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epistolario ii / 2 - S.Maddalena di Canossa

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della Carità, ma ancor più esplicita è la sua frase: « Ritenendo che l‟istituzione <strong>di</strong> cotesti zelantissimi<br />

sacerdoti sia cosa totalmente staccata dall‟Istituto delle Figlie delta Carità, ed essenzialmente <strong>di</strong>versa<br />

da quella, sulla <strong>di</strong> cui base furono fondate le pratiche intavolatesi presso la Santa Sede, e le<br />

concessioni dalla stessa ottenute, crederei <strong>di</strong> operare contro coscienza, se <strong>di</strong>visassi <strong>di</strong>versamente da<br />

quanto le ho esposto ».<br />

Nella seconda lettera altro periodo incandescente: « Se Don Provolo adotta pienamente e<br />

semplicemente la Regola dei Figli della Carità qual fu presentata al Car<strong>di</strong>nal Odescalchi, potrà venire<br />

a qualche trattativa con lei, salva sempre la proprietà dell‟orto alle Figlie della Carità, del quale<br />

secondo il mio parere, non può farsi alcuna cessione o <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> sorta senza il permesso della<br />

Santa Sede ».<br />

Quest’ultima frase sembrerebbe sollecitata da una lettera che la <strong>Canossa</strong> avrebbe dovuto<br />

scrivere prima <strong>di</strong> quella data, ma che non è stata reperita. Rimane invece un’altra sua, scritta ancora a<br />

Mons. Traversi il 27 <strong>di</strong>cembre 1833. In essa, tra molte altre notizie, <strong>di</strong>chiara: « Per terminare gli affari,<br />

le soggiungo che si concluse con Don Provolo <strong>di</strong> restare ambidue in libertà, ma però tutto rimane in<br />

pace. Gli cederò la chiesa quanto prima, che per le casette mi parve ch‟essa volesse <strong>di</strong>rmi che posso,<br />

ma non mi <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> farlo » .<br />

Don Antonio era ormai tutto preso da una sola <strong>di</strong>rezione: l’educazione dei sordomuti, per cui il<br />

Piano <strong>Canossa</strong> perdeva il suo stimolo e la sua ragione d’essere. Mons. Traversi, in un altro suo scritto<br />

del 3 gennaio 1834, con un tono evidentemente più raddolcito, dà il suo ultimo assenso: «… ceda pure<br />

oltre la chiesa anche le casette, ben inteso che siano esattamente adempiti tutti li conguagli <strong>di</strong> giustizia<br />

relativi ».<br />

L’atto conclusivo <strong>di</strong> questa vertenza rimane nell’ A.C.R. solo sotto forma <strong>di</strong> minuta ed è la<br />

procura che la <strong>Canossa</strong> fa a suo fratello Marchese Bonifacio per la cessione degli stabili a Don Provolo.<br />

Vi manca la data, ma evidentemente è del gennaio del 1834.<br />

Sembrerebbe così chiusa definitivamente la pagina dei Figli del la Carità, invece a Venezia<br />

rimaneva quella tenuissima fiammella, che come già <strong>di</strong>mostrammo, avrebbe acceso poi, dopo anni e<br />

anni <strong>di</strong> attività eroica, condotta da Giuseppe Carsana, Benedetto Belloni e da pochi altri che li<br />

seguirono, una fiamma vivissima e, attualmente, tanto ricca <strong>di</strong> calore.<br />

Il dossier dell’acquisto <strong>di</strong> Santa Maria del Pianto, e annessi, non è fuso insieme al complesso<br />

dramma del sorgere dei Figli della Carità, ma vi è necessariamente agganciato, perché vi si inserisce<br />

naturalmente e, cronologicamente, quasi lo completa, anche se le tematiche <strong>di</strong>verse dei due fondatori<br />

non potranno che far prendere a ciascuno strade <strong>di</strong>verse.

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