne consegue che la seconda domanda, se formulata soltanto in appello in sostituzione <strong>del</strong>la prima<br />

proposta in primo grado, non costituisce semplice emendatio <strong>del</strong>la iniziale pretesa, ma <strong>del</strong>inea una<br />

questione <strong>del</strong> tutto nuova, come tale inammissibile ai sensi <strong>del</strong>l'art. 345 c.p.c. (Cass. n. 8995 <strong>del</strong> 1993).<br />

1.4. - Le pronunce relative a fattispecie di risoluzione di diritto Più composito appare il panorama<br />

giurisprudenziale di questa corte nell'ipotesi in cui la relazione tra azione di recesso e azione di<br />

risoluzione abbia avuto riguardo a fattispecie di risoluzioni di diritto.<br />

A fronte di un filone costantemente volto ad escludere la possibilità di chiedere il recesso, ai sensi<br />

<strong>del</strong>l'art. 1385 c.c., comma 2 quando si è agito <strong>per</strong> la risoluzione di diritto <strong>del</strong>lo stesso contratto, si<br />

rinvengono, difatti, altre decisioni che, in vario modo, appaiono più elasticamente funzionali a<br />

consentire al contraente non inadempiente di utilizzare il meccanismo <strong>del</strong> recesso.<br />

a) Nel senso <strong>del</strong>la impraticabilità <strong>del</strong> rimedio <strong>del</strong> recesso, essendo il contratto già risolto ex lege, si<br />

orientano tre decisioni di questa corte (Cass. n. 2557 <strong>del</strong> 1989, n. 26232 <strong>del</strong> 2005, n. 9040 <strong>del</strong> 2006,<br />

tutte relative a contratti in cui era stata chiesta la risoluzione in forza di diffida ad adempiere ex art.<br />

1454 c.c. ed era poi stato esercitato il recesso ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1385 c.c., comma 2) il cui fondamento<br />

motivazionale ruota attorno all'ostacolo costituito da un effetto risolutivo già realizzatosi alla data <strong>del</strong>la<br />

scadenza <strong>del</strong>la diffida (e alla connessa natura dichiarativa <strong>del</strong>la relativa sentenza di accertamento), con<br />

la conseguenza che "non si può recedere da un contratto già risolto de iure".<br />

In particolare, le due pronunce più recenti, non ignare <strong>del</strong>le argomentazioni svolte dalla dottrina<br />

dominante sul tema <strong>del</strong>la presunta legittimità di una sostituzione <strong>del</strong> recesso con la risoluzione,<br />

affermano di condividerle limitatamente alla ordinaria domanda di risoluzione giudiziale, e decidono in<br />

ordine alla caparra sulla base <strong>del</strong> consolidato principio <strong>del</strong> c.d. "effetto restitutorio" proprio <strong>del</strong>la<br />

risoluzione.<br />

In particolare, la pronuncia <strong>del</strong> 2005, dopo aver negato ogni fungibilità tra le domande di risoluzione e<br />

di recesso, riconosce poi la legittimità "<strong>del</strong>l'esercizio dei diritti relativi alla caparra confirmatoria di cui<br />

all'art. 1385 c.c., comma 2", specificando che si tratterebbe, nella specie, di far valere un'istanza di<br />

danni più ridotta rispetto a quella, maggiore, che si suppone esercitata con l'azione<br />

risolutorio/risarcitoria di cui al successivo comma 3, con conseguente esclusione di qualsivoglia profilo<br />

di novità <strong>del</strong>la domanda con riferimento alla (sola) richiesta di danni e conseguente legittimità <strong>del</strong>la<br />

"conversione" in appello <strong>del</strong>l'istanza di risarcimento in domanda di ritenzione;<br />

b) Nel senso <strong>del</strong>la possibilità <strong>del</strong> recesso se la risoluzione di diritto non si è verificata <strong>per</strong> rinuncia<br />

all'effetto risolutorio si esprime invece Cass. n. 7182 <strong>del</strong> 1997, a mente <strong>del</strong>la quale l'esercizio <strong>del</strong> diritto<br />

di recesso (il cui unico presupposto sarebbe ravvisabile nell'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte) è da dirsi<br />

legittimo qualora il contraente non inadempiente che abbia intimato diffida ad adempiere alla<br />

controparte - dichiarando espressamente che, allo spirare <strong>del</strong> termine fissato, il contratto si avrà <strong>per</strong><br />

risoluto di diritto - abbia rinunciato successivamente, anche con comportamenti concludenti, alla diffida<br />

e al suo effetto risolutivo (come nel caso in cui abbia concesso un nuovo, ulteriore termine <strong>per</strong><br />

l'adempimento, con la conseguenza che, nelle more di quest'ultimo, non essendo intervenuta la<br />

risoluzione contrattuale, il recesso "sarà ancora legittimamente praticabile").<br />

Analogamente, Cass. n. 1952 <strong>del</strong> 2003, richiamato l'orientamento prevalente che ammette la<br />

sostituzione <strong>del</strong>la domanda di risoluzione e risarcimento con quella di recesso (attesa "la minore<br />

ampiezza <strong>del</strong>la seconda rispetto alla prima"), lo fa proprio aggiungendo che la sostituzione sarebbe<br />

ammissibile anche nelle ipotesi di risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> una <strong>del</strong>le cause previste dalla legge (artt.<br />

1454, 1455, 1457 c.c.), quando la parte abbia rinunciato agli effetti <strong>del</strong>la risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong><br />

<strong>inadempimento</strong>, rientrando tale potere nell'autonomia privata, che, "come riconosce al creditore il<br />

diritto potestativo di non eccepire preventivamente l'<strong>inadempimento</strong> che potrebbe dare causa alla<br />

risoluzione <strong>del</strong> contratto, così non gli nega quello di non avvalersi <strong>del</strong>la risoluzione già verificatesi o già<br />

dichiarata" (nella specie, la risoluzione si era verificata <strong>per</strong> mancato rispetto <strong>del</strong> termine essenziale: la<br />

Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di recesso e di ritenzione <strong>del</strong>la<br />

caparra proposta in secondo grado sul rilievo che il contratto si era già risolto di diritto, omettendo di<br />

accertare se la parte avesse o meno rinunciato, in forma espressa o tacita, agli effetti <strong>del</strong>la risoluzione<br />

<strong>del</strong> contratto).<br />

c) Nel senso <strong>del</strong>la possibilità di utilizzare il meccanismo di cui all'art. 1385 c.c., comma 2 dopo essersi<br />

avvalsi <strong>del</strong>la risoluzione di diritto senza ulteriore domanda di risarcimento <strong>del</strong> danno sembrano ancora<br />

indirizzarsi due ulteriori sentenze di questa corte (Cass. n. 1851 <strong>del</strong> 1997 e n. 319 <strong>del</strong> 2001), la prima<br />

intervenuta in una fattispecie di termine essenziale, l'altra di diffida ad adempiere:<br />

in entrambe le ipotesi, è stato riconosciuto alla parte adempiente il diritto di esercitare l'azione ai sensi<br />

<strong>del</strong>l'art. 1385 c.c., comma 2, <strong>per</strong> ottenere, rispettivamente, di ritenere la caparra ricevuta ovvero di<br />

11


conseguire il doppio <strong>del</strong>la caparra versata dopo essersi avvalsa <strong>del</strong>la risoluzione di diritto già<br />

verificatesi: decisiva, a giudizio di quei collegi, era apparsa la circostanza che la parte, nell'esercizio<br />

<strong>del</strong>l'azione dichiarativa <strong>per</strong> l'accertamento <strong>del</strong>la risoluzione di diritto, non avesse chiesto la liquidazione<br />

<strong>del</strong> danno ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1453 c.c..<br />

La decisione <strong>del</strong> 1997 aggiunge, poi, che la scelta alternativa prevista dall'art. 1385 riguarda l'esercizio<br />

<strong>del</strong>l'azione costitutiva di risoluzione di cui all'art. 1453 c.c. e non quella che si limita ad accertare<br />

l'intervenuto <strong>inadempimento</strong>, mentre la sentenza <strong>del</strong> 2001, sul presupposto <strong>del</strong>la affinità sostanziale tra<br />

risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> e recesso di cui all'art. 1385 c.c., pone l'accento sulla<br />

funzione risarcitoria <strong>del</strong>la caparra come preventiva liquidazione <strong>del</strong> danno e ritiene che la scelta tra<br />

questa o l'integrale risarcimento da provare, ai sensi <strong>del</strong> comma 3, non sia preclusa a chi si sia avvalso<br />

<strong>del</strong> meccanismo giuridico <strong>del</strong>la risoluzione di diritto.<br />

d) Nel senso <strong>del</strong>la possibilità di recesso indipendentemente dal tipo di risoluzione, infine, risulta essersi<br />

espressa, di recente, Cass. n. 16221 <strong>del</strong> 2002, concernente una fattispecie di risoluzione <strong>per</strong> diffida ad<br />

adempiere: la Corte, nel cassare la decisione dei giudici di merito che avevano negato alla parte<br />

adempiente il diritto di ritenere la caparra ricevuta essendo il contratto già risolto <strong>per</strong> effetto <strong>del</strong>la<br />

facoltà di provocare la risoluzione <strong>del</strong> contratto mediante diffida, ha ri<strong>per</strong>corso funditus i disomogenei<br />

approdi <strong>del</strong>la propria giurisprudenza e, pur non affrontando ex professo la questione <strong>del</strong>la parificazione<br />

tra i due tipi di risoluzione, evidenzierà come carattere comune di entrambi sia pur sempre<br />

l'<strong>inadempimento</strong> presupposto, mentre altrettanto comuni "sono a dirsi i rimedi - ferma restando la<br />

distinzione tra la caparra, quale danno preventivamente determinato, e il danno effettivo da provare -",<br />

con la conseguenza che l'azione di recesso si configurerebbe "come domanda meno ampia di quella di<br />

risoluzione e risarcimento e, <strong>per</strong>tanto, non nuova".<br />

1.5. - Le pronunce relative ai rapporti tra caparra e risarcimento.<br />

Secondo Cass. 3555/2003, chi agisce in risoluzione non ha diritto, a titolo di danno minimo risarcibile,<br />

alla caparra (o al doppio di quella data) se non prova il maggior danno: la Corte precisa che la soluzione<br />

contraria comporterebbe il venir meno di ogni interesse ad esercitare il recesso, con conseguente<br />

soppressione <strong>del</strong> rimedio che la legge espressamente disciplina all'art. 1385 c.c., comma 2.<br />

Altre pronunce, invece (Cass. 2613/1988,11356/2006) predicano l'opposto principio secondo il quale la<br />

caparra avrebbe funzione di minimum risarcibile anche nel caso di domanda di risoluzione:<br />

in particolare, Cass. 11356/06 opina espressamente che la parte non inadempiente ben possa<br />

esercitare il recesso (rectius, la facoltà di ritenzione <strong>del</strong>la caparra) anche dopo aver proposto la<br />

domanda di risarcimento e fino al passaggio in giudicato <strong>del</strong>la relativa sentenza, ma in tale ipotesi essa<br />

implicitamente rinunzia al risarcimento integrale tornando ad accontentarsi <strong>del</strong>la somma<br />

convenzionalmente predeterminata al riguardo (in termini, ancora, Cass., 18/11/2002, n. 16221; Cass.,<br />

24/1/2002, n. 849; Cass., 6/9/2000, n. 11760; Cass., 1/11/1999, n. 186).<br />

Conseguentemente "ben può il diritto alla caparra essere fatto valere anche nella domanda di<br />

risoluzione".<br />

2. - Le questioni di diritto sottoposte alle sezioni unite.<br />

2.1 - Alla luce <strong>del</strong>l'analitico excursus che precede, emerge con maggiore chiarezza come le questioni di<br />

diritto sottoposte al vaglio di queste sezioni unite - in realtà più articolate e complesse di quelle rilevate<br />

con l'ordinanza di rimessione - possano così complessivamente sintetizzarsi:<br />

a) Analisi <strong>del</strong>la relazione - accessorietà, complementarietà, (in)dipendenza - intercorrente tra le azioni<br />

risolutorio/risarcitoria da una parte, e le azioni di recesso/ritenzione <strong>del</strong>la caparra dall'altra;<br />

b) analisi dei rapporti tra l'azione di risoluzione avente natura costitutiva e l'azione di recesso;<br />

c) analisi dei rapporti tra l'azione di risoluzione avente natura dichiarativa e l'azione di recesso;<br />

d) analisi dei rapporti tra risoluzione ex lege, rinuncia all'effetto risolutorio (in ipotesi di diffida ad<br />

adempiere e successiva "ritrattazione" dopo l'inutile decorso <strong>del</strong> termine), recesso;<br />

e) analisi dei rapporti tra l'azione di risarcimento integrale e l'azione volta alla ritenzione <strong>del</strong>la caparra;<br />

f) proponibilità <strong>del</strong>l'azione di ritenzione <strong>del</strong>la caparra in assenza di azione risarcitoria, a prescindere <strong>del</strong><br />

rimedio caducatorio prescelto (risoluzione/recesso).<br />

2.2. - Alla soluzione <strong>del</strong>le questioni sopra esposte non appare un fuor d'o<strong>per</strong>a far precedere una<br />

sintetica ricostruzione dei più rilevanti aspetti morfologici e funzionali <strong>del</strong>l'istituto <strong>del</strong>la caparra, oltre<br />

che una breve e giocoforza incompleta ricognizione <strong>del</strong>le posizioni <strong>del</strong>la dottrina in ordine ai rapporti tra<br />

i rimedi previsti dall'art. 1385 c.c., nell'intendimento di dare continuità ad un recente indirizzo accolto<br />

da queste sezioni unite, che, in non poche pronunce, hanno analizzato, dato conto e sovente fatte<br />

proprie non poche riflessioni <strong>del</strong>la migliore giuscivilistica italiana, in un fecondo e sempre più intenso<br />

rapporto di sinergia di pensiero tra giurisprudenza di legittimità e studiosi <strong>del</strong> diritto destinato sempre<br />

più spesso a tradursi in "diritto vivente".<br />

3. - La natura giuridica <strong>del</strong>la caparra confirmatoria - Le posizioni <strong>del</strong>la dottrina.<br />

3.1. - La caparra confirmatoria viene comunemente definita come negozio giuridico accessorio che le<br />

parti <strong>per</strong>fezionano versando l'una (il tradens) all'altra (l'accipiens) una somma di denaro o una<br />

determinata quantità di cose fungibili al momento <strong>del</strong>la stipula <strong>del</strong> contratto principale al fine di<br />

<strong>per</strong>seguire gli scopi di cui all'art. 1385 c.c..<br />

In particolare, il termine "caparra" riveste, già sotto il profilo strettamente semantico, la duplice<br />

funzione, da un canto, di qualificare, sotto il profilo causale, il negozio giuridico accessorio, dall'altro di<br />

12


indicare la somma di denaro o la qualità di cose fungibili che ne costituiscono l'oggetto (come si osserva<br />

correttamente in dottrina, è la stessa norma regolatrice <strong>del</strong>l'istituto che discorre, da un lato, di dazione<br />

"a titolo di caparra", così indicando il negozio giuridico che dà fondamento alla datio, dall'altro di<br />

"restituzione o imputazione <strong>del</strong>la caparra", in tal modo riferendosi specificamente all'oggetto <strong>del</strong><br />

negozio, il denaro o la res tradita).<br />

Sotto il profilo tanto morfologico quanto funzionale, il mutevole istituto (come già compiutamente e<br />

condivisibilmente rilevato dalla 3^ sezione questa corte, sulla scia di una attenta dottrina, con la<br />

sentenza 11356/2006) presenta caratteristiche affatto composite e spiccatamente eclettiche.<br />

La caparra confirmatoria, difatti, su di un piano, <strong>per</strong> così dire, di funzionalità patologica, è volta a<br />

garantire l'esecuzione <strong>del</strong> contratto, venendo incamerata in caso di <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte,<br />

sotto tale profilo avvicinandosi alla cauzione; ha carattere di autotutela, consentendo il recesso senza la<br />

necessità di adire il giudice; ha altresì funzione di garanzia <strong>per</strong> il risarcimento dei danni eventualmente<br />

liquidati in via giudiziale, ovvero, alternativamente, di liquidazione preventiva, forfetaria e<br />

convenzionale <strong>del</strong> danno stesso, automaticamente connessa al recesso cui la parte si sia determinata in<br />

conseguenza <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte; in una speculare dimensione di fisiologico dipanarsi<br />

<strong>del</strong>la vicenda contrattuale, essa si caratterizza invece come anticipata esecuzione parziale <strong>del</strong>la<br />

prestazione dedotta in contratto (mentre correttamente se ne esclude una ulteriore funzione probatoria<br />

<strong>del</strong>l'intervenuta conclusione <strong>del</strong> contratto principale - come pure sostenuto da una risalente<br />

giurisprudenza: Cass. 925/1962, 1326/1958 -, atteso che ad essere tradizionalmente inteso come<br />

"probatorio" è in realtà il riflesso di una duplice peculiarità morfologica <strong>del</strong>l'istituto, la sua realità e la<br />

sua accessorietà).<br />

Fattispecie cangiante e versatile, la caparra assume, diacronicamente - a seconda, cioè, <strong>del</strong> "momento"<br />

<strong>del</strong> rapporto negoziale in cui si colloca -, forme e funzioni assai diversificate, in ciò distinguendosi<br />

nettamente tanto dalla caparra penitenziale, che costituisce il semplice - e non altrimenti utilizzabile -<br />

corrispettivo <strong>del</strong> diritto di recesso, quanto dalla clausola penale, rispetto alla quale non pone limiti<br />

all'entità <strong>del</strong> danno risarcibile - ben potendo la parte non inadempiente recedere senza dover proporre<br />

domanda giudiziale o intimare la diffida ad adempiere e trattenere la caparra ricevuta ovvero esigere il<br />

doppio di quella prestata a totale soddisfacimento <strong>del</strong> danno derivante dal recesso, <strong>del</strong> tutto a<br />

prescindere dall'effettiva esistenza e dimostrazione di un danno;<br />

ovvero non esercitare il recesso e chiedere la risoluzione <strong>del</strong> contratto e l'integrale risarcimento <strong>del</strong><br />

danno sofferto in base alle regole generali, sul presupposto di un <strong>inadempimento</strong> imputabile e di non<br />

scarsa importanza (la parte non inadempiente non potrà, in tal caso, incamerare la caparra, bensì<br />

trattenerla a garanzia <strong>del</strong>la pretesa risarcitoria, ovvero a titolo di acconto su quanto a lei spettante<br />

quale risarcimento integrale dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati).<br />

Nè va trascurata l'ulteriore aspetto funzionale <strong>del</strong>la caparra conseguente alla scelta <strong>del</strong>la parte di<br />

avvalersi dei rimedi ordinari <strong>del</strong>la richiesta di adempimento ovvero di risoluzione <strong>del</strong> negozio, anzichè<br />

recedere dal contratto: la sua restituzione è in tal caso conseguenza <strong>del</strong>l'effetto restitutorio proprio <strong>del</strong>la<br />

risoluzione negoziale, <strong>del</strong> venir meno, cioè, <strong>del</strong>la causa <strong>del</strong>la sua corresponsione: essa <strong>per</strong>de in tale<br />

ipotesi la funzione di limitazione forfettaria e prederminata <strong>del</strong>la pretesa risarcitoria all'importo<br />

convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla<br />

restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione <strong>del</strong> contratto, ha diritto anche al<br />

risarcimento <strong>del</strong>l'integrale danno subito se e nei limiti in cui riesce a provarne l'esistenza e l'ammontare<br />

in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1453 s.s. c.c..<br />

3.2. - La questione <strong>del</strong> coordinamento tra il rimedio <strong>del</strong> recesso e quello <strong>del</strong>la risoluzione,<br />

espressamente disciplinati in favore <strong>del</strong> contraente non inadempiente dal codice vigente, ha radici<br />

profonde, che affondano nell'antico dibattito accesosi in dottrina già nel vigore <strong>del</strong> codice <strong>del</strong> 1865 - che<br />

contemplava la sola alternativa tra ritenzione <strong>del</strong>la caparra e richiesta di esecuzione <strong>del</strong> contratto,<br />

mentre dottrina e giurisprudenza già si interrogavano, a quel tempo, sulla possibilità di chiedere il<br />

risarcimento secondo le regole ordinarie.<br />

Ecco dunque il legislatore <strong>del</strong> 1942 introdurre, nell'ambito <strong>del</strong>la disciplina generale dei contratti, accanto<br />

al rimedio <strong>del</strong> recesso con ritenzione <strong>del</strong>la caparra (o richiesta <strong>del</strong> doppio di quella versata), quello <strong>del</strong>la<br />

risoluzione <strong>del</strong> contratto con conseguente risarcimento <strong>del</strong> danno da quantificarsi secondo le regole<br />

ordinarie.<br />

Nella mens legis, secondo quanto risulta dalla relazione al codice, la caparra "mentre conferma il<br />

contratto (<strong>per</strong> modo che deve essere restituito o computato in caso di adempimento...), facilita le<br />

composizioni in caso di <strong>inadempimento</strong>: infatti, l'inadempiente...<strong>per</strong>de la caparra data o restituisce il<br />

doppio di quella ricevuta...e questa è certo una composizione spedita.<br />

Ma poichè la caparra è di regola confirmatoria, la parte adempiente può far valere i suoi diritti in via<br />

ordinaria....e allora la caparra funziona come garanzia <strong>per</strong> il recu<strong>per</strong>o dei danni, che saranno attribuiti in<br />

sede di risoluzione <strong>del</strong> contratto o, in caso di condanna ad eseguirlo, <strong>per</strong> la mora verificatesi".<br />

Pacifico, secondo la unanime dottrina, il carattere di rigida alternatività tra i due rimedi,<br />

recesso/risoluzione, alcuni autori ne trarranno la ulteriore conseguenza - <strong>per</strong> la parte adempiente che<br />

non sia riuscita a provare in parte o <strong>per</strong> l'intero il danno subito nell'azione di risoluzione e risarcimento -<br />

<strong>del</strong>la sopportazione <strong>del</strong> rischio di vedersi risarcito un importo inferiore alla caparra, ovvero negato<br />

qualsiasi importo.<br />

13


Altra parte <strong>del</strong>la dottrina, di converso, si indurrà più benevolmente a tem<strong>per</strong>are tale rigida conseguenza<br />

tanto sul piano processuale - negando la configurabilità di una domanda nuova in ipotesi di sostituzione<br />

di quella risolutoria con quella di recesso/ritenzione -, quanto su quello sostanziale, ricostruendo la<br />

fattispecie, nella sua dimensione dinamica di liquidazione anticipata <strong>del</strong> danno, in termini di minimum<br />

risarcibile, sempre legittimamente esigibile dal creditore che non sia riuscito a provare il maggior<br />

danno.<br />

3.3. - A partire dagli anni sessanta, si disegnano sempre più evidenti profili di omogeneità tra l'istituto<br />

di cui all'art. 1385 c.c., comma 2 - affidato alla manifestazione di volontà <strong>del</strong>la parte non inadempiente<br />

- e la risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>, giusta la (condivisibile) considerazione <strong>per</strong> cui il<br />

recesso, in realtà, non assurge a dignità di categoria giuridica dotata di autonomia strutturale sua<br />

propria, ma rileva piuttosto come fattispecie negoziale dai profili funzionali non omogenei, se la legge<br />

stessa definisce in termini di "recesso" atti recettizi a struttura unilaterale diversi tra loro quanto a<br />

giustificazione causale e meccanismi effettuali.<br />

Par lecito discorrere, allora, di due diverse discipline <strong>del</strong>la risoluzione piuttosto che di alternativa tra<br />

recesso e risoluzione <strong>del</strong> contratto, par lecito immaginare, di conseguenza, una ricostruzione <strong>del</strong>la<br />

fattispecie in termini di peculiare ipotesi di risoluzione di diritto, da affiancare (piuttosto che<br />

contrapporre) a quelle di cui agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c..<br />

Il recesso <strong>del</strong>la parte non inadempiente si conferma così "modalità" (ulteriore) di risoluzione <strong>del</strong><br />

contratto, destinata ad o<strong>per</strong>are, indipendentemente dall'esistenza di un termine essenziale o di una<br />

diffida ad adempiere, merce la semplice comunicazione all'altra parte di una volontà "caducatoria" degli<br />

effetti negoziali - o<strong>per</strong>ante, nella sostanza, attraverso un meccanismo analogo a quello che regola la<br />

clausola risolutiva espressa.<br />

Si discorre, all'esito di queste corrette riflessioni, <strong>del</strong> tutto opportunamente, di una "forma di risoluzione<br />

stragiudiziale <strong>del</strong> contratto che presuppone l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte, avente i medesimi<br />

caratteri <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> che giustifica la risoluzione giudiziale", cui consegue, tra l'altro, una<br />

"rilevante semplificazione <strong>del</strong> quadro probatorio".<br />

Con riferimento ai rapporti tra gli effetti <strong>del</strong>la caparra e i normali effetti <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong><br />

<strong>del</strong>l'obbligazione contrattuale, si riconosce poi pacificamente, in dottrina, la facoltà di scelta conferita<br />

alla parte non inadempiente dall'art. 1385 c.c., mentre altrettanto dominante risulterà l'orientamento<br />

secondo cui il ricorso al recesso sarebbe legittimo anche quando sia stata proposta e proseguita una<br />

iniziale domanda giudiziale di (esecuzione o) risoluzione <strong>del</strong> contratto.<br />

Tra le relative domande e azioni non si rinvengono ragioni di incompatibilità, e nella condivisa<br />

impraticabilità <strong>del</strong> relativo cumulo la maggior parte degli autori non scorge affatto l'ulteriore<br />

conseguenza <strong>del</strong>l'illegittimità <strong>del</strong>l'es<strong>per</strong>imento di entrambe in posizione alternativa o subordinata, che si<br />

ritiene consentita, di converso, "fino alla precisazione <strong>del</strong>le conclusioni nella sede giudiziale che prelude<br />

alla decisione di merito".<br />

3.4. - Tale orientamento verrà, di recente, sottoposto a serrata critica da parte di altri autori, che, da<br />

posizioni minoritarie, qualificano in termini di vera e propria forzatura dogmatica l'idea che la domanda<br />

di recesso non integri gli estremi <strong>del</strong>la domanda nuova rispetto a quella di (adempimento o) risoluzione<br />

ex art. 1453 c.c..<br />

Pur condividendosi l'affermazione secondo cui la richiesta di recesso si configura quale "istanza ridotta"<br />

rispetto alla risoluzione, vive nello stesso ambito risarcitorio in relazione all'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'altra<br />

parte, si connota di conseguente identità di causa petendi (dal momento che la ragione <strong>del</strong> domandare<br />

si sostanzia in entrambi i casi nell'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'altro contraente), ad essere sottoposta a<br />

revisione critica è l'indiscriminata identificazione <strong>del</strong> relativo petitum.<br />

Sostanziandosi l'azione di cui all'art. 1385 c.c., comma 2, in una forma di risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong><br />

contratto, o<strong>per</strong>ante alla stregua degli altri meccanismi di risoluzione stragiudiziale previsti dal codice, la<br />

sentenza che pronuncia su tale domanda non potrebbe avere - si sostiene - che natura dichiarativa,<br />

mentre è costitutiva quella che decide sulla risoluzione ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1453 c.c., è di condanna quella<br />

che pronuncia sull'adempimento.<br />

Duplice, allora, la conseguenza:<br />

da un canto, è diverso il petitum immediato che identifica le azioni che si collegano alle tre domande,<br />

essendo diverso il tipo di provvedimento richiesto al giudice (giusta la distinzione chiovendiana ancor<br />

oggi condivisa dalla dottrina e giurisprudenza prevalente in tema di petitum attoreo), di talchè "non<br />

sussiste identità di azioni e quindi di domande se è vero che tale identità postula la coincidenza <strong>del</strong><br />

petitum immediato e di quello mediato";<br />

dall'altro, anche il petitum mediato (il bene <strong>del</strong>la vita che si chiede alla controparte cui è rivolta la<br />

domanda), è in realtà diverso, se (ex art. 1453 c.c.), volendo conseguire lo scioglimento <strong>del</strong> vincolo, si<br />

chiede all'inadempiente di subire una certa modificazione giuridica quale quella che scaturisce da una<br />

pronuncia costitutiva di risoluzione, ovvero, con la domanda di recesso (ex art. 1385 c.c., comma 2), si<br />

impone alla controparte, mirando alla certezza <strong>del</strong> modo d'essere <strong>del</strong> rapporto, di prendere atto <strong>del</strong>la<br />

positiva verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti stragiudiziali <strong>del</strong>la risoluzione.<br />

Fortemente (e condivisibilmente) critica appare ancora questa stessa dottrina rispetto alla possibilità di<br />

chiedere il recesso dopo aver inizialmente invocato la risoluzione <strong>del</strong> contratto sulla base di una pretesa<br />

(quanto in realtà impredicabile) disponibilità <strong>del</strong>l'effetto risolutorio, effetto <strong>del</strong> quale si evidenzia,<br />

14


specularmente, l'assoluta indisponibilità <strong>per</strong> la parte non inadempiente, sottolineandosi come tale,<br />

erroneo approdo giurisprudenziale esponga nella sostanza il contraente inadempiente, ormai condotto<br />

sulla via <strong>del</strong>l'avvenuta risoluzione, ad una inopinata reviviscenza <strong>del</strong> contratto e al conseguente, risorto<br />

obbligo di adempimento, vicenda che la legge vuole palesemente evitare, sancendo <strong>per</strong> tabulas il<br />

divieto di modifica <strong>del</strong>la domanda di risoluzione in domanda di adempimento.<br />

Quanto, infine, alla tesi <strong>del</strong>la caparra intesa come minimum risarcibile, affacciatasi subito dopo<br />

l'introduzione <strong>del</strong>l'art. 1385 c.c., va notato come essa sia stata oggetto di recente risco<strong>per</strong>ta da parte di<br />

più di un autore negli ultimi anni, opinandosi in proposito che, nell'attribuire la scelta dei due rimedi ai<br />

sensi <strong>del</strong>l'art. 1385 c.c., il legislatore "sarebbe stato mosso dall'intento di tutelare il contraente non<br />

inadempiente consentendogli di provare l'eventuale maggior danno, senza <strong>per</strong> questo dover <strong>per</strong>dere<br />

quanto già garantitogli in via preventiva e forfetaria".<br />

A fondamento di tale (poco comprensibile e ancor meno condivisibile) istanza di "i<strong>per</strong>tutela" <strong>del</strong>la parte<br />

non inadempiente, si sottolinea che altrimenti "si falcidierebbe l'istituto <strong>del</strong>la caparra annullandone la<br />

funzione tipica di predeterminazione <strong>del</strong> danno" (mentre, sul piano comparatistico si richiama - ma non<br />

<strong>del</strong> tutto conferentemente - il codice tedesco che, <strong>per</strong> un istituto omologo, prevede, in realtà, con<br />

disposizione <strong>del</strong> tutto "neutra", pp. 336 e 337 BGB soltanto che "qualora l'accipiens chieda il<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>, nel dubbio, la caparra vada imputata a risarcimento,<br />

mentre deve essere restituita al momento <strong>del</strong>la prestazione <strong>del</strong> risarcimento <strong>del</strong> danno").<br />

Così, dal punto di vista sistematico, si sostiene - sul presupposto che l'alternativa non sia tra recesso e<br />

risoluzione ma tra l'accontentarsi <strong>del</strong>la caparra o voler <strong>per</strong>seguire un più cospicuo ristoro - che<br />

domanda di risarcimento dei danni secondo le regole generali e domanda di ritenzione <strong>del</strong>la caparra<br />

sarebbero entrambe species <strong>del</strong> più ampio genus "domanda di risarcimento" ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1453 c.c.,<br />

comma 1, autonome rispetto a quelle di adempimento, risoluzione o accertamento di intervenuta<br />

risoluzione.<br />

In tal modo - si conclude - sarebbe soddisfatta, senza forzature dogmatiche di sorta, l'istanza di<br />

giustizia sostanziale (?) quale è quella <strong>del</strong> contraente incolpevole che, non essendo riuscito a conseguire<br />

l'integrale risarcimento <strong>per</strong> cui aveva agito art. 1385 c.c., ex comma 3 decida "di accontentarsi di<br />

meno".<br />

3.5. - Pressochè unanime risulta, invece, la dottrina nel negare legittimità alla ormai ultratrentennale<br />

posizione espressa da questa corte di legittimità sul tema (supra, sub 1.2-d) <strong>del</strong>la c.d.<br />

"rinunciabilità" all'effetto risolutorio conseguente alla sua "ritrattazione" da parte <strong>del</strong> contraente<br />

adempiente, dopo l'inutile decorso <strong>del</strong> tempo fissato con la diffida (giurisprudenza consolidata, da Cass.<br />

1530/1977 a Cass. 11967/2004; da ultimo, di recente, Cass. n. 23315 <strong>del</strong> 2007, che contiene, <strong>per</strong>altro,<br />

una puntuale analisi e un implicito apprezzamento <strong>del</strong>le avverse opinioni dottrinarie).<br />

L'asse portante <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la rinunciabilità ruota, difatti, come si legge ancora nella sentenza <strong>del</strong><br />

2007, attorno ad un concetto di essenzialità, <strong>per</strong> così dire, "unilaterale", posta, cioè, nell'esclusivo<br />

interesse <strong>del</strong> creditore, unico arbitro <strong>del</strong>la convenienza o meno a far valere l'inutile decorso <strong>del</strong> tempo in<br />

seno al dipanarsi <strong>del</strong>la vicenda negoziale.<br />

Dunque, la norma di cui all'art. 1454 c.c. non tutelerebbe l'interesse <strong>del</strong> diffidato alla certezza <strong>del</strong><br />

rapporto (intesa in termini di definitiva realizzazione <strong>del</strong>l'effetto risolutorio "di diritto" di cui discorre<br />

l'ultimo comma <strong>del</strong>la norma stessa), ma (solo) quello <strong>del</strong> diffidante che, disponendo (sine die)<br />

<strong>del</strong>l'effetto risolutorio, può ancora e sempre agire <strong>per</strong> l'adempimento: così come, verificatosi<br />

l'<strong>inadempimento</strong>, la parte non inadempiente può scegliere tra risoluzione, giudiziale o di diritto (<strong>per</strong><br />

diffida), e adempimento coattivo, così, verificatasi la risoluzione, la stessa parte potrebbe, nonostante la<br />

scadenza <strong>del</strong> termine indicato in diffida, purtuttavia esercitare l'azione di adempimento contrattuale.<br />

Argomento a latere di tale ricostruzione <strong>del</strong>la fattispecie, la natura giuridica <strong>del</strong>la diffida che, in guisa di<br />

negozio giuridico unilaterale recettizio, non potrebbe produrre effetti contro e oltre la volontà <strong>del</strong> suo<br />

autore: nessun ostacolo, dunque, alla neutralizzazione <strong>del</strong> relativo effetto negoziale attraverso altra<br />

manifestazione di volontà negoziale, dichiarativa o <strong>per</strong> facta concludentia (tale ritenendosi, ad esempio,<br />

l'esercizio di un'azione giudiziale volta a conseguire un risultato affatto diverso dalla risoluzione).<br />

A mente <strong>del</strong>le più approfondite costruzioni dottrinarie intervenute in subiecta materia (che queste<br />

sezioni unite, come di qui a breve si dirà, ritengono di poter condividere), l'effetto risolutorio<br />

conseguente alla diffida non rientrerebbe, viceversa, nella disponibilità <strong>del</strong>l'intimante.<br />

Se "il contratto è risolto", creditore e debitore sono ormai liberati dalle rispettive obbligazioni (salvo<br />

quelle restitutorie), e l'effetto risolutivo, destinato a prodursi automaticamente, cristallizza un<br />

<strong>inadempimento</strong> e le sue conseguenze in iure impedendo ogni ulteriore attività di disposizione <strong>del</strong>l'effetto<br />

stesso.<br />

In tal modo si o<strong>per</strong>a un irrinunciabile bilanciamento tanto dei contrapposti interessi negoziali - ivi<br />

compreso quello <strong>del</strong>l'inadempiente che non può indefinitamente restare esposto all'arbitrio <strong>del</strong>la<br />

controparte - quanto di quelli, più generali, al rapido e non più discutibile rientro nel circolo economico<br />

di quei beni coinvolti nella singola, patologica vicenda contrattuale.<br />

4 - La soluzione dei attesiti sottoposti all'esame di Queste sezioni unite.<br />

4.1. - E' convincimento <strong>del</strong> collegio che il ricorso dei coniugi L. debba essere rigettato, e che debba<br />

essere confermata la statuizione <strong>del</strong> giudice territoriale predicativa <strong>del</strong> carattere di novità <strong>del</strong>la<br />

15


domanda da quegli proposta in appello in sostituzione di quella originaria, sia pur con le precisazione<br />

che di qui a breve seguiranno.<br />

4.2 - Si è fatto cenno, in precedenza (supra, sub 2.1), come le vicende sostanziali e processuali<br />

scaturenti dai rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento da un canto, e tra domanda di recesso<br />

e di ritenzione <strong>del</strong>la caparra dall'altro involgano <strong>del</strong>icate questioni di diritto, la cui soluzione postula una<br />

corretta analisi di tali rapporti in una più vasta ottica di ricerca e ritrovamento <strong>del</strong> reale fondamento,<br />

morfologico e funzionale, <strong>del</strong>l'istituto <strong>del</strong>la caparra, entro i più vasti ed attuali confini <strong>del</strong> giusto<br />

processo inteso come processo celere, come processo evitabile, come equo contem<strong>per</strong>amento <strong>del</strong>le<br />

posizioni <strong>del</strong>le parti contrattuali secondo il fondamentale canone ermeneutico <strong>del</strong>la buona fede<br />

reciproca, id est <strong>del</strong> ripudio di qualsivoglia forma di abuso che dottrina e giurisprudenza tedesca<br />

felicemente definiscono come Rechtsmi brauch.<br />

Va in premessa senz'altro condivisa la ricostruzione dottrinaria secondo la quale il diritto di recesso è<br />

una evidente forma di risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong> contratto, che presuppone pur sempre<br />

l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte avente i medesimi caratteri <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> che giustifica la<br />

risoluzione giudiziale: esso costituisce null'altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale <strong>per</strong><br />

giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte) quanto<br />

le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti <strong>del</strong> contratto).<br />

Tale inquadramento sistematico <strong>del</strong>l'istituto postula, al fine di un legittimo esercizio <strong>del</strong> diritto di recesso<br />

e di conseguente ritenzione <strong>del</strong>la caparra, l'esistenza di un <strong>inadempimento</strong> gravemente colpevole, di un<br />

<strong>inadempimento</strong> cioè imputabile (ex art. 1218 c.c. e art. 1256 c.c.) e di non scarsa importanza (ex art.<br />

1455 c.c.).<br />

Un <strong>inadempimento</strong> imputabile, poichè in assenza di esso viene meno il più generale presupposto<br />

richiesto dalla norma di cui all'art. 1218 affinchè il debitore possa considerarsi tenuto al risarcimento <strong>del</strong><br />

danno, <strong>del</strong> quale la caparra costituisce (almeno in uno dei suoi polifoni aspetti funzionali) liquidazione<br />

anticipata, convenzionale, forfetaria: la impossibilità <strong>del</strong>l'esecuzione <strong>del</strong>la prestazione <strong>per</strong> causa non<br />

imputabile determina la risoluzione <strong>per</strong> impossibilità sopravvenuta <strong>del</strong>la prestazione (artt. 1218, 1256 e<br />

1463 c.c.) e la conseguente caducazione <strong>del</strong>l'intera convenzione negoziale, ivi compresa quella,<br />

accessoria, istitutiva <strong>del</strong>la caparra (in tal senso, la pressochè costante giurisprudenza di questa corte:<br />

Cass. 23.1.1989 n. 398, ove si legge che la disciplina dettata dall'art. 1385 c.c., comma 2 in tema di<br />

recesso <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> nell'ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga<br />

affatto alla disciplina generale <strong>del</strong>la risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>, consentendo il recesso di una parte<br />

solo quando l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione<br />

all'interesse <strong>del</strong>l'altro contraente.<br />

Pertanto nell'indagine sull'inadempienza contrattuale da compiersi alfine di stabilire se ed a chi spetti il<br />

diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia<br />

su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa <strong>del</strong><br />

comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi<br />

abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l'interesse <strong>del</strong>l'altro al mantenimento <strong>del</strong><br />

negozio).<br />

Un <strong>inadempimento</strong> grave <strong>per</strong>chè (come già correttamente evidenziato nella sentenza dianzi citata, e<br />

come confermato dalla dominante dottrina), diversamente opinando (come pure ipotizzato da chi<br />

sottolinea come la collocazione <strong>del</strong>la norma ex art. 1385 sia al di fuori dalla specifico capo dedicato alla<br />

risoluzione <strong>per</strong> giusta causa ed ai suoi presupposti, non contenendo il predetto articolo alcuna menzione<br />

<strong>del</strong>le caratteristiche <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> nè tantomeno sussumendone la gravità al rango di condizione<br />

necessaria <strong>per</strong> l'esercizio <strong>del</strong> diritto di recesso) si finirebbe, da un canto, <strong>per</strong> indebolire, anzichè<br />

rafforzare, il vincolo negoziale - consentendosi alla parte di sottrarvisi capricciosamente al solo<br />

annunciarsi di qualsivoglia, minima difformità di esecuzione - così determinando una insanabile<br />

contraddizione con l'opposta, tipica finalità di rafforzamento <strong>del</strong> predetto vincolo, universalmente<br />

riconosciuta alla caparra -; dall'altro, <strong>per</strong> negare incomprensibilmente in radice la identità strutturale di<br />

un medesimo presupposto risarcitorio (l'<strong>inadempimento</strong>), così come sussunto nella sfera <strong>del</strong> rilevante<br />

giuridico dall'unica norma che lo disciplina in parte qua (l'art. 1385 c.c.), salvo ad annettervi poi, sul<br />

piano funzionale, due rimedi alternativi di tutela (il recesso, la risoluzione): ammettere l'ipotesi<br />

contraria condurrebbe alla poco logica conseguenza <strong>per</strong> cui in presenza di un <strong>inadempimento</strong> lieve il<br />

contraente incolpevole potrebbe recedere dal contratto, ma non provocarne la risoluzione in via<br />

ordinaria (con buona pace <strong>del</strong>la evidente alternatività "integrale" dei rimedi rispettivamente mo<strong>del</strong>lati<br />

dal comma 2 e dal comma 3 <strong>del</strong>la norma citata, e salva, <strong>per</strong>altro, la contraria volontà <strong>del</strong>le parti che,<br />

con apposita clausola, si determinino ad attribuire rilevanza anche ad ipotesi di <strong>inadempimento</strong> lieve,<br />

attraverso una specificazione ed eterodeterminazione <strong>del</strong> regolamento negoziale espressamente<br />

convenuto in forme dissonanti rispetto allo schema legislativo).<br />

4.3. - Tanto premesso, e avviando a soluzione il complesso coacervo di quesiti sollevati in premessa,<br />

deve in limine osservarsi che, se il recesso è non altro che una forma di risoluzione stragiudiziale <strong>del</strong><br />

contratto che presuppone l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte, le interazioni rilevanti da esaminare sul<br />

piano normativo non sono tanto quelle tra il recesso stesso e le varie forme di risoluzione, quanto<br />

quella, pur collegata, tra azione di risarcimento ordinaria e domanda di ritenzione <strong>del</strong>la caparra.<br />

16


Si è condivisibilmente affermato, in proposito, che l'unica ragione <strong>per</strong> cui il contraente incolpevole (oltre<br />

che di buon senso) possa preferire la meno <strong>per</strong>via strada <strong>del</strong>la risoluzione alla più agevole<br />

manifestazione <strong>del</strong>la volontà di recesso è evidentemente volta al proposito di conseguire un<br />

risarcimento (che egli auspica) maggiore rispetto all'importo <strong>del</strong>la caparra (o <strong>del</strong> suo doppio).<br />

Se un'alternativa si pone, allora, <strong>per</strong> la parte non inadempiente, questa non è tanto limitata ad una<br />

scelta (in realtà, <strong>del</strong> tutto fungibile quoad effecta) tra recesso e risoluzione, ma si estende<br />

necessariamente a quella tra l'incamerare la caparra (o il suo doppio), così ponendo fine alla vicenda<br />

negoziale, e l'instaurare un apposito giudizio <strong>per</strong> conseguire una più cospicua locupletazione, un più<br />

pingue risarcimento, una più congrua quantificazione di danni dei quali egli si riserva (fondatamente) di<br />

offrire la prova.<br />

Ecco che l'analisi <strong>del</strong>la prima relazione tra le azioni in esame comporta non tanto l'attribuire rilevanza<br />

alla pretesa antinomia risoluzione + risarcimento / recesso + ritenzione <strong>del</strong>la caparra, una vera e<br />

propria alternatività (rectius, incompatibilità) esistendo piuttosto, sul piano morfologico, tra le due sole<br />

azioni "recu<strong>per</strong>atorie", quella, cioè, strettamente risarcitoria (la domanda di risarcimento danni) e quella<br />

più latamente satisfattiva (la ritenzione <strong>del</strong>la caparra, sul cui carattere, in realtà, paraindennitario e non<br />

strettamente risarcitorio non è in questa sede lecito approfondire una riflessione).<br />

Le (apparenti) problematiche afferenti ai rapporti tra le (sole) domande di risoluzione e di recesso non<br />

hanno, in realtà, al di là di aspetti formalistico/speculativi, autonoma rilevanza giuridica sostanziale:<br />

una domanda (principale) di risoluzione contrattuale correlata ad una richiesta risarcitoria contenuta nei<br />

limiti <strong>del</strong>la caparra, oltre ad avere una rilevanza pressochè solo teorica (non si capisce <strong>per</strong>chè adire il<br />

giudice, potendo la parte stessa determinare l'effetto risolutorio in sede stragiudiziale, mentre diverso<br />

potrebbe risultare l'approccio in ipotesi di domanda riconvenzionale), non è altro (nonostante il<br />

contrario avviso di autorevole dottrina, che discorre di compatibilità tra domanda costitutiva di<br />

risoluzione giudiziale e risarcimento <strong>del</strong> danno nei limiti <strong>del</strong>la caparra) che una domanda di<br />

accertamento <strong>del</strong>l'avvenuto recesso (e <strong>del</strong>la conseguente risoluzione legale <strong>del</strong> contratto); una<br />

domanda di risoluzione avanzata senza il corredo di una ulteriore richiesta risarcitoria, rapportata o<br />

meno all'entità <strong>del</strong>la caparra, avrà il solo scopo di caducare in via giudiziale il contratto senza ulteriori<br />

conseguenze economiche <strong>per</strong> la parte inadempiente (il che potrà accadere nell'ipotesi - invero assai<br />

rara - in cui la parte adempiente abbia il solo scopo di rendere definitivo l'accertamento <strong>del</strong>la<br />

caducazione degli effetti <strong>del</strong> contratto, ma non voglia incamerare, <strong>per</strong> motivi di etica <strong>per</strong>sonale, la<br />

caparra ricevuta poichè, a seguito <strong>del</strong> primo <strong>inadempimento</strong>, egli ha potuto successivamente concludere<br />

un più lucroso affare e non intende ulteriormente speculare sulla vicenda), senza che, nel corso <strong>del</strong><br />

giudizio, sia lecito introdurre complementari domande "risarcitorie" collegate (che risulterebbero <strong>del</strong><br />

tutto nuove e <strong>per</strong>tanto inammissibili).<br />

Il vero nodo da sciogliere, dunque, riguarda la relazione complessa tra le quattro possibili domande<br />

giudiziali, le prime due sinergicamente volte alla risoluzione e al risarcimento <strong>del</strong> danno, le seconde,<br />

proposte in una diversa fase o (come nella specie) in un diverso grado di giudizio, funzionali alla<br />

declaratoria di recesso con ritenzione <strong>del</strong>la caparra.<br />

Ed è soltanto con riferimento a questa ipotesi che la questione va risolta analizzando, <strong>per</strong>altro, non<br />

(soltanto) la interazione risoluzione/recesso, bensì quella tra risarcimento e ritenzione di caparra.<br />

Vero che il recesso non è che un'altra forma di risoluzione ex lege (ciò che apparentemente<br />

legittimerebbe le pronunce che escludono il carattere di novità di quelle domande che abbiano<br />

trasformato la richiesta di risoluzione in istanza di declaratoria di recesso, orbitando entrambe intorno al<br />

medesimo asse costituito dall'<strong>inadempimento</strong> di controparte), resta da stabilire se tale fungibilità sia, o<br />

meno, legittimamente esportabile ai rapporti tra le due connesse azioni lato sensu risarcitorie.<br />

E' convincimento di queste sezioni unite che la risposta al quesito debba essere negativa, e che <strong>del</strong><br />

tutto destituita di fondamento (benchè suggestivamente sostenuta in dottrina e motivatamente fatta<br />

propria da una recente giurisprudenza di legittimità e di merito) risulti la teoria <strong>del</strong>la caparra intesa<br />

quale misura minima <strong>del</strong> danno risarcibile da riconoscersi comunque alla parte non inadempiente<br />

benchè questa si sia avvalsa, in sede di introduzione <strong>del</strong> giudizio, dei rimedi ordinari di tutela.<br />

4.4. - Come opportunamente e condivisibilmente rilevato da una recente dottrina che ha esaminato<br />

funditus la questione, l'art. 1385 c.c., comma 3, nell'accordare alla parte non inadempiente la facoltà di<br />

avvalersi <strong>del</strong>la tutela risolutoria ordinaria, non ha in alcun modo previsto la risarcibilità <strong>del</strong> maggior<br />

danno, quanto piuttosto il risarcimento integrale <strong>del</strong> danno subito (se provato), secondo un meccanismo<br />

(processuale) ormai <strong>del</strong> tutto indipendente dalla precedente liquidazione convenzionale (e<br />

stragiudiziale).<br />

Di qui l'ulteriore connotazione <strong>del</strong>la sinergia necessaria tra azione risolutoria e azione risarcitoria:<br />

attraverso la loro congiunta proposizione, la parte tende ad ottenere un risarcimento integrale secondo<br />

le norme generali in tema di <strong>inadempimento</strong>, e non si determina ad invocare e conseguire l'eventuale<br />

differenza tra l'importo convenzionalmente "risarcitorio" rappresentato dalla caparra, da un canto, e il<br />

danno effettivamente sofferto (ma da provare), dall'altro.<br />

L'esame comparato tra la norma posta dal legislatore in tema di caparra e quella dettata in tema di<br />

clausola penale conferma la bontà di tale riflessione.<br />

Soltanto in tema di clausola penale, difatti, il legislatore ha contemplato, <strong>per</strong> la parte (sia pur previo<br />

patto espresso), la facoltà di agire in giudizio <strong>per</strong> la risarcibilità <strong>del</strong> danno ulteriore, con ciò<br />

17


presupponendosi che la somma dovuta a titolo di penale risulti comunque acquisita al patrimonio<br />

<strong>del</strong>l'adempiente, il quale ha la ulteriore facoltà di provare ad incrementare la posta risarcitoria tutte le<br />

volte che, in giudizio, egli sia in grado di provare l'ulteriore danno sofferto.<br />

Le stesse regole o<strong>per</strong>azionali risultano <strong>del</strong> tutto assenti (e dunque <strong>del</strong> tutto impredicabili) in tema di<br />

caparra confirmatoria, poichè risarcibilità <strong>del</strong> danno ulteriore e risarcibilità <strong>del</strong> danno effettivo postulano<br />

l'o<strong>per</strong>atività di ben diversi meccanismi di tutela, diversamente disciplinati dal legislatore (la differenza<br />

viene acutamente colta ed efficacemente esplicitata in una assai risalente sentenza di merito: secondo<br />

la corte di appello di Cagliari - la sentenza è <strong>del</strong> 24 ottobre 1946 -, difatti, "dal raffronto tra l'art. 1382 -<br />

ove, a proposito <strong>del</strong>la clausola penale, è espressamente contemplata la facoltà <strong>del</strong>le parti di convenire<br />

la risarcibilità <strong>del</strong> danno ulteriore, e l'art. 1385, u.c., <strong>per</strong> giungere alla conclusione che, se in<br />

quest'ultima disposizione il legislatore non credette di ripetere l'identica espressione <strong>del</strong>l'art. 1382 ma<br />

fece invece richiamo alle norme generali sul risarcimento, fu <strong>per</strong>chè volle una distinzione tra le due<br />

fattispecie").<br />

Vanno considerate, ancora, ad ulteriore conferma <strong>del</strong>la correttezza <strong>del</strong>la soluzione adottata:<br />

- la evidente disomogeneità "genetica" tra il ristoro conseguente all'incameramento <strong>del</strong>la caparra o <strong>del</strong><br />

suo doppio - ristoro che in nulla pare assimilabile al meccanismo risarcitorio tipico, e che addirittura<br />

prescinde da qualsiasi prova ed esistenza stessa di un danno - e il risarcimento <strong>del</strong> danno vero e<br />

proprio, conseguito secondo le normali regole probatorie, danno la cui riparazione non può che essere<br />

integrale, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1223 c.c. (in esso ricompresi, oggi, secondo quanto condivisibilmente<br />

affermato da Cass. ss. uu. 26972/08, anche i pregiudizi non patrimoniali incidenti su diritti inviolabili<br />

<strong>del</strong>la <strong>per</strong>sona, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 1174, 1218 e 1223<br />

c.c.);<br />

- la speculare difformità funzionale tra i due rimedi, la domanda di ritenzione <strong>del</strong>la caparra (o di<br />

richiesta <strong>del</strong> suo doppio) essendo pretesa fondata su una causa petendi affatto diversa da quella<br />

riconnessa all'azione di risarcimento.<br />

Proprio la finalità di liquidazione immediata, forfetaria, stragiudiziale, posta nell'interesse di entrambe le<br />

parti, viene irredimibilmente esclusa dalla pretesa giudiziale di un maggior danno da risarcire (e<br />

provare), poichè la semplificazione stragiudiziale <strong>del</strong> procedimento di ristoro conseguente alla sola<br />

ritenzione <strong>del</strong>la caparra tramonta, inevitabilmente e definitivamente, al cospetto <strong>del</strong>le barriere<br />

processuali sorte <strong>per</strong> effetto di una domanda dalla natura strettamente risarcitoria, e <strong>per</strong>ciò solo <strong>del</strong><br />

tutto alternativa;<br />

- il dato testuale <strong>del</strong>l'art. 1385 c.c., comma 3, che, nell'offrire una precisa alternativa alla parte<br />

adempiente, nulla dispone in ordine alla possibilità <strong>del</strong> creditore di disattendere la generale regola,<br />

sostanziale e processuale, secondo cui electa una via non datur recursus ad alteram.<br />

Proprio il richiamo "alle norme generali" va inteso nel senso che il creditore ha diritto al risarcimento<br />

integrale se riesce a dimostrare il danno, così restando escluso il diritto di modificare la pretesa, a meno<br />

di non voler poi disapplicare proprio quelle "norme generali", ovvero applicarle in un'ottica di<br />

indiscriminato favor <strong>per</strong> il creditore, secondo una sua <strong>per</strong>sonale convenienza valutata a posteriori, priva<br />

di alcun serio bilanciamento di interessi tra le parti; - generali considerazioni di economia processuale,<br />

oltre che di corretto bilanciamento degli interessi in gioco, secondo cui, da un canto, chi agisce in<br />

giudizio <strong>per</strong> la risoluzione è mosso dal proposito di conseguire un ristoro patrimoniale più cospicuo, e<br />

<strong>per</strong>tanto "rinuncia al certo <strong>per</strong> l'incerto" affrontando <strong>per</strong>altro l'alea (e l'onere) <strong>del</strong>la prova <strong>del</strong>l'an e <strong>del</strong><br />

quantum <strong>del</strong> pregiudizio sofferto, con il rischio (a suo carico) che il danno risulti inferiore a quanto<br />

pattuito con la caparra (o addirittura inesistente); dall'altro, chi ammette una fungibilità tra le azioni<br />

lato sensu risarcitorie ignora che ciò si risolverebbe nella indiscriminata e gratuita opportunità di<br />

modificare, <strong>per</strong> ragioni di mera convenienza economica, la strategia processuale iniziale dopo averne<br />

s<strong>per</strong>imentato gli esiti, trasformando il processo in una sorta di gioco d'azzardo "a rilancio senza rischio";<br />

dall'altro ancora, soltanto l'esclusione di una inestinguibile fungibilità tra rimedi consente di evitare<br />

situazioni di abuso e rende il contraente non inadempiente doverosamente responsabile <strong>del</strong>le scelte<br />

o<strong>per</strong>ate, impedendogli di sottrarsi ai risultati che ne conseguono, quando gli stessi non siano<br />

corrispondenti alle aspettative che ne hanno dettato la linea difensiva; - la più rigorosa osservanza di<br />

precetti costituzionali, così <strong>per</strong>seguendosi l'ulteriore approdo, in armonia con il nuovo dettato <strong>del</strong>l'art.<br />

111 Cost. (e resistendo alla suggestione di dover sempre preservare, oltre ogni ragionevolezza, la<br />

posizione <strong>del</strong>la parte non inadempiente) di evitare rilevanti diseconomie processuali: oltre<br />

all'apprezzabile risultato di disincentivare il contenzioso attraverso il divieto di qualsiasi mutatio actionis<br />

in corso di giudizio, non va dimenticato come le domande di risoluzione e di risarcimento comportino<br />

spesso, sul piano probatorio, un'intensa e defatigante attività <strong>per</strong> le parti e <strong>per</strong> il giudice, e un inopinato<br />

mutamento <strong>del</strong>le pretese creditorie vanificherebbe il contenuto stesso di tali attività, legittimando<br />

un'esigenza di parte fondata sulla sola circostanza di non trovare più conveniente proseguire nel<br />

cammino processuale inizialmente scelto.<br />

Si aprirebbero cosi <strong>per</strong>icolosi varchi a ben poco fondate richieste giudiziali, favorendo liti il più <strong>del</strong>le<br />

volte temerarie introdotte da chi, certo di un commodus discessus processuale costituito dalla<br />

inestinguibile facoltà di rivitalizzare una domanda di recesso con ritenzione <strong>del</strong>la caparra, si sentirebbe<br />

legittimato a tentare in ogni caso una pur assai improbabile demonstratio di aver subito maggiori danni<br />

"a costo zero".<br />

18


4.5. - Dalle considerazioni sinora esposte discende la ulteriore, inevitabile conseguenza <strong>per</strong> cui<br />

l'originaria domanda di (sola) risoluzione non può ritenersi legittimamente convertibile, in sede di<br />

appello, in domanda di (solo) recesso, e ciò non solo e non tanto <strong>per</strong> i numerosi motivi di sistema<br />

indicati, sul piano <strong>del</strong>la morfologia <strong>del</strong>le azioni, dalla più recente dottrina (cui in precedenza si è fatto<br />

cenno), ma soprattutto <strong>per</strong>chè tale modifica potrebbe risultare callidamente e surrettiziamente<br />

funzionale a riattivare il meccanismo legale di cui all'art. 1385 c.c., comma 2 (al recesso consegue, ex<br />

lege, il diritto alla ritenzione <strong>del</strong>la caparra), ormai definitivamente caducato <strong>per</strong> via <strong>del</strong>le preclusioni<br />

processuali definitivamente prodottesi a seguito <strong>del</strong>la proposizione <strong>del</strong>la domanda di risoluzione sic et<br />

simpliciter.<br />

Specularmene inammissibile deve ritenersi la domanda di risoluzione giudiziale introdotta dopo essersi<br />

avvalsi <strong>del</strong>la tutela speciale ex art. 1385 c.c., comma 2, intanto <strong>per</strong>chè, dopo aver esercitato il diritto di<br />

recesso, il contratto è già risolto, ma soprattutto poichè, ancora una volta, con tale trasformazione si<br />

cercherebbe surrettiziamente di ampliare l'ambito risarcitorio in sede processuale, dopo aver<br />

incamerato la caparra, indirizzandolo verso una più pingue (ma ormai intempestiva) richiesta di<br />

risarcimento integrale.<br />

4.6. - Quanto, infine, alla questione <strong>del</strong>la rinunciabilità all'effetto risolutorio da parte dei contraente non<br />

inadempiente, gli argomenti addotti in dottrina appaiono, a giudizio di queste sezioni unite, meritevoli di<br />

ingresso nella giurisprudenza di questa corte.<br />

A fondamento di tale revirement (sia pur connesso solo indirettamente alla decisione <strong>del</strong> caso in<br />

esame), va difatti osservato:<br />

- che il tenore strettamente letterale <strong>del</strong>la norma di cui all'art. 1454 collega alla inutile scadenza <strong>del</strong><br />

termine contenuto in diffida un effetto automatico, verificandosi la risoluzione al momento stesso <strong>del</strong>lo<br />

spirare <strong>del</strong> dies ad quem indicato dal diffidante.<br />

Gli stessi meccanismi o<strong>per</strong>ativi previsti <strong>per</strong> le altre fattispecie di risoluzione legale confortano tale<br />

conclusione, poichè clausola risolutiva espressa e termine essenziale partecipano, sincronicamente, <strong>del</strong><br />

medesimo aspetto genetico <strong>del</strong>la convenzione negoziale, postulando, <strong>per</strong> loro stessa natura, la<br />

necessità (clausola risolutiva) o la possibilità (termine essenziale) di una ulteriore manifestazione di<br />

volontà da parte <strong>del</strong> non inadempiente che, alla luce dei diacronici sviluppi <strong>del</strong> rapporto contrattuale,<br />

potrebbe farsi portatore di un interesse diverso, rispetto alla risoluzione, nel tempo <strong>del</strong> verificatosi<br />

<strong>inadempimento</strong>.<br />

La diffida, coevamente comunicata alla controparte già nel momento (patologicamente) funzionale <strong>del</strong><br />

rapporto, contiene invece in sè già tutti gli elementi di valutazione di una situazione attuale e<br />

attualizzata, in termini di interesse, in capo al diffidante;<br />

che il collegamento tra la essenzialità <strong>del</strong> termine contenuto nella diffida e la (<strong>per</strong>altro non pacifica)<br />

esclusività <strong>del</strong>l'interesse <strong>del</strong>l'intimante attiene, in realtà, all'atto di diffida ma non all'effetto risolutorio,<br />

che la norma ex art. 1454 c.c. mostra di considerare automatico, <strong>per</strong>seguendo la non discutibile<br />

funzione di bilanciamento di interessi contrapposti, a tutela anche <strong>del</strong>la parte che, allo spirare <strong>del</strong><br />

termine, abbia posto un affidamento legittimo nell'avvenuta cessazione degli effetti <strong>del</strong> negozio;<br />

- che la <strong>per</strong>durante disponibilità <strong>del</strong>l'effetto risolutorio in capo alla parte non inadempiente risulterebbe,<br />

in assenza di qualsivoglia disposizione normativa "limitativa" (quale quella dettata, ad esempio, in tema<br />

di remissione <strong>del</strong> debito), o<strong>per</strong>ante sine die, in evidente contrasto con gli analoghi meccanismi di<br />

risoluzione legale collegati al termine essenziale e al relativo adempimento tardivo, così generandosi,<br />

sotto altro profilo, una ingiustificata e sproporzionata lesione all'interesse <strong>del</strong> debitore, il cui ormai<br />

definitivo affidamento nella risoluzione (e nelle relative conseguenze) <strong>del</strong> contratto inadempiuto<br />

potrebbe indurlo, non illegittimamente, ad un conseguente riassetto <strong>del</strong>la propria complessiva<br />

situazione patrimoniale;<br />

- che la stessa ratio legis sottesa al più generale meccanismo <strong>del</strong>la risoluzione giudiziale (art. 1453 c.c.)<br />

appare principio di portata assai più ampia (e dunque legittimamente esportabile anche nel parallelo<br />

sottosistema <strong>del</strong>la risoluzione legale) dacchè <strong>per</strong>meato <strong>del</strong>l'evidente funzione di accordare (moderata)<br />

tutela anche alla parte non adempiente che, assoggettata ad un'iniziativa volta alla caducazione <strong>del</strong><br />

contratto, non può più essere, ex lege, destinataria di una successiva richiesta di adempimento (in una<br />

vicenda in cui, si badi, la definizione <strong>del</strong>l'effetto risolutorio è ancora in itinere, destinata com'è a formare<br />

oggetto di accertamento processuale in contraddittorio), onde porsi volontariamente (ma <strong>del</strong> tutto<br />

legittimamente) in condizione di non poter più adempiere.<br />

Se la proposizione di una domanda giudiziale di risoluzione implica l'assenza di interesse <strong>del</strong> creditore<br />

all'adempimento e il conseguente acquisto, da parte <strong>del</strong> debitore, di una sorta di "diritto a non<br />

adempiere", non v'è ragione di escludere che la stessa ratio (di cui è d'altronde traccia dalla stessa<br />

relazione al codice) non debba informare anche la speculare vicenda <strong>del</strong>la diffida ad adempiere, in<br />

entrambi i casi risultando espressa inequivocabilmente la mancanza di interesse all'adempimento<br />

intempestivo;<br />

- che la natura di negozio unilaterale recettizio <strong>del</strong>la diffida non pare utile a legittimare la (non<br />

conferente) conseguenza <strong>del</strong>la disponibilità <strong>del</strong>l'effetto risolutivo.<br />

Soccorrono, al riguardo, disposizioni normative, come quelle di cui all'art. 1723 c.c. in tema di<br />

irrevocabilità <strong>del</strong> mandato (anche) in rem propriam, che lasciano chiaramente intendere come la più<br />

generale filosofia ispiratrice <strong>del</strong> codice <strong>del</strong> 42, quella, cioè, <strong>del</strong>la tutela <strong>del</strong>l'affidamento incolpevole,<br />

19


trovi necessario spazio e puntuale attuazione tutte le volte in cui l'unilateralità <strong>del</strong>l'atto incida<br />

significativamente anche sugli interessi <strong>del</strong> destinatario;<br />

- che, in definitiva, la concezione <strong>del</strong>l'effetto risolutivo disponibile in capo al creditore pare figlia di una<br />

ideologia fortemente punitiva <strong>per</strong> l'inadempiente, si atteggia a mò di sanzione punitiva senza tempo,<br />

assume forme di (ingiustificata) "i<strong>per</strong>tutela" <strong>del</strong> contraente adempiente, <strong>del</strong> quale si legittima ogni<br />

mutevole e repentino cambiamento di "umore" negoziale.<br />

4.7. - Vanno, <strong>per</strong>tanto, affermati (a soluzione <strong>del</strong>le questioni proposte supra, sub 2.1) i seguenti<br />

principi di diritto:<br />

a) I rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di<br />

ritenzione <strong>del</strong>la caparra dall'altro si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e<br />

funzionale: proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento <strong>del</strong> diritto al risarcimento<br />

integrale dei danni asseritamente subiti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda<br />

di recesso con ritenzione di caparra <strong>per</strong>chè (a prescindere da quanto già detto e ancora si dirà di qui a<br />

breve in ordine ai rapporti tra la sola azione di risoluzione e la singola azione di recesso non connesse<br />

alle relative azioni "risarcitorie") verrebbe così a vanificarsi la stessa funzione <strong>del</strong>la caparra, quella cioè<br />

di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale <strong>del</strong> danno volta ad evitare l'instaurazione di un<br />

giudizio contenzioso, consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di "scommettere"<br />

puramente e semplicemente sul processo, senza rischi di sorta;<br />

b) L'azione di risoluzione avente natura costitutiva e l'azione di recesso si caratterizzano <strong>per</strong> evidenti<br />

disomogeneità morfologiche e funzionali: sotto quest'ultimo aspetto, la trasformazione <strong>del</strong>l'azione<br />

risolutoria in azione di recesso nel corso <strong>del</strong> giudizio lascerebbe in astratto a<strong>per</strong>ta la strada (da ritenersi,<br />

invece, ormai preclusa) ad una eventuale, successiva pretesa (stragiudiziale) di ritenzione <strong>del</strong>la caparra<br />

o di conseguimento <strong>del</strong> suo doppio (con evidente quanto inammissibile rischio di ulteriore proliferazione<br />

<strong>del</strong> contenzioso giudiziale);<br />

c) Azione di risoluzione "dichiarativa" e domanda giudiziale di recesso partecipano <strong>del</strong>la stessa natura<br />

strutturale, ma, sul piano o<strong>per</strong>ativo, la trasformazione <strong>del</strong>l'una nell'altra non può ritenersi ammissibile<br />

<strong>per</strong> i motivi, di carattere funzionale, di cui al precedente punto b);<br />

d) La rinuncia all'effetto risolutorio da parte <strong>del</strong> contraente non adempiente non può ritenersi in alcun<br />

modo ammissibile, trattandosi di effetto sottratto, <strong>per</strong> evidente voluntas legis, alla libera disponibilità<br />

<strong>del</strong> contraente stesso;<br />

e) I rapporti tra l'azione di risarcimento integrale e l'azione di recesso, isolatamente e astrattamente<br />

considerate, sono, a loro volta, di incompatibilità strutturale e funzionale;<br />

f) La domanda di ritenzione <strong>del</strong>la caparra è legittimamente proponibile, nell'incipit <strong>del</strong> processo, a<br />

prescindere dal nomen iuris utilizzato dalla parte nell'introdurre l'azione "caducatoria" degli effetti <strong>del</strong><br />

contratto: se quest'azione dovesse essere definita "di risoluzione contrattuale" in sede di domanda<br />

introduttiva, sarà compito <strong>del</strong> giudice, nell'esercizio dei suoi poteri officiosi di interpretazione e<br />

qualificazione in iure <strong>del</strong>la domanda stessa, convenirla formalmente in azione di recesso, mentre la<br />

domanda di risoluzione proposta in citazione, senza l'ulteriore corredo di qualsivoglia domanda<br />

"risarcitoria", non potrà essere legittimamente integrata, nell'ulteriore sviluppo <strong>del</strong> processo, con<br />

domande "complementari", nè di risarcimento vero e proprio nè di ritenzione <strong>del</strong>la caparra, entrambe<br />

inammissibili <strong>per</strong>chè nuove.<br />

Il ricorso è <strong>per</strong>tanto rigettato.<br />

La disciplina <strong>del</strong>le spese (che possono <strong>per</strong> motivi di equità essere in questa sede compensate, attesa la<br />

complessità e la natura controversa <strong>del</strong>le questioni trattate) segue come da dispositivo.<br />

P.Q.M.<br />

P.Q.M.<br />

La corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese <strong>del</strong> giudizio di cassazione.<br />

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2008.<br />

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2009<br />

Cassazione civile sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553<br />

Utente: UNIV.CATTOLICA DEL SACRO CUORE univc90<br />

Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A.<br />

Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile<br />

20


ESTREMI<br />

Autorità: Cassazione civile sez. un.<br />

Data: 15 giugno 2010<br />

Numero: n. 14292<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

MANDATO E RAPPRESENTANZA - Rappresentanza volontaria - procura<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - <strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> - diffida ad<br />

adempiere<br />

Obbligazioni e contratti - <strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> - Diffida ad adempiere<br />

- Intimazione a mezzo di rappresentante - Procura rilasciata in forma scritta - Necessità -<br />

Fondamento<br />

INTESTAZIONE<br />

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE<br />

SEZIONI UNITE CIVILI<br />

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:<br />

Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -<br />

Dott. DE LUCA Michele - Presidente di Sezione -<br />

Dott. SALME' Giuseppe - Consigliere -<br />

Dott. BUCCIANTE Ettore - rel. Consigliere -<br />

Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere -<br />

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -<br />

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere -<br />

Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -<br />

Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere -<br />

ha pronunciato la seguente:<br />

sentenza<br />

sul ricorso 2363/2005 proposto da:<br />

A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPENNINI<br />

46, presso lo studio <strong>del</strong>l'avvocato FALCETTA MARCELLA, che lo<br />

rappresenta e difende;<br />

- ricorrente -<br />

contro<br />

B.A. ((OMISSIS)), F.M., elettivamente<br />

domiciliate in ROMA, PIAZZALE CLODIO 1, presso lo studio<br />

<strong>del</strong>l'avvocato RIBAUDO SEBASTIANO, che le rappresenta e difende<br />

unitamente all'avvocato CARZERI RUBENS e, <strong>per</strong> la sola<br />

F.M., anche dall'avvocato FINZI ANDREA, <strong>per</strong> <strong>del</strong>eghe in atti;<br />

- controricorrenti -<br />

e contro<br />

M.M.A., A.E.;<br />

- intimate -<br />

avverso la sentenza n. 2826/2004 <strong>del</strong>la CORTE D'APPELLO di ROMA,<br />

depositata il 15/06/2004;<br />

udita la relazione <strong>del</strong>la causa svolta nella pubblica udienza <strong>del</strong><br />

27/04/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;<br />

udito l'Avvocato Marcella FALCETTA;<br />

udito il P.M. in <strong>per</strong>sona <strong>del</strong> Sostituto Procuratore Generale Dott.<br />

GOLIA Aurelio, che ha concluso <strong>per</strong> il rigetto <strong>del</strong> ricorso.<br />

FATTO<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

La controversia è insorta tra le parti con riferimento a una vicenda che in sede di merito è stata<br />

ricostruita essenzialmente in questi termini: il 2 ottobre 1996 A.A. notificò a sua sorella A.R., a norma<br />

<strong>del</strong>l'art. 732 c.c., l'intenzione di vendere a terzi la propria quota ideale <strong>del</strong>l'eredità paterna "<strong>per</strong> un<br />

controvalore di L. 150.000.000 al netto di qualsivoglia onere passato, presente e futuro gravante sulla<br />

quota stessa"; con raccomandata <strong>del</strong> 21 novembre 1996 A.R. comunicò "la propria accettazione ad<br />

acquistare la quota ereditaria come sopra specificata <strong>per</strong> la somma di L. 150.000.000"; con lettera <strong>del</strong><br />

27 novembre 1996 l'avv. Luigi Marceli, nell'interesse di A.A., invitò A.R. a indicare il notaio incaricato<br />

21


<strong>del</strong> rogito; rispose con lettera <strong>del</strong> 22 dicembre 1996 l'avv. Marcella Falcetta, precisando che dal prezzo<br />

<strong>del</strong>la vendita doveva essere defalcata la somma di L. 80.877.240, corrispondente all'importo <strong>del</strong>le spese<br />

straordinarie sostenute da A.R. a vantaggio <strong>del</strong> fratello; <strong>per</strong> conto di quest'ultimo, con lettera <strong>del</strong> 13<br />

gennaio 1997, l'avv. Luigi Marcelli, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1454 c.c., intimò a A.R. di indicare entro 15 giorni il<br />

notaio <strong>per</strong> la stipula, con contestuale pagamento <strong>del</strong> prezzo come concordato, avvertendo che<br />

altrimenti "dovrà intendersi risolto e priva di efficacia la proposta di acquisto con conseguente libera e<br />

piena facoltà <strong>del</strong> Dott. A. di alienare la quota stessa ad altri"; la diffida rimase senza esito.<br />

Ciò stante, con atto notificato il 25 luglio 1997 A.R. citò davanti al Tribunale di Roma A.A., chiedendo<br />

che fosse accertato il proprio diritto di prelazione e che le fosse trasferita la quota in contestazione<br />

previo pagamento <strong>del</strong>la somma di L. 69.122.7 60 o di altra da accertare, detratto quanto da lei già<br />

anticipato <strong>per</strong> imposta di successione e altri oneri e spese. Il convenuto si costituì in giudizio<br />

concludendo <strong>per</strong> il rigetto <strong>del</strong>la domanda, in quanto l'attrice era decaduta dal suo vantato diritto,<br />

pretendendo modificazioni <strong>del</strong>la proposta che aveva accettato e non adempiendo nel termine<br />

assegnatole con la diffida, con conseguente risoluzione <strong>del</strong> contratto; contestò le singole voci di credito<br />

esposte nella citazione e chiese, in via riconvenzionale, la condanna <strong>del</strong>l'attrice al. pagamento di L.<br />

11.537.834, pari alla differenza tra la somma di L. 15.000.000 da lei dovuta <strong>per</strong> il godimento esclusivo<br />

da parte sua di un bene ereditario e quella di L. 3.462.155 costituente l'effettivo ammontare <strong>del</strong> debito<br />

dei convenuto.<br />

Essendo stata dichiarata l'interruzione <strong>del</strong> processo, in seguito alla morte di A.A., la causa fu riassunta<br />

nei confronti <strong>del</strong>le sue eredi M.M.A. ed A.E., che rimasero contumaci.<br />

Intervennero invece nel processo, facendo proprie le richieste formulate dal convenuto, F.M. e B.A., alla<br />

quali A.A. con un rogito <strong>del</strong> 4 dicembre 1997, aveva venduto la propria quota ereditaria.<br />

All'esito <strong>del</strong>l'istruzione <strong>del</strong>la causa, con sentenza <strong>del</strong> 15 maggio 2001 il Tribunale, dichiarò legittimo<br />

l'intervento di F.M. e B.A., qualificandolo come adesivo dipendente; respinse la domanda proposta<br />

dall'attrice, ritenendo che con la sua inequivoca accettazione l'accordo contrattuale tra le parti era stato<br />

concluso, ma si era <strong>per</strong>ò risolto in seguito all'inutile decorso <strong>del</strong> termine assegnato a A.R. con<br />

l'intimazione ad adempiere Inviatale dall'avv. Luigi Marcelli; non provvide su la domanda<br />

riconvenzionale, da reputarsi abbandonata in quanto non era stata riproposta dalle eredi <strong>del</strong> convenuto<br />

rimaste contumaci, nè ora ammissibile da parte <strong>del</strong>le intervenute nel processo.<br />

Impugnata da A.R., la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Roma, che con sentenza <strong>del</strong><br />

15 giugno 2004 ha rigettato il gravame, che era stato contrastato da F.M. e B.A., mentre non si erano<br />

costituite M.M.A. ed A.E..<br />

Contro tale sentenza A.R. ha proposto ricorso <strong>per</strong> cassazione, in base a due motivi. F.M. e B.A. si sono<br />

costituite con controricorso. M.M.A. ed A.E. non hanno svolto attività difensive nel giudizio di legittimità.<br />

A.R. e F.M. hanno presentato memorie.<br />

DIRITTO<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

Con il primo motivo di ricorso A.R. lamenta che erroneamente è stato dichiarato legittimo l'intervento<br />

nel processo di F.M. e B.A., le quali avevano preteso di sostituirsi ad A.A., facendo proprie le richieste<br />

che egli aveva formulato.<br />

La doglianza è infondata.<br />

Già il Tribunale aveva ritenuto inammissibile l'intervento di cui si tratta, con riferimento all'adesione alla<br />

domanda riconvenzionale, sulla quale infatti si era astenuto dal provvedere, rilevando che doveva<br />

reputarsi abbandonata, poichè erano rimaste contumaci le eredi <strong>del</strong> convenuto, uniche abilitate a<br />

riproporla dopo la riassunzione <strong>del</strong>la causa. D'altra parte, come pure correttamente era stato osservato<br />

dal primo giudice ed è stato ribadito dalla Corte d'appello, F.M. e B.A., erano senz'altro legittimate a<br />

intervenire nei processo, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 105 c.p.c., comma 2, avendo un proprio interesse a sostenere<br />

le ragioni di A.A. e ad aderire alla richiesta di rigetto <strong>del</strong>la domanda proposta dall'attrice, il cui<br />

accoglimento avrebbe potuto pregiudicare l'avvenuto acquisto, da parte loro, <strong>del</strong>la quota ereditaria<br />

oggetto <strong>del</strong>la controversia: acquisto dichiaratamente compiuto nella consapevolezza <strong>del</strong>la pendenza di<br />

questa causa, il cui atto introduttivo <strong>per</strong>altro era stato a suo tempo trascritto. Pertanto le intervenute,<br />

nonostante l'improprio richiamo all'art. 111 c.p.c., contenuto nella loro comparsa di costituzione in<br />

giudizio, non hanno inteso o<strong>per</strong>are alcuna indebita "sostituzione processuale <strong>del</strong> de cuius" nè<br />

"estromettere le legittime eredi", come sostiene A.R..<br />

Con il secondo motivo di ricorso vengono rivolte alla sentenza impugnata due distinte critiche, <strong>per</strong> avere<br />

la Corte d'appello: - ingiustificatamente ritenuto che la proposta di A.A. fosse stata accettata, pur se era<br />

stata formulata in maniera imprecisa e seguita da una diversa controproposta; - considerato valida la<br />

diffida ad adempiere, che invece era affetta da nullità, in quanto firmata da <strong>per</strong>sona priva di procura<br />

rilasciata <strong>per</strong> iscritto.<br />

La prima di tali censure deve essere disattesa.<br />

Si verte nella materia <strong>del</strong>l'interpretazione ai atti negoziali, che può formare oggetto di sindacato in<br />

questa sede soltanto sotto i profili <strong>del</strong>la violazione <strong>del</strong>le regole legali di ermeneutica contrattuale e <strong>del</strong>la<br />

omissione, insufficienza o contraddittorietà <strong>del</strong>la motivazione. Ma <strong>per</strong> il primo aspetto, nessun rilievo è<br />

stato formulato dalla ricorrente. Quanto al secondo, va rilevato che la Corte d'appello ha dato<br />

22


adeguatamente conto <strong>del</strong>le ragioni <strong>del</strong>la decisione sul punto, richiamando "l'inequivoco tenore <strong>del</strong>la<br />

comunicazione; in data 21 novembre 1996", con cui "l'attrice comunicava al fratello la propria<br />

accettazione ad acquistare la quota ereditaria come sopra meglio specificata <strong>per</strong> la somma di L.<br />

150.000.000, facendo <strong>per</strong>altro espresso riferimento all'atto notificato in data 2.10.96 dal fratello signor<br />

A.A. con il quale lo stesso, ai sensi e <strong>per</strong> gli affetti di cui all'art. 732 c.c., ha comunicato alla sottoscritta<br />

ed alla madre R.E. la volontà di alienare a terzi <strong>per</strong> un contro valore di L. 150.000.000 l'intera quota<br />

ereditaria", dal che si è desunto che A.R. "non formulò <strong>per</strong>tanto una nuova proposta contrattuale, ma<br />

sintetizzò il contenuto <strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong> fratello e <strong>del</strong>la sua accettazione con gli stessi termini ed<br />

accettò quanto contenuto nell'atto notificato il 2.10.1996". Le contestazioni mosse da A.R. a queste<br />

argomentazioni non possono costituire idonea ragione di cassazione <strong>del</strong>la sentenza impugnata, stanti i<br />

limiti propri <strong>del</strong> giudizio di legittimità, che consentono a questa Corte, sulle questioni di fatto, soltanto di<br />

verificare se la motivazione <strong>del</strong>la sentenza impugnata sia esauriente e logicamente coerente e le<br />

inibiscono di compiere accertamenti e valutazioni prettamente di merito, come quelli che in sostanza la<br />

ricorrente richiede. Nè può essere presa in considerazione la deduzione relativa all'asserito carattere<br />

indeterminato, quanto all'entità <strong>del</strong> prezzo, <strong>del</strong>la proposta formulata da A.A.: il tema non ha formato<br />

oggetto di decisione nella sentenza impugnata, nè la ricorrente ha precisato - come era suo onere - se e<br />

in quali atti lo abbia prospettato nel giudizio a quo.<br />

Sull'altra questione, sollevata con il motivo gì impugnazione in esame, si è verificato nella<br />

giurisprudenza di legittimità un contrasto, <strong>per</strong> la cui composizione il ricorso è stata assegnato alle<br />

sezioni unite.<br />

Negli esatti termini il cui si pone in questo giudizio, la questione è stata affrontata soltanto in tre<br />

sentenze, che le hanno dato soluzioni divergenti: secondo Cass. 25 marzo 1978 n. 1447 "affinchè la<br />

diffida ad adempiere, intimata alla parte inadempiente da un soggetto diverso dall'altro contraente,<br />

possa produrre gli effetti di cui all'art. 1454 c.c., è necessario che quei soggetto sia munito di procura<br />

scritta <strong>del</strong> creditore, e che tale procura sia allegata, o comunque portata a conoscenza <strong>del</strong> debitore con<br />

mezzi idonei, atteso il carattere negoziale <strong>del</strong>la diffida medesima, quale atto unilaterale destinato a<br />

incidere sul rapporto contrattuale determinandone la risoluzione <strong>per</strong> l'inutile decorso <strong>del</strong> termine<br />

assegnato"; da questo indirizzo si è discostata Cass. 26 giugno 1987 n. 5641, con cui si è deciso che<br />

"l'art. 1350 c.c., stabilisce l'obbligo <strong>del</strong>la forma scritta <strong>per</strong> la conclusione o la modifica dei contratti<br />

relativi a diritti reali immobiliari, ma nè esso, nè altra disposizione di legge prevedono analogo requisito<br />

di forma <strong>per</strong> ogni comunicazione o intimazione riguardante l'esecuzione di detti contratti; <strong>per</strong>tanto, è<br />

pienamente valida ed efficace la diffida ad adempiere un contratto preliminare di compravendita,<br />

intimata, <strong>per</strong> conto e nell'interesse dei contraente, da <strong>per</strong>sona fornita di un semplice mandato verbale,<br />

come pure quella sottoscritta da un falsus procurator, e successivamente ratificata dalla parte<br />

interessata"; in una posizione intermedia si è infine collocata Cass. 1 settembre 1990 n. 9085,<br />

ritenendo che "<strong>per</strong> il combinato disposto degli art. 1324 e 1392 c.c., la procura <strong>per</strong> la diffida ad<br />

adempiere a norma <strong>del</strong>l'art. 1454 c.c., ancorchè questa sia atto unilaterale, deve essere fatta <strong>per</strong><br />

iscritto soltanto nei casi previsti dalla legge e quindi se <strong>per</strong> il contratto, che si intende risolvere, la forma<br />

scritta sia richiesta ad suhstantiam o anche soltanto ad probationem e non quando riguardi beni mobili,<br />

<strong>per</strong> cui può essere anche conferita tacitamente, sempre che promani dall'interessato e sia manifestata<br />

con atti o fatti univoci e concludenti, restando in facoltà <strong>del</strong>l'intimato di esigere a norma <strong>del</strong>l'art. 1393<br />

c.c., che il rappresentante, o chi si dichiari tale, giustifichi, nelle forme di legge, i suoi poteri". Altre<br />

decisioni - come quelle richiamate nella sentenza impugnata, insieme con Cass. 5641/87 - non sono<br />

<strong>per</strong>tinenti, poichè non si riferiscono specificamente, come invece quelle sopra citate, alla procura <strong>per</strong><br />

l'intimazione ad adempiere.<br />

Ritiene il collegio che debba essere seguito l'orientamento tracciato da Cass. 1447/78.<br />

Le norme che vengono in considerazione sono gli artt. 1454, 1324 e 1392 c.c., che rispettivamente<br />

dispongono: - "Alla parte inadempiente l'altra può intimare <strong>per</strong> iscritto di adempiere in un congrue<br />

termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s'intenderà senz'altro<br />

risoluto... Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto"; -<br />

"Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto<br />

compatibili, <strong>per</strong> gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale"; - "La procura non ha effetto<br />

se non è conferita con le forme prescritte <strong>per</strong> il contratto che il rappresentante deve concludere". La<br />

diffida ad adempiere va certamente compresa tra gli atti equiparati ai contratti, data la sua natura<br />

prettamente negoziale: si tratta di una manifestazione di volontà consistente nell'esplicazione di un<br />

potere di unilaterale disposizione <strong>del</strong>la sorte di un rapporto, di <strong>per</strong> sè idonea a incidere direttamente<br />

nella realtà giuridica, poichè da luogo all'automatica risoluzione ipso iure <strong>del</strong> vincolo sinallagmatico,<br />

senza necessità di una pronuncia giudiziale, nel caso di inutile decorso <strong>del</strong> termine assegnato all'altra<br />

parte. E' <strong>per</strong>tanto soggetta alla disciplina dei contratti, e in particolare a quella <strong>del</strong>la rappresentanza,<br />

compresa la norma che estende alla procura il requisito di forma prescritto <strong>per</strong> il relativo negozio:<br />

norma la cui applicazione non è impedita da alcuna incompatibilità nè dall'esistenza di una qualche<br />

diversa disposizione. Poichè dunque la diffida deve essere rivolta all'inadempiente "<strong>per</strong> iscritto", è<br />

indispensabile che la procura <strong>per</strong> intimarla venga rilasciata in questa stessa forma dal creditore al suo<br />

rappresentante, indipendentemente dal carattere eventualmente "solenne" <strong>del</strong>la forma richiesta <strong>per</strong> il<br />

contratto destinato in ipotesi a essere risolto (carattere <strong>per</strong>altro presente nella specie, dato che a norma<br />

23


<strong>del</strong>l'art. 1543 c.c., "la vendita di un'eredità deve farsi <strong>per</strong> atto scritto, sotto pena di nullità" e nella<br />

successione <strong>del</strong> de cuius erano compresi anche beni immobili). Non contrastano con questa comunque<br />

ineludibile conclusione i precedenti <strong>del</strong>la giurisprudenza di legittimità (Cass. 25 marzo 1995 n. 3566, 26<br />

marzo 2002 n. 4310) nei quali si è fatto cenno alla possibilità che la diffida ad adempiere venga "fatta<br />

nella forma più idonea al raggiungimento <strong>del</strong>lo scopo", ma esclusivamente con riferimento alle modalità<br />

<strong>del</strong>la sua trasmissione e senza affatto disconoscere che debba rivestire forma scritta.<br />

Il principio da enunciare è quindi: "La procura relativa alla diffida ad adempiere di cui aìl'art. 1454 c.c.,<br />

deve essere rilasciata <strong>per</strong> iscritto, indipendentemente dal carattere eventualmente solenne <strong>del</strong>la forma<br />

richiesta <strong>per</strong> il contratto destinato in ipotesi ad essere risolto".<br />

Nella memoria di F.M. si è dedotto che A.A., costituendosi nel giudizio di primo grado e chiedendo che<br />

fosse accertata l'avvenuta risoluzione <strong>del</strong> contratto in questione, in forza <strong>del</strong> <strong>per</strong>sistente <strong>inadempimento</strong><br />

di A.R. dopo l'intimazione inviatale dall'avv. Luigi Marcelli, aveva comunque ratificato l'o<strong>per</strong>ato <strong>del</strong> suo<br />

legale e consolidato gli effetti <strong>del</strong>la diffida.<br />

L'assunto non può essere preso in esame, <strong>per</strong> la stessa ragione esposta a proposito <strong>del</strong>la tesi <strong>del</strong>la<br />

ricorrente circa l'indeterminatezza <strong>del</strong>la proposta rivoltale: la questione non ha formalo oggetto di<br />

decisione nella sentenza impugnata e non viene dedotto che sia stata sottoposta alla Corre d'appello.<br />

Nè comunque poteva essere sollevata in questo giudizio con la memoria, che è atto destinato soltanto a<br />

illustrare le difese già svolte dalla parte resistente con il controricorso e non a farne valere di nuove<br />

(Cass. 13 marzo 2006 n. 5400).<br />

Rigettato <strong>per</strong>tanto il primo motivo di ricorso e accolto il secondo nei limiti di cui si è detto, la sentenza<br />

impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione <strong>del</strong>la Corte<br />

d'appello di Roma, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese <strong>del</strong> giudizio di legittimità.<br />

P.Q.M.<br />

P.Q.M.<br />

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo nei limiti di cui in motivazione; cassa la<br />

sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione <strong>del</strong>la Corte d'appello di Roma, cui rimette anche la<br />

pronuncia sulle spese <strong>del</strong> giudizio di legittimità.<br />

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2010.<br />

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010<br />

Cassazione civile sez. un., 15 giugno 2010, n. 14292<br />

Utente: UNIV.CATTOLICA DEL SACRO CUORE univc90<br />

Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A.<br />

Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile<br />

ESTREMI<br />

Autorità: Cassazione civile sez. II<br />

Data: 24 settembre 2009<br />

Numero: n. 20614<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

CASSAZIONE CIVILE - Ricorso forma e contenuto<br />

COMUNIONE E CONDOMINIO - Comunione in genere<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - <strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> eccezione di<br />

<strong>inadempimento</strong> (inadimplenti inadimplendum)<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - <strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> importanza<br />

<strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong><br />

Obbligazioni e contratti - <strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> - Importanza<br />

<strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> - Sussistenza di inadempienze reciproche - Giudizio di comparazione in<br />

ordine al comportamento di ambo le parti - Necessità - Prevalenza <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> di una<br />

<strong>del</strong>le parti rispetto a quello <strong>del</strong>l'altra - Rilevanza - Fattispecie in tema di compravendita<br />

INTESTAZIONE<br />

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE<br />

24


SEZIONE SECONDA CIVILE<br />

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:<br />

Dott. SETTIMJ Giovanni - Presidente -<br />

Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere -<br />

Dott. PARZIALE Ippolisto - Consigliere -<br />

Dott. D'ASCOLA Pasquale - rel. Consigliere -<br />

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -<br />

ha pronunciato la seguente:<br />

sentenza<br />

sul ricorso 22908-2007 proposto da:<br />

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GOIRAN<br />

23, presso lo studio <strong>del</strong>l'avvocato CONTENTO GIANCARLO, rappresentata<br />

e difesa dagli avvocati MAJELLO UGO, MAJELLO PAOLA;<br />

- ricorrente -<br />

contro<br />

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO<br />

32, presso lo studio <strong>del</strong>l'avvocato ACCARDO FABIO, rappresentato e<br />

difeso dall'avvocato GUALTIERI FRANCO;<br />

- controricorrente -<br />

avverso la sentenza n. 1461/2007 <strong>del</strong>la CORTE D'APPELLO di NAPOLI,<br />

depositata il 08/05/2007;<br />

udita la relazione <strong>del</strong>la causa svolta nella pubblica udienza <strong>del</strong><br />

08/05/2009 dal Consigliere Dott. PASQUALE D'ASCOLA;<br />

udito l'Avvocato MAJELLON Paola, difensore <strong>del</strong>la ricorrente che ha<br />

chiesto accoglimento <strong>del</strong> ricorso;<br />

udito il P.M. in <strong>per</strong>sona <strong>del</strong> Sostituto Procuratore Generale Dott.<br />

SGROI CARMELO che ha concluso <strong>per</strong> il rigetto <strong>del</strong> ricorso.<br />

FATTO<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

La sentenza n. 27 <strong>del</strong> 2002, con la quale questa Corte ha una prima volta esaminato la vicenda <strong>per</strong> cui<br />

è causa, così riferisce: "Con citazione <strong>del</strong> 1 giugno 1995, R.A. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale<br />

di Napoli, M.M. <strong>per</strong>chè si pronunciasse sentenza ex art. 2932 c.c. con riguardo al contratto preliminare<br />

di compravendita <strong>del</strong> (OMISSIS), tra loro concluso, in forza <strong>del</strong> quale la M. aveva assunto l'obbligo di<br />

trasferirgli, nel termine di tre mesi e al prezzo di L. 1.400.000.000, di cui L. 150.000.000 già versate a<br />

titolo di caparra confirmatoria, la proprietà <strong>del</strong>l'immobile sito in (OMISSIS). M.M. resisteva alla<br />

domanda e, in via riconvenzionale, deducendo che il R. aveva lasciato inutilmente decorrere il termine<br />

essenziale, pattuito <strong>per</strong> la stipula <strong>del</strong> contratto definitivo di compravendita, chiedeva che si dichiarasse<br />

la risoluzione <strong>del</strong> contratto preliminare e che si condannasse il R. al risarcimento dei danni prodotti dalla<br />

trascrizione <strong>del</strong>la domanda giudiziale. Con successiva citazione <strong>del</strong> 2 aprile 1996, R.A. conveniva in<br />

giudizio M. M., segnatamente deducendo l'impossibilità di stipula <strong>del</strong> contratto definitivo di<br />

compravendita <strong>per</strong>chè nullo era il titolo di acquisto <strong>del</strong>la proprietà <strong>del</strong>l'immobile in capo alla M., così che<br />

giustificato era il proprio recesso dal contratto preliminare. Pertanto, in via principale, domandava che si<br />

accertasse la legittimità <strong>del</strong> suo recesso dal contratto, con riconoscimento <strong>del</strong> doppio <strong>del</strong>la caparra<br />

versata, ovvero, in subordine, che si dichiarasse la nullità <strong>del</strong>lo stesso contratto con restituzione <strong>del</strong>la<br />

caparra. In ulteriore subordine, chiedeva che si pronunciasse sentenza ex art. 2932 c.c. salvo in ogni<br />

caso il riconoscimento dei danni subiti.<br />

M.M. si costituiva e resisteva a tali domande, ribadendo che unico inadempiente alle obbligazioni<br />

contrattuali assunte era il R.. Riunite le cause, con sentenza <strong>del</strong> 4 maggio 1998, il Tribunale di Napoli<br />

rigettava le domande <strong>del</strong> R. e, in accoglimento di quelle <strong>del</strong>la M., dichiarava la risoluzione <strong>del</strong> contratto<br />

preliminare <strong>per</strong> scadenza <strong>del</strong> previsto termine essenziale, imputabile al R., con condanna <strong>del</strong>lo stesso R.<br />

al risarcimento dei danni conseguenti, nella misura di L. 50.000.000, e previa restituzione al medesimo<br />

<strong>del</strong>la somma da lui versata a titolo di caparra confirmatoria.<br />

Entrambe le parti interponevano gravame: la M., in via principale, e il R., in via incidentale. Con<br />

sentenza <strong>del</strong> 25 febbraio/1 aprile 1999, la Corte d'appello di Napoli, in parziale accoglimento dei<br />

gravami, così riformava la decisione di primo grado: a) dichiarava risolto il contratto preliminare <strong>per</strong><br />

<strong>inadempimento</strong> reciproco <strong>del</strong>le parti, M. e R.; b) condannava la M. a restituire al R. la caparra versata;<br />

c) rigettava ogni altra domanda; d) compensava interamente tra le parti le spese dei due gradi di<br />

giudizio".<br />

La Suprema Corte con la sentenza 27/2002 annullava la prima pronuncia <strong>del</strong>la Corte partenopea,<br />

enunciando questa regola: "Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice <strong>del</strong><br />

merito di pronunciare la risoluzione <strong>del</strong> contratto ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1453 cod. civ. o di ritenere la<br />

25


legittimità <strong>del</strong> rifiuto di adempiere a norma <strong>del</strong>l'art. 1460 c.c., in favore di entrambe le parti, <strong>per</strong>chè la<br />

valutazione <strong>del</strong>la colpa nell'<strong>inadempimento</strong> ha carattere unitario e l'<strong>inadempimento</strong> deve essere<br />

addebitato esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento colpevole prevalente,<br />

abbia alterato il nesso di reciprocità che lega le obbligazioni assunte con il contratto, dando causa al<br />

giustificato <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'altra parte". Reinvestiti <strong>del</strong>la lite, i giudici <strong>del</strong>la Corte d'appello di Napoli,<br />

con sentenza <strong>del</strong>l'8 maggio 2007 ritenevano che l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la M. era stato determinante e<br />

aveva giustificato l'inadempienza <strong>del</strong> R., poichè, a causa di una inveridica dichiarazione sugli estremi<br />

<strong>del</strong>la concessione edificatoria <strong>del</strong>l'immobile, il titolo di provenienza <strong>del</strong> bene da trasferire era affetto da<br />

nullità. Accoglievano quindi l'appello incidentale <strong>del</strong> R..<br />

M. ha proposto ricorso <strong>per</strong> cassazione notificato il 18 luglio 2007, affidandosi a sette motivi. R. ha<br />

resistito con controricorso. Avviata la trattazione con rito camerale, all'adunanza <strong>del</strong> 3 ottobre 2008,<br />

dopo il deposito di memoria <strong>del</strong>la ricorrente, la causa è stata rimessa a pubblica udienza.<br />

DIRITTO<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

1) Con il primo motivo la ricorrente enuncia vizio di motivazione e violazione degli artt. 1346 e 1418<br />

c.c. deducendo che erroneamente la sentenza, impugnata ha affermato la nullità, <strong>per</strong> incommerciabilità<br />

<strong>del</strong> bene oggetto di vendita, <strong>del</strong>l'atto di provenienza <strong>del</strong>l'immobile, senza dichiarare anche la nullità <strong>del</strong><br />

contratto preliminare successivamente stipulato inter partes. Mette conto subito chiarire che il motivo è<br />

inammissibile <strong>per</strong> la parte in cui denuncia un vizio di motivazione, atteso che il ricorrente è venuto<br />

meno al dovere di formulare (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08; 16528/08) la censura ex art. 360 c.p.c.,<br />

n. 5 mediante un momento di sintesi (omologo <strong>del</strong> quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i<br />

limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione <strong>del</strong> ricorso e di valutazione <strong>del</strong>la<br />

sua ammissibilità. Non è stato osservato l'onere di indicare chiaramente il fatto controverso ovvero le<br />

ragioni <strong>per</strong> le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall'art. 366 bis cod. proc. civ., onere che<br />

deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche<br />

formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che consenta al giudice di<br />

valutare immediatamente l'ammissibilità <strong>del</strong> ricorso (Cass. 8897/08; 16002/07), senza che possa<br />

esservi successiva integrazione nella memoria ex art. 378 c.p.c. (Cass. 22390/08), che quindi nel caso<br />

di specie non è utilizzabile a tal fine. A questo fine bisogna distinguere questo requisito dal quesito di<br />

diritto necessario <strong>per</strong> denunciare un vizio attinente all'art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4; occorre affermare<br />

che l'una indicazione non può essere confusa con l'altra, poichè restano ben diversi il fatto controverso<br />

su cui sarebbe caduto un difetto <strong>del</strong>la motivazione, e l'errore di diritto che va corretto mediante<br />

enunciazione di un principio giuridico, avente portata generale, da applicare alla fattispecie in luogo di<br />

quello ritenuto applicabile dal giudice di merito.<br />

Il quesito posto dalla ricorrente mira a far affermare che la nullità <strong>del</strong> titolo di provenienza si comunica<br />

al contratto preliminare, avendo quest'ultimo ad oggetto lo stesso bene incommerciabile. La censura si<br />

scontra con l'insegnamento di questa Corte, da cui non v'è motivo di discostarsi, enunciato in fattispecie<br />

simile a quella odierna, secondo il quale "La disposizione <strong>del</strong>la L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18,<br />

comma 2, che sancisce la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo<br />

scioglimento <strong>del</strong>la comunione di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia allegato il<br />

certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l'area<br />

interessata, si riferisce esclusivamente ai contratti che determinano l'effetto reale indicato dalla norma e<br />

non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di compravendita, sicchè il<br />

preliminare e la "denuntiatio" in tema di prelazione agraria sono validi, pur non contenendo la<br />

dichiarazione di cui agli artt. 17 e 40, Legge citata e l'allegazione <strong>del</strong> certificato di destinazione<br />

urbanistica, fatta salva l'esigenza di allegazione <strong>del</strong> detto certificato <strong>per</strong> la stipulazione <strong>del</strong> contratto<br />

definitivo o <strong>per</strong> la sentenza di esecuzione specifica <strong>del</strong>l'obbligo di concludere il contratto definitivo, di cui<br />

all'art. 2932 cod. civ. (Cass. 13221/06; 24460/07; 14635/08). Ne consegue che anche nella specie,<br />

riferita ad acquisto <strong>del</strong>l'immobile da parte <strong>del</strong>la M. con atto nullo "<strong>per</strong> difetto di veridicità <strong>del</strong>le<br />

dichiarazioni inerenti alla licenza edilizia", detta nullità non si comunica al contratto preliminare con cui<br />

la ricorrente promise in vendita l'immobile.<br />

2) Il secondo motivo denuncia violazione <strong>del</strong>l'art. 1385 c.c. e vizio di motivazione. Anche in questo caso<br />

risulta omessa la specifica indicazione <strong>del</strong> fatto controverso, mentre è ravvisabile a conclusione <strong>del</strong><br />

motivo un quesito di diritto così formulato: Si chiede che venga riconfermato il principio che la norma di<br />

cui all'art. 1385 c.c., comma 2 che prevede, in caso di <strong>inadempimento</strong>, la restituzione <strong>del</strong> doppio <strong>del</strong>la<br />

caparra, non deroga affatto alla disciplina generale <strong>del</strong>la risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>, consentendo il<br />

recesso di una parte solo quando l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte sia colpevole e di non scarsa<br />

importanza.<br />

Il motivo è inammissibile e infondato: esso muove da un presupposto non dimostrato - e anzi smentito<br />

dalla sentenza - cioè dalla qualificazione come "incolpevole e di scarsa importanza" <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong><br />

addebitato alla ricorrente. In tale ottica il quesito è privo di concretezza, cioè di sicura riferibilità alla<br />

fattispecie. La censura è comunque infondata, <strong>per</strong>chè l'<strong>inadempimento</strong> rimproverato alla M. sussisteva<br />

ed era di enorme rilevanza, atteso che essa, al momento in cui furono introdotte le contrapposte<br />

domande, era intestataria <strong>del</strong> bene sulla base di un titolo inidoneo a trasferire la proprietà, con tutte le<br />

26


conseguenze <strong>del</strong> caso. Detta circostanza risulta avvalorata e non smentita dalla necessità, poi<br />

verificatasi, di provvedere alla sanatoria <strong>del</strong>l'atto di acquisto avvenuta, riferisce la sentenza impugnata<br />

(pag. 13), con atto di integrazione e conferma a rogito Kraus <strong>del</strong> 3 dicembre 1996, cioè di otto mesi<br />

circa successivo alla domanda <strong>del</strong> R..<br />

3) Da rigettare è anche il terzo motivo di ricorso, che espone "falsa applicazione degli artt. 1337, 1338<br />

e 1375 c.c." e chiede che venga dichiarato che la violazione <strong>del</strong>l'obbligo di buona fede di cui ai citati<br />

articoli non implica imputabilità al debitore <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'obbligo di essere in possesso entro il<br />

termine essenziale di un valido titolo di provenienza, quando l'invalidità di quest'ultimo non è imputabile<br />

al promittente venditore bensì ai terzi danti causa". L'assunto da cui muove la ricorrente è che la Corte<br />

partenopea avrebbe confuso la responsabilità <strong>per</strong> colpevole <strong>inadempimento</strong> di obbligazione<br />

sinallagmatica con la responsabilità <strong>per</strong> mala fede nei rapporti contrattuali. La censura non ha pregio,<br />

<strong>per</strong>chè il suo presupposto di partenza è <strong>del</strong> tutto errato. La. sentenza impugnata non rimprovera alla M.<br />

una condotta rilevante sotto il profilo <strong>del</strong>la buona fede contrattuale, ma l'<strong>inadempimento</strong> alle<br />

obbligazioni assunte, costituito dall'aver promesso in vendita un bene che non era di sua proprietà,<br />

neppure al momento <strong>del</strong>le iniziative giudiziarie avviate dalle parti, a causa di una nullità <strong>del</strong>l'atto di<br />

provenienza derivante da violazione <strong>del</strong>la normativa di cui alla L. n. 47 <strong>del</strong> 1985 in tema di<br />

trasferimento di beni immobili. Nè rileva che la promittente venditrice si affermi ignara di tale<br />

condizione <strong>del</strong> bene, poichè su di lei incombeva l'onere, prima <strong>del</strong>la promessa di vendita, di verificare la<br />

regolarità <strong>del</strong> proprio acquisto e, prima di attivarsi giudizialmente, di regolarizzare, se possibile, la<br />

condizione necessaria <strong>per</strong> la valida ritrasferibilità <strong>del</strong>l'immobile.<br />

4) Il vizio di motivazione denunciato con il quarto motivo attiene, secondo l'epigrafe <strong>del</strong> motivo,<br />

all'impossibilità di stipulare un efficace contratto definitivo di compravendita. La censura è<br />

inammissibile, <strong>per</strong>chè articolata senza la chiara indicazione <strong>del</strong> fatto controverso sviluppata in un<br />

momento riassuntivo e inequivocabile, secondo quanto dettato dalla giurisprudenza ricordata sub 1.<br />

5) Anche il quinto motivo, che concerne nuovamente, secondo l'epigrafe,l'insufficienza di motivazione<br />

circa l'impossibilità di stipulare un efficace contratto definitivo di compravendita, difetta di specifica<br />

indicazione <strong>del</strong> fatto controverso. Nè risulta ammissibile la denuncia di falsa applicazione degli artt.<br />

1337, 1338 e 1375 c.c.. In questo caso il quesito non enuclea il principio di diritto criticato, nè quello<br />

che si vorrebbe fosse predicato da questa Corte: le censura si risolve soltanto in una denuncia di vizio di<br />

motivazione, poichè lamenta, nella parte destinata al quesito, l'erronea ricostruzione <strong>del</strong>la fattispecie<br />

relativa all'inesistente tutela di D.R.T. all'epoca <strong>del</strong>la stipula <strong>del</strong> titolo di provenienza. Il riferimento<br />

resterebbe ermetico (di qui l'inammissibilità <strong>del</strong> motivo <strong>per</strong> errata formulazione <strong>del</strong> quesito e<br />

<strong>del</strong>l'indicazione <strong>del</strong> fatto controverso) senza la integrale lettura dei-motivo, con il quale si contesta che<br />

la M. sapesse <strong>del</strong>la condizione irregolare <strong>del</strong> bene sol <strong>per</strong>chè il di lei padre era stato tutore <strong>del</strong>la<br />

precedente proprietaria <strong>del</strong>l'immobile. A tacer d'altro, la censura è comunque inconferente, <strong>per</strong>chè la<br />

Corte ebbe a ritenere la colpevolezza <strong>del</strong>la condotta <strong>del</strong>la ricorrente non solo sulla base di questo<br />

elemento, ma <strong>del</strong>l'insieme dei rilievi giuridici e di fatto - esposti da pag. 12 a pag. 16 <strong>del</strong> testo, in parte<br />

neppure censurati, restando così riaffermata la sussistenza <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> rimproverato alla M..<br />

6) Il sesto motivo è, come gli altri, deficitario nella parte in cui rileva il vizio di motivazione <strong>del</strong>la<br />

sentenza in ordine al tema <strong>del</strong>la comparazione degli inadempimenti, senza individuare il fatto<br />

controverso a norma <strong>del</strong>l'art. 366 bis c.p.c.. La censura è anche portata in riferimento all'art. 360 c.p.c.,<br />

n. 3 <strong>per</strong> violazione <strong>del</strong>l'art. 384 c.p.c., comma 2, assumendo che non sarebbe stato applicato il principio<br />

di diritto enunciato dalla sentenza 27/02 <strong>del</strong>la Corte di cassazione. Ciò <strong>per</strong>chè la Corte partenopea, cui<br />

era demandato di individuare quale contraente, con il proprio colpevole comportamento, aveva dato<br />

causa all'<strong>inadempimento</strong> - giustificato - <strong>del</strong>l'altro, avrebbe erroneamente addebitato l'<strong>inadempimento</strong><br />

alla M.. Tale valutazione sarebbe errata, <strong>per</strong>chè, stando al ricorso, allorquando il R. si era reso<br />

inadempiente non era consapevole <strong>del</strong>la non trasferibilità <strong>del</strong> bene e dunque <strong>del</strong> "pregresso<br />

comportamento colpevole <strong>del</strong>l'altra parte (la M.)". Pertanto, secondo il quesito di parte ricorrente, il<br />

comportamento colpevole <strong>del</strong>la venditrice non era stato causa <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong> promissario<br />

acquirente.<br />

La censura, pur meritevole di attenta ponderazione, non appare fondata. La Corte partenopea ha<br />

rilevato (pag. 10) che dal punto di vista cronologico - ma meglio avrebbe dovuto dire "logico" -<br />

l'appellante avrebbe dovuto dimostrare di essere in possesso di un titolo valido ad effettuare il<br />

trasferimento <strong>del</strong>la proprietà e che tale obbligo precedeva quello <strong>del</strong> R. di attivarsi <strong>per</strong> la nomina di un<br />

notaio e la fissazione <strong>del</strong>la data di stipula <strong>del</strong> definitivo. Ha poi rilevato, senza che l'affermazione sia<br />

stata in questa sede idoneamente censurata, che l'appellante era a conoscenza <strong>del</strong>la situazione<br />

urbanistica irregolare <strong>del</strong>l'immobile (pag. 12), ma che, ciononostante, non volle evidenziarla nella<br />

promessa di vendita a R. (pag. 15); che effettuò successivamente l'atto di rettifica, <strong>del</strong> dicembre '96,<br />

ma che tale atto non escludeva la situazione di <strong>inadempimento</strong> in cui versava, situazione che ella aveva<br />

tentato di nascondere anche nella proposta transattiva stragiudiziale formulata nel gennaio 1996. La<br />

Corte ne ha desunto che l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong> R. era a quel punto giustificato, <strong>per</strong>chè ogni suo obbligo<br />

presupponeva l'esistenza di un valido titolo di provenienza in capo alla promittente venditrice. Ha<br />

specificato che il promissario non avrebbe potuto accorgersi <strong>del</strong>la irregolarità <strong>del</strong>l'atto di provenienza,<br />

che taceva sulla concessione edilizia e sulla domanda di condono e recava la falsa dichiarazione che le<br />

o<strong>per</strong>e erano state eseguite prima <strong>del</strong> (OMISSIS). Ha affermato che il R. non era quindi nella possibilità<br />

27


di sollevare prima le contestazioni sul punto, e che l'eccezione di <strong>inadempimento</strong> non era impedita dalla<br />

scadenza <strong>del</strong> termine essenziale di pagamento.<br />

La decisione merita conferma. Va subito ribadito che trova riscontro nella giurisprudenza di questa<br />

Corte l'ultima asserzione dei giudici partenopei, atteso che Cass. 8314/03 in tema di risoluzione<br />

contrattuale ed in ipotesi di eccezione di <strong>inadempimento</strong>, ha avuto modo di chiarire che l'eccezione<br />

stessa ben può essere dedotta <strong>per</strong> la prima volta in sede giudiziale, pur ove non sia stata sollevata in<br />

precedenza <strong>per</strong> rifiutare motivatamente l'adempimento chiesto "ex adverso", poichè l'art. 1460 cod. civ.<br />

non pone alcuna limitazione temporale o modale all'es<strong>per</strong>ibilità <strong>del</strong>l'eccezione, salva l'ipotesi di termini<br />

differenziati di adempimento, e poichè l'esercizio <strong>del</strong>la facoltà di sospendere l'esecuzione <strong>del</strong> contratto,<br />

a fronte <strong>del</strong> grave <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>la controparte, non è subordinato ad alcuna condizione e, in<br />

particolare, non alla previa intimazione di una diffida, nè ad alcuna generica contestazione<br />

<strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong>.<br />

Su<strong>per</strong>ato questo limite, la questione da decidere in sede di rinvio era costituita dalla individuazione <strong>del</strong>la<br />

parte cui addebitare l'<strong>inadempimento</strong>, non imputabile parimenti ad entrambe secondo Cass. 27/02. A<br />

questo fine, come sopra ricordato, era necessaria una salutazione <strong>del</strong>la colpa nell'<strong>inadempimento</strong><br />

avente carattere unitario e l'<strong>inadempimento</strong> doveva essere addebitato esclusivamente a quel contraente<br />

che, con il proprio comportamento colpevole prevalente, avesse alterato il nesso di reciprocità che lega<br />

le obbligazioni assunte con il contratto, dando causa al giustificato <strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'altra parte. Il<br />

principio è stato applicato correttamente, poichè con motivazione non censurabile in questa sede -<br />

<strong>per</strong>chè riservata al giudice di merito, non idoneamente criticata e comunque palesemente congrua e<br />

adeguata - il giudice di rinvio ha sostanzialmente ritenuto che la incommerciabilità <strong>del</strong> bene, scaturita<br />

dalla falsa dichiarazione urbanistica contenuta nell'atto di provenienza, travolgeva e rendeva<br />

incomparabile qualunque condotta dilatoria <strong>del</strong> promissario acquirente. Il comportamento inadempiente<br />

di quest'ultimo assumeva carattere di irrilevanza a fronte dalla impossibilità congenita <strong>del</strong> promittente<br />

venditore di dar corso all'obbligazione principale <strong>per</strong> nullità <strong>del</strong> suo atto di acquisto.<br />

Proprio in una considerazione unitaria dei comportamenti contrapposti si coglie la preponderanza<br />

causale di una condotta sull'altra, tale da rendere irrilevante la ricerca, sollecitata in ricorso, <strong>del</strong>la<br />

conoscenza <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> da parte <strong>del</strong> promissario acquirente.<br />

L'alterazione dei rapporti che scaturiva dalla condizione di nullità <strong>del</strong>l'atto di provenienza in capo alla<br />

promittente venditrice era tale da far imputare alla M. la lesione <strong>del</strong> programma negoziale di interessi,<br />

in modo così incisivo e assorbente, da rendere privo di rilievo il ritardo <strong>del</strong>l'altra parte. Correttamente in<br />

ipotesi siffatte non si prospetta neppure una comparazione - nel senso di confronto tra diversi gradi di<br />

gravità <strong>del</strong>la condotta - ma si registra una violazione così prevalente - <strong>per</strong> l'irrealizzabilità stessa <strong>del</strong><br />

negozio - da far <strong>per</strong>dere ogni rilevanza alla condotta ritardataria o inadempiente <strong>del</strong>l'altra parte. In tal<br />

senso quindi risulta giustificato l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong>l'altra parte, ancorchè l'eccezione di cui all'art. 1460<br />

c.c. sia stata, sollevata solo dopo l'avvio <strong>del</strong> primo giudizio.<br />

Vale qui rilevare che il giudicante si è trovato di fronte ad un'ipotesi di ineseguibilità, imputabile alla<br />

condotta colpevole di una parte, tale da risolvere univocamente la comparazione dei comportamenti<br />

inadempienti, o l'esame <strong>del</strong>la proporzionalità <strong>del</strong>la reazione, giacchè in ogni caso la offerta <strong>del</strong>la<br />

prestazione da parte <strong>del</strong> promissario acquirente sarebbe risultata vana, in quanto logicamente e<br />

temporalmente preceduta dalla impossibilità di adempimento in cui si trovava la odierna ricorrente. La<br />

decisione è <strong>per</strong>tanto coerente in primo luogo con i principi posti inderogabilmente nel caso de quo dalla<br />

precedente sentenza di legittimità e, giova osservare, con gli insegnamenti giurisprudenziali impartiti in<br />

passato dal giudice <strong>del</strong>la nomofilachia. La lezione <strong>del</strong>la Corte di Cassazione, rifluita anche in Cass.<br />

27/02, raccomanda l'esame <strong>del</strong>l'oggetti va entità degli inadempimenti, <strong>del</strong>la proporzionalità di essi<br />

rispetto alla funzione economico sociale <strong>del</strong> contratto, <strong>del</strong>la loro rispettiva incidenza sull'equilibrio<br />

sinallagmatico (cfr Cass. 11430/06; 13365/06;<br />

2992/04; 8880/00), criteri che trovano corrispondenza nella soluzione data alla lite dalla Corte<br />

napoletana.<br />

7) Nell'ultimo motivo di ricorso la M. ha lamentato omessa motivazione, ma più puntualmente anche<br />

omessa pronuncia con riguardo alla domanda da essa formulata <strong>per</strong> il risarcimento danni ex art. 96<br />

c.p.c., comma 2, <strong>per</strong> avere il R. trascritto domanda giudiziale ex art. 2932 agendo senza la normale<br />

prudenza. La censura, da inquadrare in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass 20373/08) - con<br />

conseguente non necessità <strong>del</strong>la formulazione <strong>del</strong> quesito (Cass. (16941/08), - coglie nel segno. La<br />

Corte territoriale ha infatti omesso di statuire sulla domanda, senza neppure rilevare l'assorbimento<br />

<strong>del</strong>la stessa. Ai sensi <strong>del</strong> novellato art. 384 c.p.c. questa Corte, nel cassare sul punto la sentenza<br />

impugnata, può procedere alla decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di<br />

fatto. La domanda risarcitoria va respinta, atteso che il contraente R. legittimamente mirava a<br />

conseguire l'esecuzione in forma specifica <strong>del</strong>l'obbligo di controparte di concludere il contratto, facendo<br />

leva sul contratto preliminare stipulato e sull'avvenuto versamento <strong>del</strong>la caparra. Nè può dirsi che la<br />

iniziale domanda ex art. 2932 c.c. venne abusivamente mantenuta (con la relativa trascrizione) anche<br />

dopo la proposizione <strong>del</strong>la domanda volta ad accertare la legittimità <strong>del</strong> recesso. - Anche nella seconda<br />

causa era infatti formulata in via subordinata la richiesta di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.,<br />

rispetto alla quale <strong>per</strong>maneva interesse <strong>del</strong>l'istante a garantire la realizzazione <strong>del</strong> suo interesse<br />

mediante trascrizione <strong>del</strong>la domanda giudiziale.<br />

28


Segue da quanto esposto il rigetto dei primi sei motivi di ricorso e <strong>del</strong>la domanda di parte ricorrente<br />

relativa al settimo motivo, con la condanna di parte soccombente alla refusione <strong>del</strong>le spese di lite,<br />

liquidate come in dispositivo.<br />

P.Q.M.<br />

P.Q.M.<br />

La Corte rigetta i primi sei motivi di ricorso. Accoglie il settimo motivo di ricorso, cassa la sentenza<br />

impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la <strong>per</strong>tinente domanda.<br />

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte <strong>del</strong>le spese di lite liquidate in Euro 5.000 <strong>per</strong><br />

onorari, 200 <strong>per</strong> esborsi, oltre accessori di legge.<br />

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio <strong>del</strong>la Sezione Seconda Civile, il 8 maggio 2009.<br />

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2009<br />

Cassazione civile sez. II, 24 settembre 2009, n. 20614<br />

Utente: UNIV.CATTOLICA DEL SACRO CUORE univc90<br />

Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A.<br />

Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile<br />

ESTREMI<br />

Autorità: Cassazione civile sez. II<br />

Data: 23 dicembre 2011<br />

Numero: n. 28647<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Inadempimento - costituzione in mora<br />

Obbligazioni e contratti - Inadempimento - Costituzione in mora - <strong>Risoluzione</strong> <strong>del</strong> contratto<br />

<strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> - Costituzione in mora - Necessità - Esclusione - Fondamento<br />

INTESTAZIONE<br />

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE<br />

SEZIONE SECONDA CIVILE<br />

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:<br />

Dott. GOLDONI Umberto - Presidente -<br />

Dott. BURSESE Gaetano Antonio - Consigliere -<br />

Dott. MATERA Lina - rel. Consigliere -<br />

Dott. PARZIALE Ippolisto - Consigliere -<br />

Dott. MANNA Felice - Consigliere -<br />

ha pronunciato la seguente:<br />

sentenza<br />

sul ricorso 8583/2006 proposto da:<br />

B.R. (OMISSIS), in qualità di erede<br />

universale di B.P., elettivamente domiciliata in ROMA,<br />

CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio GREZ E ASSOCIATI SRL,<br />

rappresentata e difesa dall'avvocato SELVATICI Enrica;<br />

- ricorrente -<br />

contro<br />

COMUNE DI BOLOGNA in <strong>per</strong>sona <strong>del</strong> Sindaco pro tempore;<br />

- intimato -<br />

sul ricorso 12930-2006 proposto da:<br />

COMUNE DI BOLOGNA in <strong>per</strong>sona <strong>del</strong> Sindaco pro tempore, elettivamente<br />

domiciliato in ROMA, VIA ORTI DELLA FARNESINA 126, presso lo studio<br />

<strong>del</strong>l'avvocato RICHTER GIORGIO STELLA, che lo rappresenta e difende<br />

unitamente agli avvocati CUPELLO CASTAGNA ANNAMARIA, CARESTIA GIULIA;<br />

29


B.R.;<br />

- controricorrente ricorrente incidentale -<br />

e contro<br />

- intimata -<br />

avverso la sentenza n. 85/2005 <strong>del</strong>la CORTE D'APPELLO di BOLOGNA,<br />

depositata il 25/01/2005;<br />

udita la relazione <strong>del</strong>la causa svolta nella pubblica udienza <strong>del</strong><br />

24/11/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;<br />

udito l'Avvocato STELLA RICHTER Giorgio, difensore <strong>del</strong> resistente che<br />

si riporta agli atti;<br />

udito il P.M., in <strong>per</strong>sona <strong>del</strong> Sostituto Procuratore Generale Dott.<br />

GOLIA Aurelio, che ha concluso <strong>per</strong> l'inammissibilità <strong>del</strong> ricorso<br />

principale, assorbito il ricorso incidentale.<br />

FATTO<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

Con atto di citazione notificato il 14-10-1993 B.P. conveniva in giudizio il Comune di Bologna, <strong>per</strong> sentir<br />

dichiarare, in via principale, la nullità e, in via subordinata, l'annullamento o la risoluzione <strong>del</strong> contratto<br />

stipulato il 30-3-1978, avente ad oggetto la cessione <strong>del</strong>la comproprietà di una porzione di immobile<br />

sito in (OMISSIS), in cambio <strong>del</strong>l'uso gratuito <strong>per</strong> venti anni di due appartamenti nuovi, da costruire<br />

nelle (OMISSIS); il tutto con condanna <strong>del</strong> convenuto alla restituzione <strong>del</strong>l'immobile ed al risarcimento<br />

danni.<br />

Nel costituirsi, il Comune di Bologna contestava la fondatezza <strong>del</strong>la domanda ed eccepiva la prescrizione<br />

<strong>del</strong>le azioni di annullamento e di risoluzione.<br />

Con sentenza depositata il 12-9-1997 il Tribunale di Bologna, nel rilevare che le ragioni di fatto dedotte<br />

dall'attore riguardavano aspetti di annullabilità <strong>del</strong> contratto o di risoluzione <strong>del</strong> medesimo <strong>per</strong><br />

<strong>inadempimento</strong>, accoglieva l'eccezione di prescrizione e rigettava la domanda.<br />

Avverso la predetta decisione proponeva appello il B..<br />

Con sentenza depositata l'11-3-2005 la Corte di Appello di Bologna rigettava il gravame. In<br />

motivazione, la Corte territoriale rilevava che l'azione di risoluzione non si era prescritta, ma doveva<br />

essere rigettata, non essendovi stata costituzione in mora <strong>del</strong> convenuto.<br />

Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.R., in qualità di erede di B.P., sulla base di due motivi.<br />

Il Comune di Bologna resiste con controricorso, con il quale ha altresì proposto ricorso incidentale<br />

condizionato.<br />

La B. ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..<br />

DIRITTO<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

1) In primo luogo deve disporsi la riunione dei due ricorsi, principale e condizionato.<br />

2) Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione <strong>del</strong>l'art. 1346 c.p.c. e art. 1418<br />

c.p.c., comma 2, nonchè l'omessa e insufficiente motivazione. Rileva che la Corte di Appello non ha<br />

esaminato la domanda di nullità proposta in via principale dall'attore, il quale aveva offerto ampi<br />

argomenti circa il fatto che, fin dall'inizio, vi era un'impossibilità assoluta <strong>del</strong>la prestazione, non<br />

essendovi alcun appartamento a disposizione <strong>del</strong> B. nelle tre vie tassativamente indicate nel contratto<br />

<strong>del</strong> 30-3-1978. Nel far presente che, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1421 c.c., la nullità <strong>del</strong> contratto può essere<br />

rilevata anche d'ufficio dal giudice, sostiene che l'impossibilità originaria ed assoluta <strong>del</strong>la prestazione<br />

emerge dalle lettere <strong>del</strong> 7-5-1993 e <strong>del</strong> 21-4-1992, prodotte già nel corso <strong>del</strong> giudizio di primo grado.<br />

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219 e 1453<br />

c.c., nonchè l'omessa e insufficiente motivazione in relazione al rigetto <strong>del</strong>la domanda subordinata di<br />

risoluzione, motivata sul rilievo <strong>del</strong>la mancanza <strong>del</strong>la costituzione in mora. Deduce che, ai sensi <strong>del</strong>l'art.<br />

1453 c.c., la domanda di risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> produce gli effetti <strong>del</strong>la<br />

costituzione in mora e che, comunque, dalla lettera inviata dal Comune di Bologna il 21-4-2002 si<br />

evince che vi era stata la richiesta di adempimento da parte <strong>del</strong> B..<br />

Con l'unico motivo di ricorso incidentale condizionato il Comune di Bologna si duole <strong>del</strong>la<br />

contraddittorietà e illogicità <strong>del</strong>la motivazione <strong>del</strong>la sentenza impugnata, nella parte in cui ha disatteso<br />

l'eccezione di prescrizione <strong>del</strong>la domanda di risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>. Sostiene che,<br />

contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, il contratto stipulato dalle parti stabiliva a<br />

chiare lettere il termine (29-9-1980) entro il quale il Comune avrebbe dovuto eseguire la propria<br />

prestazione. Aggiunge che la sentenza impugnata risulta motivata in modo illogico e contraddittorio<br />

anche nella parte in cui ha ritenuto che il B. non era in grado di stabilire il momento in cui il ritardo era<br />

divenuto intollerabile, e che l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong> Comune era grave e di non scarsa importanza.<br />

3) Il primo motivo di ricorso principale è infondato.<br />

30


La Corte di Appello, nell'esercizio <strong>del</strong> potere di interpretazione e qualificazione <strong>del</strong>la domanda attribuito<br />

dalla legge al giudice di merito, ha ritenuto che le ragioni addotte dal B. non riguardavano aspetti di<br />

nullità, bensì di annullabilità, versandosi in tema di consenso viziato <strong>per</strong> errore o dolo.<br />

Non sussistono, <strong>per</strong>tanto, i vizi denunciati dalla ricorrente, avendo il giudice di merito correttamente<br />

omesso di pronunciare su una domanda diversa da quella concretamente proposta in giudizio<br />

dall'attore.<br />

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, d'altro canto, nella specie, avendo l'attore agito in<br />

giudizio <strong>per</strong> ottenere l'annullamento o la risoluzione <strong>del</strong> contratto stipulato dalle parti, il giudice di<br />

merito non avrebbe potuto rilevare d'ufficio la nullità di tale atto.<br />

Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, il potere- dovere <strong>del</strong> giudice di dichiarare<br />

d'ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c., va coordinato con il principio <strong>del</strong>la domanda fissato<br />

dagli artt. 99 e 112 c.p.c., sicchè solo se sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione di un atto la<br />

cui validità rappresenti un elemento costitutivo <strong>del</strong>la domanda, il giudice è tenuto a rilevare, in qualsiasi<br />

stato e grado <strong>del</strong> processo, l'eventuale nullità <strong>del</strong>l'atto. Al contrario, qualora la domanda sia diretta a<br />

fare dichiarare la invalidità <strong>del</strong> contratto o a farne pronunziare la risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>, la<br />

deduzione (nella prima ipotesi) di una nullità diversa da quella posta a fondamento <strong>del</strong>la domanda e<br />

(nella seconda ipotesi) di una qualsiasi causa di nullità o di un fatto costitutivo diverso<br />

dall'<strong>inadempimento</strong>, sono inammissibili; nè tali questioni possono essere rilevate d'ufficio, ostandovi il<br />

divieto di pronunziare ultra petita (cfr. ex plurimis: Cass. 27-4-2011 n. 9395; Cass. 21632/06;<br />

Cass. 19903/05; Cass. 6-8-2003 n. 11847; Cass. 14 gennaio 2003 n. 435; Cass. 17-5-2002 n. 7215;<br />

Cass. Sez. Un., 3 aprile 1989 n. 1611;<br />

Cass. Sez. Un. 25 marzo 1988 n. 2572).<br />

4) Per ragioni di ordine logico, si rende necessario esaminare, prima <strong>del</strong> secondo motivo di ricorso<br />

principale, il motivo di ricorso incidentale, il quale, ancorchè condizionato, involge una questione<br />

preliminare (inerente alla intervenuta prescrizione <strong>del</strong>l'azione di risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>) la cui<br />

eventuale fondatezza precluderebbe, <strong>per</strong> il suo carattere assorbente, l'esame <strong>del</strong>le censure mosse dalla<br />

B. in ordine alla pronuncia di rigetto nel merito di tale azione.<br />

Si intende, al riguardo, dare continuità al prevalente indirizzo <strong>del</strong>la giurisprudenza, secondo cui, qualora<br />

la parte interamente vittoriosa nel merito abbia proposto ricorso incidentale avverso una statuizione<br />

(anche implicita) a lei sfavorevole, relativa ad una questione pregiudiziale di rito o preliminare di<br />

merito, rilevabile d'ufficio, la Suprema Corte deve esaminare e decidere con priorità tale ricorso, senza<br />

tenere conto <strong>del</strong>la sua subordinazione all'accoglimento <strong>del</strong> ricorso principale, dal momento che<br />

l'interesse al ricorso sorge <strong>per</strong> il fatto stesso che la vittoria conseguita sul merito è resa incerta dalla<br />

proposizione <strong>del</strong> ricorso principale e non dalla sua eventuale fondatezza e che le regole processuali<br />

sull'ordine logico <strong>del</strong>le questioni da definire, applicabili anche al giudizio di legittimità ex art. 141 disp.<br />

att. c.p.c., comma 1, non subiscono deroghe su sollecitazione <strong>del</strong>le parti (Cass. 24-1-2008 n. 1582;<br />

Cass. 3-4-2007 n. 8293; Cass. 11-11-2003 n. 16904; Cass, 21/12/2002 n. 18225; Cass. Sez. Un. 23-<br />

5-2001 n. 212).<br />

5) Il ricorso incidentale deve essere rigettato.<br />

La Corte di Appello, nell'escludere che, in relazione all'azione di risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> proposta<br />

dal B., fosse maturato il termine di prescrizione, è partita dalla premessa che il termine di consegna dei<br />

due appartamenti da parte <strong>del</strong> Comune di Bologna era stato "concordato genericamente" ed era stato<br />

"di fatto su<strong>per</strong>ato dallo intervenuto trasferimento in un diverso e provvisorio alloggio". Di qui il rilievo<br />

secondo cui si verte nella ipotesi di obbligazioni di fare "a termine incerto e non immediatamente<br />

eseguibile", <strong>per</strong> le quali il termine di prescrizione comincia a decorrere solo dal momento in cui "il<br />

ritardo nell'<strong>inadempimento</strong> eccede ogni limite di tolleranza". Con la conseguenza che, non potendo il B.<br />

"determinare il momento in cui il ritardo diveniva grave nel senso sopra precisato" e, quindi,<br />

"intollerabile", l'attore "correttamente attese diversi anni prima di promuovere il giudizio nei confronti<br />

<strong>del</strong>l'Amministrazione comunale"; e che, in conclusione, il termine di prescrizione è iniziato a decorrere<br />

solo con l'atto di citazione.<br />

Nella prima parte <strong>del</strong> motivo di ricorso il Comune di Bologna ha dedotto che, contrariamente a quanto<br />

ritenuto dalla Corte territoriale, il contratto de quo reca la chiara indicazione <strong>del</strong> termine entro il quale il<br />

convenuto avrebbe dovuto adempiere la sua prestazione ("entro la data <strong>del</strong> 29 settembre 1980") e che,<br />

<strong>per</strong>tanto, la sentenza impugnata ha erroneamente inquadrato il contratto medesimo nell'ambito <strong>del</strong>le<br />

"obbligazioni di fare, a termine incerto e non immediatamente eseguibili". Il controricorrente, al<br />

contrario, nulla ha eccepito riguardo all'ulteriore affermazione contenuta in sentenza, secondo cui il<br />

termine previsto nel contratto era stato "di fatto su<strong>per</strong>ato dallo intervenuto trasferimento in un diverso<br />

e provvisorio alloggio"; affermazione che appare di <strong>per</strong> sè idonea a sorreggere la valutazione espressa<br />

dal giudice <strong>del</strong> gravame riguardo alla riconducibilità <strong>del</strong>l'obbligazione assunta dal Comune nell'ambito<br />

<strong>del</strong>le "obbligazioni di fare, a termine incerto e non immediatamente eseguibili", in relazione alle quali il<br />

termine di prescrizione comincia a decorrere solo nel momento in cui il ritardo nell'adempimento ecceda<br />

ogni limite di tolleranza.<br />

Ne consegue l'inammissibilità, <strong>per</strong> difetto d'interesse, <strong>del</strong>la censura in esame, alla luce <strong>del</strong> principio,<br />

pacifico in giurisprudenza, secondo cui, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di<br />

ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico,<br />

31


l'omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, <strong>per</strong> difetto di interesse, le<br />

censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime,<br />

quand'anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività <strong>del</strong>le altre<br />

non impugnate, all'annullamento <strong>del</strong>la decisione stessa (tra le tante v. Cass. Sez. L. 11-2-2011 n.<br />

3386; Sez. 1, 18-9-2006 n. 20118; Sez. 3, 27-1-2005 n. 1658; Sez. 1, 12-4-2001 n. 5493).<br />

Le ulteriori doglianze mosse dal ricorrente incidentale, attraverso la formale deduzione di vizi di<br />

motivazione, si risolvono in mere censure di merito, che mirano ad ottenere una diversa valutazione<br />

<strong>del</strong>le risultanze processuali rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, che, in quanto espressione<br />

di apprezzamenti in fatto riservati al giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità.<br />

6) Il secondo motivo di ricorso principale è fondato.<br />

La Corte di Appello, pur avendo disatteso l'eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto e dato atto<br />

<strong>del</strong>la non scarsa gravità e importanza <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong> Comune di Bologna, ha rigettato la<br />

domanda di risoluzione <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong> proposta dal B., in base al rilievo che l'attore non aveva<br />

provveduto alla costituzione in mora <strong>del</strong> convenuto, nè con intimazione scritta stragiudiziale nè con<br />

l'atto di citazione, potendo la domanda giudiziale integrare l'atto di costituzione in mora solo allorchè<br />

contenga una richiesta di adempimento <strong>del</strong>l'obbligazione, nella specie mancante.<br />

Questa Corte, <strong>per</strong>altro, ha già avuto modo di chiarire che, ai fini <strong>del</strong>la risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong><br />

<strong>inadempimento</strong>, non è richiesta la costituzione in mora <strong>del</strong> debitore, ma è sufficiente il fatto obiettivo<br />

che quest'ultimo sia incorso in un <strong>inadempimento</strong> di non scarsa importanza. Si è osservato, infatti, che<br />

la formale costituzione in mora <strong>del</strong> debitore è prescritta dalla legge <strong>per</strong> determinati effetti (fra cui<br />

preminente è quello <strong>del</strong> carico, al debitore medesimo, <strong>del</strong> rischio <strong>del</strong>la sopravvenuta impossibilità <strong>del</strong>la<br />

prestazione <strong>per</strong> causa a lui non imputabile), ma non già al fine <strong>del</strong>la risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong><br />

<strong>inadempimento</strong>, essendo all'uopo sufficiente il fatto obiettivo <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> di non scarsa<br />

importanza (v. Cass. 23-7-1991 n. 8199; Cass. 20-7-1987 n. 6362; Cass. 4-3-1980 n. 1450; Cass. 2-<br />

9-1971 n. 2602; Cass. 17/2/ 1969 n. 7, A'^W 550; Cass. 15-12-1954 n. 4477).<br />

Nella specie, <strong>per</strong>tanto, la Corte di Appello non poteva rigettare la domanda di risoluzione <strong>per</strong><br />

<strong>inadempimento</strong> <strong>per</strong> il semplice fatto che l'attore non aveva provveduto a mettere in mora il convenuto,<br />

ma avrebbe dovuto verificare se, in relazione alla natura <strong>del</strong> rapporto ed alle finalità avute di mira dalle<br />

parti, l'<strong>inadempimento</strong> <strong>del</strong> Comune dovesse o meno considerarsi di non scarsa importanza.<br />

Di conseguenza, la sentenza impugnata, nella parte de qua, deve essere cassata con rinvio ad altra<br />

Sezione <strong>del</strong>la Corte di Appello di Bologna, la quale deciderà attenendosi al principio di diritto secondo<br />

cui, ai fini <strong>del</strong>la risoluzione <strong>del</strong> contratto <strong>per</strong> <strong>inadempimento</strong>, non è richiesta la costituzione in mora <strong>del</strong><br />

debitore, ma è sufficiente il fatto obiettivo <strong>del</strong>l'<strong>inadempimento</strong> di non scarsa importanza. Il giudice <strong>del</strong><br />

rinvio provvedere anche in ordine alle spese <strong>del</strong> presente giudizio di legittimità.<br />

P.Q.M.<br />

P.Q.M.<br />

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo di ricorso principale e il ricorso incidentale, accoglie il<br />

secondo motivo di ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia<br />

anche <strong>per</strong> le spese <strong>del</strong> presente grado ad altra Sezione <strong>del</strong>la Corte di Appello di Bologna.<br />

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2011.<br />

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011<br />

Cassazione civile sez. II, 23 dicembre 2011, n. 28647<br />

Utente: UNIV.CATTOLICA DEL SACRO CUORE univc90<br />

Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A.<br />

32

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!