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epistolario ii / 2 - S.Maddalena di Canossa

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prime maestre continuavano ad alternarsi, a Milano, nel 1825, se non è errata l’interpretazione perché<br />

mancano Fonti sicure, c’erano Pietro Carsana, Francesco Bonetti e Pedrino Porta. Quest’ultimo aveva<br />

acquistato una casetta attualmente non in<strong>di</strong>viduabile, per dar inizio stabile all’opera tanto incerta. Poi<br />

l’<strong>epistolario</strong> della <strong>Canossa</strong> non dà altre in<strong>di</strong>cazioni, per cui ci si ritrova a Venezia, dove il sacerdote<br />

Francesco Luzzo, che con<strong>di</strong>videva le ansie evangeliche della <strong>Canossa</strong>, aveva accettato <strong>di</strong> dar inizio<br />

all’oratorio per i ragazzi, animato e sostenuto anche da Mons. Traversi che, come era Superiore<br />

spirituale delle Figlie della Carità, tutelava, con trasporto paterno, anche l’opera maschile. Il Luzzo, che<br />

aveva qualche aiuto <strong>di</strong> laici, nel 1830, era entrato in una casetta procuratagli dalla <strong>Canossa</strong> vicino a<br />

Santa Lucia (Ep. I, pag. 677) e l’attività per i ragazzi del popolo incominciava a far sorgere gran<strong>di</strong><br />

speranze. Nel 1833 erano arrivati poi i due bergamaschi, il citato Giuseppe Carsana e Benedetto<br />

Belloni.<br />

Quei due, attivissimi e veramente chiamati alla donazione <strong>di</strong> sè ai poveri ragazzi del sestriere,<br />

avevano, non molto dopo il loro arrivo, avvertito forti <strong>di</strong>ssonanze col carattere, piuttosto teso, <strong>di</strong> Don<br />

Luzzo, ma avevano pazientato, finchè, nel 1834, si erano decisi a separarsi da lui. Si fermeranno, <strong>di</strong>etro<br />

insistenza d Mons. Traversi, ad attendere la venuta a Venezia della <strong>Canossa</strong>, la quale nel frattempo,<br />

stava cercando un altro sacerdote per sostituire Don Luzzo, già in contatto con i Carmelitani <strong>di</strong> Treviso,<br />

perché lo accogliessero nel loro convento.<br />

Poi gli eventi precipitarono. La morte colse la <strong>Canossa</strong> il 10 aprile 1835 e Mons. Traversi fu<br />

chiamato definitivamente a Roma col titolo <strong>di</strong> Arcivescovo Patriarca <strong>di</strong> Costantinopoli. Don Luzzo,<br />

oppresso anche da questi vuoti, affrettò la sua partenza e i due bergamaschi rimasero, scrivendo pagine,<br />

che i Figli della Carità, che poi consolidarono la Congregazione voluta dalla <strong>Canossa</strong>, non poterono<br />

ignorare mai.<br />

Ma c’era anche a Verona, fin dal 1831, una speranza, che appariva certezza, <strong>di</strong> dar vita ad un<br />

centro <strong>di</strong> Figli della Carità. La lettera della <strong>Canossa</strong> del 15 febbraio a Don Antonio Provolo non tratta<br />

della Congregazione maschile, ma lumeggia la sua fiducia nel sacerdote veronese, che manifesta una<br />

propensione spiccata per i ragazzi poveri ed emarginati.<br />

La sede ci sarebbe stata, ma bisognava acquistarla e la <strong>Canossa</strong> mise in moto tutte le sue amicizie, a<br />

Milano il Conte Mellerio e il suo segretario Abate Polidori, a Venezia il Cavaliere Giustiniani e Mons.<br />

Traversi e, tra Vienna e Lombardo Veneto, il primo e l’ultimo a cui si doveva arrivare, lo stesso Viceré.<br />

Ma la rete dei collaboratori era molto più vasta, per cui in un anno, tra il 1831 e il 1832, la nuova<br />

attività per il ceto maschile poteva avere tranquillo inizio. La sede era la chiesetta <strong>di</strong> Santa Maria del<br />

Pianto, come oratorio, le tre casette annesse come abitazione del Provolo, <strong>di</strong> sua madre, <strong>di</strong> un suo<br />

compagno sacerdote, <strong>di</strong> un laico e, in mattinata, come classi per i sordomuti, e a sera dei ragazzi, che,<br />

dovendo lavorare <strong>di</strong> giorno, non potevano frequentare le scuole pubbliche, L’iter <strong>di</strong> acquisto però non<br />

era stato così facile. L’orto era stato comperato; per le casette era stato fatto un «livello perpetuo » col<br />

Nobile Albertini, ma per la chiesetta, che stava per essere messa all’asta dal Demanio, c’era voluto,<br />

come già si <strong>di</strong>sse, l’intervento <strong>di</strong> molti interme<strong>di</strong>ari, molte attese, moltissime ansie, anche molti timori,<br />

ma la <strong>Canossa</strong>, aiutata dalla inesauribile fiducia nella « sua Madonna », aveva scritto, riscritto,<br />

sollecitato e c’era riuscita, con una stima affrontabile per la sua borsa. Il piano organizzativo, a cui si<br />

sarebbe orientato il Provolo, era quello che già nel 1821 la fondatrice aveva presentato a Don Rosmini,<br />

con qualche ritocco che <strong>Canossa</strong> e Don Antonio avevano apposto <strong>di</strong> comune accordo. Il sacerdote<br />

veronese aveva poi conosciuto Don Luzzo quando era andato a Venezia per tenervi la pre<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong><br />

un corso <strong>di</strong> Esercizi spirituali, ne aveva ammirato l’attività e ne chiedeva spesso notizie.<br />

Pareva ormai che non si dovesse temere altro intralcio al maturarsi e rafforzarsi <strong>di</strong> quell’opera<br />

che la Marchesa giu<strong>di</strong>cava preziosissima e per la quale non aveva dubitato <strong>di</strong> spendere danaro e fatiche.<br />

Invece nel 1833, due lettere <strong>di</strong> Mons. Traversi la prima del 31 agosto, la seconda del 10 <strong>di</strong>cembre,<br />

senza che nell’A.C.R. ci siano altre documentazioni sintomatiche, chiariscono la rottura già avvenuta<br />

tra la <strong>Canossa</strong> e Don Provolo. Monsignore stabilisce, senza mezzi termini, la procedura per la cessione<br />

al sacerdote della chiesa e delle due casette, con esclusione dell’ orto, che deve rimanere delle Figlie

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